Epidemie
COVID-19, le buone notizie
Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Renovatio 21 offre la traduzione di questo pezzo di CHD per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Scoperte chiave dai dati del 5 luglio
- Gli aumenti dei nuovi casi in Texas, Arizona, Florida e California dimostrano una chiara correlazione con il significativo aumento dei test PCR, ma la percentuale di questi casi che richiede ricovero in ospedale, o che risultano in un decesso sono molto inferiori a quanto accade a New York o nel New Jersey.
- Texas, Arizona, Florida e California non si qualificano statisticamente come “nuovi focolai” e nuovi ordini esecutivi, tra cui una seconda quarantena e altre importanti variazioni all’istruzione in presenza, non sono giustificati, soprattutto alla luce delle probabilità di guarigione.
- I decessi settimanali sono in calo in tutta la nazione, ogni settimana, per la decima settimana consecutiva secondo i dati pubblicati settimanalmente da ciascuno dei 56 Dipartimenti della Salute Statali e Territoriali.
- Almeno 1.045.888 americani sono stati dichiarati guariti secondo i dati resi noti da ciascuno dei 56 Dipartimenti della Salute Statali e Territoriali.
Abstract
Al 5 luglio 2020, più di un milione di americani sono stati dichiarati guariti secondo i dati pubblicati da ciascuno dei 56 Dipartimenti della Salute Statali e Territoriali (USSTHD). Questa è senza dubbio una bella notizia e una fonte di speranza per la nostra società in crisi.
Al 5 luglio 2020, più di un milione di americani sono stati dichiarati guariti secondo i dati pubblicati da ciascuno dei 56 Dipartimenti della Salute Statali e Territoriali (USSTHD). Questa è senza dubbio una bella notizia e una fonte di speranza per la nostra società in crisi.
Mentre ogni guarigione è da celebrare, rispettiamo anche le esigenze fisiche che la guarigione ha richiesto agli americani e riconosciamo che tale processo non è privo si sfide uniche o potenziali per gli impatti a lungo termine sullo stato di salute. Quello che vogliamo condividere in questo lavoro collettivo è una prospettiva fondata sui dati e non intende in nessun modo minimizzare le esperienze di chi ha subito impatti negativi dall’infezione.
Lo scopo di questa ricerca statistica è fornire al lettore una prospettiva nuova e unica sul virus Sars-CoV-2, comunemente noto come COVID-19. Una delle preoccupazioni che abbiamo come autori e professionisti riguarda la metodologia distorta della comunicazione dei dati, che porta ad ambiguità sulle corrette azioni da adottare per le politiche di salute pubblica.
Troppo spesso gli americani sono informati solo parzialmente dai media mainstream e dal Center for Disease Control and Prevention (CDC) riguardo a (1) il numero totale di casi, (2) il numero giornaliero di nuovo casi, (3) il totale dei decessi e (4) il numero giornaliero di nuovi decessi.[1]
È importante essere aggiornati su ognuna di queste categorie statistiche, e lo era soprattutto in aprile quando ne sapevamo molto meno di oggi.
Comunque, quando i nuovi casi e i decessi sono gli unici dati resi pubblici, molti americani sono portati a concludere che la situazione sia in continuo peggioramento, con l’aumento inevitabile di nuovi casi e decessi. Questi tentativi di condizionamento mentale possono creare, e creano, giustificazioni oggettive nel pubblico. Le giustificazioni oggettive per la paura dell’ignoto possono, a loro volta, motivare ulteriori limitazioni alle libertà protette dalla Costituzione e, così facendo, provocare danni collaterali involontari nella nostra società.
L’urgente bisogno di rapporti statistici più approfonditi ed equilibrati è di primaria importanza per incoraggiare conversazioni più produttive e meno polemiche.
L’urgente bisogno di rapporti statistici più approfonditi ed equilibrati è di primaria importanza per incoraggiare conversazioni più produttive e meno polemiche.
Curiosamente, accanto alle categorie di dati citate non vediamo spesso (1) il totale di persone testate (2) il numero di nuovi test negativi al giorno (3) il numero totale di guariti e (4) il numero di nuovi guariti comparato ai nuovi decessi al giorno. Queste categorie statistiche, tutte ugualmente importanti, apportano equilibrio e valore a tutte le discussioni sull’argomento se vogliamo essere pragmatici nel modo di pensare, nelle decisioni e nella formazione di politiche future.
Le nostre proiezioni dei dati suggeriscono, con i nuovi decessi in calo per la decima settimana consecutiva secondo il CDC e in relazione al significativo aumento delle nuove guarigioni ogni giorno, che negli Stati Uniti ci saranno 2,7 milioni di guariti.
Inoltre, tra questi guariti, 2,45 milioni non necessiteranno di ricovero in ospedale. Queste proiezioni statistiche sono estremamente importanti per fornire agli americani una prospettiva più bilanciata che incorpora informazioni positive a quelle negative. Non è chiaro perché i media mainstream e il CDC non riportano prontamente questi dati.
Il CDC non ha ancora iniziato a riportare i dati sulle guarigioni forniti da 46 dei 51 USSTHD.
Le nostre proiezioni dei dati suggeriscono, con i nuovi decessi in calo per la decima settimana consecutiva secondo il CDC e in relazione al significativo aumento delle nuove guarigioni ogni giorno, che negli Stati Uniti ci saranno 2,7 milioni di guariti. Inoltre, tra questi guariti, 2,45 milioni non necessiteranno di ricovero in ospedale
Nella nostra prima ricerca, «Are Children Really Recovering 99.9584% of the Time From COVID-19», abbiamo discusso alcuni problemi con i dati nella sezione «Limitazioni dei dati».
In questo documento di follow up discuteremo i segnali positivi delle guarigioni negli Stati Uniti così come alcuni dei problemi più recenti con i dati resi noti dagli USSTHD.
In seguito all’aggiornamento delle linee guida del CDC del 13 giugno per i test PCR negli ospedali, abbiamo assistito a un insolito aumento dei nuovi casi. Questo non ha coinciso con l’aumento dei ricoveri in ospedale come quanto riportato dai dipartimenti di salute di New York e del New Jersey in aprile [2].
Inoltre, le nuove linee guida servono solo a complicare la situazione e ad impedire un’accurata analisi dei dati nella nostra opinione professionale.
Texas, Arizona, Florida & California sono potenziali focolai come New York e il New Jersey?
Prima di aprile 2020, gli americani sono stati avvertiti più volte dal Dr. Anthony Fauci, dall’Institute for Health Metrics Evaluation (IHME) dell’Università di Washington e dal CDC di un imminente ondata di decessi dovuta al virus SARS-CoV-2 che poteva raggiungere 2,2 milioni o variare tra 100.000 e 1,7 milioni.3,4,5,6,7,8,9
Ci si aspetta quindi che la base per determinare la gravità di questa infezione sconosciuta e il suo impatto sugli Stati Uniti risieda nei dati sui decessi pubblicati.
Comunque, più recentemente i media mainstream, il CDC, il Dr. Fauci e molti governatori hanno posto maggior enfasi sulla statistica dei nuovi casi al giorno anziché sul calo dei decessi per la decima settimana consecutiva.

Esiste una logica oggettiva per le maggiori preoccupazioni per la salute pubblica dovuta all’aumento dei nuovi casi, SE c’è un aumento percentuale dei nuovi ricoveri e/o decessi simile a quelli riportati a New York nel New Jersey in aprile durante il picco iniziale dell’ondata di infezioni.
Comunque, non abbiamo visto un aumento nei ricoveri o nei decessi simile a quanto riportato a New York nel New Jersey all’inizio della crisi in nessuno dei quattro stati posti sotto stretta osservazione a causa degli aumenti dei nuovi casi in un periodo comparativo di tre settimane.
A New York e nel New Jersey il periodo di tre settimane dopo il quale sono stati definiti focolai del COVID-19 è durato dal 21 marzo fino al 10 aprile. Il periodo di comparazione per Texas, Arizona, Florida e California è stato dal 15 giugno al 5 luglio. L’aumento dei nuovi casi è probabilmente dovuto a un maggior numero di test, un aumento generale delle segnalazioni e percentuali leggermente più veritiere nei rapporti sui ricoveri di quelli disponibili nel primo periodo della pandemia a New York e nel New Jersey.

Questo grafico mostra un significativo aumento dei test tra il 15 giugno e il 5 luglio in Texas, Florida e California, paragonato al periodo di tre settimane dal 21 marzo al 10 aprile a New York e Nel New Jersey. Rivela anche la relativa differenza percentuale dei nuovi casi nell’ultimo periodo nonostante significativo aumento dei test man mano che la crisi progrediva. La percentuale di test positivi a New York e nel New Jersey (44,3%) è considerevolmente più alta rispetto a quella di Texas (12,0%), Arizona (20,1%), Florida (11,8%) e California (5,9%).
In breve, mentre nuovi casi aumentano in Texas, Arizona, Florida e California, come accaduto in precedenza a New York e nel New Jersey, la percentuale di positivi è di gran lunga inferiore rispetto a quella di New York e New Jersey durante il picco nella regione. si tratta di una prova statistica chiave che quello che sta accadendo in Texas, Arizona, Florida e California non può portare a definirli come nuovi focolai. (Vedi Tavola 1 per un Riepilogo dei dati)

Questo grafico mostra una notevole discrepanza percentuale dei nuovi casi che necessitano il ricovero tra New York/New Jersey (20,7%) e Texas (5,5%), Arizona (2,8%), Florida (3,2%) e California (2,3%).
Mostra anche la considerevole differenza percentuale di nuovi casi che provocano il decesso tra New York/New Jersey (4,6%) e Texas (0,6%), Arizona (1,0%), Florida (0,7%) e California (1,1%).
Mentre molti decessi avvenuti a New York e nel New Jersey durante il periodo in esame e in quello seguente, in molti casi si trattava di anziani già debilitati nelle residenze assistite e nelle case di riposo, questi dati possono suggerire che le procedure per proteggere i più deboli in queste strutture sono notevolmente migliorate.
Se i dati statistici e la correlazione tra casi, ricoveri e decessi a New York e nel New Jersey stabiliscono i criteri per dichiarare un epicentro, allora secondo i medesimi criteri, Texas, Arizona, Florida e California non lo sono. È un ulteriore prova statistica che quanto avviene in Texas, Arizona, Florida e California non è un aumento tale da dichiararli focolai. (Vedi Tavola 1 per un Riepilogo dei Dati)

Pertanto, il solo aumento dei nuovi casi senza aumento proporzionale nei ricoveri e nei decessi, non è un parametro sufficiente per giustificare nuovi ordini esecutivi e la maggiore ansia sociale a livello del focolaio.
Dati sulle guarigioni vs decessi

Questi dati mostrano che le probabilità di guarigione per gli americani sono 9 volte maggiori rispetto a quelle di morire per COVID-19 e la differenza tra guarigioni e decessi cresce ogni giorno. (Vedi Tavola 2 per i dati di ogni stato)

Come potete vedere, le guarigioni superano di gran lunga i decessi ogni giorno e la distanza tra i due continua ad aumentare, tanto che la rappresentazione grafica ai fini della comparazione diventa impegnativa. I picchi nelle guarigioni che vedete, avvengono di solito quando un nuovo dipartimento sanitario inizia a comunicare le guarigioni per la prima volta, come accaduto il 21 giugno.
Al 5 luglio, mentre i dati sui decessi erano riportati da ogni USSTHD, i dati sulle guarigioni venivano riportati solo da 46 su 51 stati USSTHD. California, Florida, Georgia, Missouri e lo stato di Washington sono gli unici che, ad oggi, non forniscono i dati delle guarigioni. I dati sulle guarigioni pubblicati molte volte includono i pazienti che sono stati dimessi dall’ospedale in seguito alla conferma del laboratorio, in cui il paziente ha ottenuto due esiti negativi consecutivi al test molecolare PCR ad almeno 24 ore di distanza.[2]
Comunque, molti stati hanno iniziato a confermare che gli americani risultati positivi ai test sono da considerarsi guariti se la persona positiva è stata in quarantena e per uno specifico lasso di tempo non ha avuto necessità di ricovero o ulteriore osservazione medica. Questo lasso di tempo è di 14 giorni dalla data del risultato positivo per la maggior parte degli stati mentre in alcuni si arriva a 30 giorni. In alcuni casi il numero di «guariti» comprende non solo quelli dimessi dagli ospedali, ma anche quel gruppo più ampio che non ha necessitato di alcun ricovero.
Tavola 2: Riepilogo di casi confermati, guarigioni e decessi per ogni stato

Conclusione
Questa ricerca statistica fornisce risultati oggettivi basati sui dati che dimostrano che gli Stati Uniti sono in fase di guarigione nonostante l’aumento dei nuovi casi, dovuti probabilmente all’aumento dei test (e potenzialmente alle linee guida del CDC sui test ospedalieri del 13 giugno).
Questi dati suggeriscono che ogni ulteriore ordine esecutivo basato esclusivamente sull’aumento dei nuovi casi, compreso un secondo periodo di quarantena o ritardare l’inizio del nuovo anno scolastico o implementare la didattica a distanza, è statisticamente ingiustificato rispetto alla definizione dei criteri statistici definita a New York e nel New Jersey su cosa sia un focolaio della pandemia.
Sta arrivando il tempo in cui le discussioni a livello nazionale devono abbandonare la paura dei nuovi casi e concentrarsi sull’economia reale, la salute mentale, fisica ed emotiva e i danni collaterali alla società causati dalla prolungata intrusione di ordinanze esecutive sulle nostre libertà costituzionali.
Sta arrivando il tempo in cui le discussioni a livello nazionale devono abbandonare la paura dei nuovi casi e concentrarsi sull’economia reale, la salute mentale, fisica ed emotiva e i danni collaterali alla società causati dalla prolungata intrusione di ordinanze esecutive sulle nostre libertà costituzionali.
È importante ricordare che gli americani sono stati implorati, e in molti casi obbligati, a stare a casa per appiattire la curva della diffusione dell’infezione e limitare l’impatto sul sistema sanitario nazionale.
Gli americani si sono adeguati di buon grado, comprendendo implicitamente che il corso delle cose sarebbe stato relativamente breve e non sarebbe stato prolungato senza significativa e verificabile giustificazione basata sui dati.
Mai gli americani hanno concordato che non saremmo stati in grado di registrare commenti pubblici ufficiali per dare voce alle nostre preoccupazioni e prospettive nel primo periodo di ordinanze esecutive. Non eravamo d’accordo neanche nel permettere di posticipare l’apertura delle piccole attività con ulteriori ordinanze senza sessioni legislative di emergenza. E certamente non eravamo d’accordo nel riaprire i luoghi di culto, le scuole, i luoghi di divertimento in più fasi, con questi luoghi fondamentali per la salute sociale all’ultimo posto.
Non accettavamo che i criteri per approvare il ritorno alla «vita come la conoscevamo» fossero basati su altro che non fosse l’impatto sul sistema sanitario nazionale o i decessi… ma ora c’è una tendenza a ignorare i ricoveri e decessi in favore dei nuovi casi per determinare le politiche da seguire.
Noi americani abbiamo fatto la nostra parte, ora è il momento che i media mainstream, il CDC e i governatori di ogni stato facciano la loro e traccino un percorso che onori lo spirito della Costituzione, rimetta in moto l’economia e ristabilisca le reti sociali, essenziali per una repubblica sana e prospera.
Vogliamo che i media mainstream e CDC iniziano a riportare il totale dei test effettuati ogni giorno insieme ai nuovi casi e alle nuove guarigioni, oltre ai decessi e, così facendo, offrano una prospettiva più equilibrata a una società che si affida a loro per ottenere informazioni veritiere.
Vogliamo che tutti i governatori diano priorità ai luoghi di culto e all’istruzione in presenza per tutti i cittadini, che inizino ad aggiungere naturopati e nutrizionisti olistici qualificati ai loro team di consulenti nei dipartimenti sanitari, in modo che gli americani possano ricevere consigli nutrizionali oltre a raccomandazioni sull’igiene, l’uso delle mascherine e il distanziamento sociale.
Se riusciamo a trovare il modo per fare test a 34 milioni americani in tre mesi, allora possiamo trovare il modo per migliorare la diffusione delle informazioni su questa crisi e le risposte a livello medico ad un’avversità così improvvisa.
Aggiornamenti sulle probabilità di guarigione, fasce d’età e test
Le probabilità di guarigione continuano a crescere per tutte le fasce di età dalla prima ricerca del 21 giugno.





Limitazioni dei dati
Come abbiamo trattato nella sezione Limitazioni dei dati del nostro precedente articolo, «Are Children Really Recovering 99.9584% of the Time From COVID-19», sin dall’inizio il CDC sosteneva l’inclusione di ogni caso e decesso come provocato da COVID-19, anche in assenza di test di laboratorio. Un caso o un decesso possono essere legittimamente considerati COVID-19 se rientrano tra le seguenti casistiche10:
«A. Narrative: Descrizione dei criteri per determinare come classificare i casi. A1. Criteri clinici. Almeno due dei seguenti sintomi: febbre (misurata o percepita), brividi, rigidità, mialgia, emicrania, mal di gola, disturbi olfattivi e del gusto O almeno uno dei seguenti sintomi: tosse, dispnea o difficoltà respiratorie O malattie respiratorie gravi con almeno uno dei seguenti: evidenze clinica o radiografica di polmonite o di sindrome da distress respiratorio acuto E nessuna diagnosi alternativa probabile.»
Il CDC considera questi tipi di casi e decessi come «probabili».
Al 5 luglio, ci sono 47.174 casi probabili e 9431 decessi probabili. La preoccupazione è che i casi e decessi probabili continuino a crescere giorno per giorno nonostante una massiccia campagna di test, durante la quale sono stati effettuati 36.853.943 di test di laboratorio e gli USSTHD hanno la facoltà di considerare il caso «in sospeso», se si è in attesa dell’esito del test.
Al 5 luglio c’erano 47.1474 casi probabili, ma solo 2.205 test in attesa. Inoltre, pensiamo che l’aumento dei nuovi casi coincida con l’aggiornamento delle linee guida del CDC del 13 giugno.
Dichiarazione sui finanziamenti e sul conflitto di interessi
Questa ricerca statistica è stata sviluppata, scritta e pubblicata senza nessun finanziamento e grazie a uno sforzo comunitario completamente volontario profuso da una gamma eterogenea di professionisti qualificati che hanno a cuore i bambini e la salute di ogni americano. Gli autori di questa ricerca confermano di non avere nessun conflitto di interesse finanziario, politico o di altra natura.
H. Ealy, M. McEvoy, M. Sava, S. Gupta, D. Chong, E. Braham, C. Fieberg, D. White, P. Anderson
Traduzione di Alessandra Boni
Riferimenti
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- CDC: Overview of Testing for SARS-CoV-2 https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/hcp/testing-overview.html
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© 14 luglio 2020, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.
Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Epidemie
Gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump non celebreranno più la Giornata mondiale contro l’AIDS
Per la prima volta dal 1988, l’amministrazione statunitense ha deciso di non proclamare il 1º dicembre come «Giornata mondiale contro l’AIDS». Lo riporta il
In una circolare indirizzata al personale, il Dipartimento di Stato ha esplicitamente vietato l’impiego di risorse pubbliche per onorare tale ricorrenza.
La misura si inquadra in una linea direttiva più ampia che impone di «evitare di veicolare comunicazioni in occasione di qualsivoglia giornata commemorativa, ivi inclusa quella dedicata alla lotta contro l’AIDS».
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Ai funzionari è stato ordinato di «rinunciare a qualsivoglia promozione pubblica della Giornata mondiale contro l’AIDS tramite canali di diffusione, inclusi social network, apparizioni mediatiche, orazioni o altri annunci rivolti all’opinione pubblica».
«Una giornata di sensibilizzazione non costituisce una strategia», ha dichiarato al quotidiano il portavoce del dipartimento di Stato Tommy Pigott. «Sotto la presidenza Trump, il Dipartimento opera in sinergia con governi esteri per preservare vite umane e promuovere maggiore accountability e compartecipazione agli oneri».
In una nota ad ABC News, il portavoce della Casa Bianca Kush Desai ha liquidato il Presidential Advisory Council on HIV/AIDS (PACHA) come un «ente prevalentemente simbolico i cui componenti sono immersi in un’inutile kermesse di relazioni pubbliche, svincolata dal concreto impegno dell’amministrazione Trump contro HIV e AIDS».
Dall’esordio dell’epidemia negli anni Ottanta, circa 300.000 uomini gay negli Stati Uniti hanno perso la vita per complicanze legate all’AIDS.
Negli ultimi quarant’anni, a livello globale, oltre 44 milioni di individui sono deceduti per AIDS; nel 2024, la malattia ha causato circa 630.000 morti. Le cure per l’AIDS furono inizialmente oggetto di feroci critiche da parte degli stessi omosessuali, che si scagliavano apertamente contro l’allora figura principale della lotta alla malattia Anthony Fauci.
Come riportato da Renovatio 21, il Fauci, mentre proponeva farmaci altamente tossici e faceva esperimenti allucinanti con gli orfani di Nuova York, arrivò a dire in TV che l’HIV era trasmissibile per «contatti domestici».
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Ora il tema dell’AIDS è più raramente utilizzato dalla comunità omosessuale, dove una frangia – i cosiddetti bugchasers e gift givers – si impegna incredibilmente nell’infezione volontaria del morbo. Grindr, l’app per incontro gay, per un periodo presentava pazzescamente su ogni profilo la spunta sulla sieropositività dell’utente.
Come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa studio avanzato sul vaccino contro l’HIV in Africa condotto dalla multinazionale farmaceutica Johnson & Johnson era stato interrotto dopo che i dati hanno mostrato che le iniezioni offrivano solo una protezione limitata contro il virus. Lo studio era stato finanziato da Johnson & Johnson, dall’immancabile Bill and Melinda Gates Foundation e dal National Institutes of Health, la Sanità Nazionale USA dove il dominus (in realtà a capo del ramo malattie infettive) è Tony Fauci, che già in modo molto controverso – e fallimentare – si era occupato dell’AIDS allo scoppio dell’epidemia negli anni Ottanta.
Il premio Nobel Luc Montagnier sconvolse il mondo, attirandosi censure dei social tra fact checker e insulti, disse che analizzando al microscopio il SARS-nCoV-2 aveva notato delle strane somiglianze con il virus HIV – per la scoperta del quale Montagnier vinse appunto il Nobel. «Per inserire una sequenza HIV in questo genoma, sono necessari strumenti molecolari, e ciò può essere fatto solo in laboratorio» disse Montagnier in un’intervista per il podcast Pourquoi Docteur. Oltre a supportare l’allora screditatissima ipotesi del virus creato in laboratorio a Wuhan, Montagnier metteva sul piatto un’idea ancora più radicale: quella di un vaccino anti-AIDS come possibile origine del coronavirus.
Nel 2021 Moderna, azienda biotecnologica salita alla ribalta per il vaccino mRNA contro il COVID – il primo prodotto mai distribuito della sua storia aziendale – si era dichiarata pronta per iniziare la sperimentazione sugli esseri umani per il primo vaccino genico contro l’HIV. L’anno scorso era emerso che i test avevano riscontrato un effetto collaterale alla pelle, con una percentuale insolitamente alta di riceventi ha sviluppato eruzioni cutanee, pomfi o altre irritazioni cutanee.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Epidemie
Solo 1 tedesco su 7 con test PCR positivo aveva l’infezione da COVID
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I test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni da COVID
Lo studio condotto da tre ricercatori tedeschi, pubblicato il mese scorso su Frontiers in Epidemiology, ha utilizzato due modelli matematici per analizzare quanto i risultati dei test PCR fossero allineati con i risultati degli esami del sangue per la ricerca degli anticorpi SARS-CoV-2. I risultati si basano sui dati ottenuti da laboratori accreditati in Germania che hanno gestito circa il 90% dei test PCR nel Paese da marzo 2020 all’inizio del 2023 e che hanno anche eseguito test del sangue per la ricerca di anticorpi (IgG) fino a maggio 2021. I ricercatori, Michael Günther, Ph.D., Robert Rockenfeller, Ph.D., e Harald Walach, Ph.D., hanno affermato che i loro modelli hanno allineato i dati dei test PCR che rilevano «piccole porzioni di materiale genetico virale nel naso o nella gola» e i test sugli anticorpi che mostrano se il sistema immunitario di una persona «ha risposto a un’infezione reale settimane o mesi prima». Hanno detto al Defender: «Quando abbiamo confrontato il numero di positivi alla PCR con i risultati successivi degli anticorpi, solo circa 1 persona su 7 positiva alla PCR ha mostrato il tipo di risposta immunitaria che indica una vera infezione. Con ipotesi conservative, la percentuale potrebbe essere più vicina a 1 su 10». La loro analisi ha anche mostrato che entro la fine del 2021, «quasi tutti» in Germania erano stati «contagiati, vaccinati o entrambi». Secondo il modello matematico dello studio, il dato di 1 su 7 relativo al test PCR è «quasi perfettamente» in linea con un tasso di immunità dell’intera popolazione a fine anno del 92%. I ricercatori hanno spiegato che i test sugli anticorpi «ci dicono che una persona è stata infettata in un momento qualsiasi dell’ultimo anno circa», mentre un risultato positivo al test PCR può indicare un’infezione, o «una breve esposizione senza infezione, frammenti virali residui o un rilevamento a livelli molto bassi che non portano mai alla malattia». Hanno affermato che il loro studio ha dimostrato che solo circa il 14% dei test PCR positivi corrispondeva a infezioni reali che avevano attivato gli anticorpi IgG, il che suggerisce che i test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
I test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi»
I critici delle politiche ufficiali sul COVID-19 hanno spesso citato la dipendenza dai test PCR e le incongruenze nelle soglie virali utilizzate per generare un risultato «positivo» del test. Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso il CHD, ha affermato che i test PCR sono uno strumento inaffidabile per rilevare e tracciare le epidemie di malattie infettive. Ha citato un incidente del 2006 al Dartmouth-Hitchcock Medical Center, dove una presunta epidemia di pertosse ha portato a 134 risultati positivi ai test. «Sono state distribuite oltre 1.300 prescrizioni di antibiotici e 4.500 persone sono state vaccinate profilatticamente», nonostante non ci fossero «casi confermati in laboratorio». L’ uso improprio dei test PCR ha portato le autorità sanitarie a dichiarare falsamente un’epidemia, ha affermato. Un test PCR «non è un test diagnostico per una popolazione», ha affermato Jablonowski. «È meglio usarlo come test di conferma, essenzialmente per rispondere alla domanda “Quale virus ti ha infettato?” e non “Sei infetto?”». I ricercatori tedeschi hanno affermato che i loro risultati non indicano che la tecnologia PCR sia «imperfetta come metodo di laboratorio». Tuttavia, lo studio dimostra che il modo in cui i test PCR sono stati utilizzati per i test di massa durante la pandemia «non ha indicato in modo affidabile quante persone siano state effettivamente infettate». Hanno affermato che i test PCR rilevano in modo affidabile frammenti di DNA virale, anche in «quantità estremamente piccole» che «non rappresentano alcun rischio di infezione», ma non sono in grado di stabilire se il virus si sta replicando nell’organismo. I risultati positivi non dovrebbero essere utilizzati «come indicatori di infezione», perché i test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi», hanno concluso i ricercatori.Aiuta Renovatio 21
I test PCR di massa hanno causato «danni sociali, economici e personali non necessari»
L’affidamento dei governi ai risultati dei test PCR per monitorare i livelli di infezione da COVID-19 ha portato a restrizioni legate alla pandemia che hanno contribuito a «danni sociali, economici e personali non necessari», hanno affermato i ricercatori. I governi hanno utilizzato i risultati dei test PCR per giustificare rigide restrizioni, nonostante le agenzie sanitarie pubbliche avessero accesso a dati di test sugli anticorpi di qualità superiore. «Erano disponibili informazioni migliori di quelle comunicate pubblicamente», hanno affermato i ricercatori. Ciò ha sollevato «seri interrogativi sulla trasparenza e sul fatto che le politiche fossero basate sui dati più informativi disponibili». Jablonowski ha affermato che nei primi giorni della pandemia, i test PCR hanno probabilmente fornito un quadro più accurato della diffusione dell’infezione, poiché i kit per i test erano scarsi e venivano quindi utilizzati su coloro che avevano maggiori probabilità di essere infettati. Ma man mano che i test diventavano più facilmente disponibili, «venivano utilizzati su persone asintomatiche e obbligatori per i ricoveri ospedalieri, i viaggi aerei, i datori di lavoro e molte altre attività ad accesso controllato», ha affermato Jablonowski. Gli autori dello studio tedesco hanno affermato che un approccio più scientificamente valido avrebbe incluso dati più accurati sui test PCR che mostravano i risultati in proporzione al numero di test eseguiti, un monitoraggio di routine dei livelli di anticorpi nella popolazione e una «comunicazione trasparente… che indicasse chiaramente cosa la PCR può e non può misurare». «Questo insieme di pratiche… dovrebbe guidare le future politiche di sanità pubblica», hanno affermato i ricercatori. Documenti del governo tedesco trapelati lo scorso anno suggerivano che la risposta ufficiale del Paese alla pandemia di COVID-19 si basava su obiettivi politici e che le contromisure e le restrizioni raccomandate dalla Germania spesso contraddicevano le prove scientifiche. Durante un’intervista del 2022 al podcast «RFK Jr. The Defender Podcast» di Robert F. Kennedy Jr., il matematico Norman Fenton, Ph.D., ha affermato che i funzionari governativi di tutto il mondo hanno manipolato i dati dei test PCR per esagerare l’entità della pandemia. Jablonowski ha affermato che «l’isteria dei test PCR obbligatori ha preparato la mentalità della popolazione alle vaccinazioni obbligatorie che sarebbero arrivate. I test non avevano nulla a che fare con la salute della popolazione, ma solo con il controllo della popolazione». I test PCR per il COVID-19 sono molto meno diffusi oggi rispetto al picco della pandemia. Tuttavia, i ricercatori hanno affermato che il loro studio «è importante oggi perché l’errore strutturale che rivela – trattare i positivi alla PCR come infezioni – non è stato corretto». «Dato che ci troviamo di fronte a nuovi agenti patogeni, come l’influenza aviaria , affidarci solo alla PCR rischia di ripetere gli stessi errori», hanno affermato i ricercatori.Iscriviti al canale Telegram ![]()
Risposta «polarizzata», poiché i risultati «mettono in discussione le ipotesi che hanno plasmato la politica pandemica»
I ricercatori hanno affermato di aver incontrato «notevoli difficoltà» nel pubblicare il loro articolo. Tra queste, il rifiuto da parte di altre sei riviste, di cui solo due hanno inviato il manoscritto per la revisione paritaria. Queste riviste hanno cercato di «proteggere la narrativa prevalente, piuttosto che affrontare il nocciolo della nostra analisi», hanno affermato i ricercatori. I ricercatori hanno affermato che due dei tre revisori originali di Frontiers in Epidemiology «si sono ritirati dai loro incarichi». Ciò ha costretto la redazione a reclutare un quarto revisore, ritardando la pubblicazione dell’articolo. La risposta all’articolo è stata «polarizzata», hanno affermato. «Alcuni lettori hanno accolto con favore il confronto quantitativo dei dati PCR e IgG, ritenendolo in ritardo, mentre altri hanno messo in dubbio le implicazioni dello studio o hanno tentato di liquidarlo senza approfondire la metodologia di base». Ciò non sorprende, «dato che i risultati mettono in discussione i presupposti che hanno plasmato la politica pandemica», hanno affermato. Michael Nevradakis Ph.D. © 26 novembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD. Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Epidemie
Il CDC chiude i laboratori con scimmie tra i timori della tubercolosi
Il CDC, l’ente nazionale USA per il controllo epidemico, porrà fine a ogni indagine su primati non umani svolta nelle sue sedi, costituendo la prima occasione dal ritiro degli scimpanzé da parte dei National Institutes of Health nel 2015 in cui un’agenzia sanitaria federale di primo piano ha decretato la cessazione totale di un proprio protocollo interno sulle scimmie. Lo riporta la rivista Science.
Tale determinazione coinvolge approssimativamente 200 macachi alloggiati nel complesso di Atlanta dei CDC. Un portavoce dell’agenzia ha attestato a Bloomberg che si sta approntando un programma di smantellamento, pur astenendosi dal delineare scadenze precise o sul destino degli esemplari.
La scelta matura all’indomani di lustri di contestazioni da parte di associazioni per la tutela animale e taluni ricercatori, i quali lamentano che i paradigmi su scimmie abbiano generato un apporto traslazionale scarso, soprattutto nella elaborazione di sieri anti-HIV, ove decine d’anni di analisi su primati non hanno ancor prodotto un rimedio omologato. I CDC hanno invocato tanto sensibilità etiche quanto un viraggio tattico verso opzioni antropomorfe, come sistemi organ-on-a-chip, colture cellulari evolute e simulazioni algoritmiche, quali elementi cardine della risoluzione.
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In via distinta, i CDC hanno affrontato episodi di vulnerabilità biosicurezza legati a primati importati. Archivi interni scrutinati dall’organizzazione animalista PETA rivelano che, dal 2021 al 2024, i vagli di quarantena hanno smascherato 69 episodi di tubercolosi nei macachi in transito, con ulteriori 16 occorrenze scoperte post-liberazione verso i laboratori.
«La PETA ha allertato i CDC sin dal 2022 che il loro circuito di importazione di scimmie configura una mina vagante per la tubercolosi», ha dichiarato la dottoressa Lisa Jones-Engel, consulente scientifico per la sperimentazione sui primati della PETA. «Nondimeno, la loro ostinata miopia ha consentito a un pericolo biosicuro manifesto di infiltrarsi negli Stati Uniti. Invitiamo i CDC a interrompere l’afflusso di scimmie nei laboratori, a tutela della salute collettiva, della validità scientifica e degli stessi primati».
La dismissione progressiva si allinea a iniziative federali più estese per comprimere la sperimentazione su animali. Ratificato nel 2022, il Modernization Act 2.0 della Food and Drug Administration (FDA) ha soppresso l’esigenza di prove animali preliminari alla sperimentazione umana, mentre NIH, EPA e FDA hanno esteso gli stanziamenti per metodiche prive di impiego animale.
«Questa svolta è epocale. Per la prima volta, un ente statunitense opta per una scienza contemporanea e umana anziché per un apparato obsoleto di test su scimmie», ha esultato Janine McCarthy, direttrice facente funzioni delle politiche di ricerca al Physicians Committee for Responsible Medicine. «Ora i CDC dovrebbero destinare quei budget alla ricerca antropocentrica e assicurare che queste scimmie siano ricollocate in santuari per il resto dei loro giorni».
«I CDC hanno appena trasmesso un segnale all’intero ecosistema biomedico: l’epoca degli esperimenti su scimmie è conclusa», ha soggiunto McCarthy.
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