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Geopolitica

Continua la tensione tra Armenia ed Azerbaigian

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Armenia e Azerbaigian si sono scambiati accuse su diversi recenti casi di scaramucce nelle regioni di confine, con Yerevan che ha criticato Baku per quello che ha definito un tentativo di attirarla in una risposta militare sproporzionata.

 

In una dichiarazione di sabato, il ministero della Difesa armeno ha affermato che l’esercito azerbaigiano ha aperto più volte il fuoco durante la notte in direzione delle forze di Yerevan in un paio di zone di confine.

 

Funzionari armeni, tuttavia, hanno notato che la maggior parte degli spari erano «non mirati e irregolari», aggiungendo che venerdì sera Yerevan ha osservato un ridispiegamento di veicoli militari azeri.

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Il ministero ha suggerito che tali azioni avevano cercato di indurre l’Armenia a rispondere in modo tale da portare alla realtà quella che Yerevan ha definito «disinformazione azerbaigiana» sulla questione.

 

«La macchina di propaganda azera ha diffuso false informazioni… cercando di dipingere la consueta rotazione delle unità delle forze armate armene come un presunto raggruppamento in prima linea», ha detto il ministero.

 

Poiché le forze armene si sono astenute dall’escalation delle tensioni, la situazione si è presto stabilizzata, si legge nella dichiarazione.

 

Apparentemente il ministero si riferiva a filmati condivisi dai media azeri che pretendevano di mostrare una colonna di truppe armene non lontano dalla regione azera di Zangezur orientale, scrive RT. L’Azerbaijan ritiene che l’intera area di Zangezur sia cruciale per il suo sforzo di stabilire una via di trasporto sostenibile attraverso il territorio armeno fino alla sua exclave senza sbocco sul mare di Nakhchivan.

 

Il ministero della Difesa dell’Azerbaigian, tuttavia, ha offerto una versione diversa degli eventi. Ha affermato che sono stati i militari di Yerevan ad aprire il fuoco sui soldati azeri, aggiungendo che nelle ultime 24 ore sono stati registrati più di 30 casi di spari.

 

Le attuali tensioni tra Armenia e Azerbaigian risalgono ai giorni del tramonto dell’Unione Sovietica, quando scoppiò una disputa sulla regione del Nagorno-Karabakh.

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Negli ultimi decenni i due Paesi sono stati impegnati in una serie di sanguinosi conflitti per l’autoproclamata repubblica. Nel 2023, Baku è riuscita a riprendere il controllo del Nagorno-Karabakh, innescando un esodo di massa degli armeni che costituivano la maggioranza etnica della zona.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’esodo degli armeni dell’Artsakh (così chiamano l’area) arriverebbe a contare 100 mila persone, in una zona dove la popolazione armena ha un numero di poco superiore. Le immagini del corridoio di Lachin intasato da vetture di famiglie che fuggono sono a dir poco impressionanti.

 

Il disastro era arrivato in un momento dove la frattura tra il governo armeno e il Cremlino, che finora aveva agito proteggendo Yerevan, è divenuta molto visibile.

 

Il primo ministro Pashinyan, cedendo alle lusinghe dell’Ovest, ha irritato giocoforza la Russia, che è l’unico Paese che si era impegnato davvero per la pace nell’area. Mosca non può aver preso bene né le esercitazioni congiunte con i militari americani (specie considerando che Yerevan aderisce al CSTO, il «Patto di Varsavia» dei Paesi ex sovietici) né l’adesione dell’Armenia alla Corte Penale Internazionale, che vuole processare Putin.

 

Bisogna aggiungere anche i rapporti dell’Occidente con Baku, considerato un fornitore energetico affidabile e ora piuttosto necessario all’Europa privata del gas russo. L’Azerbaigian è una delle ex repubbliche sovietiche ritenute più strategicamente vicine all’Occidente: si consideri inoltre le frizioni con l’Iran e quindi il ruolo nel contenimento degli Ayatollah.

 

Nella capitale armena si sono tenute nei giorni dell’esodo manifestazioni di protesta con masse inferocite che hanno gridato a Pashinyan di essere un traditore. Parimenti, si dice sia grande la delusione degli azeri nei confronti della Russia, che li avrebbe lasciati soli nonostante le promesse fatte in questi anni.

 

Da segnalare la visita concomitante del presidente turco Erdogan, aperto sostenitore di Baku e la sua guerra anti-armena con ampie forniture di armi ed altro, presentatosi subito in Nagorno-Karabakh. «Si è aperta una finestra di opportunità per risolvere la situazione nella regione», aveva detto Erdogan. «Questa opportunità non deve essere persa». Era stato accompagnato nel suo viaggio dal capo dell’Agenzia turca per l’industria della difesa, Haluk Gorgun.

 

Come riportato da Renovatio 21, il clan Erdogan farebbe affari milionari in Nagorno-Karabakh e la Turchia, come noto, è già stata accusata di genocidio per il massacro degli armeni ad inizio Novecento.

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Geopolitica

Riconsegna degli ostaggi, la folla israeliana fischia Netanyahu e inneggia a Trump

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Durante un raduno per il ritorno degli ostaggi israeliani a Tel Aviv, la folla ha interrotto l’inviato americano Steve Witkoff per fischiare il premier dello Stato Ebraico Beniamino Netanyahu e inneggiare al presidente statunitense Donald Trump.   Il pubblico più di una volta ha fermato tra urla e fischi lo Witkoff mentre cercava di dire che Netanyahu era stato con lui «nelle trincee». L’americano, con evidenza non abituato a trattare con le folle, ha chiesto che lo lasciassero parlare, ma i «boo» e i fischi soverchiavano quanto diceva, specie quando faceva il nome di Netanyahu.   Quando è stato nominato il presidente Trump la folla è esplosa con un canto roboante: «Thank You Trump».     Alle spalle dello Witkoff sono visibili la figlia di Trump Ivanka e il marito Jared Kushner.   Ivanka, per sposare l’ebreo Kushner, si è convertita al giudaismo. Il padre del Jared, Charles Kushner, immobiliarista del Nuova Jersey finito in galera per una sordida storia di ricatti infrafamigliari, figurava come uno dei primi sostenitori americani di Netanyahu, al punto che si diceva che Bibi dormisse nella cameretta del Jared quando si trovava a Nuova York.     Ora il Kushner senior è stato fatto ambasciatore a Parigi, dove ha già sollevato ulteriori controversie riguardo le sue posizioni sioniste. Jared aveva fatto pesanti commenti sul valore immobiliare di Gaza.   Come riportato da Renovatio 21, parenti e genitori degli ostaggi israeliani hanno in questi anni organizzato proteste massive in cui hanno accusato il governo dello Stato Giudaico di aver dimenticato i propri figli.  

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Geopolitica

Lukashenko: l’Ucraina potrebbe cessare di esistere

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Il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha avvertito che l’Ucraina rischia di scomparire come Stato se non si troverà una soluzione diplomatica al conflitto con la Russia e se le truppe russe continueranno la loro avanzata.

 

All’inizio di ottobre, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che le forze russe stanno progredendo su quasi tutto il fronte, liberando dall’inizio dell’anno circa 5.000 km² di territorio e assumendo il controllo di oltre 210 insediamenti precedentemente occupati dall’esercito ucraino.

 

In un’intervista di domenica con il giornalista russo Pavel Zarubin, Lukashenko ha sottolineato l’urgenza di avviare «immediatamente» negoziati seri per risolvere il conflitto. «La Russia sta avanzando sul fronte… e questo potrebbe portare alla dissoluzione dell’Ucraina come Stato», ha dichiarato.

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Lukashenko ha aggiunto che i «folli» vicini occidentali dell’Ucraina «si vedono già nell’Ucraina occidentale» e sono pronti a «strappare una parte del territorio ucraino», senza specificare quali Paesi.

 

Il leader bielorusso ha indicato il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj come il principale ostacolo alla pace, più degli Stati Uniti, della Russia o dei leader dell’Europa occidentale. «Il problema risiede soprattutto in Zelensky. Credo sia necessaria una forte pressione esterna» per costringerlo a impegnarsi nei negoziati, ha detto Lukashenko. «E sotto questa pressione, verranno prese le decisioni appropriate».

 

A fine settembre, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha dichiarato che i colloqui diretti tra Russia e Ucraina sono fermi a causa della riluttanza di Kiev a rispettare l’accordo sulla creazione di gruppi di lavoro per discutere aspetti specifici di una possibile soluzione. Nel 2025, le parti hanno tenuto tre round di negoziati a Istanbul, l’ultimo a luglio.

 

All’inizio di questa settimana, Putin ha evidenziato che Mosca e Washington condividono una visione comune sulla direzione da seguire per una soluzione pacifica del conflitto ucraino, ma ha sottolineato che rimangono ancora diverse «questioni complesse» da risolvere per raggiungere questo obiettivo.

 

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Immagine di Belta by via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

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Geopolitica

La Cina accoglie con favore la prima fase dell’accordo Israele-Hamas

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Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha dichiarato che «la Cina sostiene ogni iniziativa volta a ristabilire la pace e salvare vite umane». Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.   Le parole del ministro sono state pronunciate durante una conferenza stampa congiunta con il Consigliere Federale e ministro degli Esteri svizzero Ignazio Cassis a Bellinzona, Svizzera. Lo Wang ha definito il disastro umanitario a Gaza «una vergogna per il XXI secolo», sottolineando la necessità di «risvegliare la coscienza dell’umanità», avanzando tre proposte: primo, lavorare insieme per un cessate il fuoco autentico, globale e duraturo, per alleviare la crisi umanitaria e stabilizzare la regione; secondo, rispettare il consenso internazionale secondo cui «i palestinesi devono governare la Palestina», garantendo che ogni accordo sul futuro di Gaza rifletta la volontà del popolo palestinese; terzo, perseguire senza esitazioni la «soluzione dei due Stati».

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Nella sua conferenza stampa del 10 ottobre, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Guo Jiakun ha aggiunto che «la Cina spera in un cessate il fuoco completo e permanente a Gaza al più presto, per attenuare la crisi umanitaria e ridurre le tensioni regionali», ribadendo l’opposizione della Cina agli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati, definiti una violazione del diritto internazionale dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, invitando Israele a evitare azioni provocatorie in un momento di fragile cessate il fuoco.   Un editoriale del China Daily del 9 ottobre ha espresso un cauto ottimismo sul piano di pace mediato dal Presidente degli Stati Uniti, definendolo «un momento significativo nel conflitto di Gaza», ma sottolineando la necessità di valutarlo con «cauto ottimismo e uno sguardo critico». Pur rappresentando un possibile passo verso la fine del conflitto, il piano non risolve le cause profonde del conflitto israelo-palestinese. Per i palestinesi, il successo del piano si misurerà attraverso miglioramenti concreti nella loro vita quotidiana e il riconoscimento dei loro diritti.   L’editoriale ha evidenziato l’urgenza di «sforzi costanti per ricostruire Gaza e sostenere la sua popolazione», anziché offrire solo un sollievo temporaneo, e ha sottolineato che la pace richiede di affrontare le cause profonde, incluso il riconoscimento dello Stato palestinese.   Il China Daily ha concluso con una nota di prudente ottimismo, osservando che «è evidente che il piano di pace non funzionerà senza che gli Stati Uniti ne garantiscano il rispetto da parte di Israele», ricordando che Washington ha bloccato più volte, negli ultimi due anni, risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiedevano la cessazione delle ostilità, la riapertura dei corridoi umanitari e la ripresa dei negoziati. La riluttanza di Israele a ritirarsi da Gaza solleva dubbi sulla fattibilità della seconda fase del piano, anche in caso di completamento della prima.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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