Politica
Musk: gli americani non hanno un presidente da un po’

Venerdì scorso il magnate della tecnologia Elon Musk è intervenuto sulla corsa alla presidenza degli Stati Uniti sulla sua piattaforma social X, nel mezzo delle polemiche in corso sull’età e l’acutezza mentale del presidente Joe Biden.
«Un rapido aggiornamento su come stanno andando le cose con le elezioni»: ha scritto l’utente Chris Bakke, pubblicando un link all’editoriale del giornalista d’opinione del New York Times Ross Douthat «L’America ha bisogno di un presidente?»
«Domanda vera… visto che ovviamente non ne abbiamo uno da un po’», ha risposto Musk, citando l’utente.
Real question … since we obviously haven’t had one for a while lmao
— Elon Musk (@elonmusk) July 5, 2024
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La rubrica di Douthat contempla il ruolo di Biden alla Casa Bianca e l’interazione del potere e dell’influenza del presidente degli Stati Uniti con quelli dei membri del gabinetto, dei consiglieri e degli alleati politici. L’opinionista ha insistito in precedenza sul fatto che Biden dovrebbe essere sostituito, sostenendo che sarebbe «incredibilmente pericoloso» per lui ricoprire il ruolo di amministratore delegato per altri quattro anni.
Storicamente, vari presidenti degli Stati Uniti hanno governato con diversi gradi di incapacità mentale. Il presidente Woodrow Wilson subì un grave ictus nel 1919, lasciando la moglie e il medico ad assisterlo nella gestione della Casa Bianca per i restanti 16 mesi del suo secondo mandato.
Gli osservatori hanno speculato sul grado di declino mentale sofferto dall’ex presidente Ronald Reagan durante il suo secondo mandato. Al presidente è stata diagnosticata la malattia di Alzheimer cinque anni dopo aver lasciato la Casa Bianca nel 1994.
«A partire dal 1984, Reagan era a volte incoerente, ma aveva – come dire? – giorni buoni e giorni cattivi», ha scritto l’editorialista di Slate Tom Scocca. «Ma questo era già “ben noto”. Nel 1984, la gente era d’accordo nel non dire che il presidente a volte sembrava senile». «Reagan dovette ricevere uno script da qualcun altro prima di poter fare una breve telefonata», nota Scocca.
Il presidente della Guerra Fredda, che in precedenza deteneva il titolo di comandante in capo più anziano d’America, aveva 77 anni quando lasciò l’incarico nel 1989. L’attuale presidente Joe Biden aveva 78 anni quando è entrato in carica, il che significa che Biden diverrebbe più anziano quando è entrato alla Casa Bianca .
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«Dopo che il governatore delle Hawaii Josh Green, un medico, ha chiesto al signor Biden delle sue condizioni di salute, il signor Biden ha risposto che la sua salute era buona», ha scritto giovedì il New York Times, descrivendo un incontro alla Casa Bianca del presidente con diversi governatori del Partito Democratico.
«”È solo il mio cervello”, ha aggiunto, secondo tre persone a conoscenza di quanto accaduto, un’osservazione che alcuni nella stanza hanno preso come uno scherzo… Ma almeno un governatore non l’ha presa come una battuta, ed è rimasto perplesso».
Il fondatore di Tesla in passato ha ripetuto di sentirsi offeso per l’affronto ricevuto, già citato in passato da Renovatio 21, quando l’amministrazione Biden non abbia invitato Tesla durante ad un evento sulle auto elettriche alla Casa Bianca: «era un insulto», ha detto ad un recente incontro organizzato dal New York Times, ricordando che Tesla allora produceva decine di migliaia di macchine, mentre le aziende premiate da Biden poche decine in tutto. Fu in quell’occasione che, su Twitter, Musk definì Biden «un calzino-pupazzo bagnato in forma umana»..
Biden is a damp ???? puppet in human form
— Elon Musk (@elonmusk) January 27, 2022
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Come riportato da Renovatio 21, sei mesi fa Elon Musk attaccò Biden anche per la morte da prigioniero in Ucraina del giornalista americano Gonzalo Lira.
Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
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Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il primo ministro giapponese ha annunciato ieri le dimissioni dopo settimane di tensioni con i membri del Partito Liberaldemocratico, in difficoltà di fronte alla perdita di consenso tra gli elettori conservatori. Diversi candidati si sono già fatti avanti segnalando la volontà di succedere a Ishiba nella presidenza del partito, ma resta il nodo della guida del governo senza la maggioranza in parlamento.
A meno di un anno dal suo insediamento, il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha annunciato ieri le dimissioni, aprendo una nuova fase di incertezza politica. La decisione è una conseguenza delle crescenti pressioni all’interno del suo stesso partito, il Partito Liberaldemocratico (LDP), che alle ultime elezioni ha subito significative sconfitte, arrivando a perdere la maggioranza in entrambe le Camere.
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Ishiba si è assunto la responsabilità per i pessimi risultati dell’LDP alle elezioni della Camera dei Consiglieri a luglio e ha sottolineato che le sue dimissioni servono a prevenire un’ulteriore spaccatura all’interno del partito. Già a luglio, il quotidiano giapponese Mainichi aveva per primo riportato che Ishiba si sarebbe dimesso, basandosi su informazioni raccolte tra il premier e i suoi più stretti collaboratori.
Le prime indiscrezioni indicavano che i preparativi per la corsa alla presidenza dell’LDP sarebbero iniziati entro agosto. Ishiba, tuttavia, aveva pubblicamente smentito queste notizie e nelle sue affermazioni aveva sottolineato l’importanza di portare a termine le trattative sui dazi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che aveva imposto il primo agosto come scadenza ultima.
Nel suo discorso di ieri, Ishiba ha spiegato che l’annuncio delle dimissioni a luglio avrebbe indebolito la posizione del Giappone: «chi negozierebbe seriamente con un governo che dice “ci dimettiamo”?», ha detto.
Ishiba ha poi cercato di placare le pressioni interne all’LDP minacciando di sciogliere la Camera dei Rappresentanti e indire elezioni anticipate, una mossa che ha esacerbato le divisioni e spinto il principale partner di coalizione, il partito Komeito, a ritenere inaccettabile la decisione. Secondo l’agenzia di stampa Kyodo, l’ex primo ministro Yoshihide Suga e il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi entrambi tenuto colloqui con il premier sabato, evitando una scissione all’interno del partito e aprendo la strada all’annuncio delle dimissioni di ieri.
Ora l’attenzione si sposta sulla scelta del prossimo leader dell’LDP, che potrebbe assumere anche la carica di primo ministro se ci fosse una qualche forma di sostegno o di accordo anche con le opposizioni. Tra i principali contendenti ci sono membri del partito che avevano già sfidato Ishiba in passato, tra cui Sanae Takaichi, ex ministra per la sicurezza economica, che ha ricevuto il 23% dei consensi in un recente sondaggio di Nikkei. Takaichi fa parte dell’ala conservatrice e ha una forte base di sostegno tra i fedelissimi dell’ex primo ministro Shinzo Abe, di cui è considerata l’erede, soprattutto per quanto riguarda le politiche economiche, che potrebbero favorire una ripresa dei mercati azionari. Takaichi ha inoltre la reputazione di andare d’accordo con il presidente Donald Trump.
Anche Shinjiro Koizumi, attuale ministro dell’Agricoltura e figlio dell’ex leader Junichiro Koizumi, è un altro papabile candidato, dopo essere riuscito ad abbassare i prezzi del riso appena entrato in carica. Il sondaggio di Nikkei ha registrato un 22% dei consensi nei suoi confronti.
Altri membri del partito hanno segnalato la volontà di candidarsi, tra cui Yoshimasa Hayashi, attuale segretario capo del Gabinetto e portavoce principale del governo Ishiba, che si è classificato quarto nella corsa per la leadership del partito del 2024. Tra gli altri contendenti figurano Takayuki Kobayashi, un altro ex ministro per la sicurezza economica che gode di un maggiore sostegno all’interno dell’ala centrista, e Toshimitsu Motegi, ex segretario generale dell’LDP e il più anziano tra i candidati con i suoi 69 anni.
L’LDP oggi si trova in una posizione di forte debolezza. Molti elettori conservatori alle ultime elezioni hanno preferito il partito di estrema destra Sanseito anche a causa dell’allontanamento di Ishiba dall’ala conservatrice.
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Secondo un sondaggio di Kyodo, condotto prima che fossero riportate le dimissioni di Ishiba, l’83% degli intervistati ha dichiarato che un chiarimento pubblico del partito sulle ultime sconfitte non avrebbe comunque aumentato la fiducia degli elettori. È chiaro, quindi, che il compito del prossimo presidente di partito sarà quello di ripristinare la credibilità del centrodestra.
Chiunque verrà scelto si troverà davanti a un’importante decisione: se indire elezioni anticipate per cercare di riconquistare la maggioranza alla Camera bassa o rischiare di perdere il potere del tutto. Quest’ultima scelta rischierebbe di aprire una nuova fase di instabilità politica senza precedenti, che richiederebbe la ricerca di sostegno anche tra i partiti dell’opposizione per approvare le leggi e i bilanci.
Secondo diversi commentatori, il prossimo leader dovrà prima di tutto godere di una genuina popolarità sia all’interno che all’esterno del partito per affrontare sfide come l’invecchiamento della società, la forza lavoro in calo, l’inflazione e i timori che gli Stati Uniti possano abbandonare il loro ruolo di garanti della sicurezza nella regione asiatica.
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