Geopolitica
2001: la trasformazione dell’Impero americano

Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi.
Le «primavere arabe» organizzate da Washington e Londra
Allo scioglimento dell’Unione Sovietica, le élite degli USA credono che alla Guerra fredda possa seguire un periodo di scambi e prosperità. Tuttavia, una fazione del complesso militare-industriale impone il riarmo nel 1995 e una politica imperiale fortemente aggressiva nel 2001.
Tale gruppo, identificato come «governo di continuità» previsto in caso di distruzione delle istituzioni elette, pianifica anticipatamente le guerre in Afghanistan e in Iraq, che sono avviate solo dopo l’11 settembre.
Di fronte al fallimento militare in Iraq e all’impossibilità di attaccare l’Iran, il gruppo cambia idea, abbracciando i piani inglesi per rovesciare i regimi laici del Grande Medio Oriente e rimodellarlo in staterelli amministrati dai Fratelli musulmani.
A poco a poco prende il controllo di NATO, UE e ONU. Solo dopo milioni di vite e miliardi di dollari gli Stati Uniti cambiano strategia a partire dall’elezione di Donald Trump.
La supremazia statunitense
Alla conclusione della Seconda Guerra mondiale, gli Stati Uniti si ritrovarono a essere l’unica nazione vittoriosa a non aver subito la guerra sul proprio territorio.
Approfittando di una condizione senz’altro vantaggiosa, Washington decise di sostituire Londra nel controllo dell’impero e di scontrarsi con Mosca: per ben 44 anni, dunque, una Guerra fredda sostituì la «guerra calda». Quando l’Unione Sovietica cominciò a diventare instabile e a dare segni di cedimento, il presidente George H. Bush senior pensò che fosse giunto il momento di intraprendere alcuni affari iniziando a ridurre le forze armate e ordinando la revisione della politica estera e di quella militare.
National Security Strategy of the United States (1991): «Gli Stati Uniti rimangono la sola nazione stato con forza, portata e influenza veramente globali in tutti i campi: politico, economico e militare. Non esiste nessuno che possa sostituirsi alla leadership americana»
All’indomani del crollo del Muro, Washington precisò sul proprio National Security Strategy of the United States (1991) che «Gli Stati Uniti rimangono la sola nazione stato con forza, portata e influenza veramente globali in tutti i campi: politico, economico e militare. Non esiste nessuno che possa sostituirsi alla leadership americana».
Decise così di riorganizzare il mondo con l’operazione «Desert Storm», spingendo l’alleato kuwaitiano a sottrarre il petrolio iracheno e a esigere il rimborso degli arretrati del presunto aiuto gratuito contro l’Iran. Poi incoraggiò l’alleato iracheno a risolvere la questione annettendo il Kuwait, che gli inglesi avevano arbitrariamente separato dall’Iraq 30 anni prima. Infine, invitò tutti gli Stati del mondo a sostenerlo nel riaffermare il diritto internazionale al posto delle Nazioni Unite.
Eppure la scomparsa dell’URSS avrebbe dovuto comportare logicamente quella dell’altra superpotenza, ossia gli Stati Uniti, essendo i due imperi arroccati sulle loro posizioni antagoniste.
Per evitarne la caduta, i parlamentari statunitensi imposero il riarmo al presidente Bill Clinton, nel 1995. Si consolidarono le forze armate – che avevano smobilitato un milione di uomini – benché a quel tempo non esistesse alcun rivale alla loro altezza. Il sogno di un mondo unipolare – immaginato da Bush senior e diretto dagli affari americani – cedeva quindi il passo a una folle corsa al mantenimento del progetto imperiale.
Il dominio mondiale degli Stati Uniti si è concretizzato attraverso quattro guerre condotte senza l’approvazione delle Nazioni Unite: Jugoslavia (1995 e 1999), Afghanistan (2002), Iraq (2003) e Libia (2011). Questo periodo si è concluso con i 10 veti cinesi e i 16 russi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che hanno impedito espressamente un conflitto aperto contro la Siria.
Non appena conclusa la guerra del Golfo, il repubblicano Bush senior invitò Paul Wolfowitz a scrivere la Defense Policy Guidance (1) (documento riservato, ma del quale alcuni estratti furono pubblicati dal New York Times e dal Washington Post) (2).
La «dottrina Wolfowitz» avrebbe dovuto evitare una nuova Guerra fredda e garantire il ruolo di «gendarme del mondo» agli Stati Uniti. Il presidente Bush senior smobilitò massicciamente le sue forze armate, perché non dovevano essere altro che un semplice corpo di polizia. Eppure ci siamo trovati di fronte a uno scenario opposto
Questo militante trotskista e futuro vicesegretario della Difesa così teorizzava nel documento la supremazia statunitense:
«Il nostro primo obiettivo è impedire il riemergere di un nuovo rivale – sia sul territorio dell’ex Unione Sovietica, sia altrove – che potrebbe rappresentare una minaccia paragonabile a quella dell’ex URSS. Questa è la preoccupazione principale alla base della nuova strategia di difesa regionale: richiede che ci s’impegni per impedire che qualsiasi potenza ostile possa dominare una regione le cui risorse, se poste sotto controllo, sarebbero forse sufficienti a renderla una potenza globale. Queste regioni comprendono l’Europa, l’Estremo Oriente, i territori dell’ex Unione Sovietica e il Sud-Est asiatico».
All’interno di questo obiettivo, vi sono tre aspetti ulteriori:
«Primo, gli Stati Uniti devono mostrare la leadership necessaria per stabilire e garantire un nuovo ordine mondiale in grado di convincere i potenziali concorrenti che non devono aspirare a un ruolo regionale di maggior rilievo né ad assumere una posizione aggressiva per proteggere i loro legittimi interessi».
«Secondo, nelle aree della non-difesa dobbiamo rappresentare gli interessi dei Paesi industrializzati in modo tale da scoraggiare una competizione con la nostra leadership o l’eventuale tentativo di rovesciare l’ordine politico ed economico vigente».
«Infine, dobbiamo preservare intatti i meccanismi di deterrenza nei confronti dei potenziali concorrenti per impedire che abbiano la tentazione di svolgere un ruolo regionale di maggior rilievo o, peggio, un ruolo globale».
È per dimostrare la «leadership necessaria» che Washington decise, nel 2001, di prendere il controllo di tutte le riserve di idrocarburi nel «Grande Medio Oriente», con le guerre in Afghanistan e Iraq
La «dottrina Wolfowitz» avrebbe dovuto evitare una nuova Guerra fredda e garantire il ruolo di «gendarme del mondo» agli Stati Uniti. Il presidente Bush senior smobilitò massicciamente le sue forze armate, perché non dovevano essere altro che un semplice corpo di polizia. Eppure ci siamo trovati di fronte a uno scenario opposto: prima con le quattro guerre di cui sopra, poi il conflitto in Siria, infine in Ucraina contro la Russia.
È per dimostrare la «leadership necessaria» che Washington decise, nel 2001, di prendere il controllo di tutte le riserve di idrocarburi nel «Grande Medio Oriente», con le guerre in Afghanistan e Iraq.
È per «scoraggiare una competizione [degli alleati] con la [loro] leadership» che Washington cambiò i piani nel 2004 e decise di concretizzare la proposta inglese di 1) annettere gli Stati russi non riconosciuti, iniziando dall’Ossezia del Sud, e 2) di rovesciare i governi laici arabi a favore dei Fratelli musulmani, le «Primavere arabe».
Infine, è per scoraggiare la Russia dall’assumere “un ruolo globale” che Washington oggi arma i jihadisti e gli ex jihadisti in Siria, in Ucraina e in Crimea.
Per essere attuata, la dottrina Wolfowitz richiede non solo risorse finanziarie e umane, ma soprattutto un forte desiderio di egemonia.
Un gruppo di dirigenti politici e militari spera di raggiungerlo promuovendo la candidatura del figlio di Bush senior, che ispira la famiglia Kagan a creare, all’interno dell’American Enterprise Institute, una sorta di «comitato di influenza»: il Progetto per un nuovo secolo americano.
Tale gruppo sarà costretto a falsare le elezioni presidenziali in Florida grazie ad alcuni brogli e all’aiuto del governatore Jeb Bush, fratello di Bush junior, consentendo a quest’ultimo l’ascesa alla Casa Bianca. Prima di questo, l’organizzazione si era attivamente adoperata per preparare nuove guerre di conquista, in particolare in Iraq.
Ma il nuovo presidente fa fatica a obbedire e costringe i suoi sostenitori a dare una scossa all’opinione pubblica, che paragonano a una «Nuova Pearl Harbor»: l’11 settembre 2001.
La svolta dell’11 settembre
Tutti credono di sapere ciò che è veramente successo l’11 settembre 2001 e citano gli aerei che colpirono le Torri Gemelle e distrussero parte del Pentagono. Ma dietro a questi eventi e all’interpretazione fornita dall’amministrazione Bush si nasconde tutta un’altra storia.
Mentre due aerei colpivano il World Trade Center, gli uffici del vicepresidente venivano devastati dalle fiamme e si sentivano due esplosioni al Pentagono, il coordinatore nazionale della lotta al terrorismo, Richard Clarke, avviò la procedura per la «Continuità di Governo» (COG) (3).
Ideata durante la Guerra fredda, in caso di guerra nucleare e decapitazione dei centri del potere esecutivo e legislativo avrebbe dovuto salvare il paese affidandone tutte le responsabilità a un’autorità ad interim segretamente designata in precedenza.
Mentre due aerei colpivano il World Trade Center, gli uffici del vicepresidente venivano devastati dalle fiamme e si sentivano due esplosioni al Pentagono, il coordinatore nazionale della lotta al terrorismo, Richard Clarke, avviò la procedura per la «Continuità di Governo»
Ma quel giorno nessuno dei capi eletti era morto.
Ciononostante, alle 10 di mattina George W. Bush non era più presidente degli Stati Uniti. Il potere esecutivo veniva trasferito dalla Casa Bianca a Washington al sito «R», il bunker situato nella Raven Rock Mountain (4). Unità dell’esercito e dei servizi segreti si ritrovarono nella capitale per «proteggere» i membri del Congresso e i loro team. Quasi tutti furono condotti «per la loro sicurezza» in un altro mega-bunker vicino a Washington, il Greenbrier Complex.
Il governo alternativo, la cui composizione non cambiava da almeno nove anni, includeva varie personalità di lungo corso politico tra cui il vicepresidente Dick Cheney, il segretario della Difesa Donald Rumsfeld e l’ex direttore della CIA James Woolsey.
Nel pomeriggio il primo ministro israeliano, Ariel Sharon, si rivolse agli statunitensi mentre si ignorava l’attuazione del piano per la Continuità di Governo e non si avevano notizie di George W. Bush. Manifestò la solidarietà del proprio popolo, anch’esso bersaglio del terrorismo da molto tempo. Parlò come se fosse convinto del fatto che gli attacchi fossero finiti e come se fosse il rappresentante dello Stato americano.
Nel tardo pomeriggio il governo provvisorio restituì il potere esecutivo al presidente Bush, che pronunciò un discorso televisivo, mentre i parlamentari venivano rilasciati.
Si tratta di fatti accertati e non della storiella inverosimile raccontata dall’amministrazione Bush a proposito dei kamikaze che, da una grotta afgana, avrebbero ordito un complotto per distruggere la prima potenza militare del mondo.
In un libro pubblicato trent’anni prima e divenuto il manuale dei repubblicani durante la campagna elettorale del 2000 – Strategia del colpo di Stato. Manuale pratico (5) –, lo storico Edward Luttwak spiegava che un colpo di Stato ha maggiore successo quando nessuno se ne rende conto, e quindi non vi si oppone. Avrebbe dovuto anche chiarire che, affinché il governo legale possa obbedire ai cospiratori, non basta dare l’illusione di mantenere la stessa squadra al «potere», ma è altresì necessario che i cospiratori ne facciano parte.
Le decisioni imposte dal governo provvisorio – l’11 settembre – furono approvate dal presidente Bush nei giorni successivi.
Sul fronte interno il Bill of Rights (Carta dei Diritti) – vale a dire i primi dieci emendamenti della Costituzione – fu sospeso dall’USA Patriot Act per i casi di terrorismo.
Sul piano estero furono pianificati cambi di regime e guerre sia per ostacolare lo sviluppo della Cina e distruggere tutte le strutture statali esistenti del Grande Medio Oriente.
Alle 10 di mattina George W. Bush non era più presidente degli Stati Uniti. Il potere esecutivo veniva trasferito dalla Casa Bianca a Washington al sito «R», il bunker situato nella Raven Rock Mountain
Il presidente Bush accusò gli islamisti degli attentati dell’11 settembre e dichiarò la «guerra al terrorismo», una frase che suona bene ma che in definitiva non ha senso. Infatti, il terrorismo non è una potenza, ma un metodo di azione.
In pochi anni gli attentati – che Washington pretendeva di combattere – si sono moltiplicati in tutto il mondo. Un’altra particolarità di questo nuovo conflitto è il suo nome: «guerra senza fine».
Quattro giorni dopo la tragedia il presidente Bush si trovò a presiedere un incontro surreale a Camp David, dove fu adottato il principio delle guerre per distruggere tutti gli Stati che fino ad allora non rientravano sotto controllo nel «Grande Medio Oriente», così come un progetto di omicidi politici a livello internazionale.
Questo piano fu chiamato – dal direttore della CIA, George Tenet – «Worldwide Attack Matrix», ossia la «Matrice dell’attacco mondiale».
L’incontro fu prima citato dal Washington Post (6), poi denunciato dall’ex comandante supremo della NATO, il generale Wesley Clark. Il termine «matrice» sottintende che non si tratta che della fase iniziale di una strategia molto più capillare.
Chi governa gli Stati Uniti?
Per capire la crisi istituzionale che stava per aprirsi, bisogna fare un passo indietro.
Il mito fondante degli Stati Uniti assicura che alcuni puritani, convinti dell’impossibilità di riformare la monarchia e la Chiesa inglesi, decisero di costruire nelle Americhe «la nuova Gerusalemme». Nel 1620 s’imbarcarono per il Nuovo Mondo sulla Mayflower e ringraziarono Dio per aver consentito loro di attraversare il Mar Rosso (l’Atlantico) e sfuggire alla dittatura del faraone (il re d’Inghilterra). Questo atto di riconoscenza è alla base della festa del Ringraziamento.
I puritani sostenevano di obbedire a Dio rispettando sia i comandamenti di Cristo, sia la legge ebraica. Non veneravano in modo particolare i Vangeli, ma tutta la Bibbia. Per loro, l’Antico Testamento era importante quanto il Nuovo. Praticavano una morale austera, erano convinti di essere stati scelti da Dio e di esserne benedetti attraverso la ricchezza. Pertanto, ritenevano che nessun uomo – indipendentemente da cosa facesse – potesse migliorare e che il denaro fosse un dono di Dio riservato ai fedeli.
Questa ideologia ha molte implicazioni che si sono perpetuate fino ai giorni nostri: per esempio il rifiuto di organizzare una forma di solidarietà nazionale – la previdenza sociale – sostituendola con la carità individuale; oppure, in materia penale, la convinzione che criminali si è fin dalla nascita, un principio che portò il Manhattan Institute a promuovere in molti Stati leggi che punissero con pesanti pene detentive i recidivi per piccoli reati, come il fatto di non pagare il biglietto della metropolitana.
Quattro giorni dopo la tragedia il presidente Bush si trovò a presiedere un incontro surreale a Camp David, dove fu adottato il principio delle guerre per distruggere tutti gli Stati che fino ad allora non rientravano sotto controllo nel «Grande Medio Oriente», così come un progetto di omicidi politici a livello internazionale. Questo piano fu chiamato – dal direttore della CIA, George Tenet – «Worldwide Attack Matrix», ossia la «Matrice dell’attacco mondiale».
Anche se il mito nazionale ha offuscato il fanatismo dei «Padri pellegrini», costoro al tempo instaurarono una comunità settaria, stabilirono punizioni corporali e costrinsero le donne a portare il velo. In realtà, vi sono molte somiglianze tra i loro costumi e quelli degli islamisti contemporanei.
La guerra d’indipendenza sopraggiunse quando la popolazione delle colonie era profondamente cambiata. Non proveniva più dalla sola Inghilterra, ma comprendeva anche gente del Nord Europa. I patrioti che combattevano il re d’Inghilterra speravano di diventare artefici del proprio destino, edificando istituzioni repubblicane e democratiche.
È per loro che Thomas Jefferson scrisse la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, basandosi sull’Illuminismo in generale e sul filosofo John Locke in particolare.
Pur tuttavia, fu un’altra fonte a ispirare la Costituzione dopo la vittoria, ovvero il Patto della Mayflower, cioè l’ideologia puritana e il desiderio di creare istituzioni simili a quelle dell’Inghilterra, ma senza la nobiltà ereditaria.
Pertanto, respingendo la sovranità popolare furono istituiti i governatori degli Stati federali, un sistema d’altronde assolutamente inaccettabile che fu immediatamente «equilibrato» dai 10 emendamenti costituzionali che compongono il Bill of Rights. Il testo finale riserva pertanto la responsabilità politica alle élite degli Stati federali e attribuisce ai cittadini il diritto di difendersi in tribunale contro la «Ragion di Stato».
Sospendendo il Bill of Rights per ogni evento ricollegabile al terrorismo, l’USA Patriot Act ci riporta alla Costituzione di due secoli prima, privando i cittadini dei loro diritti in tribunale e squilibrando di nuovo le istituzioni. Sottomette perciò il potere all’ideologia puritana e garantisce unicamente gli interessi delle élite degli Stati federali.
la sera dell’11 settembre, Donald Trump nega ciò che sta per diventare la versione ufficiale sul Canal 9 di New York. Dopo aver ricordato che gli ingegneri che hanno costruito le Torri sono entrati poi nella sua azienda, sottolinea l’impossibilità che il crollo di Torri tanto massicce sia stato dovuto unicamente all’impatto degli aerei (e agli incendi). Conclude che necessariamente devono esserci stati altri fattori, non ancora noti

Il promotore immobiliare Donald Trump è stato il solo a mettere in dubbio, il pomeriggio stesso dell’11 settembre 2001, la versione del crollo delle Twin Towers imposta dall’amministrazione Bush. Mantenendo la mente fredda, Trump afferma che secondo i suoi ingegneri (che avevano costruito il World Trade Center) degli aerei di linea non potevano aver causato la distruzione delle Torri.
Il colpo di Stato dell’11 settembre ha diviso queste élite in due gruppi, ovvero chi lo ha sostenuto e chi ha finto d’ignorarlo. Le poche figure che vi si sono opposte – come il senatore Paul Wellstone – sono state fisicamente eliminate.
Hanno però preso la parola alcuni cittadini, soprattutto due immobiliari miliardari: così, la sera dell’11 settembre, Donald Trump nega ciò che sta per diventare la versione ufficiale sul Canal 9 di New York. Dopo aver ricordato che gli ingegneri che hanno costruito le Torri [Gemelle] sono entrati poi nella sua azienda, sottolinea l’impossibilità che il crollo di Torri tanto massicce sia stato dovuto unicamente all’impatto degli aerei (e agli incendi). Conclude che necessariamente devono esserci stati altri fattori, non ancora noti.
Un altro imprenditore, Jimmy Walter, sacrifica parte del suo patrimonio per acquistare spazi pubblicitari sui giornali e per pubblicare DVD che analizzino i reali motivi della devastazione.
Nei quindici anni successivi, i due gruppi di cospiratori e complici passivi – che hanno lo stesso obiettivo di dominio interno ed estero – si affrontano regolarmente finché non saranno apparentemente entrambi rovesciati dal movimento popolare guidato da Donald Trump.
Thierry Meyssan
NOTE
1) James Mann, The Rise of the Vulcans: The History of [W.] Bush’s War Cabinet, Viking (2004).
2) Patrick E. Tyler, «US Strategy Plan Calls For Insuring No Rivals Develop», New York Times, 8 marzo 1992. Barton Gellman, «Keeping the US First, Pentagon Would preclude a Rival Superpower », The Washington Post, 11 marzo 1992.
3) Richard Clarke, Against All Enemies, Inside America’s War on Terror, Free Press, 2004. Versione italiana Contro tutti i nemici. La verità sulla guerra americana contro il terrorismo, TEA Editore, 10 marzo 2005.
4) Garrett M. Graff, Raven Rock: The Story of the U.S. Government’s Secret Plan to Save Itself—While the Rest of Us Die, Simon & Shuster (2017). James Bamford, A Pretext for War, Anchor Books, 2004.
5) Edward Luttwak, Coup d’État: A Practical Handbook, Allen Lane, 1968. Versione italiana: Strategia del colpo di Stato. Manuale pratico, Rizzoli Editore, 1968. Edward Luttwak, Richard Perle, Peter Wilson e Paul Wolfowitz furono i «Quattro moschettieri» dell’ex segretario di Stato Dean Acheson.
6) Bob Woodward & Dan Blaz, «Saturday, Septembrer 15, At Camp David, Advise and Dissent», The Washington Post, January 31, 2002.
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «2001: la trasformazione dell’Impero americano», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 3 agosto 2021.
La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Geopolitica
Mosca critica Israele per l’attacco al Qatar

La Russia ha condannato l’attacco israeliano alla capitale del Qatar, Doha, definendolo una palese violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, affermando che l’attacco mina gli sforzi per raggiungere un accordo pacifico tra Israele e Hamas, ha affermato mercoledì il Ministero degli Esteri di Mosca.
Martedì Israele ha colpito un edificio residenziale a Doha in un’operazione che ha coinvolto circa 15 aerei da guerra e almeno dieci missili. Il raid, che avrebbe causato la morte di diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya, aveva come obiettivo quello di eliminare l’ala politica del gruppo, secondo le IDF.
Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti a quello che ha definito un tentativo di assassinio dei negoziatori coinvolti nei colloqui per un accordo.
Il ministero degli Esteri russo ha affermato che l’attacco al Qatar, «un Paese che svolge un ruolo chiave di mediazione nei colloqui indiretti tra Hamas e Israele per porre fine alla guerra di Gaza, che dura da quasi due anni, e garantire il rilascio degli ostaggi», non può che essere visto come un tentativo di indebolire gli sforzi di pace internazionali. Mosca ha esortato tutte le parti ad agire responsabilmente e ad astenersi da azioni che potrebbero aggravare ulteriormente il conflitto.
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Mosca ha ribadito la sua posizione, chiedendo un «cessate il fuoco immediato a Gaza» e sollecitando una risoluzione globale della questione palestinese. Il Ministero degli Esteri russo ha affermato che «tali metodi di lotta contro coloro che Israele considera suoi nemici e oppositori meritano la più ferma condanna».
Il Qatar, che ospita funzionari di Hamas nell’ambito dei suoi sforzi di mediazione, ha affermato che tra le sei persone uccise nell’attacco c’era anche un agente di sicurezza locale.
Il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, ha condannato l’attacco definendolo un atto di «terrorismo di Stato» e ha avvertito che il suo Paese si riserva il diritto di rispondere. Ha accusato il suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu di minare la stabilità regionale e ha affermato che l’incidente ha vanificato gli sforzi di mediazione promossi dagli Stati Uniti.
Israele, che incolpa Hamas per il mortale attacco dell’ottobre 2023 nel sud di Israele, ha promesso di dare la caccia ai leader del gruppo «ovunque si trovino».
Le autorità di Gaza affermano che gli attacchi sferrati da Israele dal 7 ottobre 2023 hanno causato la morte di almeno 64.000 persone. Gli osservatori per i diritti umani hanno accusato Israele di aver commesso un genocidio rendendo l’enclave inabitabile e peggiorando le condizioni di carestia attraverso restrizioni agli aiuti.
Il rapporto tra Russia e Qatar, nato negli anni ’90 da interessi energetici condivisi, è un’alleanza pragmatica tra giganti del gas, con Mosca che vede Doha come partner contro la dominanza USA nel mercato globale. Collaborano in forum come OPEC+ e BRICS+, con scambi per miliardi in LNG e armamenti.
Le relazioni si inasprirono il 7 febbraio 2012, quando, secondo quanto riferito, dopo che un diplomatico del Qatar aveva avvertito la Russia di perdere il sostegno della Lega Araba in merito all’imminente risoluzione sulla rivolta siriana, a cui Russia e Cina avevano poi posto il veto, la risposta arrivò dura dall’ambasciatore russo all’ONU Vitaly Churkin, che affermò: “Se mi parli in questo modo, oggi non ci sarà nessun Qatar” e si vantò della superiorità militare russa sul Qatar. In seguito, la Russia negò tutte queste accuse.
Il culmine si era avuto nel 2004: l’autobomba che uccise Zelimkhan Yandarbiyev, ex presidente ceceno in esilio a Doha. La Russia negò coinvolgimento, ma due agenti FSB furono arrestati; uno morì in custodia, l’altro estradato. Il Qatar condannò l’attentato come «terrorismo di Stato», sospendendo legami per mesi, ma pragmatismo prevalse: accordi energetici ripresero presto.
Oggi, nonostante frizioni, il sodalizio resiste, bilanciato da interessi economici.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
«Li prenderemo la prossima volta» Israele non esclude un altro attacco al Qatar

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Geopolitica
Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

Israele ha condotto un «attacco di precisione» contro «i vertici di Hamas», hanno annunciato martedì le Forze di difesa israeliane (IDF), poco dopo che numerose esplosioni hanno scosso il quartier generale del gruppo militante palestinese a Doha, in Qatar.
Da parte delle forze dello Stato Ebraico, si tratta di una violazione territoriale inedita, perché – a differenza di casi analoghi in Libano e Iran – condotta in uno Stato «alleato» di Washington e dell’Occidente, cui fornisce capitale e gas. L’attacco pare essere stato diretto ai negoziatori di Hamas, i quali avevano ricevuto dal presidente americano Trump un invito al tavolo della pace poco prima.
L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto l’operazione in coordinamento con l’agenzia di sicurezza Shin Bet (ISA). Le IDF non hanno indicato il luogo esatto preso di mira dall’attacco.
«L’IDF e l’ISA hanno condotto un attacco mirato contro i vertici dell’organizzazione terroristica Hamas», ha dichiarato l’IDF in una nota. «Prima dell’attacco, sono state adottate misure per mitigare i danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione e di intelligence aggiuntiva».
L’annuncio è arrivato dopo che almeno dieci esplosioni avrebbero scosso il quartier generale di Hamas a Doha. I filmati che circolano online mostrano che l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo diversi resoconti dei media che citano fonti di Hamas, l’attacco ha preso di mira il team negoziale del gruppo, che stava discutendo l’ultima proposta statunitense sulla cessazione delle ostilità con Israele.
Il Qatar ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas».
#Qatar / #Palestine / #Israel 🇶🇦🇵🇸🇮🇱: Israeli Air Forces carried out air strikes to assassinate Senior officials of #HAMAS in the city of #Doha.
Reportedly HAMAS negotiation team was targeted with Air-To-Surface Missiles while discussing the ceasefire in the capital of Qatar. pic.twitter.com/WdWuqY6rXq
— War Noir (@war_noir) September 9, 2025
🚨🇮🇱🇶🇦🇵🇸 BREAKING: ISRAEL just AIRSTRIKED Hamas’s negotiation team in DOHA, QATAR pic.twitter.com/cTdA5fT4gP
— Jackson Hinkle 🇺🇸 (@jacksonhinklle) September 9, 2025
BREAKING:
Israeli fighter jets struck Qatar’s capital, Doha.
An Israeli airstrike in Doha killed Hamas leader in Gaza, Khalil al-Hayya, and three senior members of the group’s leadership, Al Arabiya reports, citing sources.
Al Hadath states those in the targeted building… pic.twitter.com/03rwdUbvZ5
— Visegrád 24 (@visegrad24) September 9, 2025
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L’attacco israeliano a Doha è stato un «momento cruciale» per l’intera regione, ha affermato il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, condannando l’attacco come «terrorismo di Stato».
L’attacco a sorpresa non sarà «ignorato» e il Qatar «si riserva il diritto di rispondere a questo attacco palese», ha dichiarato il primo ministro in una conferenza stampa. «Oggi abbiamo raggiunto un punto di svolta affinché l’intera regione dia una risposta a una condotta così barbara».
NEW: Qatar reserves the right to retaliate for the Israeli attack against Doha, Qatari PM says
“We’ve reached a decisive moment; There should be retaliation from the whole region”
— Ragıp Soylu (@ragipsoylu) September 9, 2025
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Al-Thani ha attaccato duramente il suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di compromettere la stabilità regionale in nome di «deliri narcisistici» e interessi personali. Il Qatar continuerà il suo impegno di mediazione per risolvere le persistenti ostilità con Hamas, ha affermato.
Il primo ministro quatarino ha ammesso che lo spazio per la diplomazia è ormai diventato molto ristretto e che l’attacco ha probabilmente fatto deragliare il ciclo di negoziati dedicato all’ultima proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
«Per quanto riguarda i colloqui in corso, non credo che ci sia nulla di valido dopo aver assistito a un attacco del genere», ha affermato.
L’attacco israeliano è avvenuto due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva lanciato un altro «ultimo avvertimento» ad Hamas, sostenendo che Israele aveva già accettato termini non specificati di un accordo da lui proposto e chiedendo al gruppo di rilasciare gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Poco dopo, anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dato al gruppo un “ultimo avvertimento”, minacciando Hamas di annientamento e intimando ai militanti di deporre le armi. In seguito alle minacce, Hamas aveva dichiarato di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative» dopo aver ascoltato quelle che ha descritto come «alcune idee da parte americana volte a raggiungere un accordo di cessate il fuoco».
Tuttavia nelle ultime ore è emersa la condanna del presidente statunitense contro l’attacco israeliano. In una dichiarazione pubblicata martedì su Truth Social, Trump ha criticato l’attacco aereo di Israele contro un complesso di Hamas a Doha, sottolineando che la decisione di portare a termine l’operazione all’interno del Qatar è stata presa unilateralmente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e non da Washington.
( @realDonaldTrump – Truth Social Post )
( Donald J. Trump – Sep 09, 2025, 4:20 PM ET )This morning, the Trump Administration was notified by the United States Military that Israel was attacking Hamas which, very unfortunately, was located in a section of Doha, the Capital of… pic.twitter.com/axQSlL46gW
— Fan Donald J. Trump 🇺🇸 TRUTH POSTS (@TruthTrumpPosts) September 9, 2025
Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America».
«Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me».
Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE».
Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio».
La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».
“The president views Qatar as a strong ally and friend of the United States and feels very badly about the location of this attack.”
White House press sec. Karoline Leavitt read a statement after Israel’s strike on Hamas leadership in Doha. https://t.co/X3EkiIHoZ7 pic.twitter.com/OdDyR4QcgF
— ABC News (@ABC) September 9, 2025
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Nell’operazione circa 15 aerei da guerra israeliani hanno sparato almeno dieci munizioni durante l’operazione di martedì, uccidendo diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya. Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti all’attacco, descritto come un tentativo di assassinare i negoziatori impegnati a raggiungere un possibile accordo.
L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che l’attacco ad Hamas in Qatar è stato un’azione unilaterale e che nessun altro paese è stato coinvolto nell’operazione.
«L’azione odierna contro i principali capi terroristi di Hamas è stata un’operazione israeliana del tutto indipendente. Israele l’ha avviata, Israele l’ha condotta e Israele si assume la piena responsabilità», si legge in una nota.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco israeliano definendolo una «flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Qatar». «Tutte le parti devono impegnarsi per raggiungere un cessate il fuoco permanente, non per distruggerlo», ha detto ai giornalisti.
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Immagine da Twitter
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