Nucleare
Atomiche, «la paura dell’Armageddon va ristabilita»

In Russia è oltre si continua a discutere dell’uso pragmatico delle armi atomiche nell’arco del presente conflitto con l’Occidente.
L’ex colonnello dell’Intelligence militare russa (GRU) Dmitrij Trenin, voce ascoltata internazionalmente nota per i suoi interventi come intellettuale e membro di importanti think tank geopolitici e strategici russi, ha preso parte al dibattito sull’uso delle armi nucleari che era stato innescato dal direttore del Consiglio russo per la politica estera e di difesa nonché preside della Facoltà di economia mondiale e affari internazionali presso la Scuola superiore di economia di Mosca Sergej Karaganov.
Il Karaganov aveva scritto il pezzo del 13 giugno per Russia in Global Affairs, intitolato «Una decisione difficile ma necessaria», che abbiamo tradotto e ripubblicato su Renovatio 21.
Mentre Trenin riconosce il suo punto di vista secondo cui la paura dell’uso di armi nucleari per risolvere il conflitto sta svanendo negli ambienti politici e militari, il che sta portando al pericolo del loro dispiegamento, ritiene che seguire il suggerimento di Karaganov potrebbe ancora portare a un Armageddon nucleare.
Il Trenin propone che si debbano invece chiarire le situazioni in cui la Russia userebbe armi nucleari per ripristinare la paura dell’Armageddon.
Trenin è professore di ricerca presso la Higher School of Economics e lead research fellow presso l’Institute of World Economy and International Relations. È anche membro del Consiglio russo per gli affari internazionali (RIAC).
Il suo articolo del 22 giugno «Conflitto in Ucraina e armi nucleari» è stato pubblicato in Russia sempre su Global Affairs.
Trenin inizia il suo pezzo affermando che mentre Putin ha ripetutamente chiarito che l’uso russo di armi nucleari in Ucraina si basa sulla loro dottrina pubblicata, il loro effetto come deterrente sta diminuendo, anche se il loro uso non è stato tolto dal tavolo.
L’ex ufficiale del GRU prosegue poi sostenendo che ciò è in parte dovuto al fatto che «gli Stati Uniti si sono ora posti il compito – impensabile durante la Guerra Fredda – di provare a sconfiggere un’altra superpotenza nucleare in una regione strategicamente importante, senza ricorrere alle armi atomiche, ma invece armando e controllando un Paese terzo».
La strategia di escalation degli Stati Uniti, che ora passa agli F-16 e ai missili a lungo raggio, è probabilmente basata sulla loro convinzione che la leadership russa stia bluffando sui loro avvertimenti sull’uso di armi nucleari, citando la risposta impavida dei funzionari statunitensi allo spiegamento di armi nucleari armi alla Bielorussia.
«Tale “impavidità” è un risultato diretto dei cambiamenti geopolitici degli ultimi tre decenni e del cambio di generazioni al potere negli Stati Uniti e in Occidente in generale» dice Trenin. «La paura della bomba atomica, presente nella seconda metà del Novecento, è scomparsa. Le armi nucleari sono state eliminate dall’equazione. La conclusione pratica è chiara: non c’è bisogno di aver paura di una simile risposta russa».
Tuttavia, il Trenin afferma che la pericolosa escalation alla fine porterà a uno scontro diretto tra NATO e Russia e al potenziale Armageddon nucleare.
In questo percorso di escalation, che chiama «roulette russa», Trenin afferma che la strategia di Mosca è stata quella di consentire al nemico di prendere l’iniziativa di escalation, di cui l’Occidente ha approfittato cercando di logorare la Russia sul campo di battaglia e indebolirla dall’interno.
«Non ha senso che il Cremlino aderisca a questo piano. Al contrario, è meglio chiarire e modernizzare la nostra strategia di deterrenza nucleare, tenendo conto dell’esperienza pratica del conflitto ucraino. Le disposizioni dottrinali esistenti sono state formulate non solo prima dell’inizio dell’operazione militare in corso, ma anche apparentemente senza un’idea precisa di ciò che potrebbe accadere nel corso di una tale situazione».
Poi prosegue dicendo che questo chiarimento dovrebbe essere «accompagnato da un dialogo credibile sia con i nostri partner strategici che con gli Stati neutrali, spiegando le motivazioni e gli obiettivi delle nostre azioni. La possibilità di utilizzare armi nucleari nell’attuale conflitto non deve essere nascosta. Questa prospettiva reale, non solo teorica, dovrebbe essere un incentivo per limitare e arrestare l’escalation della guerra e, in ultima analisi, aprire la strada a un soddisfacente equilibrio strategico in Europa».
Trenin ribatte quindi l’argomentazione proposta da Karaganov, riconoscendo che mentre gli Stati Uniti potrebbero non rispondere immediatamente con armi nucleari dopo un eventuale loro uso russo in Ucraina, una successiva escalation potrebbe portare a risposte asimmetriche da parte degli Stati Uniti che potrebbero portare a una guerra Russia-NATO su vasta scala con il potenziale di vedere realizzato scambio nucleare.
L’ex dirigente GRU conclude la sua argomentazione sottolineando che mentre la Russia potrebbe probabilmente vincere la guerra contro l’Ucraina, senza chiarire la dottrina russa per essere coerente con l’esperienza russa in Ucraina, ciò porterebbe anche a un conflitto NATO-Russia.
«Per evitare una catastrofe generale, è necessario riportare la paura dell’Armageddon nella politica e nella coscienza pubblica. (…) Nell’era nucleare, è l’unica garanzia di preservare l’umanità».
La dottrina nucleare della Russia proibisce l’uso di armi nucleari in qualsiasi circostanza, a meno che il Paese non stia affrontando un attacco nemico con armi nucleari o altre armi di distruzione di massa, o un attacco convenzionale così grave da mettere a rischio la «esistenza stessa» dello Stato.
Il concetto di deterrenza, come riconosciuto dagli stessi generali americani, non funziona più, almeno allo stato attuale. La deterrenza si basava su un equilibrio enantiodromico di tecnologie e potenza distruttive ora oramai completamente vanificato dalle armi ipersoniche, a disposizione della Russia ma non degli USA.
Il trattato missilistico START nel frattempo è di fatto saltato. Come riportato da Renovatio 21, il ministero degli Esteri russo aveva accusato la «flagrante» violazione del trattato START da parte degli USA. Le ispezioni nucleari in Russia erano state sospese dell’autorità ancora l’anno scorso.
Una revisione del Trattato di non Proliferazione delle armi nucleari (TNP) si era conclusa ad agosto 2022 senza alcuna risoluzione.
Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato si è tornati a parlare di una «piccola era glaciale» in caso di guerra nucleare tra le superpotenze, con abbassamento delle temperature di 10,5° C e espansione del ghiaccio marino di oltre 6 milioni di miglia quadrate.
Secondo studi, la guerra nucleare tra USA e Russia farebbe morire di fame almeno 5 miliardi di persone.
Tuttavia ci viene da pensare che la deterrenza non abbia più senso proprio per questo motivo: turlupinata dalla Necrocultura, una grande parte della popolazione occidentale, educata ad odiare se stessa, desidera sempre meno segretamente che le sia data la morte.
Ad una generazione a cui è stato inculcato un pessimismo cosmico fatalista e violento, al punto da definirsi «ultima generazione», la prospettiva dell’annientamento atomico non è una catastrofe e una tragedia, ma una liberazione e al massimo un meritato castigo per l’umanità ingiusta e inquinatrice.
Nucleare
«Non c’è vittoria nella guerra nucleare»: parla l’esperto in armamenti del MIT

Alla fine della scorsa settimana, a Berlino si sono tenuti diversi eventi che hanno evidenziato il rischio per la Germania derivante dal dispiegamento di missili a medio raggio e dalla fornitura di tali armi all’Ucraina, considerati come un possibile preludio a una Terza Guerra Mondiale. Lo riporta EIRN.
Uno di questi eventi è stata una presentazione di tre ore, svoltasi il 10 ottobre, tenuta dal professor Ted Postol, rinomato esperto di armi del MIT, organizzata congiuntamente dallo Schiller Institute (ente legato al gruppo Larouche) e dalla Eurasian Society. L’argomento era la minaccia rappresentata dal posizionamento di missili a medio raggio in Germania, accompagnata da un’analisi lucida delle conseguenze di una potenziale guerra nucleare.
Postol ha illustrato l’enorme potenziale distruttivo delle moderne armi nucleari, molto più potenti rispetto a quelle che, nel 1945, causarono tra le 200.000 e le 250.000 vittime in Giappone, confutando l’idea assurda di poter vincere una guerra nucleare, dimostrando che la cosiddetta «vittoria» diventa priva di senso quando il Paese vincitore non ha più sopravvissuti al termine del conflitto.
L’esperto ha quindi smontato il mito della vittoria in una guerra nucleare tattica, spiegando che l’uso di una singola arma nucleare porterebbe, in circa cinque giorni, a una guerra globale che estinguerebbe ogni forma di vita sulla Terra.
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Riflettendo sulla sua esperienza personale nella pianificazione di una guerra nucleare, Postol ha sottolineato il problema della riduzione del tempo di allerta precoce, dovuto al posizionamento avanzato dei missili, e il rischio di una rapida escalation verso l’uso di armi nucleari, per entrambe le parti, a causa del dilemma «usalo o perdilo».
«Nel 1983, si svolse un war game chiamato Able Archer. In quel war game, i vertici americani simularono, da una prospettiva sociale, psicologica e militare, uno scontro tra il Patto di Varsavia e la NATO, con l’uso di armi nucleari (…) È importante comprendere che gran parte di ciò che avvenne in quel gioco fu guidato da imperativi militari. Il problema, ancora una volta, deriva dalla natura delle armi nucleari. Sono così potenti che, quando una parte inizia a usarle, entrambe si sentono obbligate a contrattaccare e a distruggere il più possibile la capacità offensiva del nemico. Non hai scelta una volta che sei in questo gioco. Non puoi dire “basta”. Perché non sai se l’avversario intensificherà il suo attacco prima che tu ti fermi. Questo dà al nemico l’opportunità di aumentare la sua potenza in modo da causarti danni ancora maggiori. Sei quindi costretto a entrare in un ciclo in cui devi colpire il nemico per tenerlo sotto controllo».
Postol ha spiegato che questa dinamica di attacco e contrattacco è centrale nel pensiero militare sulla guerra nucleare, basato sull’erronea convinzione che si possa combattere e vincere, chiarendo che non esiste vittoria, poiché «i livelli di distruzione sono così elevati che entrambe le parti vengono annientate». Ha aggiunto che l’idea di una guerra nucleare paragonabile a un conflitto convenzionale è fuorviante, poiché i danni sono incomparabilmente più devastanti.
Il professore ha anche criticato la politica autolesionista del governo tedesco, che consente il dispiegamento di queste armi sul proprio territorio, rendendo la Germania, senza alcuna valida ragione, un bersaglio per la distruzione nucleare in caso di conflitto, deplorando inoltre il rapido declino del senso di realtà tra i leader politici occidentali, un fattore che di per sé alimenta il rischio di un confronto nucleare, a causa della loro incapacità di comprendere le conseguenze delle proprie scelte politiche.
Come riportato da Renovatio 21, Postol l’anno scorso aveva condannato l’attacco di droni ucraini contro le stazioni di rilevamento per la guerra atomica Armavir (nota come «Lupi dello Zar») e Orsk, nella Russia meridionale e orientale, parlando di una possibile escalation che da lì poteva partire verso la distruzione nucleare pantoclastica.
Si trattava di attacchi ad una componente componente dell’«ombrello nucleare» della Federazione Russa.
«Gli ucraini hanno ora attaccato un secondo radar strategico di allarme rapido nucleare russo critico a Orsk» aveva avvertito Postol. «Questo radar guarda verso l’Oceano Indiano e ha qualche sovrapposizione con i radar del radar già danneggiato di Armavir. I primi indicatori indicano che l’entità dei danni subiti dall’Orsk è probabilmente limitata, ma non si può escludere che il radar non funzioni per il momento a causa dell’attacco».
«Questa è una situazione molto seria. A differenza degli Stati Uniti, i russi non dispongono di sistemi di allarme satellitare spaziali in grado di rilevare attacchi di missili balistici a livello globale. Ciò significa che la copertura radar persa a causa degli attacchi a questi radar riduce notevolmente il tempo di preavviso contro gli attacchi a Mosca dal Mediterraneo e dall’Oceano Indiano».
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«L’estrema pressione temporale sulla leadership russa potrebbe quindi aumentare significativamente le possibilità di un catastrofico incidente nucleare. Il fatto che Blinken e la sua squadra di sicurezza nazionale abbiano dato il via libera al governo ucraino per attaccare siti russi fuori dall’Ucraina, significa che Blinken ha incautamente detto agli ucraini che possono impegnarsi in tali atti che avrebbero conseguenze potenzialmente catastrofiche per gli Stati Uniti e per l’intero pianeta».
Renovatio 21 rammenta come anche nei discorsi degli strateghi russi sia apparsa, negli scorsi mesi, l’idea di attaccare per primi utilizzando armi atomiche.
Come riportato da Renovatio 21, il noto esperto di relazioni internazionali russo Sergej Karaganov ha scritto interventi molto discussi dove ha parlato apertis verbis della revisione della strategia militare atomica di Mosca, arrivando a ipotizzare la nuclearizzazione di una città europea in risposta al sostegno della guerra ucraina.
Siamo arrivati al punto più prossimo allo sterminio atomico. Mai nella storia, nemmeno nei momenti più caldi della guerra fredda, eravamo giunti così vicino all’abisso pantoclastico, alla prospettiva della distruzione massiva dell’umanità.
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Nucleare
Trump reagisce all’offerta di trattato nucleare di Putin

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Nucleare
La Russia resta il principale fornitore di combustibile all’uranio per gli Stati Uniti

La Russia rimane il principale fornitore di combustibile nucleare per gli Stati Uniti, nonostante il divieto di importazione firmato dall’ex presidente Joe Biden, secondo quanto emerso dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti.
Il rapporto annuale sull’uranio dell’agenzia, pubblicato martedì, rivela che nel 2024 la Russia ha fornito il 20% dell’uranio arricchito acquistato per i reattori commerciali americani. Seguono la Francia con il 18%, i Paesi Bassi con il 15%, la Gran Bretagna con il 9% e la Germania con il 7%, mentre il 19% dell’uranio arricchito è stato prodotto internamente.
Biden ha promulgato il Prohibiting Russian Uranium Imports Act nel 2024, con il divieto entrato in vigore ad agosto. In risposta, a novembre Mosca ha imposto un limite temporaneo alle esportazioni di uranio arricchito verso gli Stati Uniti.
Tuttavia, la legge prevede deroghe che consentono acquisti dalla Russia fino al 2028, in caso di mancanza di fonti alternative o se le importazioni sono ritenute strategicamente necessarie. Secondo Bloomberg, deroghe sono state concesse a Constellation Energy Corp, il maggiore operatore nucleare statunitense, e a Centrus Energy Corp, uno dei due soli arricchitori di uranio nazionali.
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Sebbene Biden abbia destinato fondi per incrementare la capacità di arricchimento degli Stati Uniti, l’ex assistente segretario di Stato per le risorse energetiche Geoffrey Pyatt (già ambasciatore a Kiev durante il golpe di Maidan) aveva avvertito a gennaio che «sarà necessario tempo per sviluppare una catena di approvvigionamento indipendente dalla Russia».
Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca quest’anno, Washington e Mosca hanno ripreso i negoziati diretti per esplorare misure volte a normalizzare le relazioni commerciali.
Il mese scorso, Rosatom, il colosso nucleare statale russo, ha ribadito di essere il principale produttore mondiale di combustibile per centrali nucleari. «Manteniamo la leadership globale nell’arricchimento dell’uranio», ha dichiarato il primo vicedirettore Generale Kirill Komarov.
Come riportato da Renovatio 21, il tema della dipendenza statunitense dal combustibile nucleare russo è risalente. La Russia possiede circa il 50% delle infrastrutture mondiali per l’arricchimento dell’uranio, fondamentali per la produzione di combustibile nucleare. Mosca continua ad essere un importante fornitore di servizi di estrazione, macinazione, conversione e arricchimento dell’uranio per i servizi pubblici statunitensi.
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Come riportato da Renovatio 21, negli anni è emerso che le società americane acquistano ancora circa 1 miliardo di dollari di uranio russo ogni anno, con gli sforzi per ridurre questa dipendenza considerati come falliti. Mosca è il principale esportatore di tecnologia atomica al mondo.
La Rosatom è altresì al centro di una controversia che coinvolge i Clinton, accusati di corruzione in un caso che coinvolge Uranium One, una società venduta a Rosatom. Secondo le accuse, ritenute dal mainstream come teorie del complotto, vi sarebbe una scandalosa bustarella da 145 milioni di dollari dietro alla cessione. La storia è raccontata dal libro di Peter Schweizer Clinton Cash.
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Immagine di MBH via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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