Geopolitica
Autobomba sull’auto di Dugin, assassinata la figlia
La notizia è arrivata ieri notte.
La Toyota Land Cruiser Prado di Aleksandr Dugin, ideologo eurasiatista noto internazionalmente considerato vicino al nuovo corso della Nazione russa, è esplosa. Dopo l’iniziale timidezza, ora perfino la BBC lo dice: «autobomba»
A bordo dell’auto vi era la figlia Darya, che è morta.
Dugin e la figlia tornavano da un evento alla periferia di Mosca. Il filosofo avrebbe per qualche ragione deciso di tornare con un’auto diversa – le informazioni sulla dinamica degli eventi, comprendiamo, sono ancora scarse.
#RUSSIA: Car bomb assassination in #Moscow. Alexander Dugin’s daughter Darya is dead. #Dugin was on location and the likely target. He calls for a totalitarian Russian Empire to control the Eurasian continent from Dublin to Vladivostok to challenge America and “Atlanticism”. pic.twitter.com/n7h0Nh8wfX
— Igor Sushko (@igorsushko) August 20, 2022
Circolano video dei resti dell’auto in fiamme, così come di un uomo che porta le mani alla fronte dinanzi alla scena dell’incidente: assomiglia decisamente a Dugin.
Alexander Dugin at the site near Moscow where his daughter Darya was killed tonight in a car bombing.pic.twitter.com/4lTYDMTR9s
— Visegrád 24 (@visegrad24) August 20, 2022
Denis Pushilin, leader della Repubblica di Donetsk, sostiene che si tratti di un attentato operato dai «terroristi del regime ucraino». Secondo Pushilin, riporta l’agenzia russa RIA Novosti, l’obiettivo era assassinare il filosofo.
«I terroristi del regime ucraino, cercando di eliminare Aleksandr Dugin, hanno fatto saltare in aria sua figlia» ha scritto Pushilin nel suo canale Telegram.
Alcuni notano che l’obiettivo potrebbe essere stato invece proprio la figlia Darya Dugina, che era una figura nota sui social e un’opinionista politica per il Movimento Eurasiatico Internazionale, guidato da suo padre. Di recente era stata a visitare le rovine di Azovstal, l’ultima base della milizia neonazista Azov a Mariupol’, dopo la liberazione da parte delle forze russe e filorusse.
With a stricken heart, saddened by the news, I give out my condolences to Russian Philosopher and dear friend Mr. Alexander Dugin for the martyrdom of his daughter Darya Dugin, who was assassined in a car explosion in Moscow today. pic.twitter.com/AfeOeg85CK
— Marwa Osman || مروة عثمان (@Marwa__Osman) August 21, 2022
Moskova’da Suikastle öldürülen Dugin’in kızı Darya kısa süre önce Azovstal’ın alınmasını kutlamak için Mariupol’e gitti ve bu özçekimi paylaştı. pic.twitter.com/GEqjRwW3KU
— Gursel Tokmakoglu (@GurselTokmakogl) August 21, 2022
Dal punto di vista del conflitto, l’assassinio va nella direzione della recente spinta ucraina, che hanno cominciato non solo ha visto attaccato il territorio della Crimea (dove c’è la volontà, oltre agli attacchi con missili e droni, di distruggere il ponte di Kerch, simbolo della riunificazione), ma che ha visto anche sabotaggi anche in altre zone della Russia, come, hanno detto i russi, la centrale atomica dell’oblast’ di Kursk.
Aleksandr Dugin è molto noto in Italia. Perfettamente italofono, divenne ancora decenni fa il traduttore russo dei libri di Julius Evola. Molti testi di teoria politica scritti da Dugin sono pubblicati in Italia.
Report, la trasmissione di Rai 3, confezionò contro di lui un pessimo servizio intitolato «Dugin’s list», che doveva dare conto di un presunto network di italiani che facevano capo a lui, ma che stringi stringi non mostrava nulla, allestendo ricostruzioni con voci di attori al posto di persone che hanno visto la propria posizione archiviata.
Il ruolo di Dugin come «ideologo» di Putin – il «Rasputin del Cremlino», strillano gli osservatori goscisti – è discusso più all’estero che in Patria. Tuttavia, vista l’importanza del momento storico che sta vivendo la Russia e tutto il suo blocco di civiltà, non escludiamo che in questi mesi abbia avuto contatti con il presidente russo – il ritorno ad una dottrina di una Russia «eurasiatica», che è il cuore del pensiero duginiano, è giocoforza ora inevitabile.
«Non è più l’Occidente della cultura mediterranea greco-romana, né il Medioevo cristiano, e nemmeno il ventesimo secolo violento e contraddittorio. È un cimitero di rifiuti tossici della civiltà, è anti-civilizzazione» scrisse il filosofo in un testo circolato ad inizio del conflitto ucraino.
«E quanto prima e più completamente la Russia se ne stacca, tanto prima ritorna alle sue radici. A cosa? Alle radici cristiane, greco-romane, mediterranee, europee… Cioè, alle radici comuni al vero Occidente. Queste radici – le loro! – l’Occidente moderno le ha tagliati fuori. E sono rimaste in Russia».
«Solo ora l’Eurasia sta alzando la testa. Solo ora il liberalismo in Russia sta perdendo il terreno sotto i piedi».
Per pensieri come questo, apprendiamo, è possibile oggi essere assassinati. O peggio: vedere assassinata la propria prole.
Proshai, Darya Aleksandrovna.
Immagine screenshot da Twitter
Geopolitica
Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati
Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.
In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».
Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.
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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.
Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.
L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.
«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».
Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».
Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.
«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.
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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato
Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.
L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.
Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.
Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.
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Immagine di Al Jazeera English via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Geopolitica
Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine
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Geopolitica
L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.
Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.
«Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.
Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in Israele.
L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.
La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.
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Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.
Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.
Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.
Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.
Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.
Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».
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Immagine di duma.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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