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Geopolitica

La pazza teoria: Trump e Khamenei sono d’accordo?

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Una vertiginosa speculazione corre in queste ore in rete, e oltre: il presidente americano Trump e l’ayatollah Khamenei avrebbero, in sostanza, una sorta di accordo.

 

Per cui, corollario di questa pazza teoria, quello che staremmo vedendo non sarebbe altro che quello che il gergo politico americano chiama kabuki, che possiamo tradurre con «teatrino». E per soprammercato, dicono gli osservatori, non sarebbe nemmeno la prima volta che ciò accade tra Trump e Teheran.

 

La speculazione su questo paradossale scenario parte infatti dall’uccisione da parte degli Stati Uniti del leader militare iraniano Qasem Soleimani nel 2020 e dall’attacco di risposta dell’Iran, che secondo il presidente Trump è stato essenzialmente un atto di guerra.

 

In un’intervista rilasciata alla Fox News nel 2020, Trump aveva affermato che il regime iraniano aveva fatto sapere agli Stati Uniti che avrebbero colpito una determinata area «al di fuori del perimetro» per far sembrare che stessero reagendo all’attacco di Soleimani, quando in realtà era tutto uno spettacolo.

 

«Ci hanno fatto sapere: “non muovetevi. Vi dovremo colpire psicologicamente”. Sapevamo che non avrebbero colpito all’interno del forte e i media stavano dicendo, e ora lo rivelo», aveva dichiarato Trump all’epoca, spiegando che l’Iran stava semplicemente cercando di «mostrare forza» ai soggetti più intransigenti al suo interno, puntando intenzionalmente i missili dove non avrebbero danneggiato le truppe statunitensi e implorando Trump: «per favore, non attaccateci. Non vi colpiremo».

 


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Come noto, gli attacchi USA non hanno prodotto vittime, e sembrerebbe pure non vi siano vere fughe di radiazioni.

 

A portare avanti la teoria dell’accordo sostanziale Washington-Teheran è un commentatore molto noto sul social X, Lord Bebo.

 

Tenendo conto della dichiarazione di Trump del 2020, Lord Bebo ha scritto un riassunto come possibile spiegazione i raid di sabato:

 

  • 1) Gli impianti nucleari iraniani sono stati evacuati e le attrezzature sono state spostate con giorni di anticipo.

 

  • 2) Gli Stati Uniti hanno annunciato pubblicamente e reso visibili i prossimi attacchi. Abbiamo visto tutti i bombardieri muoversi sul posto e la copertura mediatica che prevedeva l’attacco.

 

  • 3) Gli Stati Uniti hanno quindi colpito un impianto nucleare iraniano vuoto, poiché gli iraniani lo sapevano e lo avevano evacuato.

 

  • 4) I satelliti statunitensi hanno mostrato l’evacuazione delle strutture da parte degli iraniani, quindi gli americani sapevano che le strutture erano vuote e non operative.

 

  • 5) Gli Stati Uniti e l’Iran avevano tenuto dei colloqui segreti in Oman pochi giorni prima, ma nessuno sa cosa fosse stato concordato.

 

  • 6) Trump ha sostanzialmente spiegato che un accordo del genere era già stato concluso in precedenza.

 

  • 7) L’unica conclusione logica è che l’Iran e gli Stati Uniti abbiano stretto un accordo segreto per porre fine alla guerra. – Gli Stati Uniti colpiscono le strutture vuote – L’Iran reagirà ma mancherà il bersaglio.

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«Basta aspettare la risposta dell’Iran. Non le parole, ma la reazione fisica» scrive il Bebo. «Se non è troppo dura con le vittime, ma sembra grande… ho ragione. P.S.: È un’osservazione geopolitica che ho fatto. Potrei sbagliarmi. La gente deve capire che i governi non ci dicono la verità il più delle volte e che non tutto è come sembra. Le autorità hanno bisogno del consenso, quindi ti fanno degli spettacoli».

 

«Non arrabbiatevi. Consideratelo solo come un possibile scenario. Non sono qui per ripetere i discorsi dei media tradizionali di nessun paese, qui hai la sfumata posizione intermedia che ritengo giusta».

 

L’idea potrebbe trovare qualche conferma in notizie che escono dall’area.

 

Una fonte politica iraniana di alto rango avrebbe dichiarato all’agenzia di stampa della Penisola Arabica Amwaj Media che il team di Trump «avrebbe dato preavviso dei bombardamenti di siti nucleari e ha insistito sul fatto che fossero intesi come «un caso isolato».

 

Vi sarebbero insomma segnali del fatto che Trump voglia ripetere quanto accaduto nel gennaio 2020 con l’uccisione di Soleimani e la simbolica rappresaglia iraniana

 

Così si spiegherebbe lo strano, roboante videomessaggio delle scorse ore, che sembrava una dichiarazione di un conflitto finito piuttosto che di una guerra cominciata. In questo senso andrebbero pure letti i riferimenti continui ad Israele, sul quale pure Trump, in un inedito per un presidente USA, aveva invocato la protezione di Dio prima che addirittura per gli Stati Uniti.

 

Proprio Israele potrebbe essere l’oggetto di tutto il kabuki. Si tratta di una manovra per, nel medio termine, sbarazzarsi di Netanyahu, che continuerà a domandare istericamente altri attacchi ficcandosi in un vicolo cieco?

 

È noto come, nemmeno tanto dietro le quinte, Bibi non goda della simpatia di Trump. Probabilmente, il premier dello Stato Giudaico ha esaurito il credito anche presso altre capitali: è possibile pensare che anche Mosca sia un po’ stanca del personaggio, divenuto ancora più problematico da quando si è attorniato dalla gang messianca sionista (definizione del giornale israeliano Haaretz) che governa con lui e di cui lui oramai fa parte.

 

E Netanyahu, dicono in vari, è obbligato alla guerra (alle guerre) per altri motivi, non nobilissimi: lo aspettano, qualora perdesse l’incarico di premier, alcuni processi: questa è quantomeno la percezione che hanno molti suoi oppositori, che prima del 7 ottobre 2023, ricorderete, riempivano le città israeliane con oceaniche manifestazioni di protesta.

 

A questo punto tutto è possibile: sorprende vedere un politico della Florida (cioè, uno degli Stati dove l’elettorato ebreo conta di più), saltare sopra la pazza idea dello scontro solo simbolico con Teheran: Matt Gaetz, che forse ha qualche sassolino nella scarpa da quando lo hanno silurato come ministro della Giustizia USA (Attorney General), va oltre e in queste ore arriva a parlare di un Medio Oriente senza atomiche… comprese quelle di Israele.

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Avete letto bene: il giovane ex deputato floridiano chiede la fine del programma nucleare militare (segreto, illegale) dello Stato degli ebrei.

 

Ciò potrebbe rappresentare qualcosa di enorme: la castrazione atomica di Israele, una prospettiva semplicemente inimmaginabile. Toccare l’atomo dello Stato Ebraico può avere conseguenze incredibili. Alcuni sostengono che i Kennedy siano morti proprio per questo, perché si opponevano all’Israele nucleare.

 

Tuttavia, si tratta certamente, come per ogni progetto di disarmo atomico, di una prospettiva di pace. E Trump, ha detto varie volte, vuole che la pace sia il suo vero lascito.

 

C’è da credergli? C’è da pensare che stia davvero operando, nell’iperaruranio del dealmaker, con mosse di tale sofisticazione?

 

Adesso non possiamo dirlo.

 

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Geopolitica

Lavrov all’ONU parla di rinazificazione tedesca: «hanno lo stesso obiettivo di Hitler»

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I leader tedeschi stanno adottando politiche che richiamano gli obiettivi di Adolf Hitler di dominare l’Europa e infliggere una sconfitta strategica alla Russia, ha dichiarato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.   Durante una conferenza stampa dopo il suo intervento all’80ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, sabato, Lavrov ha affermato che le ambizioni militari della Germania vanno oltre la semplice difesa.   «Non si tratta solo di militarizzazione, ci sono chiari segnali di rinazificazione», ha detto ai giornalisti. «E perché si sta facendo questo? Beh, probabilmente con lo stesso obiettivo di Hitler: dominare tutta l’Europa. E cercare di infliggere una sconfitta strategica all’Unione Sovietica, nel caso di Hitler, e nel caso della Germania moderna e del coro dei principali solisti dell’Unione Europea e della NATO: alla Federazione Russa».   Il ministro degli Esteri ha criticato il cancelliere Friedrich Merz, accusandolo di voler trasformare la Germania nella «principale macchina militare d’Europa», citando la sua retorica sempre più bellicosa. Merz ha promesso di rendere la Bundeswehr il «più forte esercito convenzionale d’Europa» in un discorso tenuto meno di una settimana dopo l’80° anniversario della caduta del Terzo Reich, celebrato a maggio.   «Quando una persona in un Paese che ha commesso i crimini del nazismo, del fascismo, dell’Olocausto, del genocidio afferma che la Germania deve tornare a essere una grande potenza militare, allora ovviamente sta subendo un’atrofia della memoria storica, e questo è molto, molto pericoloso», ha detto Lavrov.

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Questa settimana, Merz ha dichiarato che «non siamo in guerra, ma non viviamo più in pace», chiedendo la confisca dei beni russi congelati per sostenere Kiev. A Bruxelles, questo piano di «prestiti di riparazione» è stato appoggiato dall’ex ministro della Difesa tedesco, ora presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.   Berlino intende quasi raddoppiare il proprio bilancio militare entro il 2029, indicato dai funzionari tedeschi come scadenza per essere «pronto alla guerra». Il ministro della Difesa Boris Pistorius ha dichiarato che la Bundeswehr deve prepararsi a combattere soldati russi se la «deterrenza» fallisce. Il presidente Frank-Walter Steinmeier ha chiesto il ripristino della coscrizione universale in caso di carenza di volontari.   Dal 2022, con l’escalation del conflitto in Ucraina, la Germania è diventata il secondo maggior fornitore di armi a Kiev dopo gli Stati Uniti, inviando carri armati Leopard, utilizzati e persi da Kiev nell’incursione nella regione russa di Kursk, teatro della più grande battaglia di carri armati della Seconda guerra mondiale.   In precedenza, Lavrov aveva sostenuto che le politiche di Berlino dimostrano il suo «coinvolgimento diretto» nella guerra per procura contro la Russia, avvertendo che l’Unione Europea nel suo complesso sta scivolando verso quello che ha definito un «Quarto Reich».   Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa la Russia ha annullato l’accordo di distensione con la Germania. Sei mesi fa, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, truppe tedesche sono state schierate sul fronte orientale per combattere la Russia.

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Geopolitica

Falliscono i colloqui Siria-Israele

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I negoziati tra Israele e Siria hanno subito un «ostacolo dell’ultimo minuto» a causa della richiesta israeliana di stabilire un corridoio sicuro in territorio siriano. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti.

 

Israele aveva proposto l’apertura di un «corridoio umanitario» verso la provincia di Sweida per fornire aiuti, ma Damasco ha rifiutato, considerandola una violazione della sovranità nazionale, ha riportato Reuters venerdì. Le forze israeliane hanno occupato la Siria meridionale dopo la caduta del governo di Bashar Assad a dicembre.

 

Fonti siriane e statunitensi hanno indicato che la richiesta di Gerusalemme Ovest ha fatto naufragare l’accordo.

 

Venerdì mattina, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato l’avvio dei colloqui tra i due Paesi. «Le vittorie di Israele sull’asse terroristico iraniano hanno aperto possibilità di pace impensabili due anni fa. Prendiamo la Siria: oggi abbiamo avviato seri negoziati con il nuovo governo siriano», ha dichiarato il premier dello Stato Giudaico.

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Nelle ultime settimane, Damasco e Gerusalemme Ovest erano vicine a un’intesa sui punti principali di un accordo, dopo mesi di trattative mediate dagli Stati Uniti. L’inviato speciale USA per la Siria, Tom Barrack, aveva dichiarato martedì che le parti erano prossime a un accordo di «de-escalation».

 

Secondo i termini proposti, Israele avrebbe interrotto i suoi attacchi, mentre la Siria si sarebbe impegnata a non dispiegare macchinari o equipaggiamenti pesanti vicino al confine israeliano. Una zona demilitarizzata avrebbe incluso la provincia di Sweida, dove centinaia di drusi sono stati uccisi negli ultimi mesi.

 

I negoziati si svolgono mentre il presidente ad interim siriano, Ahmed al-Sharaa (precedentemente noto come il terrorista jihaddista al-Jolani, che ha guidato la rimozione di Assad, ha compiuto una visita storica a New York per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Al-Jolani ha espresso la speranza di raggiungere un accordo di sicurezza, sottolineando che Damasco non sta «creando problemi a Israele». «Siamo noi ad avere paura di Israele, non il contrario», ha affermato.

 

Sharaa-Jolani ha anche ridimensionato le possibilità di un accordo storico che preveda il riconoscimento di Israele da parte della Siria.

 

Lo Stato Ebraico, che ospita una minoranza drusa di 120.000 persone i cui uomini servono nell’esercito israeliano, ha dichiarato di voler proteggere i drusi in Siria, giustificando i suoi attacchi militari con la necessità di difenderli.

 

Come riportato da Renovatio 21, Israele arma e finanziai combattenti drusi nella Siria meridionale.

 

Come riportato da Renovatio 21, ad agosto era stato riportato che Siria ed Israele stavano tenendo colloqui inediti a Parigi, mediati dagli Stati Uniti. Due mesi fa al-Jolani aveva lasciato capire che potrebbe rinunciare alla rivendicazione di sovranità del Paese sulle alture del Golan occupate da Israele in cambio della normalizzazione dei rapporti con lo Stato Ebraico.

 

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Immagine di Israel Defense Forces via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

 

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Geopolitica

La Cina testerà la rotta rapida artica verso l’Europa

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La Cina si appresta a inaugurare una nuova rotta marittima lungo la costa settentrionale russa, attraverso l’Artico, diretta verso l’Europa. Lo riporta Politico.   La Rotta del Mare del Nord (NSR), che si snoda per migliaia di chilometri nelle acque artiche lungo la costa settentrionale della Russia, è diventata più praticabile grazie allo scioglimento dei ghiacci marini ed è stata accolta a Mosca come un’opportunità per nuovi progetti internazionali.   Il 20 settembre, la Cina invierà la nave portacontainer Istanbul Bridge, accompagnata da rompighiaccio, per un viaggio di 18 giorni dal porto di Ningbo-Zhoushan a Felixstowe, nel Regno Unito. Questa rotta è notevolmente più veloce rispetto alle tratte tradizionali, che richiedono circa 40 giorni attraverso il Canale di Suez, 50 giorni passando per il Capo di Buona Speranza, all’estremità meridionale dell’Africa, e circa 25 giorni tramite le ferrovie eurasiatiche.   «L’Artico è la prima regione in cui il cambiamento climatico sta ridefinendo la mappa geopolitica», ha dichiarato a Politico Malte Humpert dell’Arctic Institute, sottolineando che la regione sta «modificando le dinamiche geopolitiche grazie alle risorse e all’accesso alle rotte di navigazione».   Humpert ha osservato che, nonostante la maggior parte del commercio globale passi ancora attraverso il Canale di Suez, il Mediterraneo e Singapore, l’Artico potrebbe presto diventare un’alternativa, con un percorso più breve di circa il 40% e «molta meno incertezza geopolitica».

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Queste osservazioni arrivano in un contesto in cui rotte tradizionali come il Canale di Suez affrontano problemi come l’aumento della pirateria vicino al Corno d’Africa e attacchi con missili e droni nel Mar Rosso, spingendo alcune navi a deviare verso l’Africa.   La Russia ha più volte sollecitato una cooperazione internazionale per lo sviluppo dell’Artico. All’inizio di quest’anno, il presidente russo Vladimir Putin ha illustrato gli obiettivi per la regione, tra cui rendere la Rotta del Mare del Nord un elemento chiave del Corridoio di Trasporto Transartico e incrementare i volumi di carico a 70-100 milioni di tonnellate entro la fine del decennio.   Putin ha anche annunciato piani per garantire la navigazione tutto l’anno, supportata dall’esclusiva flotta di rompighiaccio nucleari russi, oltre a espandere i porti esistenti, come Murmansk, e costruirne di nuovi lungo la rotta, sottolineando le enormi opportunità di estrazione di petrolio, gas, metalli e terre rare nell’Artico, promuovendo joint venture con partner stranieri come Cina, India, Emirati Arabi Uniti e altri. Putin si è anche impegnato a sviluppare le città artiche e a incentivare il turismo nella regione.  

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