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Geopolitica

Avviati colloqui tra Stati Uniti e Russia, ma Mosca non tollererà le condizioni imposte sulle garanzie di sicurezza

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Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha riferito ieri nella sua intervista a RT che la Russia avvierà colloqui con gli Stati Uniti sulle garanzie di sicurezza all’inizio del prossimo anno.

 

Il ministro di Mosca ha precisato che «si è convenuto che il primo round all’inizio del prossimo anno dovrebbe essere un contatto bilaterale tra i negoziatori americani e i nostri. Sono stati nominati e sono accettabili da entrambe le parti. Dopodiché, prevediamo di utilizzare la piattaforma negoziale per discutere il secondo documento, la bozza di accordo Russia-NATO, nel prossimo futuro, preferibilmente a gennaio».

 

La Russia è pronta a discutere le preoccupazioni americane, «ma non le hanno ancora presentate», ha rimarcato.

 

«Come ha detto il presidente Putin, non può durare per sempre, perché la situazione intorno a noi è andata di male in peggio negli ultimi decenni. L’infrastruttura militare della NATO si sta avvicinando al nostro confine. Siamo stati ingannati in ogni momento, a partire dalle promesse verbali e finendo con gli impegni politici stabiliti nell’Atto di fondazione Russia-NATO»

«Dopo aver coordinato le questioni organizzative, ci sarà molto lavoro duro sull’essenza. Ma, come ha detto il presidente Putin, non può durare per sempre, perché la situazione intorno a noi è andata di male in peggio negli ultimi decenni. L’infrastruttura militare della NATO si sta avvicinando al nostro confine. Siamo stati ingannati in ogni momento, a partire dalle promesse verbali e finendo con gli impegni politici stabiliti nell’Atto di fondazione Russia-NATO».

 

«Questa volta, come ha detto il presidente Putin, vogliamo vedere garanzie giuridicamente vincolanti… Faremo del nostro meglio per rendere il nostro messaggio forte e chiaro. Spero che questo, insieme ai nostri sforzi per garantire una capacità di difesa affidabile, convincerà i nostri partner a prenderci sul serio».

 

Ciò che Mosca non accetterà è l’imposizione di condizioni a quei colloqui, ha dichiarato il viceministro degli Esteri Sergej Rjabkov in un’intervista alla pubblicazione del ministero degli Esteri Mezhdunarodnaya Zhizn («Affari internazionali»), secondo quanto riferito dalla TASS.

 

«Vorremmo che gli accordi che mettiamo sulla carta fossero formalizzati tempestivamente affinché si configurassero come accordi contrattuali. Se gli Stati Uniti ci chiedessero di svolgere alcune attività sul nostro territorio come precondizione, che piaceranno a Washington e alle altre capitali della NATO, o che gli americani vorrebbero presentare come precondizione per il futuro lavoro su ordine di Kiev, questo non funzionerà » ha dichiarato Rjabkov.

 

«In queste circostanze, la responsabilità per le tensioni future – che sembrano inevitabili in una situazione del genere – saranno degli americani e degli alleati degli Stati Uniti»

Il viceministro ha avvertito che se dovesse succedere qualcosa del genere, la Russia giungerà alla conclusione che gli Stati Uniti «mancano di volontà politica di concludere accordi» e stanno approfittando di questi sviluppi «per coprire la loro politica in corso volta a utilizzare il territorio dell’Ucraina e altri Paesi per scopi militari contro la Russia».

 

«Questo è ciò che ci ha fatto avanzare queste proposte», ha spiegato, riferendosi alle bozze di trattati che coinvolgono Stati Uniti e NATO, consegnate il 15 dicembre e pubblicate il 17 dicembre.

 

«In queste circostanze, la responsabilità per le tensioni future – che sembrano inevitabili in una situazione del genere – saranno degli americani e degli alleati degli Stati Uniti».

 

 

 

 

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Geopolitica

Dopo l’incidente d’auto, il ministro israeliano Ben Gvir si è già ripreso e minaccia di far cascare Netanyahu se non entra a Rafah

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Quattro giorni fa il veicolo del ministro della sicurezza nazionale di Israele, Itamar Ben Gvir, è stato coinvolto in un incidente stradale nella città di Ramla. Le prime immagini dell’accaduto sono circolate su Internet attraverso un video che segue. Secondo le informazioni disponibili, sembra che il leader del partito ultrasionista Otzma Yehudit sia stato trasportato in ospedale immediatamente dopo l’incidente.

 

Testimoni oculari hanno riferito che il ministro è passato con un semaforo rosso, mentre la polizia ha dichiarato che due veicoli sono coinvolti nella collisione e che tre persone, insieme a Ben Gvir, sono state portate in ospedale con ferite lievi. Le immagini dell’incidente mostrano il veicolo ufficiale del ministro ribaltato, mentre un’altra auto ha subito danni alla parte anteriore. Le autorità stanno lavorando per determinare la causa dell’incidente.

 

Il reporter del canale 12, Amit Segal, ha raccontato di un testimone che ha visto il veicolo di Ben Gvir passare con il semaforo rosso. Segal ha anche riportato che negli ultimi mesi il veicolo ufficiale del ministro ha commesso diverse violazioni del codice della strada.

 


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Come riportato da Renovatio 21, il sionismo oltranzista del Ben Gvir è di tale intensità da spingerlo addirittura ad attaccare Washington, dichiarando che Israele «non è un’altra stella sulla bandiera americana». Una frase che risulta inaudita per i rapporti tra lo Stato Ebraico e la superpotenza sua protettrice.

 

Le speculazioni su un possibile attentato si spengono presto davanti allo stuolo di precedenti che ha il caso. Lo scorso agosto, il Ben Gvir era stato coinvolto in un altro incidente dovuto alla violazione di un semaforo mentre si dirigeva verso un’intervista. I media israeliani hanno anche riferito che il ministro avrebbe dato istruzioni al suo autista per violare regolarmente le norme del traffico.

 

Secondo quanto riportato, tuttavia, la polizia israeliana non gli avrebbe fatto la multa.

 

Ad ogni modo, nonostante l’ulteriore terrificante incidente, il ministro, dopo due giorni di convalescenza all’ospedale Hadassah pare tornato in sé con grande velocità, con tweet molto eloquenti riguardo la tenuta del governo Netanyahu.

 

Per esempio, il nostro ripete, commentando con la parola «promemoria», un tweet dello scorso gennaio: «Accordo promiscuo = scioglimento del governo».

 

 

L’Itamar, dimesso, ha già chiesto ed ottenuto un incontro con il premier Netanyahu in cui ha preteso l’invasione di Rafah.

 

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«Ho terminato un incontro con il Primo Ministro su mia richiesta» dice il ministro Ben Gvirro nel video pubblicato su X. «Ho avvertito il Primo Ministro se Dio non voglia che Israele non entri a Rafah, se Dio non voglia che finiamo la guerra, se Dio non voglia che ci sarà un accordo promiscuo».

 

La richiesta, pura è semplice, è per la continuazione della guerra che altrove definiscono, con sempre maggiore frequenza, «genocidio».

 

«Il Primo Ministro ha ascoltato le parole, ha promesso che Israele entrerà a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbero stati accordi dissoluti» dichiara il ministro sionista, che sembra alludere ancora una volta la sua capacità di far cascare l’esecutivo retto dal Bibi. «Accolgo con favore queste cose. Penso che il Primo Ministro capisca molto bene cosa significherebbe se queste cose non si verificassero».

 

A marzo il Ben Gvir aveva sollecitato il ministro della Difesa Yoav Gallant a dichiarare guerra al Libano. «Gallant, l’esercito è sotto la tua responsabilità, cosa stai aspettando? Più di 100 razzi sono stati lanciati contro lo Stato di Israele e tu stai seduto in silenzio?» aveva detto in un video condiviso sul suo account sui social media. Ben-Gvir esortava ad attaccare il Libano, dicendo, come riporta il canale di Stato turco TRT: «cominciamo a rispondere, ad attaccare e a combattere ora».

 

Il ministro Itamar Ben Gvir appartiene al partito sionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») è associato al movimento erede del partito Kach, poi dissolto da leggi anti-terroriste varate dal governo Rabin nel 1994, fondato dal rabbino americano Mehir Kahane.

 

Kach è nella lista ufficiale delle organizzazioni terroristiche di USA, Canada e, fino al 2010, su quella del Consiglio dell’Unione Europea. Il Kahane fu assassinato in un vicolo di Nuova York nel 1990, tuttavia le sue idee permangono nel sionismo politico, in primis l’idea di per cui tutti gli arabi devono lasciare Eretz Israel, la Terra di Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.

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Il Ben Gvir da ministro l’anno scorso ha vietato le bandiere palestinesi, mentre quest’anno un altro membro del partito ha minimizzato riguardo gli sputi degli ebrei contro i pellegrini cristiani (un’«antica tradizione ebraica»), mentre sul territorio si moltiplicano gli attacchi e le profanazioni ai danni dei cristiani e dei loro luoghi in Terra Santa.

 

Come riportato da Renovatio 21, in un altro editoriale Haaretz scriveva che «il governo di Netanyahu è tutt’altro che conservatore. È un governo rivoluzionario, di destra, radicale, messianico che ha portato avanti un colpo di Stato e sogna di annettere i territori».

 

Il Ben Gvir era tra i relatori del grande convegno sulla colonizzazione ebraica di Gaza, celebrato con balli sfrenati su musica tunza-tunza.

 


Il messianismo sionista si basa sulla teoria apocalittica del Terzo Tempio, che ha diversi sostenitori anche nel protestantesimo americano.

 

Tali idee religiose sulla fine del mondo sono riaffiorate poche settimane fa quando un gruppo sionista ha domandato di portare sulla spianata delle Moschee – cioè il Monte del Tempio degli ebrei – una giovenca rossa, che, sacrificata come prescritto nei Libro dei numeri, darebbe ceneri con cui purificare i rabbini necessari ai riti per la venuta del messia degli ebrei, che per i cristiani, secondo varie vulgate, sarebbe esattamente l’anticristo.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche la settimana scorsa alcuni giovani ebrei sono stati arrestati mentre tentavano di trafugare sul Monte del tempio alcuni capretti da offrire in sacrificio, un atto che è sia una provocazione nei confronti dei palestinesi musulmani, sia un procedimento inserito all’interno di un sistema di riti apocalittici.

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Immagine screenshot da YouTube

 

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Geopolitica

Netanyahu: Israele invaderà Rafah con o senza accordo sugli ostaggi

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Israele invierà truppe nella città di Rafah indipendentemente dal fatto che raggiunga o meno un accordo di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi con Hamas, ha detto martedì il primo ministro Benjamin Netanyahu. Lo riporta RT.   Il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz aveva precedentemente promesso di annullare la controversa operazione in cambio dei prigionieri.   Situata al confine meridionale di Gaza con l’Egitto, Rafah ospita attualmente circa 1,4 milioni di palestinesi fuggiti dalle zone settentrionali dell’enclave. Da ottobre, Israele ha effettuato attacchi aerei regolari a Rafah contro quelli che ritiene siano obiettivi di Hamas, e Netanyahu ha minacciato per mesi di lanciare un’invasione di terra della città, nonostante le obiezioni di Stati Uniti e Nazioni Unite.   «L’idea che fermeremo la guerra prima di raggiungere tutti i suoi obiettivi è fuori discussione», ha detto Netanyahu in una dichiarazione dal suo ufficio. «Entreremo a Rafah ed elimineremo lì i battaglioni di Hamas – con o senza un accordo, per ottenere la vittoria totale».   Il Ministro degli Esteri Katz aveva detto sabato al Canale 12 israeliano che Israele avrebbe «sospeso l’operazione» se Hamas avesse acconsentito a rilasciare alcuni dei circa 130 ostaggi israeliani ancora prigionieri a Gaza.

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Mentre Katz parlava, Hamas stava studiando una proposta israeliana di cessate il fuoco che vedrebbe i combattimenti temporaneamente sospesi in modo che diverse dozzine di ostaggi possano essere scambiati con prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.   Il segretario di Stato americano Antony Blinken, che arriverà in Israele per discutere l’accordo più tardi martedì, ha definito i suoi termini «straordinariamente generosi» e ha invitato i militanti a «decidere rapidamente» e ad accettarlo.   Non è chiaro come i commenti di Netanyahu influenzeranno la decisione di Hamas. Il gruppo militante ha precedentemente respinto i termini di Israele, insistendo sul fatto che qualsiasi tregua deve includere un percorso verso un cessate il fuoco permanente e un completo ritiro israeliano da Gaza.   I partner intransigenti della coalizione di Netanyahu, tuttavia, hanno chiesto che il primo ministro proceda con l’operazione Rafah. Qualsiasi compromesso, ha detto domenica il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, equivarrebbe a una «resa umiliante» per Israele. Durante un discorso di lunedì, Smotrich ha affermato che Israele dovrebbe cercare «l’annientamento totale» dei suoi nemici, hanno riferito i media israeliani.   Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha affermato martedì che Netanyahu gli aveva promesso «Israele entrerà a Rafah, ha promesso che non fermeremo la guerra e che non ci sarà un accordo sconsiderato».   Come riportato da Renovatio 21, il premier israeliano potrebbe essere oggetto di un mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale già questa settimana.

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Immagine del 2009 di RafahKid via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic.
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La Corte Penale Internazionale potrebbe emettere un mandato di arresto per Netanyahu questa settimana

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La Corte Penale Internazionale (CPI) potrebbe accusare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e i suoi alti funzionari di crimini di guerra ed emettere mandati di arresto già questa settimana, ha riferito lunedì NBC News.

 

Citando un funzionario israeliano, la rete americana ha affermato che potrebbero essere emessi mandati per Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e alti ufficiali militari non nominati. Il funzionario ha detto che «Israele sta lavorando attraverso i canali diplomatici per cercare di fermare l’emissione dei mandati», secondo le parole della NBC.

 

Secondo i media israeliani, il capo dell’esercito Herzl Halevi è tra gli ufficiali militari accusati.

 

La CPI non ha confermato né smentito il rapporto, dicendo alla NBC che «ha un’indagine indipendente in corso in relazione alla situazione nello Stato di Palestina» e non ha «ulteriori commenti da fare in questa fase».

 

L’indagine della Corte penale internazionale è stata avviata nel 2021 e riguarda presunti crimini di guerra da parte dell’esercito israeliano e di gruppi militanti palestinesi in Cisgiordania e Gaza a partire dal 2014, quando Israele ha combattuto una guerra durata un mese contro Hamas.

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L’indagine è separata dal caso di genocidio del Sud Africa contro Israele, che è attualmente all’esame della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). Pretoria sostiene che le forze israeliane hanno commesso genocidio e crimini contro l’umanità durante l’operazione in corso contro Hamas a Gaza.

 

La CPI e la ICJ hanno entrambe sede nella città olandese dell’Aia. Secondo lo Statuto di Roma del 2002, la Corte penale internazionale ha il compito di perseguire individui per genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e «crimine di aggressione». L’ICJ è invece un organo delle Nazioni Unite incaricato di risolvere le controversie tra le nazioni.

 

Se la Corte Penale Internazionale dovesse emettere un mandato di arresto per Netanyahu, è improbabile che il primo ministro israeliano venga trascinato all’Aia per affrontare il processo. Israele – come Stati Uniti, Russia e Cina – non è parte dello Statuto di Roma e non riconosce la giurisdizione della Corte. Un mandato potrebbe, tuttavia, mettere Netanyahu a rischio di arresto se dovesse recarsi in uno dei 124 paesi che riconoscono la corte.

 

Dopo che la settimana scorsa è emersa la notizia di una potenziale accusa per crimini di guerra, Netanyahu ha dichiarato venerdì che Israele «non accetterà mai alcun tentativo da parte della Corte Penale Internazionale di minare il suo diritto intrinseco all’autodifesa».

 

«La minaccia di sequestrare soldati e funzionari dell’unica democrazia del Medio Oriente e dell’unico Stato Ebraico al mondo è oltraggiosa. Non ci piegheremo», ha scritto il premier israeliano su X.

 

Come riportato da Renovatio 21, in precedenza Israele aveva risposto chiedendo che fosse l’ONU ad essere portata dinanzi al tribunale dell’Aia. Tre mesi fa, dopo aver definito «assurde» le accuse, l’ufficio di Netanyahu aveva spiegato che il riferimento che il premier aveva fatto ad Amalek – una popolazione del racconto biblico di cui si chiede l’annientamento – era stato frainteso.

 

Nel frattempo, il Nicaragua ha deferito la Germania alla Corte Internazionale di giustizia per complicità nel genocidio palestinese.

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Immagine di U.S. Embassy Jerusalem via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

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