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Geopolitica

Il Qatar, i Fratelli Mussulmani, Hamas e Israele

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Diversamente da come viene presentato, nella vicenda degli ostaggi dell’operazione Diluvio di Al-Aqsa il Qatar non è un negoziatore al di sopra delle parti. Una cantonata della ministra qatariota Lolwah Al-Khater, a Tel Aviv per partecipare alle trattative, dimostra al contrario che Doha esercita un’autorità su Hamas. I nuovi membri del gabinetto di guerra israeliano hanno scoperto con sconcerto che il Qatar ha partecipato al complotto di Benjamin Netanyahu per preparare l’attacco a Israele del 7 ottobre 2023.

 

Lolwah Al-Khater, ministra qatariota per la Cooperazione internazionale, il 25 novembre 2023 si è recata a Tel Aviv: è stata la prima visita di un rappresentante ufficiale del Qatar in Israele. La ministra è stata ricevuta dal gabinetto di guerra allo scopo di superare i problemi legati all’applicazione dell’accordo sullo scambio di ostaggi; successivamente si è recata a Gaza.

 

Avvezza a discutere con David Barnea, direttore del Mossad, Lolwah Al-Khater sembra non essersi resa conto che del gabinetto di guerra fanno parte non soltanto i fedelissimi di Benjamin Netanyahu; così, per guadagnare tempo, è caduta nell’errore di prendere decisioni in nome di Hamas, senza consultarlo.

 

I membri dell’opposizione del gabinetto di emergenza presenti alla riunione sono rimasti scioccati nel vedere la ministra qatariota abbandonare il ruolo di mediatrice, lasciando intravvedere l’autorità che il Qatar esercita su Hamas, branca palestinese della Confraternita dei Fratelli Mussulmani.

 

Al termine della riunione, Joshua Zarka, vicedirettore generale degli Affari strategici del ministero degli Esteri israeliano, ha dichiarato che Israele «farà i conti con il Qatar» non appena questi avrà terminato il ruolo di mediatore. Infatti, se Doha può dare ordini ad Hamas, non può più nascondere la propria responsabilità nell’attacco del 7 ottobre. Il Qatar non solo non è un mediatore, è soprattutto un nemico degli israeliani.

 

Esaminiamo brevemente l’identità del Qatar.

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Il Qatar e gli Stati Uniti

Il Qatar acquisisce l’indipendenza dall’impero britannico soltanto nel 1971. Il primo emiro qatariota, Khalifa bin Hamad Al Thani, si volge alla Francia. Imposta lo sviluppo del Paese diffidando dei facili introiti degli idrocarburi. Ma nel 1995 viene rovesciato dal figlio, Hamad bin Khalifa Al Thani. Il nuovo emiro conclude accordi sul gas, nonché sul petrolio, principalmente con società anglosassoni Exxon Mobil, Chevron Philips, Schell, Centrica, con la francese Total, con le cinesi China National Offshore Oil, CNOOC, Petrocina, poi con società indiane, sudcoreane e giapponesi. Il denaro corre a fiumi.

 

Nel 1996, nello slancio degli Accordi di Oslo, il Qatar, insieme agli ebrei franco-canadesi David e Jean Frydman, amici di Yitzhak Rabin e di Yasser Arafat, fonda una televisione panaraba per mettere a confronto i punti di vista degli arabi e degli israeliani: Al Jazeera. Il successo è immediato. Ma Al Jazeera, intellettualmente partecipe del movimento per la pace in Israele, durante le guerre contro l’Afghanistan e l’Iraq diviene la bestia nera degli Stati Uniti.

 

Nel 2002 gli Stati Uniti concludono un accordo militare con il Qatar e istallano il quartier generale del comando delle loro truppe in Medio Oriente, il CentCom, nella gigantesca base di Al-Udeid, dove sono acquartierati 11.000 soldati e un centinaio di aerei; conseguentemente ritirano i propri uomini dall’Arabia Saudita.

 

Il Pentagono si premura di ricordare ai qatarioti che non hanno abbastanza forza per sfidarlo. Un mattino l’emiro è svegliato in camera da letto dalle Forze speciali: un ufficiale statunitense gli garantisce che sono lì per proteggerlo da un immaginario colpo di Stato. L’emiro capisce l’antifona e da questo momento si allinea alle esigenze dei suoi protettori.

 

Nel 2005 l’azionariato di Al Jazeera vacilla per il boicottaggio degli inserzionisti sauditi. I fratelli Frydman si ritirano. La rete televisiva è completamente riformattata dalla società di consulenza JTrack; alla sua guida viene messo il Fratello palestinese Wadah Khanfar (1), che progressivamente censura ogni critica all’«imperialismo americano”»al punto da rimuovere alcune immagini dei crimini statunitensi in Iraq. Diversi giornalisti di Al Jazeera vengono uccisi dalle forze statunitensi, un collaboratore è fatto prigioniero e torturato a Guantanamo.

 

La televisione diventa l’emittente delle potenze anglosassoni e dà voce all’islamismo sunnita. Nel 2009 Wadah Khafar visita gli Stati Uniti e viene ricevuto dai massimi esponenti delle élite dirigenziali.

 

Nel 2008 l’emiro impone in Libano, in violazione della Costituzione, un nuovo presidente al posto di quello uscente.

 

Nel 2011 il proprietario di JTrack, il Fratello Mahmoud Jibril, diventa improvvisamente il leader della contestazione del regime, di cui tuttavia era ministro. Il Fratello palestinese Wadah Khanfar lascia Al Jazeera per presiedere un think tank turco, Al Sharq Forum.

 

Il primo ministro qatariota, sceicco Hamad bin Jassem bin Jaber Al Thani, prende le redini della televisione, che si mette immediatamente al servizio della NATO, di cui diviene il principale strumento di propaganda nel modo arabo.

 

La rete inizia a divulgare una visione di parte dei conflitti in Libia e Siria, trasformandosi in televisione della Confraternita dei Fratelli Mussulmani. L’imam Youssef al-Qaradawi ne diventa il predicatore ufficiale: spiega ai telespettatori che Maometto sarebbe senza dubbio schierato a fianco della NATO.

 

Il Qatar diventa il principale mezzano del Medio Oriente. Negozia accordi di pace tra arabi ovunque glielo ordinino gli Stati Uniti: in Sahara occidentale, tra le fazioni palestinesi, in Darfur, in Eritrea e nello Yemen. Ma usa il proprio potere anche per rinfocolare guerre.

 

Nel 2012 dà due miliardi di dollari al Sudan del Fratello Omar al-Bashir perché richiami il proprio inviato speciale, generale Mohammed Ahmed Mustafa al-Dabi (2). Quest’ultimo — fin qui unanimemente apprezzato, in particolare per il ruolo di pacificatore in Darfur — era stato nominato presidente della Missione internazionale della Lega Araba in Siria dove, insieme ai suoi collaboratori, poteva accedere a qualunque sito ritenesse necessario. Nel rapporto preliminare il generale formulava la convinzione che i media occidentali mentivano e che in Siria non c’era rivoluzione.

 

Nel 2013 l’emiro abdica a favore del figlio, Tamim bin Hamad Al Thani.

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La «crisi del Golfo»

Da giugno 2017 a gennaio 2021 l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti attuano un blocco del Qatar, paralizzando il Consiglio di cooperazione del Golfo. Questa guerra fredda è stata mal interpretata. Secondo il Financial Times sarebbe legata a un’oscura vicenda di pagamento di riscatto; secondo altri, sarebbe conseguenza di una dichiarazione dell’emiro qatariota, sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, favorevole all’uso politico dell’islam da parte sia della Confraternita dei Fratelli Mussulmani sia dell’Iran.

 

In realtà il presidente della Repubblica araba d’Egitto, Abdel Fattah al-Sisi, riesce a procurarsi documenti della società segreta che ha governato l’Egitto per un anno: la Confraternita dei Fratelli Mussulmani, di cui, in quanto ex direttore dell’Intelligence militare, ha una conoscenza approfondita. Dopo il discorso a Riyad del presidente statunitense Donald Trump contro il terrorismo dei Fratelli Mussulmani (21 maggio 2017) capisce come può usare queste prove: le trasmette al sovrano saudita, sperando di ottenerne l’appoggio nella lotta contro i Fratelli. Le prove riguardano un complotto della Confraternita e del Qatar per rovesciare il re d’Arabia, Salman bin Abdelaziz al Saud.

 

Per il re e suo figlio è un trauma: non solo la Confraternita, che il regno ha vezzeggiato per anni, assegnandole un budget militare superiore a quello delle proprie forze armate, si permette di sostenere Daesh, ma minaccia il monarca.

 

Il 5 giugno 2017 Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein, seguiti dal governo yemenita d’Abdrabbo Mansour Hadi, dal governo libico di Tobruk, poi da Mauritania, Maldive e Comore rompono le relazioni diplomatiche con il Qatar. Questi Paesi chiudono le frontiere terrestri, aeree e marittime all’emirato, soffocandolo improvvisamente.

 

Il presidente statunitense Donald Trump si schiera e accusa il Qatar di finanziare «l’estremismo religioso». L’emirato è sostenuto da Turchia, Marocco, Hamas, Iran e Germania, dove la Guida nazionale della Confraternita, Ibrahim el-Zayat, ha entrature al ministero degli Esteri. Niger e Ciad sostengono invece l’Arabia Saudita.

 

Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein rivolgono al Qatar un ultimatum in 13 punti (3): deve rompere con l’islam politico e con i Paesi che lo sostengono, la Turchia e l’Iran.

 

La crisi si risolve solo con il tentativo del presidente statunitense Donald Trump di riconciliare i Paesi arabi tra loro e con Israele: organizza il riavvicinamento di Marocco e Israele, poi quello dei Paesi della crisi del Golfo. La polemica sull’islam politico viene accantonata.

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L’Emirato del Qatar e la Confraternita dei Fratelli Mussulmani

La Confraternita (Ikwan) persegue il fine proclamato alla fine della prima guerra mondiale dal suo fondatore, l’egiziano Hassan El-Banna: ripristinare il Califfato (4).

 

In una lettera al primo ministro egiziano dell’epoca egli descrive tre obiettivi: «la riforma della legislazione e l’unificazione di tutti i tribunali sotto la sharia; il reclutamento all’interno delle forze armate attraverso un servizio di volontario sotto la bandiera della jihad; la connessione tra i Paesi mussulmani e la preparazione della restaurazione del Califfato, in applicazione dell’unità che esige l’islam».

 

L’Ikwan è una società segreta organizzata sul modello della Grande Loggia Unita d’Inghilterra. Se ne conoscono le azioni solo attraverso testimonianze di ex membri o documenti su cui si mettono le mani quando è sconfitta.

 

Sin dalle origini la Confraternita si dota di milizie parallele, con il compito di uccidere gli oppositori; si sviluppa dapprima in Egitto, poi in tutto il mondo arabo nonché in Pakistan. Il Regno Unito e gli Stati Uniti si avvalgono presto di suoi esponenti politici come il Fratello Muhammad Zia-ul-Haq in Pakistan, o il Fratello Mahmoud Jibril in Libia e delle sue milizie, come Al Qaeda, Daesh o la Lega di protezione della rivoluzione tunisina.

 

Appena istallato alla Casa Bianca, il presidente Barak Obama fa entrare un membro della Confraternita, Mehdi K. Alhassani, nel Consiglio nazionale per la Sicurezza, allo scopo di stabilire un legame permanente con essa (5).

 

Quando gli Stati Uniti danno il via all’episodio siriano della «Guerra senza fine», chiedono ad Hamas di spostare la cellula di Damasco a Doha. Quando nel 2014 l’Arabia Saudita rompe definitivamente con i Fratelli, il Qatar volontariamente la sostituisce. Pur senza i mezzi del potente vicino, l’emirato alimenta le finanze di Hamas, con l’approvazione degli Stati Uniti. Nel 2018 il Qatar si fa carico degli stipendi dei funzionari di Hamas a Gaza. Con il consenso di Benjamin Netanyahu, l’ambasciatore qatariota si reca a Gaza con valige piene di dollari: 15 milioni in banconote di piccolo taglio. L’operazione si ripeterà ogni mese.

 

Nel 2022 il presidente statunitense Joe Biden, innalza il Qatar a rango di primo alleato al di fuori della NATO, onore concesso a una decina di Paesi in tutto il mondo.

 

Il madornale errore di Lolwah Al-Khater dimostra che il Qatar è ben più di questo: esercita la propria autorità sulla strategia politica e militare di Hamas.

 

Thierry Meyssan

 

NOTE

1) «Wadah Khanfar, al-Jazeera e il trionfo della propaganda televisiva», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 24 settembre 2011.

3) «Les 13 points de l’ultimatum saoudien au Qatar», Réseau Voltaire, 23 giugno 2017.

4) «I Fratelli Mussulmani in quanto assassini», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Alice Zanzottera, Rete Voltaire, 21 giugno 2019.

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

Fonte: «Il Qatar, i Fratelli Mussulmani, Hamas e Israele», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 5 dicembre 2023.

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Geopolitica

Orban: i nipoti degli europei pagheranno per il nuovo prestito all’Ucraina

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Il premier ungherese Viktor Orban ha criticato duramente la pressione della Commissione europea per raccogliere ulteriori 135 miliardi di euro (156 miliardi di dollari) a favore dell’Ucraina, sostenendo che ciò scaricherebbe debiti sulle generazioni future di europei. L’affermazione arriva in piena bufera per uno scandalo di corruzione a Kiev.   Mercoledì, in un post su X, Orban ha accusato la presidente Ursula von der Leyen di aver «ancora una volta chiesto ai Paesi membri fondi extra per finanziare l’Ucraina e la guerra». L’ammontare, ha precisato, equivarrebbe al 65% del Pil annuo ungherese e a tre quarti del bilancio UE: «una somma astronomica che semplicemente non esiste oggi».   Il «trucco di Bruxelles» consisterebbe in un prestito congiunto europeo, che farebbe ricadere «sui nostri nipoti i costi della guerra russo-ucraina»: un’idea «categoricamente assurda», ha tuonato l’Orban.  

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Von der Leyen, secondo quanto trapelato, ha invitato i governi UE ad accelerare un accordo per coprire le esigenze militari e finanziarie ucraine nei prossimi due anni, proponendo opzioni come contributi bilaterali, prestiti comuni e un finanziamento basato sui beni russi congelati.   In risposta, l’Orbano ha paragonato la strategia di Bruxelles a «inviare un’altra cassa di vodka per aiutare un alcolizzato», definendola «ancora più sbalorditiva» in un momento in cui «una mafia di guerra sta dirottando i soldi dei contribuenti europei».   La scorsa settimana, l’Ufficio nazionale anticorruzione ucraino (NABU), supportato dall’Occidente, ha avviato un’inchiesta su un’«organizzazione criminale di alto livello» capeggiata da Timur Mindich, ex socio d’affari di Volodymyr Zelensky. Gli investigatori parlano di circa 100 milioni di dollari in tangenti legate all’operatore nucleare Energoatom, convogliati attraverso una rete gestita da Mindich.   Sebbene l’UE emetta spesso moniti generici sulla corruzione in Ucraina, i suoi funzionari tendono a evitare scandali che possano danneggiare Zelensky e il suo entourage.   Di recente Orban ha rivelato che l’UE ha già «bruciato» 185 miliardi di euro dall’escalation del 2022: «la guerra sta uccidendo economicamente l’UE», ha avvertito, esortando Bruxelles a privilegiare la diplomazia con Mosca anziché ulteriori aiuti.  

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Geopolitica

Il piano di pace degli Stati Uniti propone all’Ucraina di «rinunciare alla sovranità»

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Un piano di pace elaborato dagli Stati Uniti, apparentemente in stretta consultazione con Mosca, è stato presentato questa settimana a Kiev dall’inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff. Secondo quanto rivelato da Axios e Financial Times, la bozza di 28 punti imporrebbe all’Ucraina concessioni così pesanti da essere considerate da numerose fonti una vera e propria capitolazione e una rinuncia di fatto alla sovranità nazionale.

 

Il documento prevede la cessione definitiva delle aree del Donbass ancora controllate da Kiev, il dimezzamento delle forze armate ucraine, la rinuncia a categorie fondamentali di armamenti e una netta riduzione dell’assistenza militare americana. Include inoltre il riconoscimento del russo come lingua ufficiale e il ripristino dello status ufficiale per la Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca, repressa dall’attuale governo Zelens’kyj.

 

Lo Witkoff avrebbe chiesto esplicitamente al presidente ucraino – che ieri ha incontrato un alto ufficiale statunitense – di accettare questi termini.

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Mosca non ha né confermato né smentito l’esistenza del piano. Il portavoce Dmitrij Peskov ha dichiarato che non c’è «nulla di nuovo» rispetto ai colloqui già intercorsi tra Putin e Trump in Alaska, mentre il negoziatore russo Kirill Dmitriev ha sottolineato ad Axios che la posizione russa «è stata davvero ascoltata» e che l’intesa va ben oltre un semplice cessate il fuoco.

 

Un funzionario della Casa Bianca ha riferito a Politico che l’accordo potrebbe essere finalizzato entro la fine del mese, o addirittura già nel corso di questa settimana.

 

I dirigenti russi continuano a ribadire che qualsiasi soluzione duratura dovrà garantire la neutralità permanente dell’Ucraina, la sua esclusione definitiva dalla NATO, la smilitarizzazione, la denazificazione e il riconoscimento dell’attuale realtà territoriale.

 

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Geopolitica

Gli USA stanno segretamente elaborando con la Russia un nuovo piano di pace per l’Ucraina

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Gli Stati Uniti starebbero elaborando in gran segreto una proposta inedita per risolvere il conflitto ucraino, secondo quanto rivelato martedì da Axios. La bozza, articolata in 28 punti, sarebbe stata redatta in coordinamento ravvicinato con Mosca e già condivisa con Kiev e i suoi alleati europei. Lo riporta la testa americana Axios.   Il piano trae ispirazione dai principi emersi dal colloquio tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader russo Vladimir Putin in Alaska lo scorso agosto. Il negoziatore moscovita Kirill Dmitriev ha confidato ad Axios di aver dedicato tre giorni, durante la sua visita negli USA alla fine di ottobre, a sviscerare l’iniziativa con l’inviato di Trump, Steve Witkoff.   «Siamo convinti che questo schema arrivi nel momento propizio», ha commentato un alto esponente americano a conoscenza dei dettagli, aggiungendo: «Tuttavia, entrambe le controparti dovranno mostrarsi pragmatiche e ancorare le aspettative alla realtà».   Mercoledì, il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha minimizzato lo scoop, precisando che nei dialoghi tra Washington e Mosca non è emerso «nulla di innovativo» oltre a quanto già discusso ad Anchorage.

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Lo Witkoff ha visionato la bozza questa settimana con Rustem Umerov, segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino, in un incontro tenutosi a Miami. Umerov, la cui famiglia vive negli Stati Uniti, ha lasciato Kiev in piena bufera per uno scandalo corruttivo che coinvolge Timur Mindych, fedelissimo di lunga data di Volodymyr Zelens’kyj, accusato di orchestrare un meccanismo di tangenti per 100 milioni di dollari legato all’operatore nucleare statale Energoatom.   I media ucraini sostengono che Umerov, durante il suo ruolo di ministro della Difesa, abbia ceduto alle pressioni di Mindych per approvare forniture di giubbotti antiproiettile non conformi, e ora si starebbe sottraendo al rientro in patria per timore di ritorsioni legate a presunte influenze del businessman.   L’inviato americano è atteso in Turchia mercoledì per un faccia a faccia con lo Zelens’kyj. Secondo l’Economist, lo Witkoff avrebbe cancellato un appuntamento con il capo di gabinetto presidenziale Andriy Yermak, sospettato di intrecci con la rete di Mindych, per evitare di incappare in ulteriori tensioni politiche che potrebbero accelerare un possibile licenziamento dello Yermak.   «Witkoff potrebbe non aver colto appieno lo scandalo in cui rischiava di ficcarsi concordando quell’incontro», ha osservato il giornalista dell’Economist Oliver Carroll su X.     Mosca ha ribadito che un accordo stabile deve salvaguardare le sue priorità in termini di sicurezza. Dmitriev si è detto «moderatamente fiducioso» sulla bozza americana, notando: «Abbiamo l’impressione che la prospettiva russa sia stata finalmente presa in considerazione».  

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