Economia
«Nessuno vuole i titoli del Tesoro USA»

La crisi finanziaria americana avanza e trascina con sé anche i titoli di Stato americani.
Un articolo intitolato «Nessuno vuole titoli del Tesoro USA» apparso sulla piattaforma di notizie SEMAFOR il 28 novembre descrive «la peggiore tensione per i titoli di Stato statunitensi dai tempi della Guerra Civile. Il governo continua a prendere prestiti per coprire gli ampi deficit di bilancio, mentre gli acquirenti di quel debito, un tempo affidabili, sia in patria che all’estero, si sono tirati indietro».
Nonostante «i rendimenti più elevati dal 2007 (…) Le aste di nuove obbligazioni che una volta erano una routine ora stanno andando terribilmente (…) I titoli del Tesoro a più lunga scadenza si trovano in un mercato ribassista peggiore del crollo delle dot-com e quasi altrettanto grave di quello del 2008».
Dieci anni fa, Cina e Giappone insieme detenevano il 22% del debito del Tesoro americano; ora detengono il 7%. Anche le principali banche si sono ritirate perché hanno subito ingenti perdite non realizzate, principalmente sui titoli del Tesoro.
Per quanto riguarda le perdite non realizzate delle banche con sede negli Stati Uniti, queste sono passate da 518 miliardi di dollari alla fine della prima metà del 2023 a 684 miliardi di dollari alla fine del terzo trimestre, scrive EIRN. Quest’ultima cifra rappresenta il 13% del valore totale di tutti i titoli detenuti da tutte le banche con sede negli Stati Uniti; e circa il 30% del capitale azionario totale di tutte le banche, che ammonterebbe a 2,24 trilioni di dollari.
Le perdite latenti sono aumentate così tanto nonostante la scomparsa delle perdite sui titoli delle cinque banche fallite in febbraio e marzo.
Tali perdite, che ammontavano a circa 40 miliardi di dollari, sono scomparse dal sistema bancario quando la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation, una società del governo degli Stati Uniti istituita dal Glass-Steagall Act del 1933 che gestisce fondi del bilancio federale) ha acquistato tutti quei titoli svalutati e il Tesoro ha così assorbito le perdite.
Come riportato da Renovatio 21, la finanza iperspeculativa degli hedge fund si p diretta verso il mercato dei BOT statunitensi, che vale 25 miliardi di dollari ed è è oggi il più grande mercato di qualsiasi tipo al mondo, ed è il punto di riferimento per tutti gli strumenti finanziari in tutto il sistema finanziario transatlantico.
Il crollo dei titoli del tesoro statunitensi significherebbe quindi un meltdown finanziario globale di cui non è possibile ora calcolare dimensioni ed effetti.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
S&P declassa il rating creditizio della Francia

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Economia
La logica dietro al crollo delle criptovalute. Anche la bolla dell’IA pronta a scoppiare?

In un articolo pubblicato sul suo Substack, l’ex Segretario del Lavoro degli Stati Uniti Robert Reich si è unito agli economisti, banchieri e trader che avvertono del rischio imminente di uno scoppio della bolla finanziaria.
Reich ha individuato due bolle pronte a esplodere: quella dell’Intelligenza Artificiale e quella delle criptovalute – che, secondo lui, potrebbe essere già collassata, come suggerito dal crollo del 10-11 ottobre.
«Le azioni legate all’Intelligenza Artificiale e ai relativi data center rappresentano circa il 75% dei rendimenti delle principali aziende USA, l’80% della crescita degli utili e il 90% dell’aumento delle spese in conto capitale. Tuttavia, un rapporto del MIT rivela che il 95% delle aziende che utilizzano l’IA non genera profitti», ha scritto.
La bolla dell’IA ha arricchito alcuni magnati, come Ellison di Oracle, ma Oracle è gravata da debiti e a luglio le agenzie di rating hanno declassato il suo outlook a negativo, una situazione simile a quella di altre aziende del settore.
Quanto alle criptovalute, Reich le ha definite «un classico schema Ponzi», che consuma enormi quantità di energia senza produrre nulla di concreto. Quando le bolle dell’IA e delle criptovalute scoppieranno, ha avvertito Reich, «temo che milioni di americani comuni ne pagheranno le conseguenze, perdendo risparmi e posti di lavoro».
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In seguito alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina della scorsa settimana, il mercato delle criptovalute ha registrato il più grande crollo della sua storia, con una perdita stimata di oltre 150 miliardi di dollari a livello globale. Il bitcoin è calato del 14% tra il 10 e l’11 ottobre, mentre Ether ha toccato un ribasso del 12%. I token minori hanno subito perdite ancora più pesanti. Si tratta della fine della bolla delle criptovalute?
Reich si è interrogato sulla questione, rispondendo: «Quando scoppierà la bolla delle criptovalute? Forse è già iniziato». Ha inoltre sottolineato l’«enorme volume di prestiti» che ha alimentato il rialzo delle criptovalute durato nove mesi. Secondo Derive, gli investitori hanno puntato massicciamente su opzioni di Bitcoin ed Ether, segnalando un’ampia scommessa sul crollo del mercato.
Quanto alla presunta «stabilità» delle stablecoin, il tracollo delle criptovalute ha colpito anche queste. Bitget riferisce che la stablecoin USDe di Ethena ha perso il 35%, scendendo a 0,65 dollari su Binance, «un movimento notevole per qualcosa che dovrebbe essere stabile… Quando una stablecoin perde il 35% del suo ancoraggio, è naturale chiedersi cosa la sostenga davvero… Le stablecoin sono progettate per resistere a queste pressioni».
Un altro castello di carte finanziarie sta per crollare catastroficamente sull’economia globale?
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