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Cinque vescovi contro i vaccini prodotti con feti abortiti

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Dopo alcune imbarazzanti e semplicistiche prese di posizione da parte del mondo cattolico sul tema dell’utilizzo di vaccini prodotti con linee cellulari di feto abortito, con particolare riferimento all’attualità del vaccino anti-COVID un cardinale e quattro vescovi fra cui Mons. Athanasius Schneider tuonano contro l’utilizzo di questi farmaci, dichiarando fermamente che un cattolico non può in alcun modo partecipare, nemmeno in maniera indiretta e remota, al grande crimine contro Dio e contro l’umanità: il Male assoluto dell’aborto.

 

Renovatio 21 offre ai lettori la traduzione di questo importantissimo documento, che consigliamo di leggere fino alla fine. Un vero argine contro la deriva superficiale e a tratti liberale assunta da tanti ambienti in teoria intransigenti, che sono puristi nella liturgia ma incredibilmente permissivi verso ciò che in questo documento è giustamente definito come «cannibalismo bio-medico».

 

Il documento è precedentemente apparso sulla rivista americana Crisis.

La ricerca biomedica che sfrutta i nascituri innocenti e usa i loro corpi come «materia prima» ai fini dei vaccini sembra più simile al cannibalismo che alla medicina.

 

 

 

 Nelle ultime settimane, agenzie di stampa e varie fonti di informazione hanno riferito che, in risposta all’emergenza COVID-19, alcuni Paesi hanno prodotto vaccini utilizzando linee cellulari di feti umani abortiti. 

 

In altri paesi, tali vaccini sono in fase di pianificazione. Un coro crescente di ecclesiastici (conferenze episcopali, singoli vescovi e sacerdoti) ha affermato che, nel caso in cui non fosse disponibile alcun vaccino alternativo che utilizzi componenti eticamente leciti, sarebbe moralmente consentito per i cattolici ricevere vaccini prodotti con linee cellulari di bambini abortiti. 

Nel caso dei vaccini ottenuti da linee cellulari di feti umani abortiti, vediamo una chiara contraddizione tra la dottrina cattolica di rifiutare categoricamente, e senza ombra di dubbio, l’aborto in tutti i casi come un grave male morale che grida vendetta al cielo e la pratica di considerare i vaccini derivati da linee cellulari fetali abortite moralmente accettabili

 

I sostenitori di questa posizione invocano due documenti della Santa Sede: il primo, della Pontificia Accademia per la Vita, si intitola «Riflessioni morali sui vaccini preparati da cellule derivate da feti umani abortiti» ed è stato pubblicato il 9 giugno del 2005; la seconda, un’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede, si intitola «Dignitas Personae, su alcune questioni bioetiche», ed è stata pubblicata l’8 settembre del 2008. Entrambi questi documenti consentono l’uso di tali vaccini in casi eccezionali e per un tempo limitato, sulla base di quella che nella teologia morale viene chiamata cooperazione al male materiale, remota e passiva.

 

I suddetti documenti affermano che i cattolici che utilizzano tali vaccini hanno «il dovere di rendere noto il loro disaccordo e di chiedere che il loro sistema sanitario renda disponibili altri tipi di vaccini».

 

Nel caso dei vaccini ottenuti da linee cellulari di feti umani abortiti, vediamo una chiara contraddizione tra la dottrina cattolica di rifiutare categoricamente, e senza ombra di dubbio, l’aborto in tutti i casi come un grave male morale che grida vendetta al cielo (vedi Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2268, n. 2270), e la pratica di considerare i vaccini derivati da linee cellulari fetali abortite moralmente accettabili in casi eccezionali di «urgente bisogno» – per motivi di remota, passiva, cooperazione al male materiale. Sostenere che tali vaccini possono essere moralmente leciti se non ci sono alternative è di per sé contraddittorio e non può essere accettabile per i cattolici.

 

Sostenere che tali vaccini possono essere moralmente leciti se non ci sono alternative è di per sé contraddittorio e non può essere accettabile per i cattolici

Si devono ricordare le seguenti parole di Papa Giovanni Paolo II sulla dignità della vita umana non nata: 

 

«L’inviolabilità della persona, riflesso dell’assoluta inviolabilità di Dio, trova la sua prima e fondamentale espressione nell’inviolabilità della vita umana. Soprattutto, la protesta comune, che giustamente si fa a favore dei diritti umani – ad esempio, il diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia, alla cultura – è falsa e illusoria se il diritto alla vita, il più basilare diritto fondamentale e condizione per tutti gli altri diritti personali, non è difeso con la massima determinazione» (Christifideles Laici, 38). 

 

L’uso di vaccini prodotti da cellule di bambini non nati e assassinati contraddice una «massima determinazione» a difendere la vita non ancora nata.

 

Giovanni Paolo II: « la protesta comune, che giustamente si fa a favore dei diritti umani – ad esempio, il diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia, alla cultura – è falsa e illusoria se il diritto alla vita, il più basilare diritto fondamentale e condizione per tutti gli altri diritti personali, non è difeso con la massima determinazione»»

Il principio teologico della cooperazione materiale è certamente valido e può essere applicato a tutta una serie di casi (ad esempio nel pagamento delle tasse, nell’uso di prodotti ricavati dal lavoro in schiavitù, e così via). Tuttavia, questo principio difficilmente può essere applicato al caso dei vaccini ottenuti da linee cellulari fetali, perché coloro che consapevolmente e volontariamente ricevono tali vaccini entrano in una sorta di concatenazione, seppur molto remota, con il processo dell’industria dell’aborto. 

 

Il crimine di aborto è così mostruoso che qualsiasi tipo di concatenazione con questo crimine, anche se molto remoto, è immorale e non può essere accettato in nessuna circostanza da un cattolico una volta che ne sia pienamente consapevole.

 

Chi usa questi vaccini deve rendersi conto che il suo corpo sta beneficiando dei «frutti» (sebbene passi attraverso una serie di processi chimici) di uno dei più grandi crimini dell’umanità. Qualsiasi legame con il processo di aborto, anche il più remoto e implicito, getterà un’ombra sul dovere della Chiesa di rendere ferma testimonianza della verità che l’aborto deve essere completamente rifiutato. I fini non possono mai giustificare i mezzi. 

 

L’uso di vaccini prodotti da cellule di bambini non nati e assassinati contraddice una «massima determinazione» a difendere la vita non ancora nata

Stiamo vivendo uno dei peggiori genocidi conosciuti dall’uomo. Milioni e milioni di bambini in tutto il mondo sono stati massacrati nel grembo della madre e giorno dopo giorno questo genocidio nascosto continua attraverso l’industria dell’aborto, la ricerca biomedica e la tecnologia fetale, e la spinta dei governi e degli organismi internazionali a promuovere tali vaccini come uno degli obiettivi primari. 

 

Adesso non è il momento per i cattolici di cedere; farlo sarebbe gravemente irresponsabile. 

 

L’accettazione di questi vaccini da parte dei cattolici, sulla base del fatto che implicano solo una «cooperazione remota, passiva e materiale» con il male, giocherebbe nelle mani dei nemici della Chiesa e la indebolirebbe come ultima roccaforte contro il male assoluto dell’aborto.

Coloro che consapevolmente e volontariamente ricevono tali vaccini entrano in una sorta di concatenazione, seppur molto remota, con il processo dell’industria dell’aborto

Cos’altro può essere un vaccino derivato da linee cellulari fetali se non una violazione dell’Ordine di Creazione dato da Dio?

 

Poiché si basa su una grave violazione di questo Ordine attraverso l’omicidio di un bambino non ancora nato. Se a questo bambino non fosse stato negato il diritto alla vita, se le sue cellule (che sono state ulteriormente coltivate più volte in laboratorio) non fossero state rese disponibili per la produzione di un vaccino, non potrebbero essere commercializzate.

 

Il crimine di aborto è così mostruoso che qualsiasi tipo di concatenazione con questo crimine, anche se molto remoto, è immorale e non può essere accettato in nessuna circostanza da un cattolico una volta che ne sia pienamente consapevole

Abbiamo quindi qui una doppia violazione del sacro Ordine di Dio: da un lato, attraverso l’aborto stesso, e dall’altro, attraverso l’atroce attività del traffico e della commercializzazione dei resti di bambini abortiti. Tuttavia, questo doppio disprezzo per l’Ordine divino della Creazione non può mai essere giustificato, nemmeno per il motivo di preservare la salute di una persona o di una società attraverso tali vaccini.

 

La nostra società ha creato una religione sostitutiva: la salute è diventata il bene supremo, un dio sostituto a cui si devono offrire sacrifici – in questo caso, attraverso un vaccino basato sulla morte di un’altra vita umana.

 

Nell’esaminare le questioni etiche che circondano i vaccini, dobbiamo chiederci: come e perché tutto questo è diventato possibile? Non c’era davvero alternativa? Perché la tecnologia basata sull’omicidio è emersa in medicina, il cui scopo è invece portare vita e salute?

 

Chi usa questi vaccini deve rendersi conto che il suo corpo sta beneficiando dei «frutti»  di uno dei più grandi crimini dell’umanità

La ricerca biomedica che sfrutta i nascituri innocenti e usa i loro corpi come «materia prima» ai fini dei vaccini sembra più simile al cannibalismo che alla medicina.

 

Dobbiamo anche considerare che, per alcuni nell’industria biomedica, le linee cellulari dei bambini non ancora nati sono un «prodotto», l’abortista e il produttore del vaccino sono il «fornitore» e i destinatari del vaccino sono i «consumatori».

 

Stiamo vivendo uno dei peggiori genocidi conosciuti dall’uomo. Milioni e milioni di bambini in tutto il mondo sono stati massacrati nel grembo della madre e giorno dopo giorno questo genocidio nascosto continua attraverso l’industria dell’aborto, la ricerca biomedica e la tecnologia fetale, e la spinta dei governi e degli organismi internazionali a promuovere tali vaccini come uno degli obiettivi primari. 

La tecnologia basata sull’omicidio è radicata nella disperazione e finisce nella disperazione. Dobbiamo resistere al mito secondo il quale «non ci sono alternative». Al contrario, dobbiamo procedere con la speranza e la convinzione che le alternative esistono e che l’ingegno umano, con l’aiuto di Dio, le possa scoprire. Questo è l’unico modo per passare dall’oscurità alla luce e dalla morte alla vita.

 

Il Signore ha detto che alla fine dei tempi anche gli eletti saranno sedotti (cfr Mc 13:22). Oggi, l’intera Chiesa e tutti i fedeli cattolici devono cercare urgentemente di essere rafforzati nella dottrina e nella pratica della fede.

 

Nell’affrontare il male dell’aborto, i cattolici devono più che mai «astenersi da ogni apparenza di male» (1 Tessalonicesi 5:22).

 

La salute fisica non è un valore assoluto. L’obbedienza alla legge di Dio e la salvezza eterna delle anime devono avere il primato.

 

I vaccini derivati dalle cellule di bambini non nati crudelmente assassinati hanno un carattere chiaramente apocalittico e possono presagire il marchio della bestia (vedere Apocalisse 13:16).

La tecnologia basata sull’omicidio è radicata nella disperazione e finisce nella disperazione

 

Alcuni ecclesiastici dei nostri giorni rassicurano i fedeli affermando che ricevere un vaccino COVID-19 derivato dalle linee cellulari di un bambino abortito è moralmente lecito se non è disponibile un’alternativa. Giustificano la loro affermazione sulla base della «cooperazione materiale e remota» con il Male. 

 

Tali affermazioni sono estremamente anti-pastorali e controproducenti, soprattutto se si considera il carattere sempre più apocalittico dell’industria dell’aborto e la natura disumana di alcune ricerche biomediche e tecnologie embrionali.

 

I vaccini derivati dalle cellule di bambini non nati crudelmente assassinati hanno un carattere chiaramente apocalittico e possono presagire il marchio della bestia (vedere Apocalisse 13:16)

Ora più che mai, i cattolici non possono categoricamente incoraggiare e promuovere il peccato dell’aborto, nemmeno il minimo, accettando questi vaccini. Pertanto, come Successori degli Apostoli e Pastori responsabili della salvezza eterna delle anime, riteniamo impossibile tacere e mantenere un atteggiamento ambiguo riguardo al nostro dovere di resistere con «massima determinazione» (Papa Giovanni Paolo II) contro «l’indicibile crimine dell’aborto» (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 51). 

 

Questa dichiarazione è stata scritta su consiglio e consiglio di medici e scienziati di vari paesi. Un contributo sostanziale è arrivato anche dai laici: da nonne, nonni, padri e madri di famiglia, e dai giovani. Tutti i  soggetti consultati – indipendentemente dall’età, dalla nazionalità e dalla professione – hanno respinto all’unanimità e quasi istintivamente l’idea di un vaccino derivato dalle linee cellulari dei bambini abortiti. Inoltre, hanno ritenuto debole e inadeguata la giustificazione offerta per l’utilizzo di tali vaccini (ovvero «cooperazione materiale a distanza di tanto tempo»).

Abbiamo più che mai bisogno dello spirito dei confessori e dei martiri che evitino il minimo sospetto di collaborazione con il male della loro epoca

 

Ciò è confortante e, allo stesso tempo, molto rivelatore: la loro unanime risposta è un’ulteriore dimostrazione della forza della ragione e del sensus fidei.

 

Abbiamo più che mai bisogno dello spirito dei confessori e dei martiri che evitino il minimo sospetto di collaborazione con il male della loro epoca

 

«Siate semplici come figli di Dio senza rimprovero in mezzo a una generazione depravata e perversa, nella quale dovete risplendere come luce nel mondo» (Fil. 2, 15)

La Parola di Dio dice: «Siate semplici come figli di Dio senza rimprovero in mezzo a una generazione depravata e perversa, nella quale dovete risplendere come luce nel mondo» (Fil. 2, 15). 

 

 

12 dicembre 2020, Memoria della Beata Vergine Maria di Guadalupe

 

 

Cardinale Janis Pujats, arcivescovo metropolita emerito di Riga

+ Tomash Peta, arcivescovo metropolita dell’arcidiocesi di Santa Maria ad Astana

+ Jan Pawel Lenga, arcivescovo / vescovo emerito di Karaganda

+ Joseph E. Strickland, Vescovo di Tyler (USA)

+ Athanasius Schneider, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santa Maria ad Astana

 

 

 

 

 

 

 

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Bioetica

Mons. Viganò loda Alberto di Monaco, sovrano cattolico che non ha ratificato la legge sull’aborto

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha lodato il principe Alberto di Monaco che nel principato dove è regnante ha rifiutato di firmare la legge per legalizzare l’aborto.

 

«Il Principe Alberto di Monaco, coerentemente con la Fede che egli professa e con l’autorità sacra che legittima la sua funzione di sovrano del Principato di Monaco, non ratifica la proposta di legge per la depenalizzazione dell’aborto, crimine esecrando» scrive Sua Eccellenza in un post sul social media X. «Nel 1990 fa il Re Baldovino del Belgio abdicò, piuttosto di dare la propria approvazione all’odiosa legge sull’aborto: anch’egli fu un Monarca veramente cattolico».

 

«Suscita sconcerto il silenzio del Vaticano dinanzi a questa testimonianza di Fede, che dovrebbe essere additata ad esempio: un silenzio che diventa assordante quando tace davanti all’uccisione di milioni di innocenti massacrati nel ventre materno. Un silenzio che è riecheggiato quando Joe Biden finanziava l’industria dell’aborto e lo autorizzava fino al momento del parto» continua monsignore.
«La “chiesa sinodale” presta ascolto al “grido della Terra”, mentre finge di non udire il gemito dei bambini sterminati. Essa è troppo impegnata a propagandare gli “obiettivi sostenibili” dell’Agenda 2030 (tra cui figura anche l’aborto, definito ipocritamente “salute riproduttiva”) per denunciare i sacrifici umani di questa società antiumana e anticristica. Troppo occupata a lucrare sul traffico di clandestini che dovrebbe invece denunciare come strumento di islamizzazione dell’Europa un tempo cristiana» tuona l’arcivescovo già nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America.

 

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Come riportato da Renovatio 21, in passato il prelato lombardo ha definito l’aborto come «il sacramento di Satana».

 

«Morte. Solo morte. Morte prima di nascere. Morte durante la vita. Morte prima di morire naturalmente. Significativamente, chi è favorevole alla morte degli innocenti – bambini, malati, anziani – è contrario alla pena di morte. Si può essere trovati indegni di vivere perché poveri, perché vecchi, perché non voluti da chi ci ha concepito; ma se si massacrano persone o si compiono delitti orrendi, la pena capitale è considerata una barbarie» aveva scritto monsignore in un testo di due anni fa.

 

«Dovremmo iniziare a comprendere che i teorizzatori di questa immane strage che si perpetua da decenni e ci ripiomba nella barbarie del peggior paganesimo non si considerano parte dello sterminio: nessuno di loro è stato abortito; nessuno di loro è stato lasciato morire senza cure; a nessuno di loro è stata imposta la morte per ordine di un tribunale. Siamo noi, siete voi e i vostri figli, i vostri genitori, i vostri nonni che dovete morire, e che vi dovete sentire in colpa perché siete vivi, perché esistete e producete CO2».

 

«L’aborto è un atto di culto a Satana. È un sacrificio umano offerto ai demoni, e questo lo affermano orgogliosamente gli stessi adepti della «chiesa di Satana», che negli Stati Americani in cui l’aborto è vietato rivendicano di poter usare i feti abortiti nei loro riti infernali. D’altra parte, in nome della laicità si abbattono le Croci e le statue della Madonna e dei Santi, ma al loro posto iniziano a comparire immagini raccapriccianti di Bafometto» ha detto monsignore.

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«L’aborto è un crimine orrendo perché oltre alla vita terrena priva il bambino della visione beatifica, destinandolo al limbo perché sprovvisto della Grazia battesimale. L’aborto è un crimine orrendo perché cerca di strappare a Dio delle anime che Egli ha voluto, ha creato, ha amato e per le quali ha offerto la propria vita sulla Croce. L’aborto è un crimine orrendo perché fa credere alla madre che sia lecito uccidere la creatura che più di tutte, e a costo della sua stessa vita, ella dovrebbe difendere. E con tale crimine quella madre si rende assassina e se non si pente si condanna alla dannazione eterna, vivendo molto spesso anche nella vita quotidiana il rimorso più lancinante. L’aborto è un crimine orrendo perché si accanisce sull’innocente proprio a causa della sua innocenza, rievocando gli omicidi rituali dei bambini commessi nelle sette di ieri e di oggi. Sappiamo bene che la cabala globalista è legata dal pactum sceleris della pedofilia e di altri crimini orrendi, e che a quel patto sono vincolati esponenti del potere, dell’alta finanza, dello spettacolo e dell’informazione».

 

«Rifiutiamo l’aborto e avremo milioni di anime che potranno amare ed essere amate, compiere grandi cose, diventare sante, combattere al nostro fianco, meritare il Cielo».

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Il Patriarca Sako critica la Curia per la sua ignoranza dei cristiani orientali

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Il Cardinale Louis Raphael I Sako, Patriarca della Chiesa Cattolica Caldea, ha espresso aspre critiche alla Santa Sede, affermando che alcuni funzionari della Curia non comprendono la situazione dei cristiani orientali e devono imparare a «lavorare con le Chiese locali, non al di sopra di esse».   «Dovrebbero sapere che sono lì per servire le Chiese», ha detto Sako. «Devono rispettare la nostra identità». Il cardinale Louis Raphaël Sako ha risposto senza mezzi termini alle domande del quotidiano cattolico The Tablet in un’intervista pubblicata online il 5 novembre 2025.   L’alto prelato, membro di diritto del Collegio cardinalizio, ha criticato il Dicastero per le Chiese Orientali – responsabile di tutte le confessioni orientali che hanno coraggiosamente scelto l’unità cattolica romana – per non aver trattato i patriarchi orientali con il rispetto che meritano.   Queste dure parole riflettono la profonda frustrazione del cardinale Sako nei confronti della burocrazia vaticana, dove, a suo dire, la corrispondenza rimane senza risposta per mesi. Il patriarca caldeo ha colto l’occasione per ricordare a tutti che, secondo il Codice di Diritto Canonico delle Chiese Orientali, i patriarchi «precedono tutti i vescovi di ogni grado in tutto il mondo».

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Gli scambi con loro «dovrebbero essere molto educati e molto rispettosi», ha insistito l’alto prelato, lasciando intendere che i membri del dicastero in questione non avrebbero compreso il loro status o le difficoltà affrontate dai vescovi orientali, per i quali è preoccupato. «Siamo come padri», ha aggiunto il patriarca. «Non siamo uomini d’affari. Siamo pastori».   I cattolici caldei costituiscono l’80% dei circa 200.000 cristiani rimasti in Iraq e sono presenti in tutto il Medio Oriente. Nel 1990, il numero di cristiani in Iraq era stimato essere un milione, ma l’instabilità che si è impossessata dell’invasione guidata dagli Stati Uniti del 2003 e la persecuzione da parte degli islamisti dell’organizzazione dello Stato Islamico hanno spinto molti di loro a fuggire dal Paese.   Sebbene la Curia non goda di grande favore agli occhi del cardinale Sako, egli ritiene che Papa Leone XIV comprenderebbe meglio la situazione dei cattolici orientali. L’alto prelato ha parlato frequentemente con l’ex cardinale Robert Prévost durante il conclave dello scorso maggio: «Ho avuto l’opportunità di spiegargli chi siamo», ha affermato il patriarca, ricordando al successore di Pietro come «la nostra presenza in Oriente sia attualmente minacciata».   Durante la loro conversazione, il cardinale Sako ha suggerito che i funzionari della Curia non fossero nella posizione migliore per consigliare il Papa sulla situazione delle Chiese orientali. «Il Papa dovrebbe essere ben informato dai dicasteri», ha affermato, lamentando la mancanza di comprensione locale e di «esperienza pratica» all’interno del Vaticano.   «Quando parlano, usano un discorso di stampo occidentale». Ha aggiunto, citando un esempio, che l’attuale Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, il cardinale Claudio Gugerotti, possiede solo una conoscenza libresca e accademica del cristianesimo orientale, acquisita attraverso la sua formazione e la sua esperienza come nunzio. «Ha le sue idee, idee fisse sulle Chiese», afferma.   L’approccio del Vaticano, continua Sako, «dovrebbe essere accademico, ma anche realistico», e «dovrebbe impegnarsi di più per coinvolgere i leader politici locali, non limitarsi a fare discorsi», perché la Santa Sede può «avere un impatto sulla vita politica in Medio Oriente».

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Le critiche del Cardinale Sako all’apparato amministrativo della Santa Sede risalgono a una lunga storia. Nel 2023, il patriarca caldeo si appellò al Vaticano affinché ottenesse il riconoscimento formale delle sue funzioni da parte dello Stato iracheno. Il presidente iracheno Abdul Latif Rashid revocò il suo titolo di patriarca il 3 luglio 2023, un’azione percepita come un’usurpazione della sua posizione di amministratore dei beni della Chiesa.   Una destituzione probabilmente istigata da Rayan al-Kildani, leader delle Brigate Babilonia, una milizia nominalmente caldea legata all’Iran, contro la quale l’alto prelato aveva messo in guardia i suoi fedeli. Tuttavia, secondo l’arcivescovo Sako, il sostegno della Curia non è arrivato e la crisi è durata fino alla fine del 2024, con il ripristino dei diritti civili del patriarca da parte delle autorità irachene.   Ma il cardinale Sako è anche controverso al suo interno, accusato di essere stato troppo zelante nel modernizzare la Messa, dando risalto alla lingua volgare rispetto al siriaco tradizionale e ordinando che la celebrazione si svolgesse di fronte ai fedeli anziché ad orientem…   Resta da vedere il primo viaggio apostolico del Papa, previsto in Turchia e Libano dal 27 novembre al 2 dicembre, che si spera possa offrire un po’ di tregua e speranza ai cristiani in Medio Oriente, la cui presenza è più precaria che mai.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)
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Papa Leone XIV minimizza il Filioque nella nuova lettera apostolica

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In una nuova lettera apostolica Papa Leone XIV ricorda il Credo niceno nella sua forma originaria – senza il Filioque – come fondamento della fede cristiana, sottolineando il primato del cammino ecumenico.

 

Domenica 23 novembre il Papa ha pubblicato la lettera apostolica dedicata al 1700° anniversario del Concilio di Nicea, In Unitate Fidei (“Nell’unità della fede”), nella quale propone un rinnovato slancio per una professione di fede ecumenica.

 

«Condividiamo infatti la fede nell’unico e solo Dio, Padre di tutti gli uomini, confessiamo insieme l’unico Signore e vero Figlio di Dio Gesù Cristo e l’unico Spirito Santo, che ci ispira e ci spinge alla piena unità e alla testimonianza comune del Vangelo. Davvero quello che ci unisce è molto più di quello che ci divide!», ha scritto il romano pontefice.

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Nel testo, volto a promuovere l’unità dei cristiani con riferimento alle prime professioni di fede, Papa Leone XIV cita il Credo niceno-costantinopolitano del 381 nella sua forma originale, senza il Filioque (riferimento alla processione dello Spirito Santo da Dio Padre «e dal Figlio» nella teologia trinitaria). Questa scelta pienamente consapevole si inserisce in un discorso più ampio sull’ecumenismo come cammino di riconciliazione, volto a stabilire un futuro terreno comune con le Chiese orientali.

 

«Dobbiamo dunque lasciarci alle spalle controversie teologiche che hanno perso la loro ragion d’essere per acquisire un pensiero comune e ancor più una preghiera comune allo Spirito Santo, perché ci raduni tutti insieme in un’unica fede e un unico amore» scrive il papa nella sua lettera.

 

«Questo non significa un ecumenismo di ritorno allo stato precedente le divisioni, né un riconoscimento reciproco dell’attuale status quo della diversità delle Chiese e delle Comunità ecclesiali, ma piuttosto un ecumenismo rivolto al futuro, di riconciliazione sulla via del dialogo, di scambio dei nostri doni e patrimoni spirituali».

 

Papa Leone sottolinea in particolare che il Credo niceno-costantinopolitano costituisce tuttora il vincolo teologico fondamentale e imprescindibile tra tutte le confessioni cristiane.

 

Riferendosi al testo del 381, lo presenta nella forma universalmente riconosciuta dalla Chiesa antica, notando che l’aggiunta latina «Filioque» – non presente nella versione originale – è «oggetto del dialogo ortodosso-cattolico». Il papa ricorda che questa aggiunta entrò nella liturgia romana solo più tardi, nel 1014, per opera di papa Benedetto VIII.

 

Nella lettera apostolica, il Leone ribadisce anche che la verità della fede, «patrimonio comune dei cristiani, merita di essere professata e compresa in modi sempre nuovi e attuali» da tutti, senza adottare un punto di vista privilegiato.

 

Questo approccio è rafforzato dal riferimento al documento della Commissione Teologica Internazionale «Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore. 1700° anniversario del Concilio Ecumenico di Nicea», pubblicato il 3 aprile 2025.

 

Il documento afferma, citando un articolo pubblicato su L’Osservatore Romano il 13 settembre 1995, che «la Chiesa cattolica riconosce il valore conciliare, ecumenico, normativo e irrevocabile del Simbolo professato in greco a Costantinopoli nel 381 dal Secondo Concilio Ecumenico», senza il Filioque.

 

Aggiunge inoltre che «nessuna professione di fede propria di una particolare tradizione liturgica può contraddire questa espressione della fede insegnata e professata dalla Chiesa indivisa».

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Il primo Concilio di Nicea (325) definì la consustanzialità del Figlio con il Padre per contrastare l’arianesimo, mentre il Concilio di Costantinopoli (381) completò la dottrina sullo Spirito Santo, affermandone la divinità e il culto insieme alle altre due Persone. Solo secoli dopo, tra l’VIII e l’XI secolo, l’Occidente latino inserì nei simboli liturgici – non nei canoni conciliari – l’espressione «Filioque», per sottolineare l’unica origine divina dello Spirito Santo all’interno della Trinità. L’Oriente, non avendo partecipato a questo sviluppo, ne contestò la legittimità, considerandolo un intervento unilaterale sui testi ecumenici.

 

Alla fine del XVII secolo, soprattutto in Scozia e Inghilterra, alcuni cristiani introdussero il cosiddetto «latitudinarismo», un approccio che riduceva la fede a «pochi ampi» articoli generali, ritenendo sufficiente aderire alle prime professioni di fede per la salvezza. Questa visione, che avrebbe costituito la base dei successivi tentativi di dialogo ecumenico, fu condannata da Papa Pio IX nel Sillabo degli errori (1864) come una pericolosa deviazione, perché svuotava la ricchezza e la precisione della dottrina cattolica, lasciando spazio a interpretazioni vaghe e opinioni contrarie alla verità rivelata.

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Immagine di Lula Oficial via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata

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