Economia
Autostrade dell’Ungheria senza diesel. Un monito per tutti

Un lettore di Renovatio 21 ci ha raccontato la sua esperienza estiva sulle autostrade ungheresi, dove, a causa della presente crisi energetica e della follia delle sanzioni UE (di cui l’Ungheria fa parte), il carburante ha cominciato a scarseggiare veramente.
«Stavamo andando in Romania a trovare la famiglia di mia moglie, come ogni anno. La strada che passa per l’Ungheria è la più veloce – nonostante siano solo pochi chilometri in più rispetto alla tratta che passa per la Serbia» di dice L., pater familias lombardo-veneto.
«Superata la capitale ungherese, ho visto che ero arrivato quasi in riserva. Quindi, mi sono fermato alla prima area di servizio disponibile sull’autostrada. Qui ho scoperto che le pompe del Diesel erano inattive. Dicevano che il gasolio era “esaurito”».
Così il nostro lettore ha deciso, come si fa sempre, di tirare dritto e fermarsi alla successiva. Dove però ha avuto una brutta sorpresa.
«Stessa cosa della precedente, pompe disabilitate, diesel finito».
«A quel punto ho cominciato ad aver paura di rimanere a piedi. Così ho deciso di cercare con il cellulare il primo distributore disponibile fuori dall’autostrada».
Ormai a circa 100 chilometri dal confine romeno, ma con solo 90 di autonomia, il nostro, a mezzanotte si è inoltrato con la sua famiglia nell’Ungheria rurale.
«Ho trovato una pompa di benzina presso un centro commerciale. Anche lì, coni davanti alle pompe del diesel, bancomat disabilitati. Più tardi mi avrebbero spiegato che è perché c’era un “razionamento”».
«Più avanti, in piena campagna, ho trovato un distributore con un tizio che, a mezzanotte, stava seduto a fianco della pompa. Mi ha detto che non era possibile fare benzina con il bancomat, ma che potevo fare lì, al massimo, 20 litri di gasolio».
L. così è corso a prelevare al bancomat del paesino più vicino per pagare cash una dose di diesel «razionato» che gli consentisse di arrivare in Romania, «dove invece non abbiamo trovato problemi»
«Il tizio mi ha detto che non hanno più diesel perché il governo la fornisce contata, quindi hanno bloccato i bancomat, mi diceva, per evitare che le persone facessero benzina fuori dall’autostrada riempiendosi così il serbatoio con un paio di fermate».
In pratica questo è già un quadro allucinante di razionamento energetico – la fine controllata della distribuzione di combustibili fossili.
Ciò che temiamo per il gas e il riscaldamento di quest’inverno, lo possiamo vedere in anteprima in Ungheria 0 un Paese che è stato colpito dalle cascata di sanzioni e che ha reagito a sua volta, per esempio bloccando l’esportazione del suo grano anche in Italia, Paese che sarebbe dipendente dal grano tenero magiaro, si crede, al 25%, mentre la percentuale di dipendenza riguardo al mais sarebbe addirittura del 32%.
Orban lo ha ripetuto: le sanzioni «uccideranno l’economia europea», dirigendola verso una «economia di guerra».
A marzo era emerso che il gruppo petrolifero OMV aveva deciso di limitare le vendite delle sue benzine nelle stazioni di servizio ungheresi.
Oggi si è avuta notizia del fatto che Budapest sta aumentando le forniture di gas dalla Russia grazie ad un accordo con la filiale inglese di Gazprom che porterà alla popolazione magiara 5,8 metri cubi al giorno in più per un costo di 16 milioni di euro.
Come ha fatto il nostro lettore a tornare a casa?
«Al ritorno ho fatto benzina in Romania, prima del confine, per attraversare indenne l’Ungheria» ci dice L. «Mi sono fermato ad un distributore appena arrivato in Ungheria, solo per vedere se c’era ancora il problema e, in caso, spendere i fiorini che mi erano rimasti: lì non ho avuto problemi, non so se nel frattempo è cambiato qualcosa».
Forse, ma niente può cambiare del tutto fino a che non sarà terminata la follia suicida dei governi occidentali indotti alla russofobia più stupida e rabbiosa.
Economia
Stablecoin e derivati cripto minacciano l’equilibrio economico e funzionario

Il 6 ottobre, l’Institute for New Economic Thinking, un think tank no-profit con sede a New York fondato nel 2009 dopo la crisi finanziaria del 2007-2008, ha pubblicato un lungo articolo accademico di Arthur E. Wilmarth, professore emerito di diritto alla George Washington University e autore del libro del 2020 Taming the Megabanks: Why We Need a New Glass-Steagall Act.
L’articolo, che merita una lettura completa, conferma molte delle analisi sulla pericolosità delle stablecoin e sul GENIUS Act (Guiding and Establishing National Innovation for U.S. Stablecoins Act), una legge federale degli Stati Uniti che mira a creare un quadro normativo completo per le stablecoin.
«Il GENIUS Act autorizza le società non bancarie a emettere stablecoin non assicurate al pubblico, senza le garanzie essenziali fornite dall’assicurazione federale sui depositi e dalle normative prudenziali che disciplinano le banche assicurate dalla FDIC. Inoltre, il GENIUS Act conferisce alle autorità di regolamentazione federali e statali ampia autorità per consentire agli emittenti di stablecoin non bancarie di vendere al pubblico derivati crittografici ad alta leva finanziaria e altri investimenti speculativi in criptovalute» scrive lo Wilmarth.
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«Le stablecoin sono utilizzate principalmente come strumenti di pagamento per speculare su criptovalute con valori fluttuanti, con circa il 90% dei pagamenti in stablecoin collegati a transazioni in criptovalute. Le stablecoin sono anche ampiamente utilizzate per condurre transazioni illecite. Nel 2023, le stablecoin sono state utilizzate come strumenti di pagamento per il 60% delle transazioni illegali in criptovaluta (tra cui truffe, ransomware, evasione dei controlli sui capitali, riciclaggio di denaro ed evasione fiscale) e per l’80% di tutte le transazioni in criptovaluta condotte da regimi sanzionati e gruppi terroristici».
«Più di 20 stablecoin sono crollate tra il 2016 e il 2022» dichiaro lo studioso nell’articolo.
«Quando un gran numero di investitori si trova improvvisamente costretto a liquidare le proprie stablecoin, deve fare affidamento sulla capacità degli emittenti e degli exchange di stablecoin di riscattare rapidamente le stablecoin al valore “ancorato” di 1 dollaro per moneta. Il GENIUS Act consente agli emittenti di stablecoin non bancari di detenere tutte o la maggior parte delle loro riserve in strumenti finanziari non assicurati, come depositi bancari non assicurati, fondi del mercato monetario (MMF) e accordi di riacquisto (repos).
«Il GENIUS Act consente inoltre agli emittenti di stablecoin non bancari di vendere al pubblico una gamma potenzialmente illimitata di derivati crypto e altri investimenti in criptovalute approvati dalle autorità di regolamentazione federali e statali come “accessori” alle attività dei fornitori di servizi di criptovalute. I derivati crittografici, inclusi futures, opzioni e swap, rappresentano circa tre quarti di tutta l’attività di trading di criptovalute e la maggior parte delle negoziazioni di derivati crittografici avviene su borse estere non regolamentate. I contratti futures crittografici perpetui consentono agli investitori di effettuare scommesse a lungo termine con elevata leva finanziaria sui movimenti dei prezzi delle criptovalute senza possedere le criptovalute sottostanti».
«L’esplosione di derivati crittografici ad alto rischio e di altri investimenti crittografici rischiosi è gonfiare una bolla crypto “Subprime 2.0” generando molteplici scommesse ad alto rischio su cripto-asset estremamente volatili, privi di asset tangibili sottostanti o flussi di cassa indipendenti» avverte lo Wilmarth. «Ciò causerà quasi certamente un crollo simile, con potenziali effetti devastanti sul nostro sistema finanziario e sulla nostra economia. Le agenzie federali saranno molto messe alle strette per contenere un simile crollo con salvataggi paragonabili a quelli del 2008-09 e del 2020-21».
«Dato l’enorme debito del governo federale, l’attuazione di tali salvataggi innescherà probabilmente una crisi nel mercato dei titoli del Tesoro e un significativo deprezzamento del dollaro statunitense» conclude lo studioso.
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Economia
Importatori indiani pagano petrolio russo in yuan

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Cina
La Cina impone controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare

Il ministero del Commercio cinese, ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali. Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.
Questi controlli riguardano «l’estrazione, la fusione e la separazione delle terre rare, la produzione di materiali magnetici e il riciclaggio delle risorse secondarie delle terre rare». Le aziende potranno richiedere esenzioni per casi specifici. In assenza di esenzioni, il ministero della Repubblica Popolare obbligherà gli esportatori a ottenere licenze per prodotti a duplice uso non inclusi in queste categorie, qualora sappiano che i loro prodotti saranno utilizzati in attività connesse alle categorie elencate.
Il precedente tentativo del presidente statunitense Donald Trump di avviare una guerra tariffaria con la Cina si è rivelato un fallimento, principalmente a causa del dominio preponderante della Cina nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali delle terre rare. Delle 390.000 tonnellate di ossidi di terre rare estratti nel 2024, la Cina ne ha prodotte circa 270.000, rispetto alle 45.000 tonnellate degli Stati Uniti, e detiene circa l’85% della capacità di raffinazione globale.
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La decisione odierna della Cina avrà certamente un impatto a Washington, soprattutto in vista dell’incontro tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping previsto per fine mese. Oggi si è registrata una corsa all’acquisto delle azioni di MP Materials, il principale concorrente statunitense della Cina nella produzione di terre rare.
All’inizio dell’anno, il dipartimento della Difesa statunitense aveva investito in MP Materials, dopo che Trump aveva evidenziato il divario tra Stati Uniti e Cina. Tuttavia, tale investimento è stato considerato insufficiente e tardivo.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.
Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.
Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.
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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
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