Economia
Trump e la nomina dell’ugonotto gay uomo di Soros: il futuro segretario del Tesoro USA ha partecipato all’attacco alla lira del 1992?

La nomina a segretario del Tesoro da parte di Trump di Scott Bessent – omosessuale «sposato» con figli surrogati, vera discendenza ugonotta e un passato di manager per i fondi speculativi di Giorgio Soros – non cessa di far discutere, et pour cause.
Dopo quella che diversi media hanno descritto come una «lotta al coltello» tra vari contendenti di Wall Street, la scelta finale è andata all’ugonotto Bessent, che attualmente gestisce un hedge fund chiamato Key Square Capital Management, creato nel 2015 con asset per 4,5 miliardi di dollari, di cui due miliardi, secondo quanto è stato scritto, sarebbero stati dati direttamente dal Soros.
Vari media hanno sottolineato i legami di lunga data di Bessent con il mega-speculatore George Soros, da sempre una bestia nera per il campo MAGA – testimone che il vecchio ebreo ungherese avrebbe ora passato al figlio Alex Soros, disprezzato apertis verbis come puparo dei democrat da Elon Musk, il quale si sarebbe pure opposto alla nomina del Bessent.
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Un articolo del londinese Economist, intitolato «Cosa significa la nomina di Scott Bessent per l’amministrazione Trump», sottolinea la profondità, la durata e l’entità dei legami di Bessent con Soros: nientemeno che la immane speculazione che portò alla devastazione della valuta britannica 32 anni fa, la sterlina attaccata da Soros in una mossa che trascinò nella polvere, come tutti dovrebbero ricordare, anche la lira italiana.
«Nel 1992, come giovane gestore di portafoglio presso Soros Fund Management, avvisò Stanley Druckenmiller, un partner della società, che la Banca d’Inghilterra probabilmente non sarebbe stata disposta a difendere la sterlina, poiché l’economia britannica era in difficoltà. Druckenmiller e George Soros hanno continuato a fare una delle operazioni di hedge fund più famose e di successo di tutti i tempi: hanno scommesso contro la sterlina e “hanno fatto saltare la Banca d’Inghilterra”, guadagnando 1 miliardo di dollari nel processo».
«Quando Bessent ha deciso di gestire il suo fondo nel 2015, lo ha fatto con un investimento di 2 miliardi di dollari dal signor Soros» scrive l’Economist. «Scegliendo alla fine il signor Bessent, Trump si è schierato con il suo istinto di mantenere felici i mercati. La sua scelta suggerisce che potrebbe davvero essere limitato dalla loro reazione, almeno quando si tratta di politica economica».
«Questa è una buona notizia per chiunque sia preoccupato di quanto radicale possa essere in carica» scrive ancora il giornale inglese, partecipato dalle famiglie Rotschild e Elkann. «Questa situazione non è affatto pacifica. Implica che il desiderio di Trump di placare i mercati sarà in guerra con la sua tendenza a fare qualcosa di irrazionale semplicemente perché è frustrato. In bocca al lupo, quindi, al signor Bessent».
Un’altra importante voce della City di Londra, il Financial Times, ha anche espresso soddisfazione per la nomina del Bessent. In una valutazione interna del 24 novembre, FT ha attirato l’attenzione sull’ossessione di Trump per le performance del mercato azionario come una vulnerabilità chiave che potevano manipolare.
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«Trump sapeva che non poteva permettersi un passo falso. Doveva trovare una persona sposata con le politiche economiche populiste che aveva sostenuto durante la campagna elettorale, tra cui tariffe radicali. Ma aveva anche bisogno di qualcuno di cui fidarsi per proteggere la metrica a cui teneva di più: il mercato azionario statunitense».
Quindi, quando alla fine è stato scelto Bessent, ciò ha portato a «un senso di sollievo tra molti investitori di Wall Street (…) La sua offerta è stata rafforzata dal sostegno di persone potenti nei circoli MAGA, in particolare Steve Bannon, ex stratega politico di Trump, e Lindsey Graham, senatore repubblicano della Carolina del Sud, consolidando la sua statura come candidato consensuale».
L’attacco alla sterlina è ancora ben presente nella mente di tanti quadri del potere politico e finanziario britannico. Londra, che pure lo aveva ospitato e nutrito come profugo di guerra e poi giovane e fortunato investitore, sarebbe risentita risentita, al punto che uno degli ultimi film di James Bond (che si narra debbano aver l’imprimatur dei servizi inglesi, ma potrebbe essere una leggenda), Quantum of Solace, potrebbe avere già nel titolo un riferimento al Soros cattivone della vera Spectre: il primo hedge fund gestito da Soros dalle Antille Olandesi – per il quale si sono sprecate le illazioni, e dove nessun dipendente del fondo era americano, tanto per assicurarsi che le autorità americane mai potessero ficcare il naso nei suoi affari, si chiamava appunto Quantum Fund.
Non è ancora chiaro, a questo punto, quale ruolo il Bessent possa avere avuto nella grande manovra che, sempre quel mercoledì 16 settembre 1992, distrusse anche la lira italiana, in un movimento perpetrato da Soros che incatenava le valute di ambedue i Paesi europei: entrambi, temporaneamente, dovettero uscire dallo SME, il sistema monetario europeo, perché incapaci di mantenere un tasso di cambio sulla soglia minima di fluttuazione richiesta alle Banche Centrali europee.
Secondo calcoli, l’attacco di Soros all’Italia fece perdere in poche ore il 7% del valore sul dollaro, mandandola Borsa di Milano – con i maggiori titoli crollati: Generali, FIAT, Commerciale Italiana – in caduta libera (-5%), con un valore bruciato stimato in 6.700 miliardi di lire, pari, più o meno, a 3,5 miliardi di euro attuali – il tutto, ripetiamo, in una sola giornata, il mercoledì nero.
Dopo tale immane mossa di speculazione finanziaria – simile a quella con cui fece crollare valute asiatiche come l’indonesiano ringitt – che portò al crollo della lira sul dollaro e sul marco tedesco, il Soros fu poi premiato da Romano Prodi con una laurea honoris causa a Bologna nel 1997.
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Bisogna ricordare che riguardo l’attacco distruttivo contro la nostra valuta nazionale molte persone attive in quelle ore concitate, fecero carriera.
Giuliano Amato, socialista stranamente sopravvissuto all’ecatombe giudiziaria di Mani Pulite, era premier: venne eletto di nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri nel 2000.
Carlo Azeglio Ciampi, livornese che era governatore alla Banca d’Italia, fu fatto primo ministro e poi Presidente della Repubblica.
Draghi, pochi mesi prima, aveva dichiarato sul panfilo inglese Britannia che l’economia italiana sarebbe stata privatizzata: per gli investitori una manna, soprattutto dopo il mercoledì nero di Soros avvenuto pochi mesi dopo. I prezzi di qualsiasi bene svenduto dallo Stato, crollata la moneta, già partiva scontato di una percentuale quasi a doppia cifra. Draghi era allora direttore generale del tesoro: divenne più tardi Governatore della Banca d’Italia, poi 3° presidente della Banca Centrale Europea, poi primo ministro italiano.
Ricordiamo che chi si opponeva diametralmente allo sconquasso sorosiano, la carriera, invece che vederla decollare, la vedeva terminare: negli anni successivi, dall’esilio tunisino, l’ex leader PSI Bettino Craxi fece il nome di Soros come devastatore dell’economia italiana.
È un processo storico: chi si oppone alla desovranizzazione delle nazioni, della società, della famiglia, dell’individuo – operazione globale della quale Soros è munifico titano – viene cancellato dal discorso.
Rebus sic stantibus, non pensiamo che le cose rimarranno così a lungo senza che vi sarà una reazione patente.
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Immagine di International Monetary Fund via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Peggiora la bolla dell’economia USA

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Economia
Il FMI avverte; grave deficit nelle finanze dell’Ucraina

L’Ucraina deve affrontare un crescente deficit di bilancio che potrebbe richiedere ulteriori miliardi di dollari in aiuti esterni per sostenere il conflitto con la Russia. Lo riporta Bloomberg, citando fonti del Fondo Monetario Internazionale.
Il Paese, che destina circa il 60% del bilancio alla guerra, dipende fortemente dagli aiuti occidentali per coprire pensioni, stipendi pubblici, servizi essenziali, debito e bisogni umanitari.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2023 Kiev ha ricevuto un prestito di 15,5 miliardi di dollari dal FMI, di cui 10,6 miliardi già erogati, basato sull’ipotesi che il conflitto terminasse quest’anno, con scadenza nel 2027. Tuttavia, Kiev ha richiesto un nuovo piano di finanziamento, stimando un fabbisogno di 37,5 miliardi di dollari nei prossimi due anni se la guerra proseguisse. Secondo Bloomberg, il FMI valuta che potrebbero servire 10-20 miliardi in più, per un totale di 57,5 miliardi.
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Come riportato da Renovatio 21, un anno prima il regime ucraino aveva chiesto ai creditori di cancellare i suoi 67 miliardi di debito.
Gli Stati Uniti stanno spingendo il G7 per il sequestro dei beni russi congelati, mentre l’UE, principale donatore dopo la riduzione degli aiuti USA con il ritorno di Trump, ha impegnato 21 miliardi di dollari, erogandone circa la metà nel 2024, utilizzando i profitti dei 300 miliardi di beni russi congelati. Il G7 ha approvato un piano di prestiti da 50 miliardi, da rimborsare con questi guadagni, ma la confisca totale dei beni russi resta controversa per questioni legali.
La portavoce del FMI, Julie Kozack, ha confermato l’avvio di colloqui con Kiev per un nuovo programma di sostegno, senza menzionare il deficit. Un accordo sulla cifra del prestito è atteso a breve. L’Ucraina fatica a ottenere nuovi fondi, mentre la Russia critica gli aiuti occidentali, definendo l’uso dei beni congelati una «rapina» che viola il diritto internazionale e mina la fiducia nel sistema finanziario globale.
I debiti dell’Ucraina verso i creditori esteri sono cresciuti costantemente sotto ciascuno dei suoi governi. L’ex presidente Leonid Kuchma è stato l’unico dei sei presidenti post-indipendenza del Paese ad adottare misure per cercare di ridurre l’onere del debito tra l’inizio e la metà degli anni 2000.
L’Ucraina è diventata membro del Fondo monetario internazionale nel 1992, con il creditore che ha fornito al Paese decine di miliardi di prestiti condizionali che hanno richiesto al Paese di attuare riforme economiche volte ad aprire il paese ai mercati esteri, prevalentemente occidentali.
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Nel 1992 il debito estero era zero, grazie all’impegno della Russia ad assumere i 100 miliardi di dollari di passività dell’Unione Sovietica. I successivi governi ucraini hanno accumulato decine di miliardi di dollari in obbligazioni nei confronti di creditori esteri, incluso il Fondo monetario internazionale, gli Stati Uniti e l’Unione Europea.
Il Paese, in teoria, è ricco di materie prime, grandi industrie di eredità sovietica (Azovstal’ era l’acciaieria più grande d’Europa), mano d’opera molto qualificata. La domanda quindi diviene: perché l’Ucraina negli anni è diventato il Paese più povero d’Europa? Semplice: tutto il danaro agli oligarchi, briciole o meno ancora al popolo – il quale, povero e disperato, è facile quindi da radicalizzare, nazificando le bande ultras e altri gruppuscoli spiantati.
In molti considerano l’Ucraina l’immagine precisa di quello che sarebbe divenuta la Russia, tra oligarchi e predatori internazionali e povertà diffusa, se non fosse salito al potere agli albori del millennio Vladimir Putin.
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Immagine di Juan Antonio Segal via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Economia
L’agenzia di rating Fitch declassa l’economia francese

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