Terrorismo
Nuovo attacco all’Uganda con decine di morti. A pochi giorni dal varo della legge anti-LGBT

Almeno 37 persone sono state uccise e altre otto ferite quando i militanti di un gruppo estremista hanno attaccato una scuola secondaria nell’Uganda occidentale. Lo riporta il New York Times.
Secondo le autorità ugandesi si tratta di uno degli attacchi terroristici più mortali che hanno colpito il Paese in anni e anni.
Miliziani di un gruppo noto come Allied Democratic Forces (ADF) hanno attaccato una scuola a Mpondwe, una città vicino al confine con la Repubblica Democratica del Congo, venerdì notte. Le cosiddette «Forze Democratiche Alleate» sono state fondate nel Congo orientale nel 1995 da due gruppi opposti al presidente dell’Uganda Yoweri Museveni, uno dei quali è una setta islamista. Il gruppo ha anche ricevuto il sostegno regionale dei leader di altri paesi, tra cui il Sudan e il Congo, che hanno cercato di minare il governo di Museveni.
Durante l’attacco, un dormitorio è stato bruciato e il cibo in un negozio è stato saccheggiato, ha detto. Almeno otto persone sarebbero in condizioni critiche e sarebbero state ricoverate in ospedale, secondo il profilo Twitter del portavoce della polizia.
Funzionari ugandesi hanno affermato che l’esercito e la polizia stavano inseguendo gli aggressori verso il Parco Nazionale Virunga, una fitta foresta nel vicino Congo che ospita gorilla di montagna in via di estinzione. Tre persone sono state salvate dalla scena dell’attacco, ma altre sei sarebbero state rapite.
L’attacco è il peggiore che il gruppo abbia compiuto in Uganda dalla fine del 2021, quando attentatori suicidi avevano prodotto esplosioni coordinate nella capitale Kampala uccidendo tre persone e seminando timori sulla capacità di colpire del gruppo.
Da allora, il governo ugandese, in collaborazione con il governo congolese, ha lanciato un’offensiva contro le forze democratiche alleate con l’obiettivo di sradicare il gruppo dalle sue basi nel Congo orientale. Tuttavia osservatori regionali sono perplessi riguardo al successo dell’operazione – nome in codice Shujaa, o «Coraggio», affermando che i militanti stanno continuando a devastare il Congo orientale, una regione ricca di minerali dove più di 100 gruppi ribelli hanno si combattono da decenni in un’ondata di massacri e distruzioni massive.
Il Mag. Gen. Dick Olum, il comandante dell’operazione militare dell’Uganda in Congo, ha dichiarato in un incontro con i residenti che i membri dei ribelli avevano trascorso due notti in città prima di attaccare la scuola. Ha detto che alcuni degli studenti erano stati bruciati o uccisi a colpi di arma da fuoco e che i patologi del governo avrebbero effettuato test del DNA per identificare i corpi carbonizzati.
Nel 1998, i ribelli affiliati alle ADF hanno attaccato un college nell’Uganda occidentale, uccidendo 80 studenti e rapendone altri 100. Tuttavia a partire dal 2011, le principali offensive condotte dalle forze di pace ugandesi, congolesi e delle Nazioni Unite hanno minato il gruppo, spingendolo a ritirarsi più in profondità nella regione montuosa del Ruwenzori, al confine con Uganda e Congo. Anche l’ex leader del gruppo, Jamil Mukulu, è stato catturato in Tanzania nel 2015 e poi estradato in Uganda.
Il gruppo terrorista ha comunque continuato a compiere attacchi ancora più feroci. Negli ultimi anni ha reclutato nuovi membri, compresi i bambini, ha attaccato le forze di pace, ha condotto evasioni dal carcere, e è stato coinvolto in violenze sessuali, secondo le Nazioni Unite.
L’ADF ha anche promesso fedeltà allo Stato islamico, che nel 2019 ha quindi potuto rivendicare il suo primo attacco in Congo. Nel 2021, gli Stati Uniti hanno designato l’ADF un’organizzazione terroristica e hanno offerto una ricompensa fino a 5 milioni di dollari per informazioni sul nuovo leader del gruppo, Seka Musa Baluku.
Come riportato da Renovatio 21, l’Uganda viene da un periodo intenso: si tratta del secondo attentato terroristico che subisce in pochi giorni.
Due settimane fa 54 suoi soldati sono stati trucidati dai terroristi islamici in Somalia dove si trovavano in missione di pace per conto dell’Unione Africana. A perpetrare l’eccidio sarebbero stati gli islamisti di al-Shabaab («la gioventù»), gruppo noto per il sequestro della cooperante italiana di due anni fa – per il quale il governo di Conte e Di Maio pagò fior di milioni – e per massacri massivi condotti nella zona, oltre per essere stati la base della «vedova bianca» Samantha Letwaithe, forse la terrorista più ricercata ed enigmatica al mondo.
Questa seconda strage di ugandesi arriva quindi mentre il Paese, il suo presidente Museveni e i suoi parlamentari sono sotto i riflettori dei media internazionali per la legge antiomosessualista appena emanata, aspramente avversata da Paesi ed enti occidentali così come dalla chiesa anglicana e quel che resta del Vaticano modernista. (Non dai vescovi africani, però…)
L’amministrazione Biden ha detto negli scorsi giorni che contro l’Uganda verranno emesse sanzioni, con l’ammiraglio Kirby, portavoce del Consiglio di Sicurezza USA, a dichiarare che i diritti LGBT sono «una parte fondamentale della politica estera americana».
L’Uganda nelle stesse ore ha istituito una legge contro il traffico di organi.
Va notato altresì che il ministro Lavrov, sempre più attivo sul fronte della diplomazia russa in Africa, ha due settimane fa incontrato la controparte ugandese in un meeting dove si è parlato di collaborazione tra Mosca e Kampala, anche su questioni di tecnologia nucleare.
Quindi, ricapitolando: d’un tratto, l’Uganda è colpita da livelli di violenza terrorista che non vedeva da un quarto di secolo.
Diceva Agatha Christie: «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova».
Mentre aspettiamo e ci interroghiamo sugli indizi ugandesi, la follia terrorista si è riversata anche in Congo, dove una milizia con un nome da ente provinciale, la Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO) – in realtà una setta animista armata e pericolosissima governato da un tizio che si fa chiamare «il sacrificatore» – è tornata ad alzare la testa, facendo 46 morti nella provincia di Ituri.
Immagine di MONUSCO Photos via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Terrorismo
Hamas afferma che la sua leadership è sopravvissuta all’attacco israeliano al Qatar

Il gruppo militante palestinese Hamas ha affermato che l’attacco israeliano al suo complesso nella capitale del Qatar Doha avvenuto martedì è stato in gran parte infruttuoso e che i suoi membri più importanti sono sopravvissuti.
Tuttavia, l’attacco ha ucciso il figlio di Khalil al-Hayya, capo dell’ufficio politico del gruppo, e un suo collaboratore di alto rango, secondo Suhail al-Hindi, un membro di spicco di Hamas. Tre guardie del corpo del leader del gruppo risultano ancora disperse dopo gli attacchi, ha dichiarato ad Al Jazeera.
«Il sangue dei leader del movimento è come il sangue di qualsiasi bambino palestinese», ha affermato al-Hindi.
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L’«atroce» attacco israeliano è stato un «tentativo di uccidere coloro che stavano discutendo di porre fine alla guerra a Gaza», ha aggiunto, corroborando precedenti resoconti secondo cui la leadership del gruppo era stata colpita mentre si riuniva per discutere le ultime proposte degli Stati Uniti sulla risoluzione del conflitto con Israele.
Secondo quanto riportato dai media israeliani, nell’attacco sono stati coinvolti circa 15 aerei, che hanno sparato più di dieci proiettili ad alta precisione contro il complesso di Hamas. Israele ha insistito sul fatto che l’attacco è stato un’azione unilaterale e che nessun’altra parte è stata coinvolta nell’attacco «ai vertici dell’organizzazione terroristica di Hamas». Il Qatar ha parlato invece di «terrorismo di Stato» da parte israeliana.
Diversi resoconti dei media israeliani, tuttavia, hanno suggerito che lo Stato Giudaico avesse informato Washington dell’imminente azione prima dell’attacco. Inoltre, il canale israeliano Channel 12 ha riferito, citando un funzionario anonimo, che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva dato il via libera all’attacco.
La Casa Bianca ha descritto l’attacco israeliano come un incidente «sfortunato», con la portavoce Karoline Leavitt che ha affermato che l’attacco al cuore del Qatar, uno «stretto alleato» degli Stati Uniti, «non promuove gli obiettivi di Israele o dell’America».
Il Qatar, che è stato definito un «importante alleato non NATO» degli Stati Uniti, ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas». Il Ministero degli Esteri del Paese ha negato di essere stato a conoscenza dell’attacco in precedenza, affermando di non aver ricevuto alcuna notifica né da Israele né dagli Stati Uniti.
Più tardi, nel corso della giornata, il ministero degli Interni del Qatar ha dichiarato che almeno un agente di sicurezza è stato ucciso e altri sono rimasti feriti mentre intervenivano sul luogo dell’attacco.
Il Qatar aveva avviato rapporti commerciali non ufficiali con Israele nel 1996, diventando il secondo paese della penisola arabica a farlo dopo l’Oman, in concomitanza con il trattato di pace tra Israele e Giordania. Questi rapporti commerciali sono proseguiti fino al 2009, quando il Qatar ha sospeso i legami economici con Israele a seguito dell’operazione Piombo Fuso.
A seguito del conflitto tra Israele e Gaza del 2008-2009, il Qatar AVEVA organizzato una riunione d’emergenza con stati arabi e Iran per affrontare la crisi. Hamas, che controllava Gaza, rappresentava i palestinesi, a differenza dell’Autorità Nazionale Palestinese guidata da Fatah in Cisgiordania, indebolendo il presidente Mahmoud Abbas. I leader di Hamas, Khaled Meshaal, il presidente siriano Bashar al-Assad e quello iraniano Ahmadinejad avevano allora chiesto agli Stati arabi di interrompere ogni rapporto con Israele.
Nel 2013, secondo un giornale libanese, il Qatar avrebbe agevolato un’operazione israeliana per trasferire 60 ebrei yemeniti in Israele, permettendo loro di transitare da Doha. Il 30 aprile 2013, il primo ministro qatariota, sceicco Hamad bin Jassim al-Thani, ha proposto che gli accordi di pace con i palestinesi potessero includere scambi territoriali invece di rispettare i confini del 1967, un’idea accolta positivamente dal ministro della giustizia israeliano Tzipi Livni, che l’ha definita una mossa strategica per favorire compromessi e rafforzare il sostegno pubblico alla pace.
Tuttavia, dopo l’Operazione Margine Protettivo (cioè il conflitto a Gaza nel 2014), Israele ha criticato il Qatar per il suo supporto diplomatico e finanziario ad Hamas, accusandolo di sponsorizzare il terrorismo. Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman aveva chiesto l’espulsione dei giornalisti di Al Jazeera, di proprietà qatariota.
Nel 2015, l’ambasciatore del Qatar a Gaza ha cercato l’approvazione di Israele per importare materiali da costruzione a Gaza, dopo il rifiuto dell’Egitto di aprire il valico di Rafah, suscitando le critiche dell’Autorità Nazionale Palestinese e di Fatah, che temevano un’usurpazione del ruolo di mediatori da parte del Qatar.
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Nel giugno 2015, il Qatar aveva ospitato colloqui a Doha tra Israele e Hamas per discutere un possibile cessate il fuoco di cinque anni. Durante la crisi diplomatica del Qatar del 2017, Israele ha sostenuto il blocco guidato dall’Arabia Saudita contro il Qatar e ha espulso Al Jazeera da Israele. Durante la guerra di Gaza del 2023, il Qatar ha mediato tra Hamas e Israele, ottenendo un cessate il fuoco e uno scambio di oltre 100 ostaggi israeliani con 240 prigionieri palestinesi
Nell’aprile 2024, Essa Al-Nassr, generale qatariota e membro dell’Assemblea consultiva, ha dichiarato che non ci sarebbe stata pace con Israele, accusandolo di tradimenti e omicidi, definendo gli attacchi del 7 ottobre 2023 un «preludio» alla distruzione di Israele.
Le frizioni tra Israele e Qatar sono pienamente visibile con il continuo assassinio di giornalista di Al Jazeera negli ultimi mesi.
Voci in rete, prive di verifica possibile, sostengono che il vertice di Hamas sarebbe stato salvato grazie ad una soffiata proveniente dal MIT, il servizio segreto turco.
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Terrorismo
I ribelli congolesi usano minorenni

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Terrorismo
Infermiera tedesca prigioniera in Somalia da 7 anni

Sonja Nientiet, infermiera tedesca in forza al Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) e rapita ad inizio maggio 2018 a Mogadiscio da un gruppo armato forse legato all’organizzazione islamista al-Shabaab sarebbe ancora in vita.
Un video apparso in rete nel marzo 2025 mostra l’operatrice umanitaria coperta da velo islamico con un volto stanco e provato mentre descrive la sua vicenda e chiede al governo tedesco di fare il possibile per liberarla.
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Me la ricordo Sonja. Devo ammettere che era un ricordo semi sepolto dei miei anni passati in ICRC e riportato alla luce qualche giorno fa da un post apparsomi su Instagram.
Mi viene in mente una donna robusta, con scarso senso dell’ironia e tifosissima del Borussia Dortmund ai limiti del fanatismo, tanto da appendere in ufficio sciarpe, bandiere e gadget della squadra del cuore, nella perplessità dello staff locale.
Non eravamo amici per la pelle anche se non credo di aver mai avuto discussioni con lei in un ambiente, quello dell’emergenza umanitaria, in cui la tensione, anche tra colleghi, si tagliava a fette.
Erano gli anni a cavallo del 2015 in cui l’ISIS impazzava e sembrava avere sostenitori pure in Giordania paese da cui ci occupavamo del conflitto siriano e dei molti rifugiati che si riversavano nel territorio della monarchia hascemita. Notizie di tentati sequestri di occidentali e di operatori umanitari circolavano periodicamente e la vita in una città beduina di confine, piena di sabbia, di mosche, torrida in estate e gelata d’inverno, non era esattamente entusiasmante.
Ricordo i black out dovuti al freddo, io mentre cucinavo spaghetti alla carbonara al buio mentre un collega inglese mi faceva luce con una torcia, l’assurda birra Petra addizionata di alcool che poteva arrivare fino a 30 gradi, la noia, gli incubi notturni dopo giornate passate ad occuparmi di disgrazie umane, a volte strazianti. Ad un certo punto non ne potevo davvero più, come molti colleghi che nel tempo hanno mollato o hanno visto il loro contratto interrompersi per non aver accettato una missione troppo rischiosa per la sicurezza e per la salute.
Perché il Comitato Internazionale della Croce Rossa è come un piccolo esercito umanitario dalle molte contraddizioni, che specificheremo in altri articoli. È un’organizzazione che spesso chiede il massimo ai suoi delegati (questo è il nome dei suoi operatori espatriati) ed opera per mandato in zone di conflitti militari e relative crisi umanitarie. Burn-outs e ricadute a livello psicologico come le temute sindromi da stress post traumatico sono pertanto all’ordine del giorno.
Più missioni si accettano e in posti pericolosi, più aumentano i rischi di essere rapiti o peggio ammazzati da qualche gruppo armato o semplicemente di fuorilegge, senza parlare delle malattie infettive e di altri poco simpatici “contrattempi” in cui si può incappare.
I sette anni dell’infermiera Sonja in una terra come la Somalia sono davvero tanti. È difficile pensare come si possa tenere duro in una situazione di questo tipo, oltretutto prigionieri di un gruppo armato.
Non passiamo fare altro che pregare per lei e augurarle di poter tornare un giorno allo stadio a seguire il suo Borussia Dortmund.
Victor Garcia
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