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Sorveglianza

Dittatura sanitaria e totalitarismo elettronico: arcidiocesi ortodossa riflette sul disastro pandemico e le sue conseguenze

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Renovatio 21 in traduzione italiana un comunicato dell’Arcidiocesi Ortodossa di Corfù, che affronta il tema scottante del controllo digitale, messo in relazione anche alle recenti esperienze di controllo sanitario pandemico. La questione è particolarmente viva in Grecia, soprattutto in virtù dell’obbligo recentemente imposto dallo Stato a ogni cittadino di adottare le nuove carte d’identità elettroniche (del tutto simili a quelle in vigore, pressoché obbligatoriamente, in Italia da alcuni anni ormai), a cui molti fedeli e chierici si stanno strenuamente opponendo: alcuni mesi fa un gruppo di abati di monasteri athoniti e di altri monasteri greci ha sottoscritto una lettera aperta in cui si spiegavano con dettaglio i gravi pericoli spirituali della predetta carta biometrica. Come riportato da Renovatio 21, anche il patriarcato di Mosca, per bocca dello stesso Cirillo I, aveva attaccato la questione della sorveglianza biometrica

 

 

Una riflessione sulla crisi contemporanea della persona

 

La nostra epoca è caratterizzata da una drammatica e rapida transizione dalla dittatura sanitaria – quale quella che è stata instaurata durante la pandemia – a una forma di totalitarismo elettronico, in cui la persona umana subisce la minaccia di una completa spersonalizzazione.

 

Tale fenomeno non è semplicemente politico o sociale. Si tratta invero di un profondo problema teologico. La vita spirituale, la libertà della persona e la capacità dell’uomo di vivere in comunione con Dio sono minacciate da questa nuova condizione, che, nonostanti le sue pretese tecnologiche, non è nient’altro che una nuova forma di schiavitù.

 

Nel periodo della pandemia si è imposto un severo regime di controllo, basato sull’errata convinzione che lo stato abbia la facoltà di garantire la salute e la salvezza dell’uomo attraverso restrizioni, divieti e confinamenti di massa.

 

Per la prima volta nella storia contemporanea è stata impedita l’apertura delle chiese, la possibilità dei fedeli di accedere ai Misteri, la vita canonica della Chiesa. La persona, all’interno e all’esterno della Chiesa, è stata combattuta come portatrice di pericolo, e la società è stata trasformata uno spazio di sorveglianza, sospetto e isolamento.

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Tale esperienza non è stata temporanea. È stata il preludio di una nuova realtà: della dittatura elettronica, dove la medesima logica della sorveglianza digitale si applica ormai a ogni aspetto della vita.

 

Il cosiddetto «Stato digitale» non viene per servire al cittadino: viene per definirlo, limitarlo, controllarlo e infine manipolarlo. L’uomo viene trasformato in un numero, in un dato, in una statistica. Perde la sua persona. E questa è la cosa più tragica.

 

Le minacce contemporanee alla libertà non si limitano però più ai regimi politici di violenza, ma si penetrano con metodi più subdoli e universali nella stessa struttura dell’esistenza umana, sotto l’aspetto di comodità, tecnologia e informazione, così che la persona umana divenga prevedibile e controllabile attraverso la continua raccolta di dati biometrici e psicologici.

 

L’Intelligenza Artificiale e gli algoritmi si arrogano il diritto di conoscere l’uomo meglio di quanto egli conosca se stesso. Si tratta di un «controllo dall’interno», dove la libera volontà viene soppressa non mediante costrizioni, ma attraverso la programmazione e la suggestione.

 

La teologia Ortodossa nondimeno considera la persona non come una mera entità biologica o sociale, ma come una essenza irripetibile. San Gregorio il Teologo scrive: «ciò che si unisce a Dio, questo è la persona».

 

Cioè, la persona non è soltanto qualcosa di fisico o di psicologico, ma si manifesta nel suo libero rapporto con Dio. L’uomo diventa persona quando sussiste «in comunione», quando supera la sua stessa natura nella relazione con Dio, nell’amore e nella libertà.

 

Questa libertà oggi la Chiesa è chiamata a difendere. Poiché, come tuona il grande Atanasio, «Iddio non ha creato l’uomo come servo, ma libero»; e san Massimo il Confessore soggiunge: «la libertà della persona è l’operazione del divino volere nel mondo».

 

Quando, dunque, l’uomo perde la possibilità di scegliere, di professare sé stesso, di vivere secondo coscienza, allora non è minacciata soltanto la sua libertà politica, ma anche la sua salvezza.

 

La libertà teologica non è un concetto astratto. È il modo con cui l’uomo partecipa al mistero della divinizzazione.

 

La gestione impersonale, massificata e digitale degli uomini è estranea a tale concezione. Poiché Iddio non salva «gruppi» o «collettivi», ma persone: non si rivolge a numeri, ma a nomi.

 

Lo stesso Cristo lo spiega: «io sono il buon pastore e conosco le mie pecore, ed esse mi conoscono» (Gv 10,14). Tale conoscenza è la relazione, la riconoscenza, l’amore personale.

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All’opposto, il totalitarismo – sia sanitario che digitale – mira a distruggere tale relazione. Quando l’individuo è considerato al pari dell’ingranaggio di un sistema, allora s’indebolisce la sua vita spirituale, si schiavizza la sua coscienza e si sopprime la sua libertà.

 

La voce profetica dei padri ci avverte: «la verità non si concilia con la menzogna, né la libertà con la costrizione» (San Giustino Popovich).

 

La sociologia del potere e del controllo, che si è particolarmente sviluppata, mostra che ogni sistema sociale elabora meccanismi di potere che penetrano nel corpo e nel pensiero dell’uomo.

 

Tuttavia, al contrario delle epoche passate, oggi il controllo non viene esercitato principalmente mediante violenza fisica, ma con mezzi tecnologici e invisibili, i quali rendono il cittadino trasparente davanti allo Stato, ma invisibile come persona. La «gestione della popolazione» diventa l’obbiettivo principale, e non il servizio dell’uomo.

 

Il controllo oggi è giunto al livello d’interiorizzazione nell’individuo stesso. L’uomo impara a controllare se stesso secondo le prescrizioni del sistema, anche senza costrizione esterna.

 

Il Cristianesimo tuttavia chiama l’uomo non all’autocensura, ma alla conversione: non alla conformazione, ma alla trasfigurazione; non all’obbedienza meccanica, ma alla comunione volontaria con il volere di Dio.

 

 

La Chiesa ha l’obbligo di proteggere la libertà dei suoi membri. Non è possibile accettare l’imposizione universale di un fascicolo elettronico, che unisce tutti i dati personali in un’unica forma numerica.

 

Non è possibile accettare che il potere statale conosca al contempo il numero di conto corrente, la situazione sanitaria, lo stato fiscale e l’identità religiosa di ogni cittadino, e che possa regolare la sua vita di conseguenza. Questo non è affatto progresso tecnologico. È soppressione dell’autonomia personale, del libero arbitrio e dell’identità spirituale.

 

La democrazia, come sistema di governo che si vorrebbe fondato sulla libertà e sull’uguaglianza delle persone, ha già cominciato a lasciare il posto a forme di totalitarismo più lieve o più aspro, nel momento in cui manca ormai un controllo e una responsabilità effettiva di chi governa.

 

Le decisioni vengono prese senza reale dialogo con la società: le leggi vengono imposte senza rispetto per la coscienza dei cittadini: e la Chiesa viene trattata non come Corpo di Cristo, ma come un’organizzazione subordinata a un protocollo statale.

 

La Chiesa non può tacere di fronte alla trasformazione dell’uomo in numero. Non può venire a patti con un sistema che, in nome del progresso, distrugge la libertà, scheda la persona, e ne annienta la dimensione spirituale.

 

Né può sottostare a logiche tecnocratiche che mettono estromettono Dio dalla vita pubblica. Lo predice la Scrittura: «verranno tempi difficili» (2 Tim. 3,1). Questo tempo non è prossimo, ma già presente. E si richiede alla Chiesa di resistere non come conservatrice del passato, ma come custode della verità e della libertà.

 

San Giovanni Crisostomo insegna che la Chiesa è «il comune ospedale» delle anime, ma anche delle società. La società oggi è malata: e la sua malattia è essenziale e spirituale.

 

Viene guidata a una forma di nichilismo globale, in cui la tecnologia sostituisce l’etica, e l’informazione sostituisce la sapienza e la fede.

 

In tale frangente, la Chiesa è chiamata a ricordare che non esiste vera società senza Dio: e che ogni tentativo di privare l’uomo della sua relazione personale con il Creatore è spiritualmente deleteria.

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La sociologia del controllo mette in evidenza il meccanismo della «normalizzazione», cioè dell’introduzione di modelli di comportamento che rendono l’uomo sostituibile e controllabile.

 

La Chiesa tuttavia propone un altro modo di vita: la libertà dello Spirito, la resistenza ascetica all’omologazione, la santità come superamento di ogni conformismo esterno. L’opposizione è radicale: non si tratta di una questione di scelta amministrativa, ma di una lotta spirituale.

 

In qualità di Vescovo della Chiesa, ritengo di avere la responsabilità non solo di osservare, ma anche di prendere posizione.

 

Non possiamo accettare la trasformazione della persona in numero, la sua digitale e universale schedatura e la sua sottomissione ai dettami di un sistema centralizzato e disumano che non conosce Dio e tiranneggia l’uomo. La Sacra Scrittura ci avvisa: «verranno tempi difficili». Non è possibile tacere di fronte al principio delle sventure.

 

La Chiesa è chiamata a resistere come Arca della libertà, come luogo di resistenza all’omologazione della persona e conseguentemente della società. A proclamare di nuovo la dignità dell’uomo come icona di Dio, a proteggere la sacertà della sua libertà, e a ricordare a tutti che la salvezza non passa attraverso gli algoritmi e l’apprendimento tecnologico, ma attraverso la comunione in Cristo.

 

È ormai tempo di vigilanza. È tempo di testimonianza.

 

Mons. Nettario

Metropolita di Corfù, di Passo e delle Isole Ioniche

 

Traduzione dal neogreco di Nicolò Ghigi

 

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Immagine di Cezar Suceveanu via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata

 

 

 

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Sorveglianza

La nuova legge di Berlino consente alla polizia di installare spyware nelle case

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La polizia di Berlino potrà introdursi clandestinamente nelle abitazioni private per installare spyware, dopo che giovedì il Parlamento regionale (Abgeordnetenhaus) ha approvato a larga maggioranza una drastica revisione della legge sulla polizia della capitale.   Il testo, sostenuto dalla grande coalizione CDU-SPD e votato a favore anche dall’AfD, attribuisce alle forze dell’ordine poteri di sorveglianza fisica e digitale senza precedenti.   Tra le novità più invasive: se l’accesso remoto non è tecnicamente impossibile, gli agenti potranno forzare fisicamente l’ingresso in casa di un sospettato per collocare software spia; sarà inoltre consentito l’hacking legale di smartphone e computer per intercettare le comunicazioni in tempo reale. Le bodycam potranno essere attivate anche all’interno di abitazioni private qualora si ritenga che una persona sia in pericolo grave e imminente.   La riforma, approvata giovedì, amplia inoltre la videosorveglianza negli spazi pubblici: raccolta massiva di dati telefonici di tutti i presenti in una determinata area, lettura automatica delle targhe, contrasto ai droni, impiego di riconoscimento facciale e vocale su immagini di telecamere, e utilizzo dei dati reali della polizia per addestrare sistemi di intelligenza artificiale. I critici denunciano il rischio di abusi e una pesantissima compressione della privacy.

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La senatrice SPD agli Interni Iris Spranger ha difeso la norma: «Con la più grande riforma della legge sulla polizia di Berlino degli ultimi decenni, stiamo creando un significativo vantaggio per la protezione dei berlinesi», ha dichiarato. «Stiamo fornendo alle forze dell’ordine strumenti migliori per combattere il terrorismo e la criminalità organizzata».   A Berlino nel 2024 sono stati registrati oltre 539.000 reati, in aumento rispetto all’anno precedente; sono cresciuti anche i delitti violenti, le aggressioni e la violenza domestica. Le autorità segnalano un incremento preoccupante di crimini commessi da giovani e migranti, mentre più della metà dei reati resta senza colpevole identificato.   Dall’approvazione della legge le proteste non si sono fermate. Durante il dibattito parlamentare, il deputato dei Verdi Vasili Franco ha definito il testo «la lista dei desideri di uno Stato autoritario di sorveglianza». Le associazioni per i diritti civili parlano di «un «massiccio attacco alle libertà civili», mentre la campagna NoASOG ha dichiarato: «Ciò che viene spacciato per politica di sicurezza è in realtà l’istituzione di uno stato di sorveglianza autoritario».  

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Immagine di Lear 21 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 
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Perquisita la casa di un professore tedesco per un tweet che criticava l’ideologia woke

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La polizia tedesca ha effettuato un’irruzione nell’abitazione di un docente universitario conservatore a seguito di un tweet critico verso l’ideologia woke.

 

L’operazione si è svolta giovedì mattina a Berlino, nella casa di Norbert Bolz, noto pubblicista e studioso di media, ex professore di studi sui media presso l’Università Tecnica di Berlino fino al 2018.

 

L’irruzione rientra in un’indagine sull’uso di simboli di organizzazioni incostituzionali, come previsto dall’articolo 86a del codice penale tedesco.

 

Il 20 gennaio 2024, Bolz ha pubblicato un post su X, scrivendo: «Ottima traduzione di “woke“: Germania, svegliati! [in tedesco: “Deutschland erwache“]», citando un articolo del quotidiano di sinistra Taz, che aveva usato la stessa espressione nel titolo: «Divieto dell’AfD e petizione Höcke: la Germania si risveglia [in tedesco: “Deutschland erwacht“]».

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La frase «Deutschland erwache» (La Germania si risveglia) era un verso dello «Sturmlied», inno del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori. Sebbene Bolz l’abbia utilizzata in modo sarcastico e citando il giornale di sinistra, la Procura ha deciso di emettere un mandato di perquisizione per la sua abitazione, indagandolo per l’uso di un’espressione legata a un’organizzazione vietata, il Partito Nazista.

 

Bolz, noto commentatore politico con oltre 91.000 follower su X e frequente ospite di talk show, è stato difeso dal suo avvocato, Joachim Steinhöfel, esperto di diritto dei media. In una dichiarazione ad Apollo News, Steinhöfel ha criticato l’irruzione: «Siamo di fronte a una preoccupante perdita di controllo del sistema giudiziario penale, che sembra aver coinvolto anche l’Ufficio federale di polizia criminale. Quando un rinomato studioso come il professor Bolz subisce una perquisizione domiciliare per un tweet chiaramente ironico, c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro Stato di diritto».

 

«Non è accettabile che le autorità non riescano più a distinguere tra propaganda criminale ed espressione legittima di opinioni», ha aggiunto.

 

Bolz ha espresso il suo turbamento in una dichiarazione al sito Nius: «Di solito scrivo e parlo di questo mondo. È spaventoso quando questa realtà bussa improvvisamente alla tua porta. Non sono scioccato, perché me lo aspettavo. Ma constatare che la situazione è esattamente come descritta dalle analisi critiche è inquietante sotto ogni punto di vista».

 

Le autorità tedesche sono note per effettuare perquisizioni domiciliari a causa di post online, soprattutto se in contrasto con l’ortodossia della sinistra dominante.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso, la polizia ha fatto irruzione nella casa di un anziano per aver condiviso un meme che definiva «idiota» l’allora vice-cancelliere dei Verdi tedeschi.

 

Quattro mesi fa si sono avuto raid della polizia alle sei del mattino in tutta la Germania per prendere di mira centinaia di individui sospettati di aver insultato i politici o di aver diffuso «odio e incitamento» online. L’azione massiva, condotta dall’Ufficio federale di polizia criminale (BKA), utilizzava il nuovo articolo 188 del Codice penale per colpire gli individui accusati di razzismo e incitamento all’odio.

«Quando la polizia è alla porta, ogni colpevole si rende conto che i crimini d’odio hanno delle conseguenze», ha scritto su X il ministro degli Interni Nancy Faeser, vantandosi delle retate. La Faeser nota per la sua volontà di introdurre programmi contro l’«estremismo di destra» fra i bambini dell’asilo.

 

Mesi fa un tribunale distrettuale tedesco ha condannato il caporedattore della rivista conservatrice Deutschland-Kurier a sette mesi di carcere per aver diffamato l’allora ministro degli Interni Faeser – proprio quella dei corsi contro l’estremismo di destra per i bambini di tre anni nei kindergarten – con quello che era chiaramente un meme satirico.

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La repressione più dura si abbatte in Germania da anni, prendendo di mira soprattutto AfD, perseguitata dagli stessi servizi di sicurezza della Budesrepubblica. Infatti, i servizi di sicurezza interna tedeschi BfV hanno messo sotto sorveglianza il loro stesso ex capo, Hans-Georg Maaßen.

 

L’ondata di perquisizioni segue il divieto di Compact Magazine, una testata sovranista dove erano pure apparsi saggi del segretario di Stato USA Marco Rubio sui limiti dell’ordine mondiale del dopoguerra, e la sua cancellazione da internet. Questa settimana, un tribunale federale di primo grado ha stabilito che il divieto non era costituzionale e costituiva una violazione della libertà di stampa, infliggendo un duro colpo al Ministero dell’Interno federale.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Germania è il Paese dove mesi fa un cittadino è stato multato per aver criticato giudice che ha solo multato un immigrato per lo stupro di una 15enne: al cittadino tedesco è stata comminata una multa doppia rispetto a quella dell’immigrato stupratore.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso un tribunale di Amburgo ha condannato un uomo a tre anni di galera per aver giustificato l’«aggressione russa» all’Ucraina su Telegram.

 

Come riportato da Renovatio 21, il caso più avanzato di repressione di libertà di parola pare essere la Gran Bretagna, dove almeno 12 mila persone all’anno sono messe in galere per frasi sui social. In Albione si è arrivati a condannare persino chi prega con la mente.

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Sorveglianza

Il nuovo presidente della Bolivia vuole la blockchain per combattere la corruzione

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Il presidente eletto della Bolivia, Rodrigo Paz, punta a combattere la corruzione nel governo boliviano attraverso la tecnologia blockchain.   Paz ha sconfitto il rivale Jorge Quiroga con il 54,5% dei voti contro il 45,5% e assumerà la carica l’8 novembre. Con un messaggio centrista e favorevole al mercato, Paz ha vinto il ballottaggio di domenica, ereditando un’economia provata dalla carenza di carburante e dalla limitata disponibilità di dollari statunitensi, come riportato dall’AP. Per gli esperti del settore delle criptovalute, il programma di governo di Paz include due proposte specifiche legate alle risorse digitali e alla blockchain.   La prima proposta prevede l’uso della blockchain e degli smart contract negli appalti pubblici. Il programma ufficiale del Partido Demócrata Cristiano de Bolivia per il 2025 promette l’adozione di tecnologie blockchain e contratti intelligenti per eliminare la discrezionalità negli acquisti statali, con l’obiettivo di ridurre la corruzione automatizzando alcuni processi contrattuali.

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La seconda iniziativa consente ai cittadini di dichiarare le criptovalute in un nuovo fondo di stabilizzazione valutaria, sostenuto da un programma di regolarizzazione delle attività che include esplicitamente le criptovalute. Secondo il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, tali fondi servono a stabilizzare la valuta e a coprire importazioni essenziali in caso di scarsità di dollari. L’inclusione delle criptovalute permette al governo di tassarle o convertirle rapidamente in valuta forte, senza detenere token volatili.   Paz adotta un approccio pragmatico alle criptovalute, senza essere un sostenitore estremo del Bitcoin. La sua piattaforma considera la blockchain uno strumento anticorruzione e le criptovalute dichiarate come parte di un’iniziativa una tantum per capitalizzare un fondo di stabilizzazione valutaria. Non ci sono indicazioni di politiche per adottare il Bitcoin a livello nazionale, conservarlo nelle riserve o legalizzarne l’uso al dettaglio.   A giugno 2024, la Banca Centrale della Bolivia ha revocato il divieto sulle transazioni in criptovalute, autorizzando canali elettronici regolamentati e segnalando una modernizzazione dei pagamenti, scrive Cointelegraph. Nei mesi successivi, il volume medio mensile di scambi di asset digitali è raddoppiato rispetto alla media dei 18 mesi precedenti, secondo la banca.   Il cambiamento si è riflesso nell’economia reale. A ottobre 2024, Banco Bisa ha introdotto la custodia di USDT per le istituzioni, un primato tra le banche boliviane. A marzo, la compagnia petrolifera statale YPFB ha esplorato l’uso di criptovalute per le importazioni di energia, in un contesto di carenza di dollari. A settembre, i distributori locali di marchi automobilistici come Toyota, Yamaha e BYD hanno iniziato ad accettare USDT, segno di una crescente sperimentazione tra i commercianti.   Il 31 luglio, la banca centrale ha firmato un memorandum con El Salvador, definendo le criptovalute un’«alternativa valida e affidabile» alla valuta fiat e impegnandosi a collaborare su strumenti politici e di intelligence per modernizzare i pagamenti e promuovere l’inclusione finanziaria.   La banca ha riportato che i volumi mensili di scambio di criptovalute hanno raggiunto i 46,8 milioni di dollari al mese, con un totale di 294 milioni di dollari da inizio anno al 30 giugno.  

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