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Predazione degli organi

Aumentano le opposizioni all’espianto degli organi. Gli italiani stanno comprendendo la realtà della predazione?

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La legge italiana ha stabilito il principio del consenso o dissenso esplicito, sulla base di cui ad ogni persona maggiorenne viene data la possibilità di dichiarare validamente la propria volontà in merito alla cosidetta donazione degli organi.

 

La mens del legislatore non era certo quella di rispettare sic et simpliciter la volontà dei cittadini, figuriamoci, bensì quella di ridurre la percentuale delle opposizioni ai trapianti. Infatti, in presenza di una esplicita dichiarazione espressa in vita da parte del «defunto» gli aventi diritto non possono opporsi al prelievo.

 

In realtà, la legge 91/99 agli articoli 4 e 5 ha stabilito il principio del silenzio-assenso in base a cui la mancata dichiarazione di volontà viene considerata come consenso alla donazione. Tuttavia, tale enunciato non può essere applicato, in quanto, come previsto dalla legge stessa, non è stata ancora costituita un’anagrafe informatizzata che consenta la notifica ad ogni cittadino, da parte di un Pubblico Ufficiale, di un modulo per la dichiarazione di volontà.

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Pertanto, il principale ostacolo da superare al fine di ottenere un numero sempre crescente di organi freschi è la percentuale delle opposizioni da parte dei familiari dei comatosi, che tende a rimanere stabile nel tempo intorno al 30%. La speranza del legislatore era di raccogliere dai cittadini un elevato numero di consensi che consentisse di abbattere in maniera significativa la suddetta soglia, bypassando le dichiarazioni di volontà dei soggetti terzi. 

 

Tale stratagemma però non ha funzionato e si è trasformato in un clamoroso boomerang: nei primi mesi del 2025 ben il 40% delle persone che hanno rinnovato la carta d’identità si è esplicitamente opposto al trapianto degli organi (la percentuale più alta registrata negli ultimi dieci anni), mentre nel 2024 tale percentuale si era attestata intorno al 37%. Complessivamente, nel sistema informativo dei trapianti sono stati depositati 22,3 milioni di dichiarazioni: 15,5 milioni di consensi e 6,8 milioni di opposizioni.

 

Il centro nazionale trapianti, che coordina la distribuzione degli organi in tutti gli ospedali italiani, giudica questo andamento molto preoccupante. 

 

Vista la malaparata, già da qualche anno la macchina della predazione degli organi ha tirato fuori dal cilindro magico nuove tecniche di accertamento della morte finalizzate ad allargare la platea dei potenziali donatori, come la donazione di organi a cuore fermo (DCD).Inoltre, comincia a filtrare attraverso i media l’ipotesi che la cosiddetta «donazione degli organi» possa un giorno diventare un obbligo.

 

 

 

C’è da tenere presente che in questi ultimi anni è stata organizzata dalle istituzioni una massiccia campagna di (dis)informazione mirata a convincere la popolazione a cedere i propri organi. Ovviamente, trattasi di pura propaganda che si guarda bene dall’informare correttamente il cittadino, tendendo essenzialmente a far leva sull’emotività (la cultura del dono) e sul senso di colpa.

 

Sembra però che una consistente parte degli italiani non sia caduta nella trappola psicologica e abbia declinato l’invito ad acconsentire di essere trattata come carne da macello.

 

Del resto, quello della morte cerebrale può apparire un argomento complesso, da addetti ai lavori, quando invece la sua apparente difficoltà deriva unicamente dal fatto che si tratta di un costrutto artificiale, studiato a tavolino, il cui unico fine è consentire l’eliminazione del comatoso e la predazione degli organi.

 

In effetti, chiunque è in grado di distinguere un cadavere da una persona ancora in vita, anche se non ha mai sfogliato una sola pagina di un libro di medicina o di anatomia. L’inganno della morte cerebrale sta proprio in questo: trasformare la vita e la morte da eventi naturali ed osservabili a eventi artificiali che possono essere accertati solamente tramite l’ausilio di complessi macchinari e da una commissione medica istituita ad hoc

 

Ad ogni modo, il sensibile aumento delle opposizioni ai trapianti lascia ben sperare: il buon senso delle persone tende ancora a prevalere sulla menzogna e sull’artificio, almeno fintantoché le sarà concesso di esprimere la loro volontà.

 

Abbiamo già avuto modo di sperimentare infatti come i valori liberal democratici su cui si fondano gli Stati moderni possono diventare elementi di intralcio per le élite dominanti, soprattutto quando i loro piani non coincidono esattamente con quelli della popolazione generale.

 

Alfredo De Matteo

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Predazione degli organi

Se la cardiologa parla della possibilità di un «obbligo» per la «donazione» degli organi

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Checché ne dicano i fautori della fantomatica e tanto sbandierata libertà di scelta (pensiamo allo slogan femminista-abortista «l’utero è mio e lo gestisco io» e a quello dell’associazione per l’eutanasia legale «Per essere tutti liberi, fino alla fine», solo per fare alcuni esempi), i nostri corpi e le nostre esistenze sono di fatto proprietà dello Stato già da molti decenni.   I finti ribelli costituiscono, volenti o nolenti, la manovalanza che serve al sistema per farci credere di avere la possibilità di scegliere. In effetti, grazie alle loro «battaglie» pilotate dall’alto, l’individuo ha conquistato il «diritto» di uccidere l’innocente con l’aborto e la fecondazione artificiale, di togliere la vita a se stesso ad altri con le varie pratiche eutanasiche.   Sappiamo che abbiamo ottenuto anche la possibilità di farci squartare vivi e di permettere che lo si faccia ad un nostro congiunto tramite la predazione degli organi.    In altri termini, siamo liberi di scegliere come farci ammazzare ma non certo di vivere e soprattutto di vivere da figli di Dio. Ovviamente, il fine dichiarato è sempre buono: i nostri aguzzini possiedono la maschera degli inguaribili filantropi che vogliono solo ed unicamente il nostro bene e, udite udite, la nostra libertà. 

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Tale macabra messinscena è stata particolarmente evidente nel 2020 con l’imposizione del siero genico sperimentale, prodotto con cellule di bambini uccisi nel grembo materno, praticamente a quasi tutta la popolazione mondiale per salvarla da un’epidemia probabilmente programmata e pianificata.    Tuttavia, conserviamo ancora un certo margine di capacità decisionale che da molto fastidio a chi vuole e brama il nostro totale asservimento. Proprio per tale motivo assistiamo, ogni giorno di più, al tentativo di toglierci anche quel poco margine che ci rimane di decidere sulle nostre vite: la cardiologa Maria Frigerio, ex direttrice del reparto di cardiologia dell’ospedale Niguarda di Milano dedicato ai pazienti con insufficienza cardiaca avanzata e ai trapiantati di cuore, in un’intervista pubblicata dal Corriere della sera preconizza l’obbligatorietà dei trapianti.   Abbiamo già avuto modo di relazionare i nostri lettori sul fatto che una considerevole percentuale della popolazione italiana continua ad opporre un netto rifiuto alla possibilità di essere sottoposto all’espianto degli organi, malgrado la pressante propaganda massmediatica a favore della cosiddetta donazione.   C’è anche da tenere presente che la nostra possibilità di scelta è già decisamente coartata visto che l’alternativa alla predazione è il distacco dai sostegni vitali e l’abbandono delle cure.   Eppure, secondo la cardiologa, ormai in pensione, tutto ciò non è sufficiente: «la percentuale di opposizioni alle donazioni, nel nostro paese, è fissa al trenta percento da trent’anni. Al netto di un lieve miglioramento registrato nel 2024 [dovuto esclusivamente all’utilizzo di nuove procedure per l’espianto degli organi, ndr] vuol dire che ogni 7 trapianti fatti avremmo potuto farne 10, una differenza enorme. Il rischio è che si trapianti il paziente solo quando è in fin di vita. È devastante anche per noi medici osservare questi pazienti deteriorarsi e non poter fare niente. Per questo la donazione potrebbe diventare un obbligo».   La Frigerio parla poi dei «cuori in transito», che sono «un pezzo di noi che continua a vivere e che lasciamo lì per qualcun altro, un po’ come si lascia libera una camera d’albergo». Il cuore ci serve per vivere, continua la cardiologa, «ma non pensiamolo in termini di proprietà (sic) anche se nella nostra cultura è un organo molto personale».   È evidente come la dottoressa giochi di sponda, attraverso un’accurata scelta di termini e metafore che tendono a veicolare un’immagine romantica e suggestiva del nostro corpo, che puà aiuarci a digerire meglio ciò che diventeremo (almeno nei progetti di chi tira i fili delle nostre esistenze) e che in parte già siamo, ossia dei meri contenitori di organi prelevabili a piacimento.    L’intervista si presenta comunque ricca di spunti che ci consentono anche di focalizzare la nostra attenzione su una questione molto importante relativa ai trapianti che non viene quasi mai presa in considerazione: le reali aspettative di vita, nonché la qualità della stessa delle persone che hanno ricevuto un organo.    La cardiologa milanese accenna al suddetto problema in maniera alquanto criptica e contraddittoria: «un paziente deve curarsi per vivere, non vivere per curarsi, anche se per sopravvivere a un trapianto di cuore è meglio essere ossessivi che trascurati».   In realtà, sappiamo che la vita di un trapiantato è, nella stragrande maggioranza dei casi, un vero e proprio calvario, fatto di frequenti visite ed esami, di medicinali presi per sempre nonché segnata dall’elevato rischio di prendersi una lunga sfilza di malattie, non di rado mortali.   Il fatto che l’esistenza delle persone che hanno ricevuto un organo sia tutt’altro che una «passeggiata di salute» tende a venir fuori molto raramente e in alcuni casi anche in maniera non del tutto voluta: è molto recente la notizia della morte della giovane Michelle Trachtenberg, divenuta famosa per aver interpretato ruoli da protagonista in alcune serie tv di successo come Gossip Girl e Buffy l’ammazzavampiri.   La sfortunata attrice, trentanovenne, è deceduta in maniera improvvisa all’interno della sua abitazione. Probabilmente, nel tentativo di smontare l’ipotesi del malore improvviso dovuto ai motivi che tutti conoscono ma che è vietato riportare, i media si sono affrettati a ragguagliare il pubblico circa le possibili cause della morte della ragazza, ossia i pesanti problemi di salute insorti a seguito del trapianto di fegato a cui è stata sottoposta di recente.   Dunque l’ipotesi più plausibile è legata al rigetto dell’organo. Sembrerebbe infatti che gli ultimi anni di vita dell’attrice siano stati molto difficili, come riferisce una sua cara amica: «Mi spezza il cuore. Le volevo bene. Negli ultimi anni ha lottato. Vorrei averla potuto aiutare».   Ma quali sono i problemi a cui vanno incontro i trapiantati?   L’elenco delle complicanze post trapianto è piuttosto lungo e include:  
  • rigetto
  • infezioni varie e spesso insolite
  • tumori
  • aterosclerosi
  • problemi renali
  • gotta
  • malattia del trapianto contro l’ospite
  • osteoporosi 

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L’uso continuo e a vita dei farmaci immunosoppressori, necessari a sopprimere la risposta del sistema immunitario verso l’organo trapiantato, riduce la capacità del sistema immunitario stesso di combattere le infezioni e di distruggere le cellule tumorali. Sussiste dunque un rischio molto elevato di contrarre alcuni tipi di cancro, in particolare i tumori della pelle, come il carcinoma a cellule squamose (SCC), il carcinoma basocellulare (BCC) e il melanoma-carcinoma a cellule di Merkel (MCC), tutti potenzialmente letali.   Per rendere l’idea dell’incidenza di tali patologie nei trapiantati basti dire che il rischio di contrarre l’SCC è 100 volte più alto rispetto alla popolazione generale, quello di sviluppare il BCC è di sei volte mentre è di 24 volte per l’MCC. Dal momento che il cancro della pelle non può essere prevenuto nei soggetti trapiantati, quest’ultimi devono sottoporsi a screening regolari, ancora più frequenti nelle persone con una storia personale di tumori della pelle.   Attraverso una ricerca scientifica è stato scoperto inoltre che i trapiantati hanno un rischio particolarmente elevato di sviluppare melanomi che hanno già raggiunto uno stadio avanzato al momento della diagnosi.    Sempre a causa dei farmaci immunosoppressori le persone che hanno ricevuto un trapianto di fegato, cuore o polmone hanno il 64 %in più di probabilità, rispetto alla popolazione generale, di sviluppare patologie cardiovascolari. Un altro aspetto che rende più probabile l’incidenza di tali malattie è l’obesità: ben il 50%dei trapiantati subisce un aumento di peso che oscilla tra il 10% e il 35% del loro peso corporeo; un problema che riguarda anche i soggetti senza una storia pregressa di accumulo patologico di tessuto adiposo.   L’elenco delle patologie e del calvario sanitario che subiscono i pazienti trapiantati è decisamente lungo e meriterebbe un approfondimento che esula dalle nostre competenze. In ogni caso, è lecito supporre che le persone riceventi un organo possano diventare dei malati cronici con una bassa qualità e un’altrettanto bassa aspettativa di vita.   Non è poi così infrequente che i trapiantati diventino a loro volta soggetti da espiantare o da eutanatizzare, secondo una spirale di malattia, sofferenza e morte voluta e pianificata a tavolino. Nel 1993, il fratello, racconta la cardiologa, fu colto da un ictus a 41 anni e il suo cuore trapiantato su un paziente che visse solamente una settimana. Lo stesso cuore venne impiantato in un terzo soggetto che visse per vent’anni.   «Aveva ragione la moglie», suggerisce la cardiologa, «non era più il cuore di mio fratello ma quello di suo marito (…) C’è sempre un rischio nel trapianto di un organo che ha già subito una manipolazione. Non è il pezzo di un’automobile, insomma», chiosa la specialista.    E se è la scienza dei trapianti ad affermare che non siamo pezzi di ricambio possiamo certamente dormire sonni tranquilli…   Alfredo De Matteo    

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Predazione degli organi

DCD, la nuova frontiera della predazione degli organi

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L’introduzione del criterio della morte cerebrale non fu il risultato di una riflessione teorica o filosofica sulla morte, piuttosto della volontà di risolvere due ordini di esigenze pratiche: contenere il problema dei pazienti bisognosi di cure mediche adeguate (in concomitanza della scoperta delle moderne tecniche di rianimazione) e legittimare l’espianto degli organi vitali.

 

Ad affermarlo furono gli stessi membri del Comitato di Harvard i quali, ormai più di cinquant’anni fa, vennero chiamati ad elaborare il concetto di morte con criteri neurologici: «il peso è più grande per i pazienti che soffrono della perdita permanente dell’intelletto, per le loro famiglie, per gli ospedali, e per quanti hanno bisogno di posti letto già occupati da altri pazienti comatosi (…) Criteri obsoleti per la definizione di morte possono portare a controversie nell’ottenere organi per il trapianto».

 

Gli evidenti riferimenti erano al problema di togliere i supporti vitali ai malati e alla necessità di legalizzare la pratica dei trapianti. Per risolvere tali impedimenti in un colpo solo era sufficiente dichiarare morte le persone in stato di incoscienza: il nuovo criterio di accertamento della morte venne così ratificato e finì in breve tempo per rivoluzionare radicalmente la deontologia e la prassi medica. 

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Pertanto, sembra evidente che il legame tra la predazione degli organi e la deriva eutanasica non è accidentale bensì strutturale. Ai giorni nostri, l’intima connessione tra queste due pratiche si manifesta in maniera particolarmente evidente nella nuova frontiera dei trapianti, la cosiddetta donazione a cuore fermo (Donation after Cardiac Death).

 

Schematicamente, esistono due tipi di donatori a cuore fermo: controllati e non controllati. La DCD non controllata concerne tutti i pazienti che hanno subito un improvviso arresto cardiaco e non hanno risposto (almeno in teoria) a tutti i tentativi di rianimazione cardiopolmonare.

 

In questi casi, per il prelievo degli organi vengono utilizzate procedure per ridurre la sofferenza ischemica dei tessuti, come i sistemi di perfusione continua meccanica e l’utilizzo di ossigenatori a membrana extracorporea. Tali sistemi vengono utilizzati già all’arrivo del paziente in ospedale per supportarne il cuore in vista di una sua possibile ripresa

 

Qualora il malcapitato non si riprenda si procede a verificare la volontà donativa dello stesso e in caso positivo al prelievo dei suoi organi. Trattandosi di un «donatore» non controllato il cuore non può essere prelevato, in quanto la sua funzionalità è compromessa da una patologia che ne ha causato l’arresto (in compenso possono essere prelevati tutti gli altri organi).

 

Diverso è il caso della DCD controllata in cui l’arresto cardiaco è atteso, ossia previsto. Essa, fa seguito alla sospensione dei trattamenti intensivi a motivo della loro mancanza di proporzionalità. In altre parole, il malato viene staccato dai supporti vitali, in particolare dal supporto ventilatorio, in una circostanza prevista e medicalmente controllata. In questo caso il cuore è sano e può essere prelevato dopo i venti minuti di assenza di battito e di circolo, come prescritto dalla legge italiana. Il muscolo cardiaco, già prima del prelievo e del trapianto, viene accuratamente valutato e spesso collegato ad un sistema di circolazione artificiale che permette di verificare la funzionalità dell’organo in vista del trapianto. 

 

Possiamo chiederci se possa essere stata proprio questa la causa della morte di una persona ricoverata a fine dicembre presso l’ospedale piemontese, la quale è stata depredata di cuore, fegato e reni dopo accertamento di morte con criteri cardiologici. Immediatamente dopo la dichiarazione del decesso il cuore della «donatrice», ci informano le cronache, è stato rivitalizzato da una équipe rianimatoria che ha fatto ripartire il cuore prima del suo prelievo. Gli organi (cuore e fegato) sono stati poi trasportati in un altro ospedale mantenuti vitali al di fuori del corpo in una condizione molto simile a quella fisiologica. 

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Naturalmente, la notizia è stata accolta dai media con grande entusiasmo e i membri dell’équipe medica descritti come degli eroi. E ovviamente nessun accenno ad alla possibilita per cui, secondo alcuni, vi potrebbe essere sottostante una pratica eutanasica.

 

Una cosa è certa: la nuova tecnica dei trapianti a cuore fermo da donatore controllato è la dimostrazione ulteriore che la dichiarazione di morte cerebrale rappresenta una mera convenzione volta unicamente ad eliminare i malati e foraggiare l’industria dei trapianti; con la DCD controllata, infatti, la morte del paziente non sopraggiunge a causa di una patologia cardiaca ma è conseguente alla decisione di sospensione dei trattamenti considerati inutili per il paziente stesso. Trattasi quindi di morte dopo sospensione delle cure.

 

Come uno tsunami la Necrocultura avanza e rompe tutti gli argini che incontra lungo il suo mostruoso cammino.

 

Alfredo De Matteo

 

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Bioetica

«Non utilizzare gli organi di una ragazza di 16 anni mi pareva un delitto»: parla «l’uomo dei trapianti»

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Un quotidiano a tiratura nazionale, Il Giornale, lo scorso 20 gennaio ha pubblicato un singolare articolo-intervista a colui che nel titolo è definito «l’uomo dei trapianti».    Si tratta di un professore ordinario di malattie infettive e tropicali considerato il principale soggetto di riferimento a livello nazionale per il trapianto di organi in caso di problematiche infettivologiche.   Apprendiamo così che dal 1999 il professore «vive reperibile giorno e notte, tutti i giorni dell’anno, Natale, compleanni, influenza, vacanze comprese perché è a lui che i centri di coordinamento regionali trapianti di tutta Italia fanno riferimento quando ci sono organi da donare». Da più di un quarto di secolo, dunque, costui «sceglie a chi dare gli organi», è scritto nell’occhiello del pezzo. Egli «è da 25 anni la Second Opinion Nazionale per le problematiche infettivologhe [sic] quando si tratta di donare gli organi. A lui spetta l’ultima parola, accendere o meno la luce verde anche quando i segnali non sono così chiari».

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«Un impasto perfetto di prontezza e coraggio e la responsabilità pesa a volte quanto la solitudine nell’essere un numero primo» continua l’articolo, che cita la spiegazione dell’uomo: «Da quando il soggetto diventa donatore, abbiamo tre ore di tempo per decidere se è o meno idoneo».   Sono forniti dati numerici interessanti: «ogni quanto mi squilla il telefono? Ho appena finito di stilare il report di fine anno: sono 900 telefonate, una media di tre al giorno».   Viene poi riportato un episodio specifico. «Un paio di anni fa venne trovata una giovane su una spiaggia in Puglia. Stava male e morì poco dopo. Aveva partecipato a un Rave party e non si sa cosa avesse fatto e con chi era stata. Mi chiedono cosa fare. Non era semplice decidere, i chirurghi di riferimento dei riceventi cercavano di convincere i pazienti a rinunciare».   «Eppure non utilizzare organi di una ragazza di 16 anni mi sembrava un delitto. Ho parlato con loro e ho condiviso gli algoritmi di compatibilità, ho spiegato la situazione, rischi e vantaggi. Alla fine hanno firmato tutti il consenso, si sono fidati e oggi stanno tutti bene» racconta il professore, definito da Il Giornale come un «pioniere dall’aria modesto, che parla delle sue straordinarie conquiste come se fosse cosa di tutti i giorni».   Apprendiamo che «è stato il primo a vincere una scommessa che tutti davano per folle: trapiantare gli organi di malati di COVID».   «Primi al mondo a usare donatori positivi. Era novembre del 2020, il vaccino non c’era ancora. Eravamo in piena pandemia e mi arriva una chiamata. Un ragazzo di 14 anni, si era suicidato» rammenta il professore. «Abbiamo trapiantato gli organi a pazienti guariti dal COVID. Pochi mesi dopo ci hanno seguito gli altri Paesi. Sembrava un azzardo ma abbiamo aperto la strada a centinaia di vite salvate».   A questo punto, l’intervistato si lascia andare ad alcune amare riflessioni: «si perdono tanti organi. L’Italia purtroppo è il secondo Paese con un tasso elevatissimo di germi resistenti all’antibiotico. Peggio di noi solo la Grecia, Questo significa che davanti ad alcune infezioni non abbiamo armi e gli organi sono inutilizzabili».   Tuttavia, «per l’HIV è un discorso diverso. Oggi si cura facilmente. Nel 2017 siamo stati il primo Paese in Europa a trapiantare organi tra HIV positivi. Il modello italiano è stato ancora una volta pionieristico. Da anni sono nel Consiglio d’Europa e ho potuto fare l’estensore delle linee guida europee in materia».   Si delinea dunque il prossimo obiettivo: «c’è altro che possiamo fare: il trapianto da positivi a negativi», dice il professore, e l’articolista conclude con un tono di utopica speranza: «sarebbe un’altra vittoria per l’uomo».   Ricordiamo, infine, il titolo dato al pezzo dal quotidiano: «Io sempre al telefono decido in un momento a chi donare una vita».   Come può vedere il lettore, non commentiamo nulla riguardo ai contenuti dell’articolo.   Ci sia consentito tuttavia andare indietro con la memoria al 1962: nel novembre di quell’anno la rivista Life pubblica un articolo intitolato «Decidono chi vive, chi muore: il miracolo medico pone il peso morale su un piccolo comitato». Si parlava di una «commissione-dio» di un ospedale che decideva quali pazienti si dovessero curare con i macchinari per la dialisi, allora appena introdotti e rarissimi.

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L’articolo, scritto dalla celebre giornalista americana Shana Alexander (1925-2005), aprì un immenso dibattito negli Stati Uniti e in tutto il mondo: davvero degli uomini potevano arrogarsi decisioni sulla vita e sulla morte del prossimo? In base a quali criteri? Chi stabiliva quali fossero questi criteri? Cosa accadeva poi a chi non veniva prescelto? E a chi veniva prescelto?   Si trattava del problema dell’allocazione delle risorse sanitarie, rispuntato – molto in sordina ma con episodi inquietanti se non sconvolgenti – anche durante il COVID. Nel 1962, la questione della dialisi favorì lo sviluppo di quel ramo della conoscenza chiamato Bioetica, con comitati e pensatori pronti a riflettere su questo dilemma.   Ora ci domandiamo: il «dilemma», in medicina, esiste ancora?   Parlare di poteri immensi in mano ai medici oggi non scandalizza più, anzi, può essere visto come una virtuosa responsabilità.   Vogliamo chiedere al lettore se non pare anche a lui che il mondo sia cambiato un pochino: chiamatelo pendìo scivoloso, chiamatela Finestra di Overton, chiamatela rana bollita, chiamatelo «Progresso».   Per noi non è altro che lo scivolamento della società verso la negazione della dignità umana, biologica e morale: in una parola, Necrocultura, vero volto della medicina moderna.   Roberto Dal Bosco Alfredo De Matteo

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