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Attacco alla centrale atomica?

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Poche ore fa Zelens’kyj ha dichiarato che la Russia avrebbe minato il tetto della centrale atomica di Zaporiggia.

 

«Ora abbiamo informazioni dalla nostra intelligence che l’esercito russo ha collocato oggetti simili a esplosivi sul tetto di diverse unità di potenza della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Forse per simulare un attacco all’impianto. Forse hanno qualche altro scenario», ha scritto su Twitter il presidente ucraino.

 

«Ma in ogni caso, il mondo vede – non può non vedere – che l’unica fonte di pericolo per la centrale nucleare di Zaporiggia è la Russia e nessun altro».

 

«Sfortunatamente, non c’è stata una risposta tempestiva e su larga scala all’attacco terroristico alla centrale idroelettrica di Kakhovka. E questo potrebbe incitare il Cremlino a commettere nuovi mali. È responsabilità di tutti nel mondo fermarlo, nessuno può farsi da parte, poiché le radiazioni colpiscono tutti» ha aggiunto lo Zelens’kyj

 

 

 

Il presidente ucraino è tornato così su un argomento che aveva già toccato in questi giorni.

 

«C’è una seria minaccia perché la Russia è tecnicamente pronta a provocare un’esplosione locale alla centrale, che potrebbe portare a un rilascio» di radiazioni, aveva affermato Zelensky giorni fa in una conferenza stampa congiunta a Kiev. Allo stesso tempo, questa settimana l’Intelligence ucraina afferma che l’esercito russo sta riducendo la sua presenza lì e ha detto al personale di trasferirsi in Crimea. Zelens’kyj aveva quindi affermato che Mosca voleva provocare una «fuga di radiazioni» nell’impianto, mentre il suo aiutante Mikhail Podoljak aveva accusato la Russia di aver piazzato mine nel bacino di raffreddamento dell’impianto.

 

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha definito le affermazioni di Zelensky e di altri funzionari ucraini “l’ennesima bugia” proveniente da Kiev, sottolineando che Mosca rimane in stretta collaborazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). L’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vassilj Nebenzia, ha risposto dicendo di aver scritto al Consiglio di Sicurezza e segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, dichiarando che «non intendiamo far saltare in aria» la centrale atomica.

 

Sabato scorso il quotidiano britannico Guardian ha citato l’Intelligence militare ucraina, il GUR, scrivendo che «diversi rappresentanti dell’agenzia statale per l’energia nucleare russa, Rosatom, se ne sono già andati» e inoltre che «ai dipendenti ucraini che sono rimasti nell’impianto e hanno firmato contratti con Rosatom era stato detto evacuare entro lunedì, preferibilmente in Crimea». Rosatom è l’ente statale russo per l’energia nucleare.

 

«Giovedì l’Ucraina ha condotto esercitazioni di risposta al disastro nucleare nelle vicinanze della centrale elettrica» continuava il Guardian citando funzionari regionali.

 

Come noto, la centrale nucleare di Energodar, la più grande d’Europa, è occupata dalle forze russe ma operata da personale ucraino.

 

Ieri sera un ufficiale di Rosatom, Renat Karchaa, assistente senior del capo di Rosenergoatom (una sussidiaria del gigante statale russo dell’energia atomica Rosatom) ha detto al canale TV Rossija 24 che si attendeva nell’arco di poco tempo un attacco in larga scala lanciato contro la centrale controllata dai russi.

 

«Il 5 luglio, letteralmente durante la notte, mentre è ancora buio, le forze ucraine tenteranno un attacco all’impianto di Zaporozhye con munizioni ad alta precisione a lungo raggio e droni suicidi», ha detto Karchaa alla televisione russa.

 

«Sebbene Karchaa non abbia approfondito, l’apparente obiettivo dell’attacco secondario è quello di provocare un aumento delle letture della radioattività nella regione nel caso in cui il lancio principale non riuscisse a danneggiare la struttura abbastanza da causare il rilascio di materiali pericolosi nell’aria» scrive il sito governativo russo RT.

 

Il capo dell’organismo di vigilanza delle Nazioni Unite, Rafael Mariano Grossi, ha recentemente visitato la struttura e ha contestato le accuse dell’Ucraina, affermando nel suo rapporto che «nessuna mina è stata osservata nel sito durante la visita del direttore generale, compreso lo stagno di raffreddamento», continua RT.

 

 

Il pericolo per la centrale è stato messo in dubbio anche dalla Casa Bianca, con il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby che ha affermato la scorsa settimana che Washington non ha «visto alcuna indicazione che tale minaccia sia imminente».

 

La centrale di Zaporiggia è stata al centro di tensioni internazionali per mesi. Nove mesi fa, secondo fonti russe le forze ucraine avrebbero tentato di ricatturare la centrale, fallendo.

 

Alcuni ora parlano di un possibile scenario false-flag: un attacco ucraino alla centrale fatto passare per la deliberata distruzione della struttura – con conseguente «effetto Chernobyl» – da parte della Russia.

 

Una simile prospettiva, dicono alcuni osservatori, aprirebbe alla possibilità di un intervento diretto della NATO in territorio ucraino, provocando la guerra diretta tra gli Atlantici e Mosca – cioè, la Terza Guerra Mondiale – che è l’unico modo in cui l’attuale regime di Kiev, la cui tanto attesa controffensiva pare aver deluso, di salvarsi.

 

Il venture capitalist David O. Sacks, già membro della cosiddetta PayPal Mafia – i ragazzi che hanno creato e venduto PayPal, creando altri grandi servizi che compongono l’internet attuale – ha scritto su Twitter riguardo la possibilità di un momento simile a quello del «Golfo del Tonchino», l’incidente del 1964 che portò al coinvolgimento diretto degli USA in Vietnam. L’evento è visto oggi per lo più come un attacco sotto falsa bandiera – false flag – per giustificare l’intervento americano in Indocina. (Per inciso: a supervisionare l’operazione vi era l’ammiraglio George S. Morrison, padre del Jim Morrison dei Doors: un dettaglio che ad alcuni dice molte cose…)

 

«Abbiamo a portata di mano un momento stile Golfo del Tonchino» scrive l’investitore Sacks, nel suo post che vale davvero la pena di leggere, visto che mette in fila, e piuttosto bene, eventi recenti con pattern riconosciuti della storia americana.

 

«Poco dopo il ritorno dal suo ultimo viaggio a Kiev, il senatore Graham insieme a Blumenthal ha presentato la sua risoluzione che fornisce garanzie ai sensi dell’articolo 5 all’Ucraina nel caso in cui, tra l’altro, un impianto nucleare venga distrutto in Ucraina».

 

«Solo per coincidenza, il governo ucraino, incluso Zelensky e il capo dell’Intelligence Budanov, ha iniziato a lanciare avvertimenti sui piani russi di far saltare in aria la centrale nucleare di Zaporiggia, anche se l’impianto è sotto il controllo russo e farlo saltare in aria non avrebbe alcun valore strategico».

 

«I canali di propaganda ucraini continuano a pompare questa affermazione senza prove. Naturalmente, un media compiacente non li ha sollecitati per nessuno, semplicemente ripetendo le affermazioni come se provenissero da una fonte imparziale».

 

«Se ZNPP [la centrale atomica di Zaporiggia, ndr] viene distrutta, non sapremo con certezza chi è stato, ma possiamo essere sicuri che i media daranno la colpa di riflesso alla Russia, come hanno fatto in modo ridicolo con la distruzione del Nord Stream. Questa dinamica della stampa combinata con la risoluzione Graham-Blumenthal crea effettivamente un incentivo perverso per _qualcuno_ a distruggere ZNPP se vuole trascinare l’America più a fondo nel conflitto» afferma Sacks.

 

 

«Biden aveva precedentemente giurato che l’America non sarebbe stata coinvolta direttamente, sulla base del fatto che avrebbe dato inizio alla terza guerra mondiale, ma aveva anche promesso di non fornire F-16 per lo stesso motivo. Sappiamo cosa è successo con quella promessa».

 

«Nel 1965, LBJ [il presidente Lyndon B. Johnson, succeduto a Kennedy assassinato, ndr] ha impegnato un gran numero di truppe americane nella guerra del Vietnam dopo aver affermato in precedenza “non abbiamo intenzione di mandare ragazzi americani a 9 o 10 mila miglia di distanza da casa per fare ciò che i ragazzi asiatici dovrebbero fare da soli”».

 

«L’indignazione per l’incidente del Golfo del Tonchino, che ora sappiamo essere una menzogna, ha creato il pretesto per quell’impegno. Se la ZNPP viene distrutta, cercate urla di indignazione da parte del Partito della Guerra che cerca l’inizio dell'”americanizzazione” della guerra in Ucraina».

 

Di false-flag atomico si parlava già l’anno scorso, quando i vertici dello Stato russo un anno fa affermavano che l’Ucraina stava sviluppando armi nucleari. Le competenze tecnico scientifiche per farlo, grazie al lascito dell’Unione Sovietica, Kiev le ha.

 

In varie occasioni il regime ucraino ha parlato di contrattacco nucleare contro la Russia. Mosca ha più volte avvertito della possibilità di un false-flag atomico operato dagli ucraini magari tramite una cosiddetta «bomba sporca».

 

Sulla carta, l’Ucraina ha ufficialmente rinunciato al suo programma nucleare trent’anni fa, con il cosiddetto «Memorandum di Budapest» stipulato grazie a Clinton, che i politici ucraini degli ultimi anni, Zelens’kyj incluso, hanno minacciato svariate volte di voler ripudiare.

 

Come riportato da Renovatio 21, la volontà di un riarmo nucleare era stata agitata da Zelens’kyj poco prima dell’inizio del conflitto, il 19 febbraio a Monaco di Baviera durante l’annuale Conferenza per la sicurezza.

 

A questo punto, tuttavia, non c’è più da temere solo l’azione americana nel conflitto, ma anche la reazione russa.

 

Come sa il lettore, è iniziato in Russia il dibattito sull’uso dell’atomica, di cui l’Occidente, misteriosamente, sembra aver perso il timore. Il politologo Andrej Karaganov ha proposto, e ribadito, che mai sarebbe accettabile colpire gli ucraini – popolo fratello – e nemmeno gli USA, perché potrebbero reagire con le loro testate.

 

L’obiettivo di un attacco atomico russo, quindi, dovrebbe essere un Paese europeo, di quelli che magari hanno sostenuto pienamente l’Ucraina con armi e danari. Viene in mente, subito, la Gran Bretagna, ma Italia e Germania non sono così differenti. Karaganov sostiene che gli USA, se si colpisse solo l’Europa, non rischierebbero una guerra di annientamento, ed un nuovo equilibrio sarebbe quindi stabilito.

 

In pratica, Zelens’kyj sta tirando noi, gli europei, in un inferno termonucleare, da cui lui pure potrebbe salvarsi, mentre noi no.

 

Lo ricordiamo sempre, Putin lo aveva detto pochi giorni prima del conflitto.

 

«State realizzando che se l’Ucraina si unisce alla NATO e decide di riprendersi la Crimea con mezzi militari, i Paesi europei verranno automaticamente coinvolti in un conflitto militare con la Russia?»

 

«Comprendiamo anche che la Russia è una delle principali potenze nucleari del mondo ed è superiore a molti di quei Paesi in termini di numero di componenti della forza nucleare moderna. Ma non ci saranno vincitori».

 

Qualcuno avrebbe dovuto ascoltarlo. Non è, tuttavia, troppo tardi.

 

 

 

 

Immagine di IAEA Imagebank via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

Nucleare

Conferenza mondiale sulla fusione nucleare in Cina

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Il 14 ottobre è stata inaugurata nella megalopoli cinese di Chengdu, in Cina, la seconda riunione ministeriale del World Fusion Energy Group dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), con 1.000 partecipanti.

 

Il Global Times, giornale in lingua inglese del Partito Comunista Cinese, ha titolato: «Il “sole artificiale” di nuova generazione della Cina in fase di aggiornamento per i test al plasma: un esperto», offrendo un riassunto del programma cinese sulla fusione, con particolare attenzione al Tokamak superconduttore sperimentale avanzato (EAST).

 

Zhong Wulu, vicedirettore del Southwest Institute of Physics della China National Nuclear Corporation (CNNC) e responsabile della Divisione di Scienza della Fusione, ha dichiarato: «Per raggiungere l’energia da fusione commerciale, dobbiamo completare sei fasi, e al momento siamo alla terza». Il Zhong ha elencato le sei fasi come «esplorazione concettuale, esperimenti su larga scala, esperimenti al plasma, reattori sperimentali, reattori dimostrativi e reattori commerciali».

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Huang Mei, capo scienziato del CNNC e responsabile del progetto del ciclotrone elettronico, ha detto al Global Times che, nonostante la tabella di marcia preveda la produzione di energia da fusione entro il 2050 circa, «stiamo lavorando intensamente per anticipare questa scadenza il più possibile». Nella fase 3, il 20 gennaio 2025, il Tokamak EAST ha raggiunto un funzionamento continuo del plasma ad alto confinamento per 1.066 secondi (circa 17 minuti e tre quarti), con temperature superiori a 82 milioni di gradi Celsius.

 

Tuttavia, questo risultato straordinario non ha ancora raggiunto il punto di pareggio, in cui una reazione di fusione produce più energia di quella usata per riscaldare il plasma, né l’ignizione, in cui la reazione diventa autosostenibile.

 

Il Global Times sottolinea che gli esperti cinesi evidenziano come «i materiali e l’ingegneria rappresentino ulteriori sfide. È necessario sviluppare materiali strutturali capaci di resistere a temperature estreme e intense radiazioni neutroniche, magneti superconduttori altamente affidabili, sistemi criogenici e sistemi di diagnostica e controllo per monitorare il plasma in tempo reale con feedback rapido».

 

Questo sta portando a concentrarsi su leghe di tungsteno per componenti strutturali e magneti superconduttori in niobio-stagno, niobio-titanio o materiali superconduttori ad alta temperatura. Un’altra questione cruciale è «l’autosufficienza al trizio». Un obiettivo chiave è il passaggio dell’EAST a un reattore sperimentale, corrispondente alla quarta fase del processo.

 

Huang Mei del CNNC ha espresso ottimismo, secondo il Global Times, affermando che «il Southwest Institute of Physics, come “squadra nazionale” per la fusione, accelererà i progressi tecnici attraverso diverse piattaforme». Ha aggiunto: «Il momento che attendo con più entusiasmo è quando useremo il primo kilowatt di energia da fusione per accendere una lampadina, sarà l’istante più emozionante».

 

Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa scienziati cinesi avevano introdotto un nuovo dispositivo di prova per la produzione di fusione.

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Lo scorso marzo la Cina aveva fatto sapere che costruirà un reattore ibrido a fusione-fissione entro il 2030, con l’obiettivo di generare 100 megawatt di elettricità continua e connettersi alla rete nazionale entro la fine di questo decennio.

 

Come riportato da Renovatio 21la Cina sta portando avanti le ricerche sulla fusione da anni. La Cina ha accelerato con i suoi studi per la fusione dopo che negli scorsi anni un team di scienziati cinesi aveva affermato di aver trovato un metodo nuovo e più conveniente per il processo.

 

Una volta scoperto un processo stabile per ottenere la fusione, potrebbe entrare in giuoco l’Elio-3, una sostanza contenuta in grande abbondanza sulla Luna, dove la Cina, come noto, sta operando diverse missioni spaziali di successo. Da qui potrebbe svilupparsi definitivamente il ramo cosmico dello scacchiere internazionale, la geopolitica spaziale che qualcuno già chiama «astropolitica», e già si prospetta come un possibile teatro di guerra.

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Nucleare

«Non c’è vittoria nella guerra nucleare»: parla l’esperto in armamenti del MIT

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Alla fine della scorsa settimana, a Berlino si sono tenuti diversi eventi che hanno evidenziato il rischio per la Germania derivante dal dispiegamento di missili a medio raggio e dalla fornitura di tali armi all’Ucraina, considerati come un possibile preludio a una Terza Guerra Mondiale. Lo riporta EIRN.   Uno di questi eventi è stata una presentazione di tre ore, svoltasi il 10 ottobre, tenuta dal professor Ted Postol, rinomato esperto di armi del MIT, organizzata congiuntamente dallo Schiller Institute (ente legato al gruppo Larouche) e dalla Eurasian Society. L’argomento era la minaccia rappresentata dal posizionamento di missili a medio raggio in Germania, accompagnata da un’analisi lucida delle conseguenze di una potenziale guerra nucleare.   Postol ha illustrato l’enorme potenziale distruttivo delle moderne armi nucleari, molto più potenti rispetto a quelle che, nel 1945, causarono tra le 200.000 e le 250.000 vittime in Giappone, confutando l’idea assurda di poter vincere una guerra nucleare, dimostrando che la cosiddetta «vittoria» diventa priva di senso quando il Paese vincitore non ha più sopravvissuti al termine del conflitto.   L’esperto ha quindi smontato il mito della vittoria in una guerra nucleare tattica, spiegando che l’uso di una singola arma nucleare porterebbe, in circa cinque giorni, a una guerra globale che estinguerebbe ogni forma di vita sulla Terra.

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Riflettendo sulla sua esperienza personale nella pianificazione di una guerra nucleare, Postol ha sottolineato il problema della riduzione del tempo di allerta precoce, dovuto al posizionamento avanzato dei missili, e il rischio di una rapida escalation verso l’uso di armi nucleari, per entrambe le parti, a causa del dilemma «usalo o perdilo».   «Nel 1983, si svolse un war game chiamato Able Archer. In quel war game, i vertici americani simularono, da una prospettiva sociale, psicologica e militare, uno scontro tra il Patto di Varsavia e la NATO, con l’uso di armi nucleari (…) È importante comprendere che gran parte di ciò che avvenne in quel gioco fu guidato da imperativi militari. Il problema, ancora una volta, deriva dalla natura delle armi nucleari. Sono così potenti che, quando una parte inizia a usarle, entrambe si sentono obbligate a contrattaccare e a distruggere il più possibile la capacità offensiva del nemico. Non hai scelta una volta che sei in questo gioco. Non puoi dire “basta”. Perché non sai se l’avversario intensificherà il suo attacco prima che tu ti fermi. Questo dà al nemico l’opportunità di aumentare la sua potenza in modo da causarti danni ancora maggiori. Sei quindi costretto a entrare in un ciclo in cui devi colpire il nemico per tenerlo sotto controllo».   Postol ha spiegato che questa dinamica di attacco e contrattacco è centrale nel pensiero militare sulla guerra nucleare, basato sull’erronea convinzione che si possa combattere e vincere, chiarendo che non esiste vittoria, poiché «i livelli di distruzione sono così elevati che entrambe le parti vengono annientate». Ha aggiunto che l’idea di una guerra nucleare paragonabile a un conflitto convenzionale è fuorviante, poiché i danni sono incomparabilmente più devastanti.   Il professore ha anche criticato la politica autolesionista del governo tedesco, che consente il dispiegamento di queste armi sul proprio territorio, rendendo la Germania, senza alcuna valida ragione, un bersaglio per la distruzione nucleare in caso di conflitto, deplorando inoltre il rapido declino del senso di realtà tra i leader politici occidentali, un fattore che di per sé alimenta il rischio di un confronto nucleare, a causa della loro incapacità di comprendere le conseguenze delle proprie scelte politiche.   Come riportato da Renovatio 21, Postol l’anno scorso aveva condannato l’attacco di droni ucraini contro le stazioni di rilevamento per la guerra atomica Armavir (nota come «Lupi dello Zar») e Orsk, nella Russia meridionale e orientale, parlando di una possibile escalation che da lì poteva partire verso la distruzione nucleare pantoclastica.   Si trattava di attacchi ad una componente componente dell’«ombrello nucleare» della Federazione Russa.   «Gli ucraini hanno ora attaccato un secondo radar strategico di allarme rapido nucleare russo critico a Orsk» aveva avvertito Postol. «Questo radar guarda verso l’Oceano Indiano e ha qualche sovrapposizione con i radar del radar già danneggiato di Armavir. I primi indicatori indicano che l’entità dei danni subiti dall’Orsk è probabilmente limitata, ma non si può escludere che il radar non funzioni per il momento a causa dell’attacco».   «Questa è una situazione molto seria. A differenza degli Stati Uniti, i russi non dispongono di sistemi di allarme satellitare spaziali in grado di rilevare attacchi di missili balistici a livello globale. Ciò significa che la copertura radar persa a causa degli attacchi a questi radar riduce notevolmente il tempo di preavviso contro gli attacchi a Mosca dal Mediterraneo e dall’Oceano Indiano».

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«L’estrema pressione temporale sulla leadership russa potrebbe quindi aumentare significativamente le possibilità di un catastrofico incidente nucleare. Il fatto che Blinken e la sua squadra di sicurezza nazionale abbiano dato il via libera al governo ucraino per attaccare siti russi fuori dall’Ucraina, significa che Blinken ha incautamente detto agli ucraini che possono impegnarsi in tali atti che avrebbero conseguenze potenzialmente catastrofiche per gli Stati Uniti e per l’intero pianeta».   Renovatio 21 rammenta come anche nei discorsi degli strateghi russi sia apparsa, negli scorsi mesi, l’idea di attaccare per primi utilizzando armi atomiche.   Come riportato da Renovatio 21, il noto esperto di relazioni internazionali russo Sergej Karaganov ha scritto interventi molto discussi dove ha parlato apertis verbis della revisione della strategia militare atomica di Mosca, arrivando a ipotizzare la nuclearizzazione di una città europea in risposta al sostegno della guerra ucraina.   Siamo arrivati al punto più prossimo allo sterminio atomico. Mai nella storia, nemmeno nei momenti più caldi della guerra fredda, eravamo giunti così vicino all’abisso pantoclastico, alla prospettiva della distruzione massiva dell’umanità.  

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Nucleare

Trump reagisce all’offerta di trattato nucleare di Putin

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha accolto favorevolmente la proposta del presidente russo Vladimir Putin di estendere di un ulteriore anno l’ultimo trattato di controllo degli armamenti tra i due Paesi.

 

Domenica, mentre conversava con i giornalisti fuori dalla Casa Bianca, a Trump è stato chiesto cosa pensasse dell’offerta di Putin riguardo al New START. «Mi sembra una buona idea», ha risposto.

 

Le parole di Trump sono state apprezzate da Kirill Dmitriev, consigliere economico di Putin e figura centrale negli sforzi per migliorare le relazioni con Washington.

 

Dmitriev ha scritto su Telegram che la posizione del presidente statunitense indica che Washington e Mosca sono «abbastanza propense» a prorogare l’accordo.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso Putin aveva espresso la disponibilità di Mosca a estendere di un anno il Trattato sulla riduzione delle armi strategiche del 2010 (New START), a patto che gli Stati Uniti rispondano positivamente e si astengano da azioni che potrebbero alterare l’equilibrio nucleare.

 

All’inizio di questa settimana, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato che Washington non ha ancora fornito una risposta ufficiale alla proposta.

 

L’ultimo trattato di riduzione degli armamenti tra Stati Uniti e Russia, che limita ciascuna parte a un massimo di 1.550 testate nucleari strategiche e 700 sistemi di lancio schierati, scadrà a febbraio, salvo un’eventuale proroga.

 

Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa, all’apice delle tensioni per la guerra ucraina, il ministero degli Esteri russo aveva accusato la «flagrante» violazione del trattato Start da parte di Washingtone. Nell’agosto 2022 la Russia aveva quindi annunciato la sospensione delle ispezioni nucleari con il nuovo trattato START.

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