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Geopolitica

Il Qatar, i Fratelli Mussulmani, Hamas e Israele

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Diversamente da come viene presentato, nella vicenda degli ostaggi dell’operazione Diluvio di Al-Aqsa il Qatar non è un negoziatore al di sopra delle parti. Una cantonata della ministra qatariota Lolwah Al-Khater, a Tel Aviv per partecipare alle trattative, dimostra al contrario che Doha esercita un’autorità su Hamas. I nuovi membri del gabinetto di guerra israeliano hanno scoperto con sconcerto che il Qatar ha partecipato al complotto di Benjamin Netanyahu per preparare l’attacco a Israele del 7 ottobre 2023.

 

Lolwah Al-Khater, ministra qatariota per la Cooperazione internazionale, il 25 novembre 2023 si è recata a Tel Aviv: è stata la prima visita di un rappresentante ufficiale del Qatar in Israele. La ministra è stata ricevuta dal gabinetto di guerra allo scopo di superare i problemi legati all’applicazione dell’accordo sullo scambio di ostaggi; successivamente si è recata a Gaza.

 

Avvezza a discutere con David Barnea, direttore del Mossad, Lolwah Al-Khater sembra non essersi resa conto che del gabinetto di guerra fanno parte non soltanto i fedelissimi di Benjamin Netanyahu; così, per guadagnare tempo, è caduta nell’errore di prendere decisioni in nome di Hamas, senza consultarlo.

 

I membri dell’opposizione del gabinetto di emergenza presenti alla riunione sono rimasti scioccati nel vedere la ministra qatariota abbandonare il ruolo di mediatrice, lasciando intravvedere l’autorità che il Qatar esercita su Hamas, branca palestinese della Confraternita dei Fratelli Mussulmani.

 

Al termine della riunione, Joshua Zarka, vicedirettore generale degli Affari strategici del ministero degli Esteri israeliano, ha dichiarato che Israele «farà i conti con il Qatar» non appena questi avrà terminato il ruolo di mediatore. Infatti, se Doha può dare ordini ad Hamas, non può più nascondere la propria responsabilità nell’attacco del 7 ottobre. Il Qatar non solo non è un mediatore, è soprattutto un nemico degli israeliani.

 

Esaminiamo brevemente l’identità del Qatar.

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Il Qatar e gli Stati Uniti

Il Qatar acquisisce l’indipendenza dall’impero britannico soltanto nel 1971. Il primo emiro qatariota, Khalifa bin Hamad Al Thani, si volge alla Francia. Imposta lo sviluppo del Paese diffidando dei facili introiti degli idrocarburi. Ma nel 1995 viene rovesciato dal figlio, Hamad bin Khalifa Al Thani. Il nuovo emiro conclude accordi sul gas, nonché sul petrolio, principalmente con società anglosassoni Exxon Mobil, Chevron Philips, Schell, Centrica, con la francese Total, con le cinesi China National Offshore Oil, CNOOC, Petrocina, poi con società indiane, sudcoreane e giapponesi. Il denaro corre a fiumi.

 

Nel 1996, nello slancio degli Accordi di Oslo, il Qatar, insieme agli ebrei franco-canadesi David e Jean Frydman, amici di Yitzhak Rabin e di Yasser Arafat, fonda una televisione panaraba per mettere a confronto i punti di vista degli arabi e degli israeliani: Al Jazeera. Il successo è immediato. Ma Al Jazeera, intellettualmente partecipe del movimento per la pace in Israele, durante le guerre contro l’Afghanistan e l’Iraq diviene la bestia nera degli Stati Uniti.

 

Nel 2002 gli Stati Uniti concludono un accordo militare con il Qatar e istallano il quartier generale del comando delle loro truppe in Medio Oriente, il CentCom, nella gigantesca base di Al-Udeid, dove sono acquartierati 11.000 soldati e un centinaio di aerei; conseguentemente ritirano i propri uomini dall’Arabia Saudita.

 

Il Pentagono si premura di ricordare ai qatarioti che non hanno abbastanza forza per sfidarlo. Un mattino l’emiro è svegliato in camera da letto dalle Forze speciali: un ufficiale statunitense gli garantisce che sono lì per proteggerlo da un immaginario colpo di Stato. L’emiro capisce l’antifona e da questo momento si allinea alle esigenze dei suoi protettori.

 

Nel 2005 l’azionariato di Al Jazeera vacilla per il boicottaggio degli inserzionisti sauditi. I fratelli Frydman si ritirano. La rete televisiva è completamente riformattata dalla società di consulenza JTrack; alla sua guida viene messo il Fratello palestinese Wadah Khanfar (1), che progressivamente censura ogni critica all’«imperialismo americano”»al punto da rimuovere alcune immagini dei crimini statunitensi in Iraq. Diversi giornalisti di Al Jazeera vengono uccisi dalle forze statunitensi, un collaboratore è fatto prigioniero e torturato a Guantanamo.

 

La televisione diventa l’emittente delle potenze anglosassoni e dà voce all’islamismo sunnita. Nel 2009 Wadah Khafar visita gli Stati Uniti e viene ricevuto dai massimi esponenti delle élite dirigenziali.

 

Nel 2008 l’emiro impone in Libano, in violazione della Costituzione, un nuovo presidente al posto di quello uscente.

 

Nel 2011 il proprietario di JTrack, il Fratello Mahmoud Jibril, diventa improvvisamente il leader della contestazione del regime, di cui tuttavia era ministro. Il Fratello palestinese Wadah Khanfar lascia Al Jazeera per presiedere un think tank turco, Al Sharq Forum.

 

Il primo ministro qatariota, sceicco Hamad bin Jassem bin Jaber Al Thani, prende le redini della televisione, che si mette immediatamente al servizio della NATO, di cui diviene il principale strumento di propaganda nel modo arabo.

 

La rete inizia a divulgare una visione di parte dei conflitti in Libia e Siria, trasformandosi in televisione della Confraternita dei Fratelli Mussulmani. L’imam Youssef al-Qaradawi ne diventa il predicatore ufficiale: spiega ai telespettatori che Maometto sarebbe senza dubbio schierato a fianco della NATO.

 

Il Qatar diventa il principale mezzano del Medio Oriente. Negozia accordi di pace tra arabi ovunque glielo ordinino gli Stati Uniti: in Sahara occidentale, tra le fazioni palestinesi, in Darfur, in Eritrea e nello Yemen. Ma usa il proprio potere anche per rinfocolare guerre.

 

Nel 2012 dà due miliardi di dollari al Sudan del Fratello Omar al-Bashir perché richiami il proprio inviato speciale, generale Mohammed Ahmed Mustafa al-Dabi (2). Quest’ultimo — fin qui unanimemente apprezzato, in particolare per il ruolo di pacificatore in Darfur — era stato nominato presidente della Missione internazionale della Lega Araba in Siria dove, insieme ai suoi collaboratori, poteva accedere a qualunque sito ritenesse necessario. Nel rapporto preliminare il generale formulava la convinzione che i media occidentali mentivano e che in Siria non c’era rivoluzione.

 

Nel 2013 l’emiro abdica a favore del figlio, Tamim bin Hamad Al Thani.

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La «crisi del Golfo»

Da giugno 2017 a gennaio 2021 l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti attuano un blocco del Qatar, paralizzando il Consiglio di cooperazione del Golfo. Questa guerra fredda è stata mal interpretata. Secondo il Financial Times sarebbe legata a un’oscura vicenda di pagamento di riscatto; secondo altri, sarebbe conseguenza di una dichiarazione dell’emiro qatariota, sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, favorevole all’uso politico dell’islam da parte sia della Confraternita dei Fratelli Mussulmani sia dell’Iran.

 

In realtà il presidente della Repubblica araba d’Egitto, Abdel Fattah al-Sisi, riesce a procurarsi documenti della società segreta che ha governato l’Egitto per un anno: la Confraternita dei Fratelli Mussulmani, di cui, in quanto ex direttore dell’Intelligence militare, ha una conoscenza approfondita. Dopo il discorso a Riyad del presidente statunitense Donald Trump contro il terrorismo dei Fratelli Mussulmani (21 maggio 2017) capisce come può usare queste prove: le trasmette al sovrano saudita, sperando di ottenerne l’appoggio nella lotta contro i Fratelli. Le prove riguardano un complotto della Confraternita e del Qatar per rovesciare il re d’Arabia, Salman bin Abdelaziz al Saud.

 

Per il re e suo figlio è un trauma: non solo la Confraternita, che il regno ha vezzeggiato per anni, assegnandole un budget militare superiore a quello delle proprie forze armate, si permette di sostenere Daesh, ma minaccia il monarca.

 

Il 5 giugno 2017 Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein, seguiti dal governo yemenita d’Abdrabbo Mansour Hadi, dal governo libico di Tobruk, poi da Mauritania, Maldive e Comore rompono le relazioni diplomatiche con il Qatar. Questi Paesi chiudono le frontiere terrestri, aeree e marittime all’emirato, soffocandolo improvvisamente.

 

Il presidente statunitense Donald Trump si schiera e accusa il Qatar di finanziare «l’estremismo religioso». L’emirato è sostenuto da Turchia, Marocco, Hamas, Iran e Germania, dove la Guida nazionale della Confraternita, Ibrahim el-Zayat, ha entrature al ministero degli Esteri. Niger e Ciad sostengono invece l’Arabia Saudita.

 

Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein rivolgono al Qatar un ultimatum in 13 punti (3): deve rompere con l’islam politico e con i Paesi che lo sostengono, la Turchia e l’Iran.

 

La crisi si risolve solo con il tentativo del presidente statunitense Donald Trump di riconciliare i Paesi arabi tra loro e con Israele: organizza il riavvicinamento di Marocco e Israele, poi quello dei Paesi della crisi del Golfo. La polemica sull’islam politico viene accantonata.

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L’Emirato del Qatar e la Confraternita dei Fratelli Mussulmani

La Confraternita (Ikwan) persegue il fine proclamato alla fine della prima guerra mondiale dal suo fondatore, l’egiziano Hassan El-Banna: ripristinare il Califfato (4).

 

In una lettera al primo ministro egiziano dell’epoca egli descrive tre obiettivi: «la riforma della legislazione e l’unificazione di tutti i tribunali sotto la sharia; il reclutamento all’interno delle forze armate attraverso un servizio di volontario sotto la bandiera della jihad; la connessione tra i Paesi mussulmani e la preparazione della restaurazione del Califfato, in applicazione dell’unità che esige l’islam».

 

L’Ikwan è una società segreta organizzata sul modello della Grande Loggia Unita d’Inghilterra. Se ne conoscono le azioni solo attraverso testimonianze di ex membri o documenti su cui si mettono le mani quando è sconfitta.

 

Sin dalle origini la Confraternita si dota di milizie parallele, con il compito di uccidere gli oppositori; si sviluppa dapprima in Egitto, poi in tutto il mondo arabo nonché in Pakistan. Il Regno Unito e gli Stati Uniti si avvalgono presto di suoi esponenti politici come il Fratello Muhammad Zia-ul-Haq in Pakistan, o il Fratello Mahmoud Jibril in Libia e delle sue milizie, come Al Qaeda, Daesh o la Lega di protezione della rivoluzione tunisina.

 

Appena istallato alla Casa Bianca, il presidente Barak Obama fa entrare un membro della Confraternita, Mehdi K. Alhassani, nel Consiglio nazionale per la Sicurezza, allo scopo di stabilire un legame permanente con essa (5).

 

Quando gli Stati Uniti danno il via all’episodio siriano della «Guerra senza fine», chiedono ad Hamas di spostare la cellula di Damasco a Doha. Quando nel 2014 l’Arabia Saudita rompe definitivamente con i Fratelli, il Qatar volontariamente la sostituisce. Pur senza i mezzi del potente vicino, l’emirato alimenta le finanze di Hamas, con l’approvazione degli Stati Uniti. Nel 2018 il Qatar si fa carico degli stipendi dei funzionari di Hamas a Gaza. Con il consenso di Benjamin Netanyahu, l’ambasciatore qatariota si reca a Gaza con valige piene di dollari: 15 milioni in banconote di piccolo taglio. L’operazione si ripeterà ogni mese.

 

Nel 2022 il presidente statunitense Joe Biden, innalza il Qatar a rango di primo alleato al di fuori della NATO, onore concesso a una decina di Paesi in tutto il mondo.

 

Il madornale errore di Lolwah Al-Khater dimostra che il Qatar è ben più di questo: esercita la propria autorità sulla strategia politica e militare di Hamas.

 

Thierry Meyssan

 

NOTE

1) «Wadah Khanfar, al-Jazeera e il trionfo della propaganda televisiva», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 24 settembre 2011.

3) «Les 13 points de l’ultimatum saoudien au Qatar», Réseau Voltaire, 23 giugno 2017.

4) «I Fratelli Mussulmani in quanto assassini», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Alice Zanzottera, Rete Voltaire, 21 giugno 2019.

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

Fonte: «Il Qatar, i Fratelli Mussulmani, Hamas e Israele», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 5 dicembre 2023.

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Geopolitica

La Germania deporta 7 soldati ucraini perché esponevano simboli nazisti

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Il governo tedesco ha rivelato di aver espulso sette soldati ucraini che esibivano simboli nazisti mentre erano nel paese per l’addestramento.   La rivelazione di mercoledì è stata motivata da un’inchiesta del partito Alternativa per la Germania (AfD), che è diventato sempre più popolare grazie a una piattaforma che si oppone all’immigrazione di massa, all’agenda verde e alla guerra per procura occidentale contro la Russia in Ucraina.   Tra le altre numerose domande che sollevano preoccupazione sull’estremismo ucraino, l’AfD ha chiesto se i soldati ucraini addestrati in Germania fossero stati trovati con simboli estremisti e, in caso affermativo, «che cosa ha fatto il governo federale al riguardo».

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In una risposta di quattro pagine pubblicata sul sito web del Bundestag, il governo tedesco ha affermato che «sette casi di questo tipo sono stati identificati durante l’addestramento condotto dalla Bundeswehr per le forze armate ucraine». Gli ucraini trasgressori sarebbero stati «rimpatriati» in Ucraina.   Il governo ha aggiunto che i soldati tedeschi incaricati di addestrare gli ucraini sono addestrati a riconoscere i simboli dell’estremismo di destra e ad affrontarli. Inoltre, al loro arrivo in Germania, i soldati ucraini ricevono «istruzioni sul simbolismo nazista».   Nella sua inchiesta, l’AfD ha sottolineato il Reggimento Azov, «che è classificato da molti esperti come estremista di destra e utilizza il Wolfsangel (runa tipica di diverse unità delle SS, bandito nella Repubblica Federale Tedesca) come simbolo».   Il partito di opposizione ha chiesto se il governo fosse a conoscenza del fatto che i social media mostrano simboli nazisti sulle armi ucraine e ha chiesto se il governo tedesco avesse contattato le controparti ucraine a riguardo, e in particolare riguardo alla loro potenziale apparizione sulle armi fornite dalla Germania. Il governo ha affermato che le immagini finite sui social media non includono armi tedesche.   Il governo ha osservato che circa 10.000 soldati sono stati addestrati «sul suolo tedesco nel 2023». La quantità di essi che ha ricevuto istruzioni da parte dei tedeschi per coprire tatuaggi e gettare vie toppe non è nota.   L’AfD ha chiesto se l’estremismo ucraino rappresenti una minaccia per un potenziale processo di pace in Ucraina. Il governo ha risposto che «no, è l’imperialismo russo che è alla base della guerra illegale di aggressione russa contro l’Ucraina e che minaccia la sicurezza in Europa».

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Quando la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, il presidente Vladimir Putin affermò che uno degli obiettivi dell’«operazione speciale» era la «denazificazione» dell’Ucraina. L’Unione Sovietica ha subito l’incredibile cifra di 24 milioni di morti tra civili e militari durante la Seconda Guerra Mondiale, che in Russia chiamano «Grande Guerra Patriottica», e che basicamente per i russi è stata la lotta contro la Germania nazista che li stava invadendo.   La situazione è questa: il partito tedesco che viene abitualmente demonizzato come «estrema destra» ed «estremista» – e per questo perseguito perfino dai servizi di sicurezza interni – è quello che mostrando le prove delle tendenze naziste dei soldati ucraini addestrati ed armati dai tedeschi – dopo che lo erano stati, senza troppi problemi, da canadesi, americani, etc.   Durante gli scorsi giorni si è introdotto tuttavia un ulteriore elemento grottesco nella scena internazionale.   Nel periodo in cui si diffondeva la notizia della deportazione da parte della Germania dei soldati ucraini con la svastica, il segretario di Stato americano Antony Blinken stava cenando a Kiev in un ristorante a tema veterano di guerra, dove sarebbero visti immagini e simboli dell’estremismo ucronazista.  

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Come insistono i media russi, l’Ucraina è l’unico paese al mondo che ha integrato apertamente le milizie neonaziste nelle sue forze armate nazionali. Queste unità una volta venivano descritte dai media occidentali come «neo-naziste», ma tale definizione dopo lo scoppio del conflitto con la Russia è venuta meno, pure quando le agenzie di stampa si trovano ad intervistare un soldato ucraino che ha scelto come nome di battaglia «Adolf».   Quattro mesi fa, un po’ a sorpresa, il presidente ucraino Zelens’kyj si è fatto vedere in video dal fronte, con Andrej Biletsky, il fondatore dell’Azov. Il battaglione, hanno sostenuto recentemente i russi, sarebbe stato addestrato da istruttori NATO nel 2021.   Le origini ideologiche naziste (o meglio, ucronaziste) di Azov sono state apertamente e ripetutamente insabbiate sia dagli algoritmi dei social che dall’operato indefinibile dei giornalisti d’Italia e di tutto il mondo, arrivando persino a togliere dal web vecchi articoli che raccontavano la pura verità su svastiche e violenze.   Interrogato sulle origini naziste e la atrocità attribuite ad Azov in una bonaria intervista di Fox News l’anno scorso, Zelens’kyj aveva risposto in modo seccato: quei miliziani «sono quello che sono».   Come riportato da Renovatio 21, i legami del nazionalismo integralista ucraino con la CIA e con i servizi segreti inglesi sono noti da decenni.   Alla fine dello scorso anno, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato che Mosca non permetterà all’Ucraina di continuare ad essere uno «Stato nazista» che rappresenta una minaccia sia per la Russia che per le altre nazioni.

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Il presidente dell’Iran ucciso mentre viaggiava in elicottero

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Il presidente iraniano Ebrahim Raisi è stato ucciso insieme al ministro degli Esteri in un incidente in elicottero domenica nelle montagne nordoccidentali del Paese. Lo hanno riportato lunedì i media statali iraniani.

 

Le notizie sulla sua morte non erano state confermate fino a poche ore fa. Canali israeliani davano per certa la sua morte.

 

Ieri il gabinetto del presidente Raisi ha tenuto una riunione d’emergenza, lasciando vuoto il suo posto al centro del tavolo della conferenza come commemorazione simbolica, come mostrano le foto pubblicate dall’agenzia di stampa statale IRNA. L’agenzia successivamente ha annunciato il decesso dicendo che era stato «martirizzato durante il servizio».

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Il gabinetto ha rilasciato una dichiarazione elogiando il suo servizio al Paese e al popolo iraniano e promettendo di seguire le sue orme.

 

La morte del presidente Raisi è stata annunciata dal podio del santuario sciita più venerato dell’Iran, il mausoleo dell’Imam Reza, nella sua città natale di Mashhad, nel Nord-Est del Paese. Una grande folla di sostenitori del governo si era radunata lì durante la notte per tenere una veglia di preghiera. La gente ha lanciato forti grida e lamenti quando fu fatto l’annuncio.

 

L’agenzia di stampa Tasnim, affiliata alle Guardie rivoluzionarie iraniane, ha pubblicato un comunicato affermando che il presidente Raisi e il ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian sono rimasti uccisi nell’incidente in elicottero, mostrando una foto del Raisi con un titolo che lo chiamava martire. Tasnim ha anche detto che il governatore della provincia dell’Azerbaigian Orientale, un imam e due alti ufficiali militari responsabili della sicurezza presidenziali sono morti nello schianto, insieme al pilota e al copilota.

 

Le prime foto e filmati del luogo dell’incidente pubblicati sui siti di notizie iraniani mostravano detriti e parti rotte dell’elicottero. A bordo dell’elicottero, oltre al presidente e al ministro degli Esteri, c’erano anche un religioso e il governatore della provincia orientale dell’Azerbaigian.

 

«Trovando la posizione dell’elicottero e vedendo la scena, non c’è traccia che nessuno dei passeggeri fosse vivo», ha detto alla televisione di stato il capo della Mezzaluna Rossa (l’equivalente della nostra Croce Rossa) iraniana, Pirhossien Koulivand, che si trovava sul posto.

 

Le operazioni di ricerca e soccorso hanno impiegato ore per raggiungere il luogo dell’incidente, ma facendo trasparire poco dei progressi, in condizioni meteorologiche avverse al punto che sono stati dati per dispersi anche tre uomini addetti alle ricerche.

 

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Vari Paesi hanno inviato aiuti per la ricerca e il salvataggio, tra cui Russia e Turchia. Secondo l’agenzia turca per la gestione dei disastri AFAD, l’Iran ha richiesto un elicottero di ricerca e salvataggio con visione notturna alla Turchia.

 

L’elicottero che trasportava il presidente iraniano Ebrahim Raisi, il ministro degli Esteri e altri funzionari è precipitato in una remota regione settentrionale mentre tornava da una visita ufficiale in Azerbaigian domenica scorsa, secondo alcuni un viaggio per una diga in costruzione.

 

Come riportato da Renovatio 21, il confine azero è «caldo» per Teheran, che vi conduce esercitazioni militari dimostrative e non ha mai nascosto di sostenere l’Armenia nel conflitto con l’Azerbaigian.

 

La Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, ha chiesto preghiere per Raisi e i funzionari scomparsi assicurando stabilità all’interno della leadership del governo.

 

Una forte presenza militare sta venendo segnalata nella capitale Teheran. Secondo quanto riportato, membri del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (i pasdaran) hanno affermato di aver preso posizione vicino a diversi edifici governativi.

 

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Raisi era a bordo di un vecchio elicottero Bell, secondo alcuni rapporti aveva più di 40 anni. L’aviazione iraniana è piagata da decenni di sanzioni americane che rendono più difficile trovare i ricambi.

 

 

Che si tratti di un ulteriore momento-Sarajevo 1914?

 

L’ipotesi è quella che abbiamo fatto anche vedendo le immagini dell’attentato contro il premier slovacco Fico, e le numerose minacce di morte a vari leader di Paesi europei.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’idea è stata ripetuta da Orban poche ore fa: l’attentato di Fico è legato alla preparazione del prossimo conflitto.

 

Che la guerra debba partire a tutti i costi? Che la guerra debba essere fatta subito, prima delle elezioni americane di novembre?

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La Spagna si è rifiutata di attraccare una nave che trasportava armi verso Israele

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Il 16 maggio la Spagna ha rifiutato la richiesta di una nave che trasportava armi destinate a Israele di attraccare nel porto di Cartagena, ha riferito la rete spagnola EFE, secondo la testata israeliana Ynet.   La nave Marianne Danica sarebbe partita dalla città di Chennai (un tempo conosciuta come Madras) in India con un carico di circa 27 tonnellate di esplosivo.   La notizia è stata confermata dal ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, il quale ha affermato che alla nave era stato rifiutato l’ingresso dopo che aveva chiesto il permesso di fare scalo a Cartagena il 21 maggio.   Secondo il sito di localizzazione navale Vessel Finder, la Marianne Danica è una piccola nave da carico secco che naviga sotto bandiera danese.

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Amnesty International riferisce che è gestito dalla H. Folmer & Co., che a quanto pare è specializzata nel trasporto di munizioni.   Lo scorso novembre il primo ministro Pedro Sanchez aveva dichiarato che la Spagna è disposta ad andare avanti da sola sulla questione del riconoscimento dello Stato palestinese, anche se preferirebbe agire insieme ad altri membri dell’UE.   Come riportato da Renovatio 21, lo scorso ottobre il ministro spagnuolo per i diritti sociali Ione Belarra ha esortato i leader europei a intraprendere azioni immediate contro Israele, paventando la possibilità che altrimenti la UE diventi «complice del genocidio».   A marzo parlamentari spagnuoli avevano firmato – assieme ad altri circa 200 colleghi di Australia, Belgio, Brasile, Canada, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti – un appello intitolato «Non saremo complici della grave violazione del diritto internazionale da parte di Israele» per esprimere opposizione ai «Paesi esportatori di armi verso Israele», chiedendo un embargo immediato sulle armi spedite da Paesi partner militari dello Stato Ebraico.   All’appello non pare abbia partecipato alcun parlamentare italiano.

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Immagine di Øyvind Holmstad via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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