Big Pharma
Quando la cura è la causa: il caso della lingua pelosa verde
Negli anni 60 in Giappone una strana epidemia avrebbe dovuto far scattare l’allarme in tutto il mondo, poiché molto spesso sono proprio le terapie mediche a peggiorare la situazione.
Per Keiko Yamaguchi tutto cominciò con la diarrea. Qualche settimana più tardi sopraggiunse un torpore alle dita dei piedi. Erano i primi mesi del 1967. Un anno più tardi, alla fine del 1968, la giovane ventiduenne Keiko si ritrovò cieca e paralizzata dalla vita in giù.
Si stima che almeno 900 persone persero la vita a causa di questa patologia
In Giappone soltanto, più di 11.000 persone (tra cui Keiko ) furono vittime di una misteriosa epidemia esplosa tra il 1955 e il 1970. Alcuni casi furono denunciati anche in altri Paesi, tra cui Gran Bretagna, Svezia, Messico, India, Australia. Tuttavia l’epidemia colpì soprattutto il Giappone, dove si stima che almeno 900 persone persero la vita a causa di questa patologia che i medici successivamente identificheranno con il nome neuropatia mielo-ottica subacuta (in inglese subacute myelo-optic neuropathy da cui l’acronimo SMON) dove la parola “mielo” deriva dalla parola greca che identifica il midollo spinale, la parola “ottica” fa riferimento alla vista e la parola neuropatia indica una patologia che colpisce i nervi.
Un numero ancora incerto di pazienti invece vide la propria lingua diventare verde e pelosa
Generalmente la malattia inizia con attacchi di vomito e diarrea e con l’avanzare di questa, alcuni pazienti vengono colpiti da cecità e paralisi, proprio come Keiko. Un numero ancora incerto di pazienti invece vide la propria lingua diventare verde e pelosa: sulla lingua, infatti, spuntarono dei peletti verdi (o perlomeno qualcosa che vi somigliava). Per altri il colore verde si manifestò nelle urine.
La patologia non risparmiò nemmeno i membri della famiglia e contagiò anche medici e infermieri che cercarono di curarla. Una stima approssimativa stabilisce che la morte sopraggiunse per una percentuale di pazienti che va dal 5 al 10%.
La morte sopraggiunse per una percentuale di pazienti che va dal 5 al 10%
Che cosa causò l’epidemia? Negli anni ‘60 fu proprio il Giappone, il Paese più colpito, a promuovere numerosi programmi di ricerca per scoprirlo. I dottori pensarono di avere la risposta in pugno quando i ricercatori che stavano studiando i malati di SMON isolarono l’echovirus, conosciuto per essere la causa di problemi intestinali.
Presto però nei pazienti vennero rintracciati altri virus, inclusi il virus Coxakie e l’herpesvirus. La scoperta di quest’ultimo creò un certo entusiasmo, poiché è risaputo che l’herpesvirus colpisce il sistema nervoso. A una a una però tutte queste scoperte furono smentite poiché i ricercatori indipendenti non riuscirono a replicare le scoperte precedenti fatte in laboratorio.
Numerose furono le cause considerate e poi escluse. Nessun agente patogeno dell’acqua potabile fu mai rintracciato. E i pesticidi? Anche questa ipotesi fu scartata quando uno studio rivelò che gli agricoltori affetti da SMON erano meno dei non agricoltori, pur essendo i soggetti a questi maggiormente esposti.
Un farmacologo fece una scoperta rivelatrice: quanto pare la malattia derivava dall’assunzione farmaco: il cliochinolo, un medicinale utilizzato per la cura della dissenteria amebica
L’euforia tornò quando i ricercatori scoprirono che molte vittime avevano assunto due tipologie diverse di antibiotici, anche se sembrava improbabile che due diversi antibiotici potessero entrambi improvvisamente essere la causa della stessa malattia rara. Tuttavia, come notano gli esperti, i pazienti avevano assunto l’antibiotico solo dopo aver manifestato i primi sintomi della SMON.
Più tardi, alla fine del 1970 e tre anni dal respingimento della teoria degli antibiotici, un farmacologo fece una scoperta rivelatrice. A quanto pare i due presunti diversi antibiotici non erano altro che due brand diversi dello stesso farmaco: il cliochinolo, un medicinale utilizzato per la cura della dissenteria amebica o amebiasi. Inoltre fu svelato che la lingua verde pelosa e l’urina verde erano causate dalla dissoluzione del cliochinolo nel corpo dei pazienti. A un mese dalla rivelazione, il cliochinolo venne bandito in Giappone e l’epidemia di SMON, uno dei maggiori disastri farmaceutici della storia, conobbe un’improvvisa battuta d’arresto.
L’epidemia di SMON, uno dei maggiori disastri farmaceutici della storia
Sembra che l’epidemia colpì in particolar modo il Giappone in parte perché il farmaco veniva utilizzato di routine per curare non solo la dissenteria, ma anche per prevenire la diarrea del viaggiatore e varie forme di disturbi addominali. E anche perché i medici giapponesi erano soliti prescrivere il farmaco con dosi più elevate e per periodi di assunzione più lunghi di quanto non fosse abitualmente fatto negli altri Paesi.
Altra idea abbastanza convincente era l’illusione che la SMON fosse contagiosa. Infatti, famigliari, dottori e infermieri, pensando di proteggersi, assumevano a loro volta il farmaco quando questo veniva somministrato ai loro cari con disturbi addominali e con diarrea che poi contraevano di conseguenza la SMON, causandosi inavvertitamente da soli la malattia che tanto temevano. Il risultato dell’epidemia in apparenza rese la SMON una malattia infettiva. In soldoni, quella che sembrava essere la cura per la SMON ne era in realtà la sua stessa causa.
I famigliari, dottori e infermieri, pensando di proteggersi, assumevano a loro volta il farmaco quando questo veniva somministrato ai loro cari con disturbi addominali e con diarrea che poi contraevano di conseguenza la SMON, causandosi inavvertitamente da soli la malattia che tanto temevano. Il risultato dell’epidemia in apparenza rese la SMON una malattia infettiva
Sono pochi i dottori a conoscenza della storia della SMON e forse sono ancora meno quelli che utilizzano lo slogan «cura o causa». Eppure oggi il fenomeno è più rilevante che mai. Uno studio pubblicato l’anno scorso sostiene l’ipotesi che oggi la terza causa di morte negli USA sia l’intervento medico, inclusi problemi legati ai farmaci soggetti a prescrizione e all’impianto di dispositivi medici, che vanno dallo stent cardiaco alla protesi dell’anca e ai dispositivi contraccettivi.
Si scoprì che il colore verde dell’urina del paziente era causato dalla dissoluzione del cliochinolo nel corpo dei pazienti.

Il pigmento nell’urina di un paziente SMON è risultato essere il farmaco clioquinolo anti-diarrea, dissolto dal metabolismo del corpo
Gli esempi abbondano praticamente in tutte le specializzazioni, dalla cardiologia alla psichiatria e alla cura del cancro. Jerome Hoffman, professore emerito di medicina alla UCLA (University of California, Los Angeles), afferma che non è un fatto sorprendente: poiché i farmaci e i dispositivi medici puntano ai sistemi alterati del corpo, è molto facile sbagliare e peggiorare il disturbo.
In soldoni, quella che sembrava essere la cura per la SMON ne era in realtà la sua stessa causa.
Pochi dottori sono a conoscenza della SMON. Forse sono ancora meno quelli che usano lo slogan «cura o causa». Eppure oggi il fenomeno è più rilevante che mai.
Negli anni ‘80 e ‘90, per esempio, i pazienti venivano ampiamente curati con medicinali per il ritmo cardiaco in modo da evitare che i battiti irregolari, chiamati contrazioni ventricolari premature (CVP), scatenassero una fibrillazione ventricolare mortale.
Un farmaco può correggere le Contrazioni Premature Ventricolari ma uccidere il paziente: come un vecchio detto ricorda, l’operazione è riuscita
I medicinali andavano molto bene per ridurre i battiti irregolari e i dottori li avevano prescritti a molti credendo di salvare delle vite. Ma nel 1989, la sperimentazione clinica per la soppressione dell’aritmia cardiaca, in sigla CAST, sponsorizzata dagli Istituti Nazionali di Sanità, aveva dimostrato che, sebbene i medicinali annullavano effettivamente le CPV (Contrazioni Premature Ventricolari), quando queste comparivano, era molto più probabile che scatenassero fibrillazioni ventricolari mortali. I pazienti trattati avevano 3,6 volte la stessa possibilità di morire dei pazienti ai quali era stato somministrato un placebo.
Il farmaco può correggere le CPV ma uccidere il paziente: come un vecchio detto ricorda, l’operazione è riuscita, ma il paziente è deceduto. Il problema era rimasto invisibile per più di un decennio perché i dottori sostenevano che quando un paziente moriva improvvisamente fosse a causa delle condizioni del cuore e non per la cura che loro avevano prescritto.
Uno studio storico sul Prozac per curare la depressione negli adolescenti, aveva scoperto che in generale aumentava i comportamenti suicidi – mentre il suo reale compito era di prevenirli
In un altro caso di «cura o causa», uno studio storico sul Prozac per curare la depressione negli adolescenti, aveva scoperto che in generale aumentava i comportamenti suicidi – mentre il suo reale compito era di prevenirli. Nello studio, il 15% degli adolescenti depressi curati con il Prozac ha tentato il suicidio, contro il 6% curato con la psicoterapia e l’11% curato con farmaci placebo. Questi numeri non sono stati resi pubblici da Eli Lilly, il produttore, il ricercatore capo, che dichiarava che il Prozac fosse «il grande vincitore» tra i farmaci per la cura degli adolescenti depressi. I medici, ignari che il farmaco potesse aumentare il tasso di suicidi, spesso aumentavano il dosaggio quando i pazienti diventavano più depressi durante il trattamento, pensando che la causa fosse proprio la depressione e non la cura.
Ricerche condotte su altri farmaci della stessa classe del Prozac, inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina, o SSRI, hanno mostrato problemi simili.
Vi sono molti altri casi del fenomeno «cura o causa»: stent cardiaci che hanno causato coaguli nelle arterie coronarie; defibrillatori-pacemaker impiantati che si sono inceppati o che hanno sbagliato ad attivarsi, causando ritmi cardiaci mortali; stimolatori del nervo vago per curare l’epilessia che hanno invece portato al suo aumento.
Vi sono molti altri casi del fenomeno «cura o causa»: stent cardiaci che hanno causato coaguli nelle arterie coronarie; defibrillatori-pacemaker impiantati che si sono inceppati o che hanno sbagliato ad attivarsi, causando ritmi cardiaci mortali; stimolatori del nervo vago per curare l’epilessia che hanno invece portato al suo aumento.
Una delle lezioni della SMON è il pericolo degli incentivi finanziari perversi. I medici giapponesi erano stati pagati per ogni prescrizione che facevano, una pratica considerata non etica nella maggior parte degli altri paesi. I medici, in alcune prefetture del Giappone, possono ancora vendere medicinali ai loro pazienti. Per forza prescrivevano così alte dosi di clioquinol per periodi prolungati.
Più della metà dei dottori negli Stati Uniti riceve somme di denaro o altri benefici dalla Big Pharma e dai produttori di dispositivi medici. Le cifre possono essere esorbitanti: alcuni dottori hanno ricevuto decine di milioni di dollari per impiantare certi dispositivi o per promuovere determinati farmaci.
Questa influenza ha però un costo sulle persone che sono esposte a trattamenti pericolosi. Un gruppo no profit, l’Institute for Safe Medication Practices, ha condotto uno studio per quantificare le conseguenze negative dei farmaci e ha concluso che i medicinali prescritti sono «uno dei pericoli più rilevanti per la salute dell’uomo che dipende dall’attività umana».
Una delle lezioni della SMON è il pericolo degli incentivi finanziari perversi. I medici giapponesi erano stati pagati per ogni prescrizione che facevano
Con l’aumento del complesso industriale-medico e i suoi ingenti profitti, il settore ha un interesse personale nell’incolpare la malattia del paziente per i risultati negativi e non i loro stessi prodotti.
Le affermazioni dell’industria farmaceutica spesso ingannano sia dottori che pazienti. Ciba-Geigy, il principale produttore del cliochinolo, affermava che il medicinale era sicuro perché non poteva essere assorbito nel sistema circolatorio dall’intestino. Eppure, le documentazioni di un caso contro l’azienda mostrano che Ciba-Geigy era consapevole da anni degli effetti pericolosi del farmaco.
Più della metà dei dottori negli Stati Uniti riceve somme di denaro o altri benefici dalla Big Pharma e dai produttori di dispositivi medici
All’inizio del 1944, gli inventori del cliochinolo dichiararono che il farmaco sarebbe dovuto essere rigidamente controllato e limitato a 10-14 giorni di somministrazione. Nel 1965, dopo che un veterinario svizzero pubblicò dei documenti in cui cani a cui era stato somministrato il clioochinolo avevano sviluppato attacchi epilettici e morirono, Ciba si era limitato a dichiarare che il farmaco non dovrebbe essere somministrato agli animali.
Con l’aumento del complesso industriale-medico e i suoi ingenti profitti, il settore ha un interesse personale nell’incolpare la malattia del paziente per i risultati negativi e non i loro stessi prodotti.
Negli Stati Uniti, l’influenza dell’industria farmaceutica su quello che i medici e il pubblico credono riguardo ai farmaci e ai dispositivi medici è scesa esponenzialmente, poiché quasi tutte le ricerche sono ora condotte dalle aziende e le ricerche effettivamente indipendenti non esistono più.
Nel 1997, la sponsorizzazione dell’industria ha fornito il 29% dei finanziamenti per ricerche cliniche e non cliniche. Le stime oggi affermano che la percentuale è aumentata a circa il 60%. Anche la ricerca «più indipendente», come quella condotta dagli Istituti Nazionali di Salute, è ora «associata» a un’azienda, rendendo la nostra dipendenza da loro quasi totale.
Arginare l’onda di interventi medici che possono provocare più danni che bene richiederà una profonda valutazione dei casi «cura o causa» – e la volontà di fermare la dipendenza da azienda farmaceutica che perversamente promuove.
Fonte: Undark
Big Pharma
Bayer punta sulla cura del Parkinson dopo decenni di vendita di prodotti come il glifosato legati alla malattia
Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Bayer sta avviando una sperimentazione clinica di Fase 3 per un trattamento del Parkinson a base di cellule staminali attraverso la sua controllata BlueRock, nonostante l’azienda stia affrontando migliaia di cause legali relative ai pesticidi collegati alla malattia. Questa mossa evidenzia il duplice ruolo di Bayer nel contribuire al Parkinson e nel cercare di trarne profitto.
Bayer sta lanciando un nuovo trattamento sperimentale per il morbo di Parkinson, nonostante il colosso farmaceutico e chimico continui a trarre profitto dalla vendita di pesticidi collegati alla malattia.
La società ha annunciato la scorsa settimana che la sua sussidiaria BlueRock Therapeutics LP ha avviato una sperimentazione clinica di fase 3 per il bemdaneprocel, un farmaco progettato per sostituire le cellule cerebrali produttrici di dopamina uccise dalla malattia neurodegenerativa.
Il farmaco deriva da cellule staminali impiantate chirurgicamente nel cervello di una persona affetta dal morbo di Parkinson. Una volta impiantate, le cellule staminali possono svilupparsi in neuroni dopaminergici maturi, contribuendo a riformare le reti neurali colpite dal Parkinson.
Ripristinano «potenzialmente» la funzionalità motoria e non motoria dei pazienti. Il farmaco è stato approvato dalla Food and Drug Administration statunitense nel 2021.
Bemdaneprocel sarà probabilmente disponibile sul mercato tra anni, eppure Bayer sta investendo molto nelle infrastrutture produttive per i futuri prodotti di terapia cellulare e genica. Parte di questo sforzo include la costruzione di uno stabilimento da 250 milioni di dollari in California, secondo Reuters.
Le tecnologie di terapia cellulare e genica contro il cancro stanno già generando profitti per altre aziende, ma BlueRock è la prima azienda a portare una terapia cellulare per il Parkinson alla fase 3 degli studi clinici.
Le difficoltà finanziarie della Bayer derivano in parte dai brevetti scaduti su due dei suoi farmaci di successo: l’anticoagulante Xarelto e il medicinale per gli occhi Eylea.
Ma i maggiori problemi finanziari di Bayer sono radicati nell’acquisizione di Monsanto nel 2018, secondo Reuters. Il glifosato, un diserbante di Monsanto, è collegato al cancro e al Parkinson, le stesse malattie da cui Bayer potrebbe trarre profitto con un nuovo trattamento.
Finora, Bayer ha pagato circa 11 miliardi di dollari per risolvere le cause legali relative al glifosato e si stima che siano ancora pendenti 67.000 cause legali nei suoi confronti.
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Molti dei pesticidi della Bayer sono collegati al Parkinson
Il morbo di Parkinson è il disturbo neurologico in più rapida crescita al mondo, caratterizzato dalla perdita di neuroni nella parte del cervello che produce dopamina e che è responsabile del controllo motorio.
Sebbene non esista una cura nota per il Parkinson, esistono alcune cause note. Studi dimostrano che l’esposizione a diversi pesticidi è fortemente correlata allo sviluppo della malattia.
I collegamenti più ampiamente segnalati tra pesticidi e morbo di Parkinson riguardano l’erbicida paraquat della Syngenta.
Attraverso un’indagine sui documenti interni di Syngenta, il giornalista Carey Gillam ha rivelato che l’azienda era consapevole che il suo pesticida causava cambiamenti neurologici che sono il segno distintivo della malattia, ma lavorava segretamente per insabbiare le prove scientifiche del collegamento.
Tuttavia, studi recenti collegano anche l’esposizione ad altri pesticidi alla malattia.
Numerosi studi di casi, uno studio epidemiologico, studi sugli animali e recenti studi che esaminano molteplici esposizioni a pesticidi dimostrano che il glifosato, una nota neurotossina, probabilmente gioca un ruolo nel Parkinson.
Tuttavia, gli scienziati che scrivono sulle più importanti riviste mediche affermano che sono necessarie ulteriori ricerche e una migliore regolamentazione, citando il legame poco studiato tra glifosato e Parkinson come esempio paradigmatico del problema.
Parte del problema, affermano, è che sono le aziende produttrici di pesticidi a condurre la maggior parte delle ricerche, e la maggior parte di queste riguarda singoli pesticidi in modo isolato.
Nuove prove dimostrano che il Parkinson è anche – e forse più frequentemente – collegato all’esposizione a «cocktail» di pesticidi. Questi causano «una neurotossicità maggiore per i neuroni dopaminergici rispetto a qualsiasi singolo pesticida», perché i diversi pesticidi hanno meccanismi d’azione diversi. Se combinati, possono causare danni neurologici maggiori.
Una ricerca pubblicata su Nature Communications ha esaminato la storia dell’esposizione chimica dei pazienti affetti da Parkinson e ha identificato 53 pesticidi implicati nella malattia.
Tra le 10 sostanze chimiche identificate come direttamente tossiche per i neuroni collegate al Parkinson figurano pesticidi, erbicidi e fungicidi prodotti dalla Bayer.
Tra questi ci sono l’endosulfan, prodotto dall’azienda ma gradualmente eliminato in risposta alle pressioni internazionali; il diquat, un ingrediente chiave utilizzato dalla Bayer per sostituire il glifosato nel Roundup e vietato nell’UE, nel Regno Unito e in Cina; e i fungicidi contenenti solfato di rame e folpet.
Un altro studio ha identificato l’esposizione a lungo termine a 14 pesticidi con un aumento del rischio di morbo di Parkinson nelle persone che vivono nella regione delle Montagne Rocciose e delle Grandi Pianure.
I tre pesticidi con l’effetto più forte sono stati simazina, atrazina e lindano. Bayer produce diversi pesticidi contenenti simazina e atrazina. Bayer in precedenza utilizzava il lindano nei suoi prodotti, ma ne ha gradualmente eliminato l’uso come pesticida agricolo negli Stati Uniti.
Bayer è una delle quattro aziende, insieme a Syngenta, Corteva e BASF, che controllano da anni il mercato mondiale dei pesticidi.
Negli Stati Uniti, l’azienda ha tentato di proteggersi da ulteriori contenziosi sui rischi per la salute causati dai suoi prodotti chimici, sostenendo una legislazione a livello federale e statale che renderebbe più difficile per gli stati regolamentare i pesticidi o per le persone danneggiate dai prodotti agrochimici fare causa ai produttori.
Brenda Baletti
Ph.D.
© 1 ottobre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.
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Immagine di Mister F. via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 2.0
Big Pharma
AstraZeneca minaccia di ritirare gli investimenti dalla Gran Bretagna
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Autismo
Paracetamolo, Big Pharma e FDA erano da anni a conoscenza del rischio autismo
Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Le email ottenute dalla Daily Caller News Foundation mostrano che già nel 2008, i dirigenti della Johnson & Johnson, il produttore originale del Tylenol [come chiamano il paracetamolo in America, ndt], erano preoccupati in privato per quella che ritenevano una prova attendibile di un possibile legame tra autismo e paracetamolo. Anche la FDA era a conoscenza di tale legame.
Secondo i documenti ottenuti nelle cause legali contro Kenvue, i produttori di Tylenol [il nome commerciale del paracetamolo in USA, ndt] e la Food and Drug Administration (FDA) statunitense erano a conoscenza da anni della probabile associazione tra l’uso del farmaco durante la gravidanza e i disturbi dello sviluppo neurologico, tra cui l’autismo.
«Il peso delle prove inizia a sembrarmi pesante», ha affermato Rachel Weinstein , direttrice statunitense dell’epidemiologia per la divisione farmaceutica Janssen di Johnson & Johnson (J&J), in un’e-mail in cui commentava diversi studi che mostravano il collegamento.
La Daily Caller News Foundation ha ottenuto le e-mail da Keller Postman LLC, lo studio legale che rappresenta i querelanti in una class action federale contro Kenvue.
La J&J ha prodotto il Tylenol fino al 2023, quando ha trasferito la produzione a Kenvue, un’azienda separata.
Le rivelazioni via e-mail seguono l’annuncio fatto la scorsa settimana dal presidente Donald Trump secondo cui le donne incinte non dovrebbero assumere Tylenol e l’annuncio della FDA che aggiungerà avvertenze ai prodotti contenenti paracetamolo.
Le etichette aggiornate dei prodotti avvertiranno che il paracetamolo può essere associato a un rischio maggiore di patologie neurologiche, tra cui autismo e disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), nei bambini. La FDA ha affermato che informerà anche i medici e il pubblico di questo rischio.
I media tradizionali e le organizzazioni sanitarie pubbliche hanno attaccato gli avvertimenti come infondati o esagerati. Alcune organizzazioni giornalistiche hanno citato scienziati – come l’epidemiologa dell’Università del Massachusetts Ann Bauer – che hanno pubblicato studi che identificano il legame tra Tylenol e autismo e hanno chiesto avvertimenti, ma che ora stanno pubblicamente ritrattando le loro preoccupazioni.
Tuttavia, il Daily Caller ha scoperto che, nonostante la confusione nei media e tra gli esperti di salute pubblica, le e-mail mostrano che già nel 2008 i dirigenti di J&J erano preoccupati in privato per la presenza di prove attendibili di un possibile collegamento tra autismo e paracetamolo. Hanno riconosciuto il collegamento in un’e-mail e hanno suggerito ulteriori indagini.
Le meta-analisi interne della FDA condivise con The Defender mostrano che l’agenzia aveva valutato per anni l’aggiunta di nuovi avvertimenti sugli effetti collaterali del paracetamolo nei bambini.
Nel 2019, gli scienziati della FDA hanno condotto una meta-analisi che ha rilevato disturbi urogenitali nei neonati collegati al farmaco. Gli scienziati hanno anche notato collegamenti con problemi di neurosviluppo. Nel 2022, la FDA ha condotto un’altra meta-analisi che ha rilevato un collegamento con l’ADHD.
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I produttori del Tylenol hanno monitorato attentamente una serie di pubblicazioni scientifiche che mostrano un collegamento con l’autismo
La Daily Caller News Foundation ha ricevuto email risalenti a oltre un decennio fa, che indicavano che i responsabili aziendali di J&J erano stati allertati del possibile legame tra paracetamolo e disturbi neurologici. Le email mostravano che J&J aveva persino preso in considerazione l’idea di proseguire la ricerca, ma poi aveva deciso di non farlo.
Il punto vendita ha anche ottenuto un’e-mail del 2012 di Leslie Shur, responsabile della divisione J&J che monitora gli effetti collaterali, in cui si riconosceva un altro reclamo da parte di un consumatore in merito al problema, e un’e-mail del 2014 in cui si dimostrava che il problema era stato sollevato con l’amministratore delegato Alex Gorsky, il cui nome è scritto in modo errato nell’e-mail.
Secondo la giornalista Emily Kopp, autrice dell’articolo del Daily Caller:
«I produttori di Tylenol hanno seguito attentamente una serie di pubblicazioni scientifiche che hanno riscontrato un’associazione tra l’assunzione del farmaco di successo in gravidanza e nell’infanzia e il rischio di autismo, come dimostrano altri documenti aziendali».
Una presentazione interna del 2018, definita dall’azienda «riservata e riservata», riconosce che gli studi osservazionali mostrano un’associazione «piuttosto coerente» tra l’esposizione prenatale al Tylenol e i disturbi dello sviluppo neurologico.
Un’altra diapositiva della presentazione riconosce che meta-analisi più ampie, ovvero revisioni che riassumono più studi scientifici, hanno riscontrato un’associazione, ma sottolinea i punti deboli di questi studi, come le variabili confondenti e la soggettività nella misurazione dei tratti autistici.
Un portavoce di Kenvue ha dichiarato al Daily Caller che l’azienda ritiene che non vi sia «alcun nesso causale tra l’uso di paracetamolo durante la gravidanza e l’autismo» e che i suoi prodotti sono «sicuri ed efficaci» se utilizzati come indicato sull’etichetta.
Kopp ha fatto notare che il sito web dell’azienda afferma anche che «dati scientifici credibili e indipendenti continuano a non dimostrare alcun collegamento provato tra l’assunzione di paracetamolo e l’autismo» e che «non esiste alcuna scienza credibile che dimostri che l’assunzione di paracetamolo causi l’autismo».
Tuttavia, ha scoperto che le e-mail interne mostravano dipendenti che discutevano di uno studio del 2018 e di uno del 2016, i quali concludevano entrambi che le donne incinte avrebbero dovuto essere messe in guardia sui possibili effetti dell’assunzione di Tylenol durante la gravidanza.
Ha trovato anche delle email in cui si diceva che J&J aveva preso in considerazione la possibilità di finanziare studi sul possibile collegamento tra Tylenol e autismo, ma aveva deciso di non «esporsi», temendo che i propri studi potessero confermare i risultati.
Secondo Kopp:
L’azienda ha inoltre condotto una ricerca che ha definito «ascolto sociale», monitorando le ricerche su Google e i post sui social media alla ricerca di prove su Tylenol e autismo da gennaio 2020 a ottobre 2023.
«L’azienda ha avviato la ricerca sulle tendenze dei social media dopo la pubblicazione nel 2021 di un invito all’azione sul Tylenol su Nature Reviews Endocrinology da parte di 13 esperti statunitensi ed europei “alla luce delle gravi conseguenze dell’inazione”».
L’azienda ha scritto una revisione nel 2023, Project Cocoon, che segnalava preoccupazioni relative agli effetti collaterali urogenitali e neurologici dei farmaci nei neonati, che i dirigenti hanno notato riguarda «ogni aspetto del marchio», ha scritto Kopp.
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Anche la FDA è preoccupata per le crescenti prove
Secondo lo psichiatra David Healy, la FDA ha iniziato a preoccuparsi anche per le crescenti prove di un legame tra paracetamolo e disturbi dello sviluppo neurologico, a partire da una pubblicazione su JAMA Pediatrics nel 2014 e seguita da diverse importanti pubblicazioni negli anni successivi.
Healy è un testimone esperto in un caso contro Kenvue e Safeway , sostenendo che non hanno avvisato adeguatamente i consumatori del rischio di autismo o ADHD derivante dall’esposizione prenatale al farmaco.
Documenti del 2019 e del 2022, resi disponibili tramite richieste ai sensi del Freedom of Information Act associate alla causa e condivisi con The Defender, mostrano che, sulla base di una meta-analisi della letteratura pubblicata, la FDA ha identificato collegamenti coerenti tra paracetamolo e rischi sia urogenitali che neurologici.
Già nel 2019, gli autori di uno studio della FDA avevano raccomandato di rivedere le etichette per consigliare alle donne incinte di «fare attenzione all’uso occasionale di paracetamolo quando non è strettamente necessario per il dolore o per altri scopi».
Il documento del 2022, incentrato principalmente sui risultati neurologici, afferma che, nonostante i limiti dello studio, le meta-analisi e altre ricerche hanno costantemente riscontrato collegamenti tra paracetamolo e ADHD e, di conseguenza, «potrebbe essere prudente, come misura precauzionale…» Tuttavia, il resto della raccomandazione è redatto.
Healy ha affermato che le rivelazioni di Weinstein e di altri che lavorano con J&J sono particolarmente significative perché le case farmaceutiche hanno la responsabilità di informare i consumatori quando sanno che un farmaco potrebbe essere collegato a un evento avverso.
«L’onere di avvertire non sorge quando c’è una chiara correlazione causa-effetto», ha affermato Healy. «Sorge quando ci sono motivi per ritenere che potrebbe esserci un problema».
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Immagine di Katy Warner via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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