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La NATO e il sistema statale-industriale della censura globale: la democrazia capovolta da militari e tecnologia

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Tucker Carlson ha trasmesso il 16 febbraio un’intervista di importanza epocale sulla manipolazione del discorso sociale da parte di forze dello Stato profondo attraverso il controllo di Internet, compresi gli sforzi per censurare ciò che viene etichettato come «disinformazione» – un’operazione che in realtà nasconde un intero cambio di paradigma della democrazia nello Stato moderno, una trasformazione che avviene, letteralmente, manu militari, e sotto i nostri occhi.

 

L’intervistato, Michael Benz, aveva lavorato nella campagna di Donald Trump nel 2016, e nei quattro anni successivi aveva servito come vice segretario di Stato aggiunto per le comunicazioni internazionali e la politica dell’informazione presso l’Ufficio per gli affari economici e commerciali. La sua Foundation for Freedom Online, di cui è direttore esecutivo, ha avviato le sue attività nell’ottobre 2022, e si occupa del tema della libertà di parola nell’era delle reti digitali.

 

Nell’intervista, Benz afferma che negli anni Novanta la squadra del Dipartimento di Stato, Dipartimento della Difesa, CIA, NSA e il gruppo della Silicon Valley, spingeva sul concetto della «libertà di parola su Internet», poiché avrebbe promosso i dissidenti, gruppi e rivoluzioni colorate nelle società considerate «chiuse».

 

«Ora, il culmine di questo tipo di momento di libertà di parola su Internet è stata la Primavera Araba del 2011-2012, quando uno dopo l’altro tutti i governi avversari dell’amministrazione Obama, Egitto, Tunisia, hanno cominciato a essere rovesciati nelle rivoluzioni di Facebook e nelle rivoluzioni di Twitter» dichiara il Benz.

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Tuttavia, nel 2014, «dopo il colpo di Stato in Ucraina, si è verificato un inaspettato contro-colpo di stato in cui la Crimea e il Donbass si sono separati…. E quando i cuori e le menti del popolo della Crimea hanno votato per l’adesione alla Federazione Russa, quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso il concetto di libertà di parola su Internet», ha detto Benz.

 

«Per esempio, come abbiamo fatto in Ucraina, Viktor Yanukovich è stato eletto democraticamente dal popolo ucraino, come lui o lo odia. Non esprimo nemmeno un parere in merito. Ma il fatto è che, lo abbiamo defenestrato via rivoluzione colorata, lo abbiamo licenziato con una sorta di 6 gennaio».

 

«In realtà, ad essere sincero, abbiamo un Dipartimento di Stato finanziato da sgherri del Settore Destro e, sapete, 5 miliardi di dollari di denaro della società civile pompati in questo per rovesciare un governo democraticamente eletto nel Paese in nome della democrazia. E hanno portato a casa quella speciale serie di abilità. E ora è qui, forse potenzialmente, per restare. E questo ha cambiato radicalmente la natura della governance americana a causa della minaccia che una piccola voce diventi popolare sui social media».

 

 

Il nuovo focus, dice l’ex funzionario americano, è diventato quello di «controllare i media e l’ecosistema dei social media, perché è quello che controlla le elezioni. E se si mette semplicemente al potere la giusta amministrazione, questi controllano le forze armate».

 

«Era stata creata un’industria che comprendeva il Pentagono, il Ministero della Difesa britannico e Bruxelles in un’organizzazione di guerra politica organizzata. Essenzialmente un’infrastruttura creata, inizialmente di stanza in Germania e nell’Europa centrale e orientale (…) per creare la capacità di far collaborare i militari con le società di social media, per censurare la propaganda russa» e poi «i gruppi populisti di destra nazionali in Europa».

 

La Brexit del giugno 2016, insieme al generale malcontento dei lavoratori nei confronti dell’immigrazione, hanno fatto sì che i gruppi militare-finanziari non potessero più controllare le elezioni, sostiene il Benz, che dice inoltre che nello stesso anno una botta non indifferente fu percepita anche con le elezioni filippine, quando al potere arrivò Rodrigo Duterte.

 

«La NATO pubblicava libri bianchi affermando che la più grande minaccia che la NATO deve affrontare non è in realtà un’invasione militare dalla Russia. Sta perdendo le elezioni nazionali in tutta Europa (…) Ora l’intero ordine internazionale basato su regole crollerebbe a meno che i militari non prendessero il controllo sui media (…) L’UE andrebbe in pezzi, quindi la NATO verrebbe uccisa senza che venga sparato un solo proiettile. E poi, non solo, ora che la NATO non c’è più, non c’è più alcun braccio armato per il Fondo Monetario Internazionale, il Fondo monetario internazionale o la Banca mondiale. Quindi ora gli stakeholder finanziari che dipendono dall’ariete dello Stato di sicurezza nazionale sarebbero sostanzialmente impotenti contro i governi di tutto il mondo. Quindi, dal loro punto di vista, se i militari non iniziassero a censurare Internet, tutte le istituzioni e le infrastrutture democratiche che hanno dato origine al mondo moderno dopo la seconda guerra mondiale crollerebbero».

 

L’intervistato dettaglia con precisione le pressioni fatte dagli americani sui Paesi europei, obbligandoli a fare leggi di limitazione della libertà di parola e imponendo, a livello europeo, multe insostenibili per i colossi di internet, che sono sati così indotti ad obbedire.

 

Benz aggiunge inoltre che studi di sul Natural Language Processing – «Intelligenza Artificiale, apprendimento automatico, capacità di creare significato dalle parole per mappare tutto ciò che tutti dicono su Internet e creare questa vasta topografia, topografia di come sono organizzate le comunità online, chi sono i principali influencer, cosa fanno di cui stiamo parlando, quali narrazioni stanno emergendo o di tendenza e di essere in grado di creare questa sorta di grafico di rete, per sapere a chi rivolgersi e, e, e come le informazioni si muovono attraverso un ecosistema» –creati dai militari ed ora impiegati sui civili.

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Tale Intelligenza Artificiale censoria, ufficialmente creata dalla DARPA (il ramo ricerca e sviluppo del Pentagono) per rilevare i gruppi ISIS che reclutavano su Internet, ora è inflitta alla popolazione americana stessa, con granularità sempre maggiore offerta dal progresso tecnologico informatico.

 

«In ogni università, ora ci sono più di 60 università che ricevono sovvenzioni dal governo federale per farlo. Censura, lavoro di censura e lavoro di preparazione alla censura, in cui ciò che fanno è creare questi codici della lingua che le persone usano nello stesso modo in cui li usavano per l’ISIS. Lo fanno, ad esempio, con il COVID, hanno creato questi lessici COVID di ciò che i gruppi dissidenti dicevano sui mandati, sulle maschere, sui vaccini, su individui di alto profilo come Tony Fauci o, se, Peter Daszak o qualcuno di questi altri erano protetti VIP e individui la cui reputazione doveva essere protetta online. E hanno creato questi codici. Hanno suddiviso le cose in narrazioni».

 

Quindi «ha avuto luogo il passaggio dall’estero all’interno, dove hanno preso tutta questa architettura di censura che abbraccia DHS, FBI, CIA, DOD, DOJ e poi le migliaia di ONG finanziate dal governo e le aziende mercenarie del settore privato, sono state tutte sostanzialmente trasmesse da un predicato estero, un predicato di disinformazione russa, a un predicato di democrazia, affermando che la disinformazione non è solo una minaccia quando viene dai russi, ma in realtà è una minaccia intrinseca alla democrazia stessa. E così, in questo modo, sono stati in grado di riciclare l’intero kit di strumenti per il cambio di regime per la promozione della democrazia, giusto in tempo per le elezioni del 2020».

 

Ciò spinge Carlson a rispondere: «è quasi incredibile che sia successo. Voglio dire, mio ​​padre ha lavorato per il governo degli Stati Uniti in questo settore [1986-91] nella guerra dell’informazione contro l’Unione Sovietica e, sai, ha avuto una parte importante in questo. E l’idea che qualcuno di questi strumenti potesse essere usato contro i cittadini americani dal governo degli Stati Uniti era, penso, voglio pensare, assolutamente impensabile, diciamo, nel 1988».

 

«Quando si è verificata la Brexit nel 2016, è stato quel momento di crisi in cui improvvisamente non dovevano più preoccuparsi solo dell’Europa centrale e orientale. Stava arrivando verso ovest l’idea del controllo russo sui cuori e sulle menti. E così la Brexit era nel giugno 2016. Il mese successivo, alla Conferenza di Varsavia, la NATO ha formalmente modificato il suo statuto per impegnarsi espressamente nella guerra ibrida in presenza di questa nuova capacità della NATO».

 

«Quindi sono passati da praticamente 70 anni di carri armati a questo esplicito rafforzamento delle capacità per censurare i tweet se fossero considerati delegati russi. E ancora una volta, non è solo propaganda russa. Erano questi ora i gruppi Brexit o gruppi come Matteo Salvini in Italia, o in Grecia o in Germania o in Spagna con il partito Vox».

 

Il nome di Salvini saltato fuori ha colpito molti osservatori italiani. Tuttavia, rammentiamo il ruolo centrale di Facebook – o meglio, di quella che si chiamava «la Bestia» – nel successo di Salvini, che difesa appassionatamente il colosso zuckerberghiano in sede del Parlamento europeo gridando «viva Facebook» con indosso una t-shirt con su scritto «Basta Euro» (altri tempi…)

 

Benz passa quindi ad attaccare tutta una serie di think tank più o meno legati alla NATO e allo Stato profondo, dall’Atlantic Council all’Aspen Institute, tutti con un qualche ruolo nel processo che ha portato allo Stato di sorveglianza censoria digitale; Carlson, una vita a Washington come figlio di papà dell’apparato diplomatico-propagandistico, nell’intervista si trova spesso in contropiede perché ammette di conoscere personalmente alcune delle persone accusate da Benz.

 

Un nome particolare fatto nell’illuminante conversazione è quello del veterano del giornalismo USA Walter Isaacson, già a capo di TIME Magazine (considerata, da molti, una creatura della CIA) e ai vertici dell’Aspen Institute. Tucker interrompe, e fa una domanda ficcante: com’è possibile che lo stesso Isaacson sia l’autore della recente, e piuttosto simpatetica, biografia di Elon Musk, l’uomo che acquistando per 44 miliardi di dollari (cifra monstre in ogni senso possibile) Twitter rappresenta il nemico numero uno dell’apparato di censura globale?

 

Alla domanda non si sa rispondere, tuttavia apprendendo questo lato del teatro, il lettore italiano può fare supposizioni sul retroscena del rapporto forte e diretto tra Musk e Giorgia Meloni, detta dai suoi critici «Lady Aspen».

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Il significato principale dell’incredibile intervista, diremmo anche più scioccante ed importante di quella a Putin, è il cambiamento di paradigma in atto presso lo Stato moderno: «ciò che essenzialmente hanno detto è che dobbiamo ridefinire la democrazia da una questione di volontà degli elettori a una questione di sacralità delle istituzioni democratiche. E quali sono le istituzioni democratiche? Oh, siamo noi, sai, sono i militari, è la NATO, è il FMI e la Banca Mondiale. Sono i media mainstream, le ONG. E, naturalmente, queste ONG sono in gran parte finanziate dal Dipartimento di Stato o dall’IC».

 

La democrazia «sono essenzialmente tutte le élites, minacciate dall’ascesa del populismo interno, che hanno dichiarato che il proprio consenso è la nuova definizione di democrazia. Perché se definisci la democrazia come la forza delle istituzioni democratiche piuttosto che come un focus sulla volontà degli elettori, allora ciò che ti rimane è essenzialmente che la democrazia è solo l’architettura di costruzione del consenso all’interno delle stesse istituzioni democratiche».

 

Come insiste negli anni Renovatio 21: lo Stato moderno è una macchina che difende se stessa, a discapito delle masse di esseri umani che dovrebbe governare e proteggere. Lo Stato moderno è una macchina di morte che non ha interesse per gli uomini. Questa è la realtà vera dell’oligarchia che viviamo nell’ora presente, con tutti i suoi presidenti e partiti «democratici» che agiscono di fatto contro l’interesse e la vita stessa dei cittadini.

 

Per il nuovo potere, prosegue imperterrito il Benz, «la democrazia è portare le ONG ad essere d’accordo con Blackrock, ad essere d’accordo con il Wall Street Journal, sai, ad essere d’accordo con, ad esempio, la comunità e i gruppi di attivisti che sono coinvolti rispetto a una particolare iniziativa. Questo è il difficile processo di costruzione del voto dal loro punto di vista. Alla fine, un gruppo di gruppi populisti decide che a loro piace un camionista popolare su TikTok più del consenso, accuratamente costruito, dei vertici militari della NATO. Ebbene, allora, dal loro punto di vista, questo è un attacco alla democrazia (…) E, naturalmente, ancora una volta la democrazia ha quel magico predicato di cambiamento di regime, dove la democrazia è, è la nostra parola d’ordine magica per essere in grado di rovesciare i governi da zero in una sorta di rivoluzione colorata, lo sforzo dell’intera società per rovesciare un governo democraticamente eletto dall’interno»

 

«Quindi, dal loro punto di vista, se i militari non avessero iniziato a censurare Internet, tutte le istituzioni e le infrastrutture democratiche che hanno dato origine al mondo dopo la Seconda Guerra Mondiale crollerebbe».

 

A Carlson che chiede di cosa resta della democrazia, Benz risponde dicendo «Quello che sto descrivendo è un governo militare. È l’inversione della democrazia». E di fatto la radice NATO – cioè del più potente compagine miliare della storia umana – di tutta l’operazione per la quale probabilmente anche voi siete stati spiati e censurati (che lo sappiate o no) sui social media o su altre app (credete che le chat siano sicure, innocue?) sta emergendo in tutta la sua dimensione drammatica.

 

Siamo oggetto di un’operazione militare, un’azione di guerra psicologica vera e propria – del quale siamo vittime ma pure contribuenti. Quousque tandem?

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Cina

La Cina presenta il primo chip 6G al mondo

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I ricercatori cinesi hanno presentato il primo chip 6G al mondo, in grado di aumentare la velocità di connessione nelle aree remote fino a 5.000 volte rispetto al livello attuale. Lo riporta il giornale di Hong Kong South China Morning Post (SCMP).   La tecnologia 6G si prevede possa ridurre il divario digitale tra aree rurali e urbane. Sviluppato da ricercatori dell’Università di Pechino e della City University di Hong Kong, il chip 6G «all-frequency» potrebbe offrire velocità internet mobile oltre i 100 gigabit al secondo su tutto lo spettro wireless, incluse le frequenze usate nelle zone remote, rendendo l’accesso a internet ad alta velocità più disponibile nelle regioni meno connesse e permettendo, ad esempio, di scaricare un film 8K da 50 GB in pochi secondi.   Tuttavia, le tecnologie 5G e 6G suscitano preoccupazioni. Critiche riguardano i possibili rischi per la salute dovuti alle radiazioni elettromagnetiche, soprattutto con le alte frequenze del 6G, oltre a vulnerabilità agli attacchi informatici a causa dell’aumento dei dispositivi connessi. L’espansione delle infrastrutture potrebbe inoltre avere un impatto ambientale e accentuare le disuguaglianze, lasciando indietro le aree rurali. Si temono anche un incremento della sorveglianza e problemi legati alla privacy dei dati con l’aumento della connettività.

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Le tecnologie wireless come il 5G operano su gamme di frequenza limitate. Il nuovo chip 6G, invece, copre l’intero spettro (da 0,5 GHz a 115 GHz) in un design compatto di 11 mm x 1,7 mm, eliminando la necessità di più sistemi per gestire diverse frequenze. Questo permette al chip di funzionare in modo efficiente su bande sia basse che alte, supportando applicazioni ad alta intensità e migliorando la copertura in aree rurali o remote.   «Le bande ad alta frequenza come le onde millimetriche e i terahertz offrono una larghezza di banda estremamente ampia e una latenza estremamente bassa, rendendole adatte ad applicazioni come la realtà virtuale e le procedure chirurgiche», ha dichiarato al China Science Daily il professor Wang Xingjun dell’Università di Pechino.   I ricercatori stanno sviluppando moduli plug-and-play per diversi dispositivi, come smartphone e droni, che potrebbero facilitare l’integrazione del nuovo chip nelle tecnologie di uso quotidiano.   La Cina pare accelerare per una primazia tecnologica non solo nelle telecomunicazioni – con il caso di Huawei, e relativi incidenti diplomatici internazionali, e sospetti anche in Italia – ma in genere nel settore tecnologico, dove si assiste ai consistenti sforzi per l’IA, visibili nell’ascesa di DeepSeek, un’Intelligenza Artificiale realizzata nel Dragone che non abbisogna di chip particolarmente performanti.

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Internet

Metriche pubblicitarie di e-commerce artificialmente gonfiate, afferma un ex dipendente Meta

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Meta, la società madre di Facebook e Instagram, è stata accusata di aver gonfiato artificialmente le metriche delle prestazioni del suo prodotto pubblicitario per l’e-commerce, Shops Ads , secondo una denuncia presentata mercoledì da un informatore presso un tribunale del lavoro in Gran Bretagna. Lo riporta il sito ADWEEK.

 

La denuncia, presentata da Samujjal Purkayastha, ex product manager del team pubblicitario di Meta Shops, sostiene che l’azienda ha tratto in inganno gli inserzionisti sovrastimando il ritorno sulla spesa pubblicitaria (ROAS), facendo apparire la sua nuova offerta pubblicitaria più efficace rispetto ai prodotti della concorrenza, riporta ADWEEK.

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Secondo quanto depositato presso il London Central Employment Tribunal, Meta avrebbe incrementato i numeri delle performance degli annunci Shops: conteggio delle spese di spedizione e delle tasse come parte del fatturato totale; sovvenzionare le offerte nelle aste pubblicitarie per garantire un posizionamento più prominente; applicare sconti non dichiarati per dare l’impressione di risultati più forti; revisioni interne condotte all’inizio del 2024 hanno rivelato che il ROAS degli annunci di Shops era stato gonfiato tra il 17% e il 19%, secondo la denuncia.

 

Gli altri prodotti pubblicitari di Meta, così come quelli di concorrenti come Google, calcolano il ROAS utilizzando dati netti, escluse spese di spedizione e tasse. Senza le commissioni aggiuntive, sostiene la denuncia, gli annunci di Shops non hanno ottenuto risultati migliori rispetto ai prodotti pubblicitari tradizionali di Meta.

 

«Questo è stato significativo», si legge nel reclamo. «Oltre al fatto che la metrica di performance del ROAS era sovrastimata di quasi un quinto, significava che, anziché aver superato il nostro obiettivo primario, il team di Shops Ads lo aveva di fatto mancato una volta che il dato era stato ridotto per tenere conto dell’inflazione artificiale».

 

Il documento collega queste presunte pratiche a un più ampio sforzo interno a Meta per riprendersi dagli effetti della funzionalità App Tracking Transparency (ATT) di Apple, lanciata nel 2021.

 

La politica di Apple limitava l’accesso ai dati degli utenti iOS, un pilastro dell’attività pubblicitaria di Meta. L’ex CFO di Meta, David Wehner, ha avvertito durante una conference call sui risultati finanziari del 2021 che la modifica potrebbe costare all’azienda «nell’ordine dei 10 miliardi di dollari».

 

Incoraggiando gli inserzionisti a utilizzare gli annunci Shops, che mantengono le transazioni all’interno delle app di Meta, l’azienda potrebbe raccogliere più dati di acquisto proprietari e ridurre la sua dipendenza dalle autorizzazioni di tracciamento di Apple.

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Secondo il Purkayastha, Meta ha iniziato a sovvenzionare gli annunci di Shops nelle aste, a volte fino al 100%, garantendone la visualizzazione più frequente rispetto ad altri formati pubblicitari. Ciò ha aumentato la visibilità, incrementato artificialmente le conversioni e fatto apparire gli annunci di Shops come un investimento più solido.

 

Purkayastha è entrato a far parte di Meta nel 2020 come parte del team di ricerca applicata sull’intelligenza artificiale di Facebook, prima di essere riassegnato al team Shops Ads nel marzo 2022. È rimasto in azienda fino al 19 febbraio 2025.

 

Nella denuncia si afferma che Purkayastha ha ripetutamente sollevato preoccupazioni durante gli incontri con i dirigenti tra il 2022 e il 2024, mettendo in dubbio l’accuratezza dei risultati riportati dagli annunci di Shops. Afferma che l’azienda ha continuato a utilizzare la metodologia contestata nonostante le obiezioni interne.

 

Il reclamo sottolinea anche che gli strumenti di tracciamento di Meta fanno parte della sua strategia per mantenere le prestazioni pubblicitarie dopo le modifiche alla privacy di Apple.

 

Aggregated Event Measurement (AEM1), introdotto nell’aprile 2021, ha utilizzato l’apprendimento automatico per stimare le conversioni, rispettando al contempo gli utenti che avevano scelto di non essere monitorati.

 

AEM2, lanciato poco dopo, avrebbe collegato l’attività in-app alla navigazione e agli acquisti su siti di terze parti utilizzando identificatori personali come nomi, e-mail, numeri di telefono e indirizzi IP.

 

«Nella denuncia, Purkayastha ha affermato di credere che AEM2 abbia aggirato le restrizioni imposte dal framework sulla privacy di Apple, sebbene abbia mitigato gran parte della perdita di dati derivante dalle modifiche alla privacy» scrive ADWEEK.

 

Secondo la denuncia, il Purkayastha è stato licenziato da Meta nel febbraio 2025. La sua denuncia al tribunale del lavoro fa parte di una richiesta di provvedimento provvisorio, che chiede il ripristino della sua precedente posizione.

 

«Sebbene le conseguenze legali siano ancora da definire, queste rivelazioni mettono nuovamente in discussione l’affidabilità dei dati forniti da Meta ai suoi inserzionisti» commente Hdblog.

 

Non sono le prime accuse rivolte a Meta-Facebook da ex dipendenti.

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Quattro anni il Wall Street Journal cominciò a pubblicare sconvolgenti rivelazioni sulla piattaforma social. In sintesi, scriveva il WSJ «Facebook Inc. sa, nei minimi dettagli, che le sue piattaforme sono piene di difetti che causano danni, spesso in modi che solo l’azienda comprende appieno. Questa è la conclusione centrale (…), basata su una revisione dei documenti interni di Facebook, inclusi rapporti di ricerca, discussioni online dei dipendenti e bozze di presentazioni per il senior management».

Secondo il reportage, Facebook esentava gli utenti di alto profilo da alcune regole, ignorava una ricerca su Instagram (social del gruppo Meta) che mostrava i rischi per la salute mentale degli adolescenti, sapeva che il suo algoritmo premia l’indignazione, era stato lento nell’impedire ai cartelli della droga e ai trafficanti di esseri umani di utilizzare la sua piattaforma.

 

Due anni fa il WSJ tornò con un reportage in cui affermava che «Meta sta lottando per allontanare pedofili da Facebook e Instagram».

 

Nel 2023 un ex data-scientist di Facebook, in contenzioso legale con l’azienda, aveva sostenuto che Facebook può scaricare segretamente la batteria dello smartphono degli utenti.

 

Tre anni fa un ex dipendente aveva detto che il CEO Marco Zuckerberg aveva brandito una katana, cioè una spada samurai, perché irato con dei programmatori.

 

Come riportato da Renovatio 21, lo Zuckerbergo un mese fa ha dichiarato che Facebook non è più incentrato sulla connessione con gli amici.

 

Secondo alcuni il prossimo aggiornamento di Instagram eroderà ulteriormente la privacy degli utenti.

 

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Immagine di Yuri Samoilov via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic 

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Intelligenza Artificiale

Facebook spenderà milioni per sostenere i candidati pro-IA

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Il colosso tecnologico Meta-Facebook lancerà un super-PAC incentrato sulla California per sostenere i candidati a livello statale favorevoli a una regolamentazione tecnologica più flessibile, in particolare per quanto riguarda l’intelligenza artificiale.   Un Super PAC è un comitato politico indipendente che può raccogliere e spendere fondi illimitati da individui, aziende e sindacati per sostenere o contrastare i candidati. Non può coordinarsi direttamente con campagne o partiti ed è stato creato dopo le sentenze dei tribunali statunitensi del 2010 che hanno allentato le regole sul finanziamento delle campagne elettorali.   Secondo quanto riferito dalla stampa americano, il gruppo, denominato Mobilizing Economic Transformation Across California, sosterrà i candidati dei partiti democratico e repubblicano che danno priorità all’innovazione dell’intelligenza artificiale rispetto a regole severe.   Secondo la testata Politico, la società madre di Facebook e Instagram prevede di spendere decine di milioni di dollari tramite il PAC, il che potrebbe renderla uno dei maggiori investitori politici dello Stato in vista delle elezioni a governatore del 2026.   L’iniziativa è in linea con l’impegno più ampio di Meta per salvaguardare lo status della California come polo tecnologico, nonostante le preoccupazioni che una supervisione rigorosa possa soffocare l’innovazione.

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«Il contesto normativo di Sacramento potrebbe soffocare l’innovazione, bloccare il progresso dell’Intelligenza Artificiale e mettere a rischio la leadership tecnologica della California», ha affermato Brian Rice, vicepresidente per le politiche pubbliche di Meta. Rice guiderà il PAC insieme a Greg Maurer, un altro dirigente addetto alle politiche pubbliche, in qualità di dirigenti principali, secondo un portavoce dell’azienda.   La California è uno degli Stati più attivi nel promuovere la regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale e dei social media, con i funzionari pronti a decidere sulle norme in materia di sicurezza, trasparenza e tutela dei consumatori che potrebbero avere ripercussioni sui prodotti delle aziende tecnologiche.   Questa mossa rispecchia gli sforzi di altri colossi della tecnologia. Aziende come Uber e Airbnb hanno utilizzato strategie politiche basate sui grandi donatori per influenzare le politiche in California.   Questa primavera, Meta ha anche speso oltre 518.000 dollari in attività di lobbying a livello statale per contestare la legislazione sulla sicurezza dell’intelligenza artificiale, che imporrebbe standard di sicurezza e trasparenza sui grandi modelli di intelligenza artificiale.   Il nuovo super-PAC di Meta si unisce a una crescente ondata di impegno politico nel settore tecnologico. La rete rivale Leading the Future, sostenuta da Andreessen Horowitz (venture capitalist ora attivo nell’amministrazione Trump) e dal presidente di OpenAI Greg Brockman, ne è un esempio e mira a promuovere politiche pro-IA con oltre 100 milioni di dollari di finanziamenti.

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