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Geopolitica

Israele apre le porte ai migranti asiatici per rimpiazzare i lavoratori palestinesi

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

La guerra contro Hamas provoca un profondo cambiamento nel mercato del lavoro. Fra i settori più colpiti agricoltura ed edilizia. Fuggiti decine di migliaia di thailandesi e nepalesi, oltre al blocco dei permessi per i palestinesi e il richiamo di 350mila riservisti. India (e Sri Lanka) guardano con interesse alle opportunità, anche se il governo di Delhi cancella le tutele sociali.

 

Per sopperire alla mancanza di lavoratori palestinesi, bloccati in Cisgiordania (e Gaza) dall’inizio della guerra lanciata contro Hamas nella Striscia in risposta all’attacco terrorista del 7 ottobre, il governo israeliano apre le porte ai migranti dall’Asia.

 

Nel fine settimana l’esecutivo, su iniziativa del ministero dell’Agricoltura (uno dei settori più colpiti dalla carenza di manodopera assieme all’edilizia) ha approvato l’innalzamento della quota di stranieri impiegati nel comparto di altre 10mila unità rispetto alla soglia attuale. Un riflesso ulteriore del conflitto, oltre al tributo di sangue e alle gravissime distruzioni nell’enclave, visto che sono almeno 25mila i palestinesi – lavoratori agricoli e braccianti – che non sono più potuti entrare in Israele negli ultimi 100 giorni di guerra.

 

I nuovi arrivi servono anche a sostituire quanti sono fuggiti all’indomani dell’attacco di Hamas che ha provocato un bilancio durissimo anche fra i lavoratori migranti in Israele in termini di uccisioni e rapimenti. A partire dalle comunità di espatriati provenienti dalla Thailandia e dal Nepal, come abbiamo più volte ricordato in queste settimane, che hanno pagato un grave tributo di sangue e ancora oggi attendono notizie sulla sorte dei concittadini nelle mani dei miliziani.

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Alle oltre 25mila vittime palestinesi nella Striscia, che si sommano alle 1200 vittime dell’attacco del 7 ottobre di Hamas in Israele, la guerra ha provocato anche un profondo cambiamento della forza lavoro: oltre 29mila stranieri, in maggioranza thailandesi impiegati nel settore agricolo fra aziende, serre e impianti di imballaggio, hanno lasciato il Paese; inoltre, in queste settimane l’esercito israeliano ha reclutato oltre 350mila riservisti, causando un buco che difficilmente si può colmare contando sulla forza lavoro interna a Israele.

 

Fra i settori in crisi, oltre all’agricolo vi è pure quello delle costruzioni: prima dell’attacco di Hamas vi erano circa 82mila palestinesi occupanti, pari a un terzo circa del totale. Senza questi lavoratori – oltre ad altri 2mila provenienti da Cina ed est Europa che sono tornati a casa dopo il 7 ottobre – i cantieri in tutto Israele si sono arenati, danneggiando in modo significativo l’economia.

 

L’Associazione israeliana dei costruttori (IBA) stima che il settore, fra i più importanti e con un indotto di 71 miliardi di dollari nel 2022, abbia operato al 15% della capacità prebellica. Da qui il ricorso agli stranieri, in particolari in Sri Lanka e India dove è partita una vera e propria caccia all’impiego: nei giorni scorsi l’università Maharshi Dayanand di Rohtak, in Haryana, ha promosso un’iniziativa volta a ingaggiare oltre 10mila lavoratori edili da inviare in Israele. «Ho fatto domanda – sottolinea Govind Singh, un candidato – per questa opportunità online. Dopo essermi registrato, ho aspettato la selezione per il reclutamento. Sono un muratore e un esperto di lavori in gesso. Spero che la mia esperienza venga accettata dagli imprenditori israeliani».

 

Presso il centro di prova, i funzionari israeliani hanno allestito diverse simulazioni in ambito edilizio, proponendo anche una dimostrazione pratica fra le prove finali. «I posti vacanti riguardano lavori in ferro, taglio e montaggio di piastrelle, montaggio di pannelli in legno e lavori in gesso. I candidati – ha spiegato uno degli esaminatori – saranno selezionati solo dopo lo screening delle loro competenze da parte degli esperti».

 

Opportunità che attirano l’interesse, nonostante una situazione in tema di sicurezza ancora critica per i rischi legati a una nazione esposta a più fronti di guerra: a Sud con Hamas nella Striscia e a nord le tensioni con gli Hezbollah libanesi, che hanno spinto le autorità governative indiane a revocare le tutele sociali concesse a quanti, di solito, vanno all’estero per lavoro in zone di conflitto. Come spiegava nei giorni scorsi in un lungo approfondimento il quotidiano The Hindu, citando diversi documenti ufficiali, i lavoratori espatriati in Israele non potranno beneficiare di “copertura medica o garanzie di impiego” concesse abitualmente da Delhi ai concittadini diretti nel Golfo.

 

Poco importa, per quanti cercano impiego: «se il nostro destino è quello di morire, allora possiamo morire qui o là. La mia speranza è che andiamo a fare un buon lavoro, passiamo un po’ di tempo e torniamo» racconta Sharma, che punta a guadagnare fino a 12mila dollari in un anno: «potrei impiegare almeno cinque anni – spiega – per guadagnare la stessa somma di denaro in India» dove si registra peraltro un tasso elevato di disoccupazione giovanile (oltre 17% sotto i 29 anni).

 

Un vero e proprio stravolgimento della forza lavoro, con la cacciata dei palestinesi avallata anche da una parte consistente dell’esecutivo, partendo dai deputati del Likud che puntano ad escluderli nel lungo periodo perché «rappresentano un rischio per la sicurezza».

 

Una politica che preoccupa ONG e gruppi attivisti pro-diritti umani, fra i quali il britannico FairSquare che di recente ha lanciato un appello diretto soprattutto a Delhi, esortandola a «non inviare» i propri cittadini in Israele «per sostituire i lavoratori palestinesi deportati» in un quadro complessivo di «vile via libera ai crimini di guerra».

 

Parole, e appelli, che sembrano però destinati a cadere nel vuoto.

 

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Geopolitica

Gli assistenti di Trump «si sono sentiti traditi» da Israele

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I principali negoziatori del presidente statunitense Donald Trump per i colloqui di pace a Gaza hanno espresso un senso di «tradimento» dopo che Israele ha compiuto un attacco aereo sul Qatar, mentre erano in corso i tentativi di mediazione guidati dagli Stati Uniti.   Jared Kushner, genero di Trump, e Steve Witkoff, inviato speciale per il Medio Oriente, erano figure centrali del «consorzio negoziale» del presidente, impegnato a finalizzare una tregua e uno scambio di ostaggi. Avevano partecipato ai colloqui in Egitto all’inizio di ottobre, poche settimane dopo che Israele aveva colpito Doha, causando diverse vittime e rischiando di compromettere il processo.   In un’intervista trasmessa venerdì dalla CBS, Witkoff ha rivelato di aver saputo dell’attacco la mattina successiva. «Penso che sia io che Jared ci siamo sentiti, credo, un po’ traditi», ha detto al conduttore. «Ha avuto un effetto a catena, perché i qatarioti erano essenziali per i negoziati, insieme a egiziani e turchi. Abbiamo perso la loro fiducia, e Hamas si è ritirato nell’ombra, rendendo molto difficile contattarli».   Il Qatar, alleato degli Stati Uniti e mediatore storico per il cessate il fuoco a Gaza, ha accusato Israele di «terrorismo di Stato» dopo l’attacco.

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Trump, che ha espresso solidarietà a Doha, ha successivamente chiarito che l’attacco era stato deciso esclusivamente dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e che la Casa Bianca ne era stata informata troppo tardi per intervenire.   Alla domanda sulla reazione di Trump, Kushner ha dichiarato che il presidente riteneva che Israele stesse «agendo in modo un po’ fuori controllo». «Era il momento di essere fermi e fermarli dal fare cose che, secondo lui, non erano nel loro interesse a lungo termine», ha aggiunto.   L’attacco a un quartiere residenziale di Doha, mirato a esponenti di Hamas coinvolti nei negoziati, ha causato sei morti, tra cui un agente di sicurezza qatariota, senza però colpire la delegazione negoziale né i leader del gruppo. Netanyahu si è poi scusato con il Qatar, esprimendo «profondo rammarico» per le vittime accidentali.   L’accordo di cessate il fuoco, firmato a Sharm el-Sheikh da Trump e dai mediatori di Egitto, Qatar e Turchia, prevedeva il ritiro di Israele da alcune aree di Gaza e la liberazione di 20 ostaggi israeliani in cambio di 2.000 prigionieri palestinesi.   Come riportato da Renovatio 21, Witkoff e Kushner erano sul palco della manifestazione pubblica per la liberazione degli ostaggi quando la folla ha fischiato il nome di Netanyahu epperò inneggiando a Donald Trump.

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Geopolitica

Tregua già finita: Israele attacca Gaza

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Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno annunciato domenica di aver effettuato attacchi su vasta scala contro obiettivi di Hamas a Rafah, nel Sud della Striscia di Gaza, in risposta a presunte violazioni del cessate il fuoco concordato all’inizio del mese.

 

Secondo le IDF, domenica i militanti hanno lanciato un missile anticarro e aperto il fuoco contro le truppe impegnate a smantellare «infrastrutture terroristiche» nella zona, nel rispetto dell’accordo di tregua. Le forze israeliane hanno reagito con numerosi raid aerei su quelli che hanno definito obiettivi terroristici.

 

«Le IDF hanno avviato attacchi nell’area per neutralizzare la minaccia e distruggere tunnel e strutture militari usate per attività terroristiche», ha dichiarato l’esercito in un comunicato. È stato inoltre riferito che venerdì e sabato si sono verificati diversi attacchi da parte di presunti membri di Hamas. «Queste azioni terroristiche rappresentano una chiara violazione del cessate il fuoco, e le IDF risponderanno con decisione», ha aggiunto l’esercito.

 

Una fonte militare citata dal Times of Israel ha riferito che finora sono stati colpiti oltre 20 obiettivi a seguito dell’attacco di domenica mattina a Rafah.

 


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Informato della situazione, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato alle IDF di «agire con fermezza contro gli obiettivi terroristici nella Striscia di Gaza», secondo una nota del suo ufficio.

 

Il ministro della Difesa Israel Katz ha dichiarato che «Hamas pagherà a caro prezzo per aver violato il cessate il fuoco e attaccato i nostri soldati, e se il messaggio non sarà chiaro, intensificheremo le nostre risposte». Una fonte militare ha confermato che più di 20 obiettivi sono stati colpiti a Rafah dall’attacco di domenica mattina.

 

L’ala militare di Hamas ha negato ogni coinvolgimento nell’incidente di Rafah, dichiarando sui social media di aver interrotto i contatti con le fazioni locali dallo scorso marzo. «Non abbiamo informazioni su scontri a Rafah, che è sotto il controllo dell’occupazione israeliana», ha affermato il gruppo. Inoltre, Izzat al-Risheq, alto funzionario di Hamas, ha ribadito l’impegno del gruppo per il cessate il fuoco, accusando Israele di violarlo e di «cercare pretesti per i suoi crimini».

 

Il ministero della Salute di Gaza ha riferito che gli attacchi israeliani hanno causato almeno otto morti nelle ultime 24 ore.

 

All’inizio di ottobre, Israele e Hamas avevano raggiunto una tregua provvisoria nell’ambito dell’iniziativa di pace in 20 punti promossa dal presidente statunitense Donald Trump. La prima fase prevedeva la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani entro 72 ore in cambio di prigionieri palestinesi.

 

Questa settimana, Hamas ha rilasciato gli ultimi 20 prigionieri sopravvissuti e consegnato i resti di altri 12, ma ha denunciato difficoltà nel recupero di tutti i corpi a causa delle distruzioni a Gaza e del controllo israeliano su alcune aree. Gerusalemme Ovest, tuttavia, ha accusato Hamas di non aver restituito i resti di altri 16 ostaggi, mentre entrambe le parti si scambiano accuse di violazione della tregua.

 

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Geopolitica

I politici europei «ignorati da babbo Trump»: parla un eurodeputato ungherese

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L’eurodeputato ungherese Andras Laszlo ha accusato i politici dell’UE di comportarsi «come bambini gelosi» per la scelta del presidente statunitense Donald Trump di ospitare a Budapest il prossimo vertice con il presidente russo Vladimir Putin.   Sabato, il parlamentare europeo ha utilizzato X per criticare gli avversari dell’Ungheria, intervenendo in uno scambio di battute tra Carl Bildt, copresidente del Consiglio europeo per le relazioni estere, e il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski.   «Non c’è dubbio che il primo ministro Viktor Orban sia felice di ospitare un summit USA-Russia a Budapest. Il suo partito è in calo nei sondaggi in vista delle elezioni dell’inizio del prossimo anno e soffre per la reputazione dell’Ungheria come il Paese più corrotto dell’UE», ha scritto il Bildt.   «E il più povero», ha aggiunto il Sikorski, commentando il post di Bildt. Non è chiaro su quali basi Sikorski abbia espresso tale giudizio, considerando che Polonia e Ungheria hanno un PIL pro capite simile, con la prima solo marginalmente superiore.  

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Laszlo ha attribuito le critiche dei politici europei alla «gelosia» per l’attenzione mancata da parte di Trump, definendo «triste» il confronto tra Bildt e Sikorski. «I politici europei si comportano come bambini gelosi, trascurati da papà Trump. Non si rendono conto di quanto si stiano rendendo ridicoli davanti al mondo», ha commentato.   Il vertice a Budapest tra Trump e Putin è stato annunciato giovedì dal presidente americano, dopo una telefonata tra i due leader. Trump ha descritto la chiamata come «molto produttiva», sottolineando che «sono stati fatti grandi progressi».   Mosca ha confermato l’organizzazione dell’incontro, dichiarando che i preparativi inizieranno «senza ritardi». Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha annunciato venerdì che Budapest sta collaborando con entrambe le parti e che i preparativi per l’evento «procedono a pieno ritmo».  

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