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Geopolitica

Mali e Niger annullano gli accordi con la Francia. Il Burkina Faso abbandona il francese come lingua ufficiale

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I governi militari del Mali e del Niger hanno entrambi rescisso i trattati con la Francia che consentivano loro di cooperare con l’ex potenza coloniale in materia fiscale. I due paesi dell’Africa occidentale hanno annunciato martedì la decisione in una dichiarazione congiunta.

 

Secondo la dichiarazione pubblicata su Twitter dal ministero degli Esteri del Mali, il governo maliano sta annullando un accordo del 1972 con Parigi volto ad evitare la doppia imposizione e stabilire regole di assistenza reciproca in varie questioni fiscali. La revocata convenzione Niger-Francia aveva obiettivi simili.

 

«L’atteggiamento ostile persistente della Francia nei confronti dei nostri Stati… si è aggiunto al carattere squilibrato di queste convenzioni, causando un notevole deficit per il Mali e il Niger» e violando le regole della cooperazione internazionale, hanno affermato le due Nazioni.

 

Lo sviluppo si inserisce in una serie di azioni intraprese dai governanti militari dei Paesi dell’Africa occidentale per recidere i legami con la Francia, che in precedenza era stata un alleato chiave in vari settori, compresa la sicurezza.

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Mali e Niger, insieme al Burkina Faso, hanno firmato a settembre una carta per formare l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) dopo il ritiro delle truppe francesi dai rispettivi paesi. L’accordo mira a consentire alle tre nazioni di combattere insieme le minacce alla sicurezza esterna e interna. Gli Stati, insieme a Ciad e Mauritania, erano precedentemente membri dell’accordo G5 Sahel sostenuto da Parigi, che da allora è crollato a causa di una serie di colpi di stato militari nella regione.

 

Martedì, Bamako e Niamey hanno annunciato di aver deciso di porre fine alla cooperazione fiscale con Parigi entro i prossimi tre mesi «per preservare gli interessi superiori dei popoli maliano e nigerino».

 

L’ingerenza del governo francese negli affari interni dei due Paesi rende impossibile l’esecuzione dei trattati, hanno affermato i militari nella dichiarazione che annuncia la decisione.

 

Le recenti battute d’arresto della Francia nelle sue ex colonie dell’Africa occidentale sono seguite al rovesciamento del presidente del Niger Mohamed Bazoum, che ha spinto l’UE a imporre severe sanzioni. Parigi ha espresso sostegno all’intervento militare pianificato dal blocco regionale dell’Africa occidentale (ECOWAS) in Niger per ripristinare il governo democratico.

 

Nel frattempo, il divorzio dell’Africa francofona da Parigi prosegue anche in Burkina Faso, e proprio relativamente alla francofonia.

 

Un emendamento alla costituzione del Burkina Faso che garantisce lo status ufficiale delle lingue locali, eliminando il francese e rendendolo una cosiddetta «lingua di lavoro», è stato approvato mercoledì dal Consiglio dei ministri dello Stato africano.

 

Il ministro della Giustizia e dei diritti umani, Edasso Rodrigue Bayala, ha annunciato i cambiamenti riguardanti lo status delle lingue nell’ex colonia francese.

 

«In questa bozza di testo, dobbiamo notare l’istituzionalizzazione delle lingue nazionali come lingue ufficiali, mentre il francese rimane una lingua di lavoro», ha spiegato il Bayala.

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Il progetto contiene riforme che includono l’ampliamento dei poteri del Consiglio costituzionale e l’ammissione dei non magistrati al Consiglio supremo della magistratura, ha affermato il ministro. Ciò consentirà allo Stato di prendere le distanze dalla sua eredità coloniale, rafforzando al tempo stesso la sua sovranità e identità culturale, secondo La Nouvelle Tribune.

 

Secondo Bayala, la decisione fa parte di un progetto di aggiornamento della costituzione delle autorità militari, che hanno preso il controllo in seguito a un colpo di stato alla fine di settembre 2022. Nell’agosto di quest’anno hanno rinunciato all’accordo sulla doppia imposizione del Paese con la Francia.

 

Il 22 luglio, anche il Mali aveva approvato una nuova costituzione che conferisce status ufficiale alle lingue locali del Paese, eliminando il francese come lingua ufficiale. Il Marocco sta attualmente attraversando una riforma dell’istruzione che favorisce l’uso dell’inglese, e l’Algeria ha reso l’arabo la sua lingua ufficiale, con la graduale sostituzione del francese.

 

Come riportato da Renovatio 21, nelle scorse ore i ministri degli Esteri di Burkina Faso, Mali e Niger hanno approvato i piani per creare una federazione che unisca le tre nazioni dell’Africa occidentale, tutte attualmente governate dai rispettivi eserciti, con l’obiettivo di affrontare sfide comuni.

 

La mossa è stata salutata come il capolinea per il franco CFA, cosiddetto «franco coloniale», moneta battuta da Parigi e data in uso alle ex colonie.

 

La fine definitiva del dominio francese in Africa sembra oramai una realtà storica.

 

Come riportato da Renovatio 21, due anni fa il Mali aveva accusato la Francia di addestrare i terroristi che dice di combattere con le sue operazioni militari nell’area, alle quali, va ricordato, ha partecipato talvolta anche l’esercito italiano.

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Geopolitica

La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco

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Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto cancellare un viaggio previsto in Cina dopo che Pechino si sarebbe rifiutata di organizzare incontri di alto livello con lui, secondo quanto riportato venerdì da diversi organi di stampa.   Il Wadephul sarebbe dovuto partire per Pechino domenica per discutere delle restrizioni cinesi sull’esportazione di terre rare e semiconduttori, oltre che del conflitto in Ucraina.   «Il viaggio non può essere effettuato al momento e sarà posticipato a data da destinarsi», ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, citato da Politico. Il Wadephullo avrebbe dovuto incontrare il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ma l’agenda prevedeva troppo pochi incontri di rilievo.   Secondo il tabloide germanico Bild, i due diplomatici terranno presto una conversazione telefonica.

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Questo intoppo diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. Nell’ultimo anno, Bruxelles e Pechino si sono scontrate sulla presunta sovrapproduzione industriale cinese, mentre la Cina accusa l’UE di protezionismo.   All’inizio di questo mese, Pechino ha rafforzato le restrizioni sull’esportazione di minerali strategici con applicazioni militari, una mossa che potrebbe aggravare le difficoltà del settore automobilistico europeo.   La Germania è stata particolarmente colpita dal deterioramento del clima commerciale.   Come riportato da Renovatio 21, la Volkswagen sospenderà la produzione in alcuni stabilimenti chiave la prossima settimana a causa della carenza di semiconduttori, dovuta al sequestro da parte dei Paesi Bassi del produttore cinese di chip Nexperia, motivato da rischi per la sicurezza tecnologica dell’UE. In risposta, Pechino ha bloccato le esportazioni di chip Nexperia dalla Cina, causando una riduzione delle scorte che potrebbe portare a ulteriori chiusure temporanee di stabilimenti Volkswagen e colpire altre case automobilistiche, secondo il quotidiano.   Venerdì, il ministro dell’economia Katherina Reiche ha annunciato che Berlino presenterà una protesta diplomatica contro Pechino per il blocco delle spedizioni di semiconduttori, sottolineando la forte dipendenza della Germania dai componenti cinesi.  

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Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset

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La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.

 

Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.

 

Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».

 

Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.

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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».

 

«Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.

 

Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.

 

Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».

 

«La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.

 

Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».

 

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Geopolitica

Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania

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Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.   Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.   Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.   Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)

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«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.   Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».   «Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».   Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».   Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.  

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