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Geopolitica
Accordo tra Israele e Libano per lo sfruttamento del gas nel Mediterraneo
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Pur senza mai incontrarsi, Israele e Libano hanno firmato un accordo che consente di regolamentare i problemi delle frontiere marittime, nell’interesse di entrambe le parti. Questo non significa che il problema di fondo, ossia l’improvviso sorgere dello Stato ebraico nella regione, sia risolto. Ma l’intesa permette l’avvio dello sfruttamento di nuovi giacimenti di gas off-shore dei due Paesi.
Tre quarti di secolo dopo la nascita dello Stato di Israele, le sue frontiere permangono incerte. L’accordo firmato con l’intermediazione delle Nazioni Unite per definire le acque territoriali di Israele e Libano ha perciò portata storica.
La scoperta nel 2011 di giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale ha suscitato appetiti tali da indurre gli Stati coinvolti a cercare di risolvere i contrasti che li oppongono, almeno per quanto riguarda le acque territoriali. Nel 2018 Cipro, Grecia, Italia e Israele hanno concluso un accordo per la costruzione in comune di un gasdotto verso l’Europa. Egitto, Palestina, Libano, Siria e Turchia non sono stati ufficialmente coinvolti.
– Tuttavia, l’Egitto ha firmato un accordo parallelo con Israele, consentendogli lo sfruttamento del proprio giacimento attraverso la società East Gas, il cui maggiore azionista sono i servizi segreti egiziani.
– Essendo la Palestina di fatto divisa in due, la responsabilità del giacimento off-shore è di Hamas. Quest’ultimo ha concluso con gli israeliani un accordo segreto attraverso il Qatar: gli israeliani sfruttano il gas, ne cedono parte al Qatar, che a sua volta paga i funzionari palestinesi della Striscia di Gaza.
– In Libano, dopo che il presidente Émile Lahoud mise alla porta una nave militare francese che esplorava il fondo marittimo libanese senza autorizzazione, responsabili del dossier gasiero sono le forze armate. L’intransigenza dei militari bloccava ogni progresso. Nel 2020 il presidente Michel Aoun ha abbordato la questione in modo più flessibile, studiando un accordo complicato ma fattibile.
– La Siria, in guerra con gli jihadisti sostenuti dagli Occidentali, era tenuta a distanza da tutti.
– Le frontiere marittime fra Grecia e Turchia non sono mai state definite. D’acchito la Turchia sembra non coinvolta nel giacimento di gas scoperto, ma occupa Cipro del Nord, che invece è coinvolto. Europei e israeliani hanno perciò deciso di escluderla dall’accordo.
Arrivato alla Casa Bianca, il presidente Joe Biden ha incaricato gli Straussiani delle questioni internazionali, in particolare di quelle energetiche, che ha affidato allo statunitense-israeliano Amos Hochstein, esperto del gas liquefatto, che già aveva ricoperto l’incarico con il presidente Barack Obama. Era amico dello Straussiano Paul Wolfowitz, con cui difese gli interessi petroliferi del dittatore Teodoro Obiang Ngema in Guinea Equatoriale. Conosce bene il Medio Oriente, dato che nel 2014 negoziò l’accordo fra Israele e Giordania sul gas off-shore di Tamar. E sempre Hochstein portò a termine l’embargo del petrolio iraniano. Durante la guerra di Siria indirizzò le truppe statunitensi in modo da facilitare l’andirivieni di camion per mezzo dei quali la famiglia Erdogan commercializzava il petrolio di Daesh, nonché diresse i bombardamenti USA in modo da distruggere i pochi camion deviati verso Damasco. Hochstein è persona molto affabile, che però serve con assoluto cinismo l’agenda imperialista USA.
Gli statunitensi hanno sentito parlare di Hochstein in occasione degli scandali della famiglia Biden: mentre lavorava per l’allora vicepresidente Joe Biden, fu nominato amministratore di Naftogaz, la più importante società del gas ucraina, poco prima che Hunter Biden diventasse amministratore di Burisma, seconda società ucraina del settore. Quando il presidente Donald Trump scoprì la ruberia e tentò di avviare un’inchiesta, Hochstein coprì il figlio del suo ex padrone.
L’attuale contesto di sanzioni statunitensi contro tre grandi esportatori d’idrocarburi, Iran, Venezuela e Federazione di Russia, rende prioritaria la questione del gas del Mediterraneo.
L’elezione in Israele del tandem Naftali Bennet–Yair Lapid modifica profondamente la situazione. Sono politici che condividono l’ambizione di fare di Israele uno Stato come gli altri; entrambi vogliono dare un taglio alla politica imperialista di Benjamin Netanyahu e degli sionisti revisionisti.
Dal canto suo, il presidente libanese Michel Aoun, che durante il mandato è riuscito a riconciliarsi con la Siria ma ha fallito in tutto il resto, si è incaponito a voler ottenere lo sfruttamento del gas off-shore prima della fine del mandato, il 31 ottobre.
La soluzione per concludere l’accordo è singolare. Sapendo che i giacimenti non coincidono con alcuna delle frontiere che potrebbero essere rivendicate, le parti, israeliana e libanese, hanno concordato di distinguere le frontiere sulla superficie del mare da quelle sul fondo marino.
Un giacimento, quello di Karish, va a Israele; un altro, Cana, al Libano. Ma siccome il filone sottomarino del Libano sconfina nella zona israeliana in superficie, parte del gas estratto spetterà a Israele. E qui le cose si complicano: i due Paesi sono in guerra; quindi non possono concludere direttamente un accordo. Non importa! La società che sfrutterà il giacimento sarà la francese Total, che verserà a Israele non già una parte del gas, ma parte degli introiti. Siccome Total è francese, Parigi si è intromessa nella faccenda per far valere le proprie pretese. Alla firma era infatti presente l’ambasciatrice francese.
Israele non si è smentito: ha tentato più volte di ottenere condizioni sbilanciate a proprio favore, corrompendo all’occorrenza responsabili libanesi. Lo Hezbollah è intervenuto dispiegandosi in prossimità di una piattaforma israeliana e annunciando che le avrebbe impedito di operare prima della firma dell’accordo definitivo. Tel Aviv ha capito l’antifona, ha cessato le manovre corruttive e ha evitato di sfruttare il giacimento.
Occorreva solo trovare il modo di firmare l’accordo: le due parti infatti rifiutano di stringersi la mano. Si è così studiato una cerimonia sotto gli auspici delle Forze Interinali delle Nazioni Unite in Libano (FINUL). Le delegazioni si sono recate a turno a Naqoura, sede della FINUL, per firmare il documento, in seguito trasmesso e registrato a New York nella sede dell’ONU.
Parlando agli israeliani, il primo ministro Yair Lapid ha dichiarato: «Nell’accordo sulla delimitazione della frontiera marittima tra i due Paesi, il Libano ha riconosciuto lo Stato d’Israele. Si tratta di un successo politico: non accade tutti i giorni che uno Stato nemico riconosca lo Stato d’Israele con un accordo scritto, per di più di fronte alla comunità internazionale». Un’interpretazione esagerata. Infatti Sayyed Nasrallah, segretario generale dello Hezbollah, gli ha risposto: «Il presidente Michel Aoun non ha firmato un trattato internazionale. Non è un riconoscimento di Israele (…) Il processo che ha portato alla firma dell’accordo e la forma dello stesso accordo dimostrano che ogni proposito di normalizzazione è senza fondamento (…) I negoziati sono stati indiretti e le delegazioni non si sono incontrate».
Dal punto di vista di Lapid, che cerca di decolonizzare il Paese – ossia di cancellare il carattere colonizzatore di Israele – è un passo verso la normalizzazione. Dal punto di vista di Nasrallah, che non ha chiesto l’approvazione del parlamento libanese per la firma dell’impegno, non si tratta formalmente di un trattato, ma di una serie di obblighi reciproci… aventi valore di trattato.
In sostanza, ognuno rimane sulle proprie posizioni, ma è disposto a scendere a patti con i propri principi nell’interesse di tutti.
Thierry Meyssan
Fonte: «Accordo tra Israele e Libano per lo sfruttamento del gas nel Mediterraneo», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 1 novembre 2022.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.
Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.
«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.
Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.
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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».
Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.
Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.
Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
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Geopolitica
Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025
I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).
A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.
L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.
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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.
«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».
Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.
L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.
Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.
In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».
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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».
Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».
Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.
Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.
Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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