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Il Reset attraverso la barbarie: il jihadismo ucronazista nel nostro futuro

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Una ventina di anni fa vidi ad una cena affollata il mio amico Bepi. Aveva la faccia gonfia, piena di ematomi. Lo avevo visto ad un altro incontro qualche sera prima, e non aveva niente: quelle che stavo vedendo erano quindi ferite fresche. Lui era fatto così: nonostante fosse ancora ferito, era uscito lo stesso, perché – buono come il pane – era uno a cui piaceva stare in compagnia, e usciva tutte le sere con la sua inseparabile morosa.

 

Infatti eccola lì: piena di lividi anche lei.

 

Cos’era successo? Bepi iniziò a raccontarmi. Con altri amici (diciamo che erano una mezza dozzina o più) si erano fermati nottetempo ad un baracchino sulla provinciale per mangiare il classico panino del nottambulo. Nessuno degli elementi del gruppo era tanto diverso da lui: gente pacifica, quelli di cui dici volentieri che «non farebbero male a una mosca». Non te li vedi che provocano o giudicano, o che si mettono in mostra. Ragazzi tranquilli privi di malizia, che mai nella mia vita avevo visto creare problemi.

 

Mentre aspettavano il panino, un tizio enorme si era avvicinato ad una ragazza del gruppo – conosco anche lei, non è appariscente, né in alcun modo scortese. Di lì non si è capito cosa sia successo (la fila? Una spinta? Un commento personale?), ma Bepi mi dice che il tipo gigantesco comincia a picchiarla. Alla fine, mi ha detto, alla ragazzina avrebbero detto che aveva un distacco della retina.

 

I maschi del gruppo, a quel punto sono scattati in difesa della ragazza. Da dietro le auto sono spuntati altri omoni massicci e hanno cominciato a picchiare senza preavviso, senza pietà tutti: maschi e femmine. Bepi mi disse di ricordare che parlavano in una lingua slava, e che avevano qualche tatuaggio sulle braccia. Erano tre, quattro, non si sa: ma fecero un macello. Alla fine, i poveri ragazzi italiani, tutti universitari, tutti ex compagni di liceo, tutti di splendide famiglie piccolo-borghesi per bene, erano stati sistemati per le feste. Sopraffatti. Feriti. Incapaci di rispondere minimamente alla velocità e alla ferocia con cui erano stati attaccati.

 

Finirono quindi la nottata con le forze dell’ordine. I quali, mi raccontò l’amico, potevano avere idea di chi potesse essere. Veterani della guerra di Bosnia. Violentissimi. Irrintracciabili. Incontenibili. Spavaldi, non avevano la minima paura di poliziotti o carabinieri italiani. Anzi, mi fece capire Toni, sembra quasi che siano le forze dell’ordine italiane ad avere paura di loro.

 

Quindi, un bel salto al Pronto Soccorso per tutti.

 

Cerco di ricordare questo episodio, di cui oggi non posso verificare nulla. Sono tuttavia abbastanza sicuro che non trovarono i responsabili. Così, quell’esplosione di violenza impunita sfuma nella memoria fino a diventare una storiella, un raccontino senza peso, senza conseguenze. Forse è così. È solo un piccolo incubo svanito, una fantasia letteraria.

 

Non era difficile credere a questo racconto una venti anni fa. Perché nella decade precedente era cominciata quella sequela infinita di «rapine in villa», per le quali i giornali locali e nazionali scomodavano il capolavoro di Kubrick Arancia meccanica. Forse non ricordate, ma il copione era sempre lo stesso: gruppo di personaggi con accento dell’Est entrava nelle case isolate e faceva razzia, presente la famiglia, che veniva legata, molestata, picchiata a sangue.

Si diceva che fosse un effetto collaterale della ritrovata «pace» nei Balcani: gli ex combattenti, tutti imbevuti degli orrori indicibili della guerra di decomposizione della ex-Yugoslavia, invece che tornare ad integrarsi nelle loro società prima si facevano un giretto in Italia, ad accumulare un po’, continuando l’assetto esistenziale del razziatore

 

Si diceva che fosse un effetto collaterale della ritrovata «pace» nei Balcani: gli ex combattenti, tutti imbevuti degli orrori indicibili della guerra di decomposizione della ex-Yugoslavia, invece che tornare ad integrarsi nelle loro società prima si facevano un giretto in Italia, ad accumulare un po’, continuando l’assetto esistenziale del razziatore, portando in una società «virginale» come quella della placida Italia degli anni Novanta la  violenza, di cui erano oramai maestri. Qualcosa che li rendeva, tra i teneri italiani, legibus soluti.

 

Il fenomeno, nel tempo, si ridimensionò fino a scomparire. La comunità balcanica immigrata si integrò in Italia stupendamente. Gli albanesi, per esempio: partito scontando pregiudizi e sospetti italiani, si riscattarono in modo esemplare. Dei serbi si può dire forse ancora meglio. Dei bosniaci, non sappiamo: del resto sappiamo che in Bosnia in quegli anni operava Bin Laden, e che pochi anni fa emerse come il Paese che in percentuale sulla popolazione totale esportava verso l’ISIS il maggior numero di foreign fighters è il Kosovo. Qui, dietro casa.

 

La guerra è una cosa orrenda. La guerra è una cosa orrenda perché talvolta resta dentro agli uomini. Soprattutto la guerra moderna: quella che non finisce davvero, quella che non risolve, non assegna veramente il ruolo dello sconfitto e del vincitore, perché tutto cade in una nebbiolina di eufemismo orwelliano. Non è guerra, è «intervento umanitario». Le bombe sono «intelligenti». I separatisti sono «terroristi», anzi lo sono gli irredentisti. Non è invasione e conquista, è «esportazione della democrazia». Non è massacro, è «regime-change», «nation-building», etc.

 

C’è stato un tempo quando i soldati, prima di tornare a Roma, dove li aspettavano feste ed onori, si fermavano giorni fuori dalla città. Per lavarsi: ed erano lavacri che andavano ben oltre la pulizia corporale. Essi sapevano che ciò che avevano visto e fatto, non doveva seguirli con loro nella società della pace. La violenza doveva essere espunta dal loro essere, strofinata via. Perché il senso di tutto questo era propria tenere la violenza lontana dalla propria comunità: questo è, alla fine, il significato della guerra.

 

Tutto ciò non avviene più. Non c’è una decompressione tra l’aberrazione sanguinaria del teatro della battaglia e la propria famiglia. Potete vedere chiaramente questo problema nel film di Clint Eastwood American Sniper, quando il protagonista, tornato in patria, non riesce ad andare subito dalla famiglia, nell’incomprensione totale della moglie. Qualcuno ha perfino proposto l’idea che la quantità di veterani finiti male dopo il Vietnam fosse dovuta proprio a questa mancanza rituale: nessuna parata li ha accolti quando sono tornati a casa, anzi: c’era un’ammasso di hippy drogati che voleva sputare loro addosso.

Così, molti uomini continuano a portare la guerra dentro di loro; anzi, desiderano che essa continui, e sono disposti a portarla dovunque essi vanno, perché il disastro pulsionale che li abita chiede di essere estrovertito. Il loro paesaggio interiore deve diventare lo scenario esteriore

 

Così, molti uomini continuano a portare la guerra dentro di loro; anzi, desiderano che essa continui, e sono disposti a portarla dovunque essi vanno, perché il disastro pulsionale che li abita chiede di essere estrovertito. Il loro paesaggio interiore deve diventare lo scenario esteriore.

 

Qualcuno sostiene che questo sia un grande fattore nel massacro, ora dimenticato, che sconvolse l’Algeria sempre negli anni Novanta. A perpetrare la catena giornaliera di eccidi di crudeltà parossistica erano, tra gli altri, gli afghansi, ossia quei guerrieri che da tutto il mondo islamico si erano recati in Afghanistan a combattere, finanziati dai sauditi e coordinati dalla CIA, i russi.

 

La cosiddetta Guerra Civile Algerina, fece probabilmente 150 mila morti. Come la guerra afghano-sovietica, anche quella algerina spanse il suo veleno. La vigilia di Natale 1994 un gruppo di terroristi del GIA (una delle sigle islamiste algerine) si impadronì di un volo commerciale dell’Air France, uccise tre passeggeri, e programmò di farlo schiantare sulla Tour Eiffel (ricorda qualcosa?), prima di essere eliminato da un blitz dei gendarmi francesi. Nel 1995, gli islamisti algerini misero bombe nei sistemi di traporto pubblico delle prime due città francesi, Parigi e Lione, uccidendo 8 persone e ferendone 190.

 

No, se non è fermata, la guerra nel cuore degli uomini non finisce: si trasforma, diventa ulteriore brama di sangue, diventa terrore, che è solo il richiamo purpureo di altra guerra.

 

Avrete capito dove voglio arrivare.

 

Se la guerra in Ucraina finirà, cosa succederà ai battaglioni neonazisti – quelli ora leccati dai telegiornali, quelli le cui lustrine runiche sono acquistabili su Amazon – che in questo momento stanno combattendo contro i russi?

 

È lecito pensare che alcuni di essi scapperanno qui in Italia, visto che il nostro è il Paese europeo con il maggior numero di persone della diaspora ucraina?

No, se non è fermata, la guerra nel cuore degli uomini non finisce: si trasforma, diventa terrore, che è solo il richiamo purpureo di altra guerra

 

Oppure, è lecito pensare che saremo visitati, come negli anni Novanta, da bande di ex militari tatuati, come i balcanici degli assalti in villa?

 

A differenza dei bosniaci, essi sono molto più determinati, abitati da una fede granitica, che è quella che mostrano con bandiere e fiaccolate, quella visibile in otto anni di guerra in Donbass.

 

Com’è stato possibile nazificare una parte così larga della gioventù ucraina?

 

Mi riesco a dare solo una spiegazione: mentre gli oligarchi si ingrassavano con i miliardi di aiuti internazionali (ricordiamolo: l’Ucraina, nel 1992, era partita con zero debito pubblico, ora deve al mondo 57 miliardi di dollari), la popolazione comune viveva schiacciata in una semipovertà forse peggiore di quella sovietica.

 

A quel punto, qualcuno ha pensato bene di dare qualcosa a cui le nuove generazioni potessero attaccarsi (invece che rivoltarsi contro l’oligarcato). Un’ideologia nazionalista totalizzante, fatta di odio e di richiami ancestrali – più, ovviamente il calcio, perché anche qui, come accadeva nei Balcani, in vari casi c’è continuità tra la curva ultras e gli squadroni più efferati.

Hanno radicalizzato la gioventù ucraina, non diversamente da come negli anni passati hanno fatto i wahabiti con la gioventù musulmana

 

In pratica, hanno radicalizzato la gioventù ucraina, non diversamente da come negli anni passati hanno fatto i wahabiti con la gioventù musulmana. Invece che rivoltarsi contro i miliardari del petrolio per reclamare la prosperità minima di una distribuzione della ricchezza, eccoteli a sognare la jihad globale, e seminare morte all’esterno del loro Paese.

 

Chiunque avesse interesse a nuocere alla Russia – o meglio: a separarla dall’Ucraina de-europeizzandola, come da manuale geopolitico americano – non poteva che godere della radicalizzazione ucraina. Qualche oligarca, lo sappiamo, ci ha messo qualche soldo. Tuttavia, sarebbe da capire se lo ha fatto anche qualche entità straniera.

 

Il jihadismo ucronazista, creato artificialmente per colpire la Russia, potrebbe infine colpire anche noi. La storia recente ce lo indica chiaramente.

 

E non sembra che qualcuno dei nostri governanti lo stia capendo: perché, anzi, stiamo mandando laggiù carichi di armi. Le quali non sono esattamente, come i sacchetti di plastica ora obbligatori al supermercato e i partiti politici, biodegradabili. Quelle armi che stiamo spedendo laggiù, secondo voi, a chi andranno? E cosa ne sarà nel dopoguerra, qualunque esso sia?

Quando la violenza non è fermata dal sacrificio, essa continua. Contamina, si espande, divampa

 

Un’idea ce la possiamo fare. Quando la violenza non è fermata dal sacrificio, essa continua. Contamina, si espande, divampa. Possiamo solo pregare che non arrivi anche qui, ma la mole che stiamo vedendo è tale che la prospettiva dell’Europa di non esserne colpita è altamente improbabile.

 

Forse è parte anche questo del piano: useranno il caos sanguinario per resettarci. Ci estenueranno, ci sfibreranno, tra sofferenza e instabilità (ucraina, africana, finanziaria, pandemica) fino a che non saremo noi a chiedere di rebootare tutto, accettando qualsiasi cosa. L’abdicazione ad ogni nostro diritto, la rinuncia alla proprietà, i razionamenti perenni, la sterilizzazione, la sottomissione biologica ed elettronica.

 

È il Reset attraverso la barbarie.

 

Ci siamo già dentro.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Papa Leone conferisce a Carlo III, capo della Chiesa d’Inghilterra, la cattedra permanente nella basilica papale

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Papa Leone XIV è pronto a compiere un gesto senza precedenti in occasione della visita ufficiale di re Carlo III la prossima settimana.

 

Leone XIII nominerà Carlo, capo della Chiesa d’Inghilterra, «confratello reale» di San Paolo fuori le Mura, una delle quattro basiliche papali. A tal proposito, a Carlo sarà concesso l’uso di una cattedra speciale e permanente.

 

Carlo III pregherà inoltre insieme al papa nella Cappella Sistina, durante un «servizio ecumenico» pubblico.

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«Segnerà un momento significativo nelle relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa d’Inghilterra, di cui Sua Maestà è il Governatore Supremo, riconoscendo il lavoro ecumenico intrapreso e riflettendo il tema dell’anno giubilare di camminare insieme come “Pellegrini della speranza”», ha dichiarato un portavoce di Buckingham Palace.

 

Secondo l’agenzia Reuters, i due avranno anche un incontro privato per discutere di «sostenibilità climatica».

 

Il re britannico, ora onorato dalla chiesa cattolica, siede sul trono che dal XVI secolo, dopo lo scisma del re pazzo e malvagio Enrico VIII, perseguitò in maniera cruenta i cattolici, giustiziando e scorticando fedeli e preti (con la loro pelle hanno rivestiti libri ancora oggi in bella mostra) obbligandoli alla clandestinità.

 

Uno degli eroi di questa catastrofe fu Guido Fawkes, il cattolico che tentò di far saltare Westminister (l’ultimo uomo che vi è entrato con intenzioni sincere, dice una nota battuta circolante nella politica british) per rinstaurarvi un potere cattolico. Fawkes, tradito, fu catturato e torturato, squartato in parti che furono mandate ai quattro angoli del regno, nonostante egli avesse accettato le condizione del re inglese.

 

Ancora oggi la tradizione vuole che in Inghilterra si brucino le effigi di Fawkes ogni 5 novembre. Per quelle che crediamo essere ragioni di Stato non diverse da quelle che hanno portato al presente e osceno sviluppo, il simbolo di Fawkes non è stato abbracciato dai cattolici, ma dalla teppa pseudo-anarchica, solo, tuttavia, perché rielaborato dal fumettista Alan Moore nella celebrata graphic novel poi divenuta film V per Vendetta.

 

Non si tratta, tuttavia, solo di storia di secoli fa: a scandalizzare il cattolico dovrebbe essere l’appartenenza della stirpe Windsor alla Cultura della Morte, quella che sostiene – passandosi il compito geneticamente, da Filippo a Carlo a Guglielmo ed Enrico – la riduzione della popolazione e quindi l’astio verso l’essere umano.

 

Dietro alla facciata ecologista, senza neanche tanto grattare, gli Windsor (che in realtà non sono britannici e non si chiamano Coburgo Gotha: Windsor è il nome di un paesino inglese che suonava bene per il rebranding del loro casato tedesco) si rivelano arconti della Necrocultura – sono una famiglia della morteChiedete ad Alfie Evans, a Charlie Gard, a tantissimi di cui non conosceremo mai il nome.

 

La storia del Carlo, come universalmente noto, ma per qualche ragione non considerato, non è stata limpidissima, dalla morte Diana ai milioni presi dalla famiglia Bin Laden in buste di plastica. Un anno fa emerse che nel 1983 l’allora principe di Galles aveva ricevuto un premio da un veterano nazista, una laurea ad honorem presso l’università dell’Alberta, in Canada.

 

Andrebbero anche ricordati l’amicizia, e le donazioni milionarie, che a Carlo fece il misterioso petroliere americano (per qualcuno spia KGB) Armand Hammer: quando nel 1988 la piattaforma petrolifera marina Piper Alpha della Occidental Petroleum collassò nelle fiamme a 200 miglia da Aberdeen uccidendo 160 persone, il futuro re si precipitò a difendere Hammer, che se la cavò alla grande. Sulla questione della dinastia degli Hammer, miliardari ebrei americani di origini russe a cui fu permesso per qualche motivo di restare vicini al Cremlino, andrebbe scritto un articolo a parte, specie dopo le accuse, sulle quali oltre ai presunti stupri i giornali hanno pure fatto aleggiare lo spettro di perversioni cannibalistiche, del nipote divo di Hollywood Armie Hammer.

 

Per non parlare dell’amicizia persona con Jimmy Savile, il popolare DJ e conduttore TV britannico che, secondo accuse emerse appena dopo la sua morte nel 2011 ma che circolavano come voci da decenni, avrebbe abusato in istituti scolastici e manicomiali di cui era donatore di qualcosa come 400 ragazzine.

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Un momento in cui la malvagità della corona britannica è emerso è stato quando nel maggio 2024 è stato presentato in pompa magna il ritratto ufficiale del re, un’immagine che sembra uscita dall’inferno, composta da un artista noto per aver praticato in passato collage con riviste pornografiche.

 

 

«You can Stick your Royal Family Up Your Arse», «puoi ficcarti la famiglia reale su per il» aveva cantato la curva del Celtic, la squadra della comunità cattolica della città di Glasgow, al momento dell’incoronazione di Carlo.

 

Sì: gli ultras scozzesi, oggi, possono essere più cattolici del papa.

 

Nel frattempo, l’odierno malvagio re britannico a Roma riceve il plauso pure dei parlamentari italiani.

 

 

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Il principe Andrea rinuncia ai titoli a causa dello scandalo Epstein

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Il principe britannico Andrea ha rinunciato ai suoi ultimi titoli reali in seguito alle nuove rivelazioni contenute nelle memorie postume di Virginia Giuffre, la donna che lo accusò di abusi sessuali legati al defunto finanziere statunitense Jeffrey Epstein. La decisione, annunciata venerdì, rappresenta l’ultima ripercussione di uno scandalo che da anni getta un’ombra sulla monarchia britannica. Oltre al titolo di duca eboraceno, Andrea perde vari titoli, escluso quello di principe.   Epstein fu arrestato nel 2019 con l’accusa di traffico sessuale di minori, imputato di gestire una rete che coinvolgeva potenti personalità e sfruttava ragazze minorenni. Morì in carcere nello stesso anno, in un caso ufficialmente classificato come suicidio.   Nel 2021, Virginia Giuffre, sopravvissuta alla rete di traffico di Epstein, denunciò il principe Andrea per abusi sessuali, sostenendo di essere stata costretta a rapporti sessuali con i suoi associati, incluso il principe, quando aveva 17 anni.

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Sebbene Andrea abbia sempre negato le accuse – e nel 2022 abbia raggiunto con Giuffre un accordo extragiudiziale confidenziale – questa settimana la stampa britannica hanno pubblicato estratti delle memorie postume di Giuffre, Nobody’s Girl, riaccendendo la controversia. Giuffre, deceduta ufficialmente per suicidio ad aprile, aveva scritto che il principe riteneva di avere «il diritto» di avere rapporti con lei, considerandolo «un privilegio di nascita».   La ragazza era stata denunciata dal principe del foro Alan Dershowitz ritirando le accuse nei confronti del popolare avvocato ebreo harvardiano che fu vicino ad Epstein. Alcuni famigliari della Giuffre non credono si sia suicidata.   Andrea aveva cercato di difendersi anni fa con un’intervista alla BBC che si rivelò disastrosa, dove negò il racconto della ragazza dicendo, nonostante le fotografie che li ritraggono assieme, di non ricordare di averla mai vista e che le sue parole sono inverosimili in quanto lui non suda più dopo un’overdose di adrenalina avuta durante uno scontro militare nel conflitto delle Falklands.   In una dichiarazione rilasciata venerdì da Buckingham Palace, il principe Andrea ha spiegato che la sua decisione è stata motivata dalle rinnovate pressioni legate allo scandalo, che «distoglie l’attenzione dal lavoro di Sua Maestà e della famiglia reale».   «Ho deciso, come sempre, di mettere al primo posto il mio dovere verso la mia famiglia e il mio Paese», ha dichiarato Andrea. «Pertanto, non utilizzerò più il mio titolo né gli onori conferitimi». Ha ribadito di negare «con forza» le accuse.   Andrea si era già ritirato dai suoi doveri reali dopo che sua madre, la defunta Regina Elisabetta II, lo aveva privato dei suoi titoli militari e patronati allo scoppio dello scandalo. Ora rinuncerà al titolo di Duca di York, al cavalierato e al ruolo di Cavaliere Reale Compagno dell’Ordine della Giarrettiera. Tuttavia, conserverà il titolo di principe come figlio di Elisabetta II (della quale si dice fosse il preferito), e le sue figlie, le principesse Beatrice ed Eugenia, manterranno i loro titoli.   Intervistato da BBC Newsnight dopo l’annuncio, Sky Roberts, fratello di Giuffre, ha dichiarato che la notizia ha suscitato emozioni contrastanti, ma che sua sorella defunta «sarebbe molto orgogliosa», poiché la decisione «la giustifica» e porta i suoi sforzi per denunciare i crimini di Epstein e Andrea «a una forma di giustizia».   Sul caso di Andrea ed Epstein la TV britannica ha già prodotto due serie, uno forse leggermente più simpatetica dell’altra.  

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Fico: Boris Johnson ha tratto profitto dal conflitto in Ucraina

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L’ex primo ministro britannico Boris Johnson aveva interessi economici nel prolungamento del conflitto in Ucraina, ha sostenuto il primo ministro slovacco Robert Fico.

 

Parlando giovedì al parlamento slovacco, Fico ha citato recenti articoli della stampa britannica che collegano Johnson all’imprenditore Christopher Harborne, attivo nella produzione di armi. Harborne avrebbe donato 1 milione di sterline (1,15 milioni di euro) a Johnson dopo la fine del suo mandato nel 2022 e lo avrebbe accompagnato in almeno una visita a Kiev nel 2023.

 

Fico ha indicato questo caso come esempio di ciò che ha definito corruzione e speculazione bellica tra i politici occidentali, collegandolo al ruolo di Johnson nell’ostacolare un accordo di pace tra Russia e Ucraina negoziato in Turchia nelle prime fasi del conflitto.

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«Boris Johnson si è battuto per prolungare la guerra. Poi ha ricevuto un milione di sterline da un produttore di armi», ha dichiarato Fico. «Non voleva porre fine al conflitto perché sapeva di avere un amico che gli avrebbe dato denaro e, in cambio, lo avrebbe aiutato con le armi in Ucraina».

 

Il leader slovacco ha aggiunto che «molte persone hanno tratto enormi profitti» dal conflitto, mentre gli ucraini «sono stati e continuano a essere le principali vittime di questa guerra».

 

Fico ha anche fatto riferimento all’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, fervente sostenitore dell’intervento NATO in Libia nel 2011. A settembre, Sarkozy è stato condannato a cinque anni di carcere per finanziamento illecito della campagna elettorale, legato a donazioni ricevute dal leader libico Muammar Gheddafi, deposto e ucciso durante l’intervento NATO.

 

Il primo ministro di Bratislava ha espresso a lungo critiche verso l’approccio occidentale al conflitto ucraino, opponendosi alla continua fornitura di armi a Kiev, una politica fortemente appoggiata da Johnson.

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«Molti Paesi occidentali vogliono davvero che questa guerra continui», ha detto giorni fa Fico, che a dicembre 2024 aveva preoconizzato che «gli ucraini saranno traditi» dai Paesi occidentali e Kiev «perderà territorio», forse fino a un terzo del totale, e «non sarà invitata nella NATO».

 

Come riportato da Renovatio 21, settimane fa Fico aveva aspramente criticato il presidente americano Joe Biden dichiarando che muovere le restrizioni all’uso da parte dell’Ucraina di missili a lungo raggio forniti dagli Stati Uniti contro obiettivi in ​​territorio russo è insensato e controproducente. «Si tratta di un’escalation di tensioni senza precedenti», ha affermato Fico, definendola un tentativo di influenzare negativamente le politiche del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump e di «frustrare e ritardare» qualsiasi colloquio di pace.

 

Dopo l’attentato subito, assicurando che la Slovacchia avrebbe posto il veto sull’entrata di Kiev nell’Alleanza Atlantica, Fico aveva detto che «l’adesione dell’Ucraina alla NATO significa una Terza Guerra Mondiale garantita».

 

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