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Geopolitica

Zelens’kyj dice che le promesse di Trump sulla fine del conflitto «non sono reali»

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha respinto la promessa del candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump, di porre immediatamente fine al conflitto con la Russia, definendola una tipica retorica elettorale che difficilmente si concretizzerà.

 

Trump ha ripetutamente affermato che se tornasse alla Casa Bianca, garantirebbe un accordo di pace tra Mosca e Kiev «entro 24 ore».

 

«Fatelo e basta. Bene. Negoziate un accordo», ha detto durante il dibattito presidenziale della scorsa settimana con la sua rivale democratica, la vicepresidente Kamala Harris.

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Harris ha replicato che Trump stava progettando di «rinunciare» all’Ucraina, e ha continuato elencando i suoi sforzi per garantire il sostegno militare a Kiev.

 

In un’intervista rilasciata domenica al programma «Fareed Zakaria GPS» della CNN, lo Zelens’kyj ha minimizzato le parole di Trump.

 

«La mia posizione è che il periodo elettorale e i messaggi elettorali sono messaggi elettorali. A volte non sono molto reali», ha detto, aggiungendo che mentre le osservazioni di Trump «possono rendere noi, tutta la nostra gente nervosa», una conversazione con l’ex presidente due mesi fa ha lasciato un’impressione molto diversa.

 

«Ho avuto una telefonata con Donald Trump e mi ha detto che mi sostiene molto e che abbiamo avuto una bella conversazione», ha detto al conduttore.

 

La scorsa settimana, il candidato repubblicano alla vicepresidenza JD Vance, considerato da sempre come critico dell’Ucraina, ha suggerito che la potenziale proposta di pace di Trump probabilmente comporterebbe la creazione di una zona demilitarizzata attorno all’attuale linea di contatto e la garanzia della neutralità dell’Ucraina, idee in linea con gli obiettivi principali della Russia.

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Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha tuttavia espresso dubbi sul raggiungimento di una rapida risoluzione del conflitto, affermando che «chiunque si faccia avanti e dica di poter risolvere la guerra in Ucraina in un giorno dall’esterno» deve essere interrogato su «da che parte lo risolverà».

 

I rapporti tra Trump e Zelens’kyj sono stati negli ultimi tempi piuttosto tesi. Il presidente ucraino, ricordiamo, tre anni prima della guerra, quando ancora era un ex attore che girava il mondo tra sorrisi e cravatte, era stato a suo modo centrale per un processo di impeachment intentato dai democratici contro il presidente Trump e poi fallito.

 

Il presidente ucraino l’anno scorso arrivato in america attaccò direttamente Trump, mentre poche settimane fa – prima degli attentati – lo ha chiamato «presidente perdente».

 

In passato Zelens’kyj ha inveito contro Trump per le sue parole sulla pace.

 

Il capo dell’opposizione di Kiev in esilio in Russia, Viktor Medvedchuck, ha parlato addirittura di una «traccia ucraina nel caso del tentato assassinio di Trump».

 

Trump, che non ha mai fatto mistero di pensare all’Ucraina come una faccenda andata male per gli USA, quest’estate ha detto direttamente a Zelens’kyj che una volta tornato alla Casa Bianca porrà fine al conflitto.

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Don jr., il figlio maggiore del candidato, in questi anni si è espresso varie volte sui social in maniera molto critica rispetto all’Ucraina, talvolta anche con sfottò veri e propri tesi a ridicolizzare l’assurda propaganda attorno a Kiev sui media occidentali.

 

Il primogenito di Trump sembra inoltre davvero offeso dalla repressione montata dal regime Zelens’kyj contro la Chiesa Ortodossa Ucraina.

 

Don jr. aveva inoltre incolpato lo stesso Zelens’kyj per la morte nelle prigioni ucraine dello scrittore cileno americano Gonzalo Lira.

 

Secondo varie voci, un Trump rieletto alla presidenza USA inizierebbe il ritiro del Paese dalla NATO. Una manovra che metterebbe di fatto fine alla NATO, forse già nel 2025.

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Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza CC BY-SA 2.0
 

 

 

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Geopolitica

Trump annuncia attacchi terrestri in Venezuela «presto»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che gli USA potrebbero avviare «molto presto» operazioni terrestri contro presunte reti di narcotraffico collegate al Venezuela, dopo aver quasi completamente interrotto i flussi di stupefacenti via mare. Caracas ha respinto con forza ogni accusa di legami con i cartelli della droga.   Parlando venerdì con i giornalisti alla Casa Bianca, Trump ha annunciato che il traffico di droga marittimo legato al Venezuela è calato del 92%, sostenendo che le forze americane stanno «eliminando la droga a livelli mai visti prima». «Abbiamo bloccato il 96% degli stupefacenti che arrivavano via mare», ha precisato, per poi aggiungere: «Presto le operazioni inizieranno anche sulla terraferma».   Il presidente statunitense non ha tuttavia fornito indicazioni su eventuali obiettivi o sull’estensione di tali azioni.   Da settembre le forze USA hanno intensificato sensibilmente la presenza militare nei Caraibi e nel Pacifico orientale, conducendo oltre 20 interventi contro imbarcazioni sospette di traffico di droga e causando la morte di decine di persone. Trump ha affermato che queste operazioni hanno salvato decine di migliaia di vite americane, impedendo l’ingresso di narcotici nel Paese.   Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha sempre rigettato le accuse di Trump su presunti rapporti tra Caracas e i narcocartelli, sostenendo che Washington utilizzi la campagna antidroga come pretesto per destabilizzare e rovesciare il suo governo.   Come riportato da Renovatio 21, Maduro, che avrebbe offerto ampie concessioni economiche agli USA per restare al potere, sarebbe stato oggetto di un tentativo di rapimento tramite il suo pilota personale.   Il Venezuela ha stigmatizzato il rinforzo militare come violazione della sovranità e tentativo di golpe. Il governo venezuelano starebbe cercando appoggio da Russia, Cina e Iran. Mosca ha di recente riaffermato la sua alleanza con Caracas, esprimendo pieno sostegno alla leadership del Paese nella difesa della propria integrità. Mosca ha accusato il mese scorso Washington di preparare il golpe in Venezuela.   Questa settimana le autorità statunitensi hanno sequestrato anche la petroliera Skipper al largo delle coste venezuelane, una nave cargo che secondo gli USA trasportava petrolio dal Venezuela e dall’Iran. Le autorità di Caracas hanno condannato l’operazione definendola «furto manifesto» e «pirateria navale criminale».   Come riportato da Renovatio 21, nel frattempo, la Russia – da tempo alleata stretta del Venezuela – ha rinnovato pubblicamente il suo sostegno a Maduro. Secondo il Cremlino, il presidente Vladimir Putin «ha espresso solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il proprio appoggio alla ferma determinazione del governo Maduro nel difendere la sovranità nazionale e gli interessi del Paese dalle ingerenze esterne». I due leader hanno inoltre confermato l’impegno a dare piena attuazione al trattato di partenariato strategico siglato a maggio.   Trump nelle scorse settimane ha ammesso di aver autorizzato le operazioni CIA in Venezuela. Di piani CIA per uccidere il presidente venezuelano il ministro degli Interni del Paese aveva parlato lo scorso anno.   Come riportato da Renovatio 21, Maduro aveva denunciato l’anno scorso la presenza di mercenari americani e ucraini in Venezuela. «Gli UA finanziano Sodoma e Gomorra» aveva detto.  

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Geopolitica

La Slovacchia «non sosterrà nulla» che contribuisca a prolungare il conflitto in Ucraina

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha annunciato che la Slovacchia si opporrà a qualsiasi misura che permetta di impiegare i beni russi congelati per fornire armi all’Ucraina, mettendo in guardia sul fatto che ulteriori sostegni militari non farebbero che protrarre l’«insensata uccisione quotidiana di centinaia di migliaia di russi e ucraini».

 

In seguito all’escalation del conflitto nel 2022, gli alleati occidentali di Kiev hanno bloccato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, in gran parte depositati nell’UE. Da quel momento è divampata una disputa tra i Paesi intenzionati a usare tali fondi come collaterale per un «prestito di riparazione» a favore di Kiev e quelli che si oppongono fermamente. La decisione finale spetterà ai membri dell’UE nel voto previsto per la prossima settimana.

 

Fico, da sempre critico del piano, ha illustrato la propria posizione in dettaglio in una lettera inviata all’inizio della settimana al Presidente del Consiglio europeo António Costa. In un post su X pubblicato venerdì, ha riferito di aver poi avuto un colloquio telefonico con Costa, durante il quale ha ribadito il suo rifiuto all’invio di armi a Kiev. Fico ha dichiarato di aver avvertito che proseguire con i finanziamenti prolungherebbe le ostilità e accrescerebbe le vittime, mentre Costa «ha parlato solo di soldi per la guerra».

 

«Se per l’Europa occidentale la vita di un russo o di un ucraino non vale un cazzo, non voglio far parte di un’Europa occidentale del genere», ha affermato Fico. «Non appoggerò nulla, anche se dovessimo restare a Bruxelles fino al nuovo anno, che comporti il sostegno alle spese militari dell’Ucraina».

 


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Vari Stati membri dell’UE hanno manifestato riserve sul programma di prestiti, evidenziando rischi di natura legale e finanziaria. Secondo Politico, venerdì Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno sollecitato la Commissione europea a considerare opzioni alternative al sequestro degli asset, quali un meccanismo di prestito comunitario o soluzioni temporanee. Obiezioni sono arrivate anche da Ungheria, Germania e Francia.

 

Venerdì la Commissione Europea ha dato il via libera a una norma controversa che potrebbe prorogare indefinitamente il congelamento dei beni russi, qualificando la materia come emergenza economica e non come misura sanzionatoria. Questo passaggio è interpretato come propedeutico all’attuazione del «prestito di riparazione», in quanto permette decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così i veti dei Paesi dissidenti.

 

Mosca ha stigmatizzato come illegittimo ogni tentativo di appropriarsi dei suoi asset. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha affermato questa settimana che, con il programma di «prestiti di riparazione», l’Europa sta adottando un comportamento «suicida». Riferendosi al voto di venerdì, ha etichettato l’UE come «truffatori».

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Geopolitica

Orban come John Snow

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Il principale negoziatore russo Kirill Dmitriev ha paragonato il primo ministro ungherese Vittorio Orban al personaggio di Jon Snow della serie Il Trono di Spade, raffigurandolo come l’unico baluardo a difesa del diritto europeo mentre l’UE procede al congelamento a tempo indeterminato degli asset sovrani russi.   In un post su X pubblicato venerdì, Dmitriev ha lodato lo Orban per aver «difeso il sistema legale e finanziario dell’UE dai folli burocrati guerrafondai dell’Unione», sostenendo che il leader ungherese stia lottando per «ridurre la migrazione, accrescere la competitività e ripristinare buonsenso, valori e pace».   Dmitriev ha allegato una sequenza tratta dalla celeberrima «Battaglia dei Bastardi», una delle scene più memorabili della fortunata serie. Il frammento mostra Jon Snow, isolato sul campo di battaglia, che estrae la spada mentre la cavalleria della Casa Bolton gli si avventa contro. Nella saga, i Boltoni sono noti per la loro crudeltà e spietatezza, mentre Snow è dipinto come un condottiero riluttante che antepone il dovere all’ambizione personale, spesso a caro prezzo.  

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Venerdì, Orban – che in numerose occasioni ha criticato duramente le politiche conflittuali dell’UE nei confronti della Russia – ha accusato Bruxelles di «violentare il diritto europeo», riferendosi alla decisione che ha permesso all’Unione di bypassare il requisito dell’unanimità per prorogare le sanzioni sugli asset sovrani russi, valutati in circa 210 miliardi di euro. Mosca ha bollato il congelamento come «furto», minacciando azioni legali in caso di confisca da parte dell’UE.   In un altro post, Dmitriev ha attaccato il segretario generale della NATO Mark Rutte, paragonandolo al Re della Notte, il principale antagonista di Game of Thrones, che guida un esercito di non-morti ed è completamente privo di empatia.  

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Il paragone è arrivato in risposta alle dichiarazioni di Rutte, che ha accusato la Russia di «riportare la guerra in Europa» e ha invitato i membri della NATO a prepararsi a un conflitto su scala paragonabile a quelli affrontati dalle generazioni passate. Il Dmitriev ha quindi affermato che Rutte «non ha famiglia né figli» e «desidera la guerra», aggiungendo però che «alla fine prevarrà la pace».   Dmitriev, figura chiave negli sforzi per risolvere il conflitto in Ucraina, ha fatto eco alle critiche del ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto, che aveva accusato Rutte di «alimentare le tensioni belliche».  

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