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Geopolitica

Birmania, la milizia etnica Karen chiede l’espulsione dei centri per le truffe online

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Oltre agli sforzi di Cina e Thailandia contro le attività illecite che proliferano in Myanmar, ora anche la Democratic Karen Buddhist Army ha chiesto ai cinesi coinvolti in attività criminali di lasciare il territorio entro la fine del mese. Migliaia di stranieri dall’Africa e dall’Asia meridionale vengono trafficati nel Sud-Est asiatico per operare in condizioni di moderna schiavitù.

 

Una milizia di etnia karen attiva nelle aree di confine tra Myanmar e Thailandia ha lanciato un ultimatum ai cittadini cinesi coinvolti in attività criminali nel territorio sotto il suo controllo, ordinando loro di andarsene entro il 28 febbraio.

 

Nel proprio comunicato, la Democratic Karen Buddhist Army (DKBA) ha avvertito che chi non si adeguerà dovrà affrontare conseguenze secondo la legge locale.

 

L’ordine di espulsione riguarda in particolare i gestori di case da gioco, ristoranti e qualsiasi attività legata al commercio o alle transazioni illegali nella città di Phayathonezu, nello stato di Kayin (o Karen). La DKBA ha inoltre annunciato un’intensificazione dei controlli nelle aree sotto il suo dominio per prevenire ulteriori ingressi di cittadini cinesi, spesso essi stessi vittime di sfruttamento da parte dei loro connazionali.

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L’ultimatum arriva dopo un primo comunicato diffuso ieri, in cui la milizia rispondeva alle crescenti preoccupazioni della popolazione locale. Negli ultimi giorni, infatti, diverse aree della regione sono rimaste senza energia elettrica, carburante e connessione internet a causa del taglio delle forniture da parte della Thailandia, che ha colpito non solo Phayathonezu, ma anche altre quattro località di confine, note come «città del vizio» (sin city), epicentri di attività criminali online.

 

Si tratta di aree tristemente famose per la presenza di gang, in gran parte di origine cinese, che sfruttano migliaia di individui, spesso reclutati con l’inganno o con la forza, per costringerli a lavorare in condizioni di schiavitù, subendo minacce e torture.

 

Un caso emblematico è quello di un cittadino kenyota, costretto a operare nel traffico di criptovalute. Dopo essere stato sottoposto a torture e minacce, è riuscito a sfuggire ai suoi carcerieri e, a piedi nudi, ha percorso 10 chilometri per attraversare il confine e rifugiarsi in Thailandia. Qui ha denunciato la presenza di altri 23 suoi connazionali intrappolati nella stessa struttura, insieme a un migliaio di persone provenienti da Bangladesh, Etiopia, Pakistan e Sri Lanka.

 

Di fronte a questa emergenza, di recente i governi di Pechino e Bangkok hanno intensificato la pressione sul regime militare del Myanmar e sulle milizie etniche, chiedendo azioni concrete per liberare le aree di confine da una piaga che alimenta non solo la criminalità informatica, ma anche il contrabbando e il traffico di droga, spesso gestiti dalle stesse organizzazioni che operano nella tratta di esseri umani.

 

Negli ultimi mesi, migliaia di stranieri provenienti da diversi Paesi sono stati individuati o liberati da queste reti di sfruttamento, e in parte rimpatriati. Tuttavia, la portata del fenomeno e l’assenza di un’efficace azione di contrasto da parte del regime birmano, impegnato nella guerra civile, continuano a rendere la situazione estremamente critica e complessa.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Geopolitica

Melania Trump rivela i colloqui privati ​​con Putin

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La first lady Melania Trump ha rivelato di essere in contatto diretto con il presidente russo Vladimir Putin da mesi, nell’ambito di un’iniziativa diplomatica riservata per riunire i bambini ucraini sfollati a causa del conflitto con le loro famiglie.   Dall’intensificarsi del conflitto in Ucraina nel 2022, Mosca ha evacuato i bambini dalle zone di combattimento, trasferendoli in luoghi sicuri in attesa di ricongiungerli con i familiari. Kiev, tuttavia, ha accusato la Russia di «rapimenti».   Parlando venerdì, Melania Trump ha dichiarato che il dialogo è iniziato dopo aver inviato una lettera a Putin lo scorso agosto. «Mi ha risposto per iscritto, esprimendo la sua disponibilità a collaborare direttamente con me», ha detto. Da allora, i due hanno mantenuto un «canale di comunicazione aperto» incentrato sul benessere dei bambini.   Secondo la first lady, negli ultimi tre mesi si sono tenuti diversi incontri e chiamate confidenziali, «tutti condotti in buona fede». I negoziati hanno permesso la riunificazione di otto bambini ucraini con le loro famiglie nelle ultime 24 ore, ha aggiunto.   «Ogni bambino ha vissuto in condizioni di estrema sofferenza» a causa del conflitto, ha sottolineato. Tre di loro erano stati separati dai genitori a causa dei combattimenti in prima linea e trasferiti in Russia, mentre altri cinque erano stati separati dai familiari oltre confine. Tra questi, ha citato «una bambina che è stata finalmente ricongiunta dalla Russia all’Ucraina».  

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Trump ha dichiarato che il suo rappresentante ha lavorato direttamente con il team di Putin per favorire le riunificazioni, e che la Russia ha fornito documenti, incluse biografie, foto e resoconti sull’assistenza fornita ai bambini. «Il governo degli Stati Uniti ha verificato l’accuratezza dei dati contenuti in questi documenti», ha aggiunto.   La sua missione, ha spiegato, è «promuovere uno scambio trasparente e aperto di informazioni sulla salute» e «agevolare una comunicazione regolare tra i bambini e le loro famiglie fino al loro ritorno a casa».   «Si tratta di un impegno costante», ha concluso. «Sono già in corso piani per riunire altri bambini nel prossimo futuro. Spero che la pace arrivi presto. Possiamo iniziare dai nostri figli».   La commissaria russa per i diritti dell’infanzia, Maria Lvova-Belova, ha espresso gratitudine a Melania Trump per il suo impegno umanitario.   «Desidero ringraziare la First Lady degli Stati Uniti per la sua attenzione e cura verso le famiglie dei bambini colpiti dal conflitto militare», ha dichiarato Lvova-Belova in un videomessaggio diffuso venerdì.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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Hamas nons arà presente alla firma dell’accordo di pace di Trump

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I rappresentanti di Hamas non saranno presenti alla cerimonia di firma dell’accordo di pace mediato dagli Stati Uniti in Egitto, prevista per lunedì, ha annunciato il portavoce del gruppo, Husam Badran, esprimendo perplessità su alcuni aspetti del piano proposto dal presidente statunitense Donald Trump.

 

All’inizio della settimana, sia Israele che Hamas hanno dichiarato la fine del conflitto iniziato il 7 ottobre 2023. La successiva offensiva militare israeliana ha provocato oltre 67.000 vittime palestinesi a Gaza, secondo le autorità locali, lasciando l’enclave in rovina e in una grave crisi umanitaria, tanto da spingere le Nazioni Unite ad accusare Israele di genocidio.

 

Domenica, la testata Al-Arabiya ha riportato le parole di Badran, che ha dichiarato: «Hamas non parteciperà alla firma. Saranno presenti solo mediatori e funzionari americani e israeliani». Parallelamente, Shosh Bedrosian, portavoce del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha riferito all’AFP che «nessun funzionario israeliano sarà presente» al vertice.

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L’agenzia stampa AFP ha inoltre citato Badran, che ha definito «assurda e priva di senso» l’idea di espellere i palestinesi, inclusi i membri di Hamas, dalla loro terra. Il rappresentante ha sottolineato che la seconda fase del piano di pace presenta «numerose complessità e difficoltà» nella sua attuazione.

 

Il precedente cessate il fuoco, interrotto unilateralmente da Israele a marzo, è stato messo in discussione da Netanyahu, che ha recentemente ventilato la possibilità di una nuova offensiva a Gaza se Hamas non si disarmerà. Alcuni membri della coalizione di governo israeliana si oppongono già a qualsiasi concessione ad Hamas.

 

L’accordo presentato da Trump a fine settembre prevede il rilascio dei 48 ostaggi israeliani, vivi o morti, ancora detenuti da Hamas a Gaza. In cambio, Israele dovrebbe liberare 250 palestinesi condannati all’ergastolo e 1.700 cittadini di Gaza detenuti dal 2023.

 

Il piano include anche il ritiro delle truppe delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) da alcune aree di Gaza, con un successivo ritiro completo. Venerdì, l’esercito israeliano ha annunciato l’inizio del ritiro delle sue unità dalle posizioni occupate.

 

Il più ampio piano di cessate il fuoco, articolato in 20 punti, prevede la creazione di un’amministrazione internazionale transitoria a Gaza. Hamas dovrebbe disarmarsi ed essere esclusa dalla gestione del territorio, che diventerebbe una «zona deradicalizzata e libera dal terrorismo».

 

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Geopolitica

La Colombia accusa gli Stati Uniti di aver iniziato una «guerra»

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Il presidente colombiano Gustavo Petro ha accusato gli Stati Uniti di cercare di provocare una guerra nei Caraibi usando come pretesto una campagna antidroga, sottolineando che cittadini colombiani sono stati uccisi nei recenti attacchi al largo delle coste del Venezuela.   In un post sui social media di mercoledì, Petro ha sostenuto che la campagna non ha come obiettivo il narcotraffico, ma piuttosto il controllo delle risorse della regione. La Casa Bianca ha definito l’accusa «infondata», secondo Reuters.   Gli Stati Uniti hanno effettuato attacchi aerei contro presunte imbarcazioni coinvolte nel traffico di droga vicino al Venezuela, descrivendoli come un tentativo di contrastare il traffico di stupefacenti nei Caraibi. Washington accusa da tempo il presidente venezuelano Nicolas Maduro di legami con i cartelli della droga. Maduro ha smentito le accuse, sostenendo che gli attacchi siano parte di un piano per destituirlo.   Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno distrutto almeno quattro imbarcazioni che, a loro dire, trasportavano stupefacenti al largo delle coste del Venezuela, causando la morte di oltre 20 persone. Come riportato da Renovatio 21, Trump ha definito gli attacchi alle barche della droga come un «atto di gentilezza».

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«Le prove dimostrano che l’ultima imbarcazione bombardata era colombiana, con cittadini colombiani a bordo», ha scritto Petro.   Il presidente colombiano ha ribadito che la campagna statunitense non riguarda la lotta alla droga, ma il controllo delle risorse naturali. «Non c’è una guerra contro il contrabbando; c’è una guerra per il petrolio», ha dichiarato, definendo gli attacchi «un’aggressione contro tutta l’America Latina e i Caraibi».   Per anni, la Colombia è stata considerata il principale alleato di Washington in Sud America. Attraverso il Plan Colombia, un’iniziativa di aiuti multimiliardaria avviata dagli Stati Uniti nel 2000, i governi colombiani successivi hanno concesso alle forze armate statunitensi l’accesso alle basi locali e hanno appoggiato gli sforzi guidati dagli Stati Uniti per isolare il Venezuela. Questa politica è cambiata con l’elezione di Petro nel 2022, che ha lavorato per ristabilire le relazioni diplomatiche con Caracas e ha promosso una politica estera più indipendente e una maggiore cooperazione regionale.   Come riportato da Renovatio 21, la scorsa estate il Petro aveva dichiarato che la Colombia deve interrompere i legami con la NATO perché i leader del blocco atlantico sostengono il genocidio dei palestinesi. Bogotà la settimana scorsa ha espulso tutti i diplomatici israeliani, dopo aver rotto i rapporti con lo Stato Ebraico un anno fa e chiesto alla Corte Penale Internazionale di emettere un mandato di arresto per Netanyahu.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia  
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