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Cina

Xi manda i carri armati in strada durante la protesta antilockdown. Silenzio assoluto dei media mainstream

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Diversi carri armati militari hanno attraversato le strade della Cina mentre Pechino intensificava la sua repressione contro i manifestanti che protestavano contro la politica zero-COVID del presidente Xi Jinping.

 

Lo riporta, praticamente unica testata maggiore al mondo, il britannico Daily Mail. Al momento in cui scriviamo, infatti, praticamente nessuna testata internazionale o nazionale sta pubblicando articoli e servizi su questo segno inquietante, che potrebbe aver portata storica.

 

Un video mostra un flusso costante di carri armati che attraversano la città orientale di Xuzhou lunedì notte.

 

 

Il pensiero va immediatamente al tragico 1989 della strage di Piazza Tiananmen nel 1989, dove centinaia – qualcuno dice migliaia – di manifestanti cinesi furono uccisi dai soldati sui carri armati mandati a reprimere la rivolta popolare dal presidente Deng Xiaoping.

 

Come illustrato da altri video postati da Renovatio 21 nei precedenti articoli, i funzionari del Partito Comunista di Xi hanno intensificato la repressione dei manifestanti, con agenti di polizia, taluni in borghese, che arrestano e trascinano via manifestanti.

 

La Repubblica Popolare si trova in uno stato di agitazione sconosciuto al Paese, quantomeno dal fatale 1989.

 

La miccia di questa rivolta – pacifica e massiva – sarebbero stati gli oltre quaranta morti in un condominio quarantenato a Urumqi nella regione nordoccidentale dello Xinjiang: scoppiato l’incendio, gli abitanti non hanno potuto fuggire, perché la politica di lockdown cinese usa sigillare le porte dall’esterno (sì). Tra i periti nella strage di Urumqi vi sarebbe anche un bambino di 3 anni.

 

Vi è tuttavia un altro motivo per l’improvvisa accelerazione delle proteste, sostengono alcuni: i mondiali di calcio, dove il pubblico sugli spalti pare libero e – addirittura – privo di mascherine. È è stato riportato che la TV cinese sostituisce le inquadrature sul pubblico della diretta delle partite con primi piani di giocatori e allenatori.

 

Anche la visione del pubblico in Qatar, insomma, potrebbe aver contribuito: ricordiamo che, come riportato, che vi sarebbero stati la scorsa settimana 412 milioni di cinesi in lockdown.

 

Nonostante la repressione poliziesca in aumento esponenziale, alcuni manifestanti stanno continuando le manifestazioni, di fatto sfidando l’autorità centrale di Xi e del Partito Comunista Cinese.

 

A Shanghai, circa sei agenti di polizia sono visibili in un video mentre circondano un manifestante, che si sente gridare aiuto. Si vede il manifestante che cerca di impedire agli agenti di arrestarlo, ma senza successo mentre lo trascinano via. Intorno scoppia il caos, con altri cittadini che vengono strattonati dalle forze dell’ordine per essere catturati.

 

 

Nella città nord-orientale di Jinan, un gruppo di manifestanti si è scontrato con agenti nella classica tuta bianca anticontaminazione. I manifestanti sollevano le transenne e le lanciano contro il posto di blocco.

 

 

Decine di agenti di polizia che indossavano tute ignifughe ed enormi scudi di plexyglass sono stati avvistati ieri sera anche nella città meridionale di Guangzhou, mentre cercavano di frenare le proteste rabbiose della popolazione sfinita dal lockdown e dalle menzogne del potere centrale.

 

 

Nessuno può sapere ora cosa accadrà. La protesta, che pare immensa e determinata, non può avere una vera traduzione politica nell’attuale establishment: e ciò è vero, ricordiamolo, non solo per la Cina comunista, ma anche per l’Italia, gli USA, la Germania, la Francia, il Canada, il Brasile, la Nuova Zelanda, e ogni altro Paese, dove le oceaniche proteste anti restrizioni pandemiche sono state ignorate dalla classe politica.

 

Se pensiamo a Tienan’men, dobbiamo pensare a come andarono le cose nel profondo. Nonostante l’eccidio infame, testimoniato in diretta dagli sconvolti reporter  internazionali, nessuna vera azione di contenimento fu fatta contro la Cina, che la passò liscia. Anzi: le fu permesso di divenire protagonista economica della scena mondiale. (Esattamente come sta accadendo alla Russia ora. No?)

 

 

All’epoca del bagno di sangue nella grande piazza pechinese, al potere c’era Deng Xiaoping, il quale – diciamola, al momento, così – non dispiaceva all”élite mondialista, sia per la liberalizzazione dell’economia («arricchirsi è glorioso», era il motto del Paese sotto la sua presidenza) sia, cosa da non scordare mai, perché un decennio prima, convinto da emissari del Club di Roma di Aurelio Peccei, aveva abbracciato la politica del figlio unico, cioè controllo della riproduzione umana e aborti forzati di massa.

 

Dietro ai carrarmati bloccati dal mitico omino con le borse della spesa – una delle immagini più epiche e struggenti di tutti i tempi – non c’era solo l’esercito cinese e il potere di Pechino, ma l’intero Ordine Mondiale che doveva fare della Cina il principale strumento economico e biopolitico del suo progetto, che include la deindustrializzazione dell’Occidente via delocalizzazione asiatica, la conseguente disintegrazione della classe media, e la creazione di uno Stato di sorveglianza totalitaria bioelettronica da cui attingere per i sistemi di ogni Paese e del futuro governo mondiale.

 

È passato del tempo, ma le cose non sono cambiate. Apple limita l’uso di AirDrop nella popolazione cinese proprio nei giorni della protesta, Zuckerberg (il cui prodotto è proibito in Cina) impara il cinese e fa trovare la biografia di Xi Jinping in bella mostra sulla sua scrivania, tutte le realtà maggiori, da Disney all’NBA, paiono inchinarsi dinanzi al Dragone incuranti di questioni di diritti umani che pure predicano ovunque, il clan Biden sarebbe implicato in numerosi affari milionari con la Cina, con tanto di crassa ammissione TV di un economista di Pechino.

 

 

No, la Cina non ha ancora esaurito il suo ruolo di cavallo del Nuovo Ordine Mondiale.

 

Tuttavia, per quanto improbabile, ecco che qualcosa potrebbe mettersi di traverso: il popolo cinese.

 

Che è stato schiavizzato, picchiato, controllato, abortito. Ma che rimane fatto di esseri umani, la cui volontà unita può qualsiasi cosa: persino capovolgere il disegno storico e metastorico della Cultura della Morte.

 

Ecco perché Xi sta mandando in strada i carrarmati. Noi, invece, mandiamo al popolo cinese le nostre preghiere.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

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Cina

Un treno di prodotti agricoli dallo Xinjiang a Salerno. Le ONG uigure: frutto di lavoro schiavo

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Un viaggio di 10mila chilometri esaltato da Pechino come occasione di sviluppo (e di rivincita sull’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative). Ma il cotone e i pomodori dello Xinjang sono al centro della «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera», che secondo numerosi rapporti è una forma di lavoro forzato.

 

Un treno carico di prodotti agricoli partito da Urumqi, nella tormentata regione autonoma cinese dello Xinjiang, e destinato dopo 10mila chilometri di viaggio tra binari e trasbordi marittimi a raggiungere Salerno, in Italia.

 

Il nuovo viaggio bandiera della China-Europe Railway Express è partito il 29 aprile scorso dalla Cina, con ampia copertura mediatica da parte degli organi di stampa ufficiali di Pechino, che ne esaltano i benefici per l’economia dello Xinjiang.

 

Oltre a rilanciare le «potenzialità» di quella Belt and Road Initiative – la nuova «via della seta» di Xi Jinping – dai cui accordi pure il governo italiano dello scorso anno sarebbe uscito, annullando il memorandum sottoscritto da Roma e Pechino nel 2019 ma senza chiudere ad altre forme di cooperazione commerciale.

 

A restare sullo sfondo è però la questione del rispetto dei diritti umani nello Xinjiang, regione dove gli abusi nei confronti uiguri hanno spesso anche il volto del lavoro forzato utilizzato proprio nell’agricoltura. Ad evidenziarlo è una presa di posizione pubblica lanciata in queste ore da tre dei gruppi più attivi sulla salvaguardia dei diritti della popolazione musulmana dello Xinjiang: Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders. Insieme hanno scritto una lettera aperta all’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia, esprimendo preoccupazione per l’iniziativa e chiedendo un’indagine accurata sull’origine dei prodotti trasportati su quel treno.

 

«La moderna schiavitù del popolo uiguro e i continui crimini contro l’umanità – si legge nel documento – sono stati ampiamente documentati da organizzazioni internazionali, media indipendenti e organismi governativi. L’uso del lavoro forzato in qualsiasi forma viola i principi fondamentali dei diritti umani, tra cui il diritto alla libertà dalla schiavitù e dal lavoro forzato, come sancito da diverse convenzioni e trattati internazionali di cui l’Italia è parte».

 

L’iniziativa della China-Europe Railway Express è rilevante anche per il peso della Regione autonoma uigura dello Xinjiang nella produzione agricola cinese: coltiva l’85% del cotone del Paese, oltre il 70% dei pomodori (producendo fino al 90% del concentrato di pomodoro destinato all’esportazione), il 50% delle noci e il 28% dell’uva. Inoltre nella regione vi sono anche coltivazioni significative di grano, mais e altri cereali.

 

«Prove significative – scrivono Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders, citando rapporti specifici sull’agricoltura nello Xinjiang – rivelano che i trasferimenti di manodopera nella regione uigura avvengono in un contesto di coercizione senza precedenti, con la costante minaccia di rieducazione e internamento. Molti lavoratori indigeni non sono in grado di rifiutare o abbandonare volontariamente il lavoro nel settore agricolo, e quindi i programmi equivalgono al trasferimento forzato di popolazioni, al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla riduzione in schiavitù».

 

Uno dei volti di questo sfruttamento oggi è anche quella che Pechino chiama la «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera» (转移就业脱贫). Concretamente: migliaia di persone vengono formate e trasferite verso lavori agricoli stagionali, come appunto la raccolta di cotone o pomodori. Inserito nel quadro del più ampio programma di Xi Jinping per la riduzione mirata della povertà, è un sistema costruito su misura di contesti sociali pervasivamente coercitivi, caratterizzati dalla mancanza di libertà civiche, come è appunto quello dello Xinjiang.

 

«Come membro della comunità internazionale – concludono il loro appello Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders – l’Italia ha la responsabilità di garantire che le sue pratiche commerciali siano in linea con il suo impegno per i diritti umani e gli standard etici. Permettere che merci prodotte attraverso il lavoro forzato entrino nei suoi confini non solo condona queste gravi violazioni dei diritti umani, ma mina anche la credibilità della posizione dell’Italia sulla promozione e l’applicazione dei diritti umani. Esortiamo il governo italiano ad agire immediatamente per indagare sull’origine delle merci arrivate a Salerno e a mettere in atto misure per prevenire l’importazione di prodotti ottenuti con il lavoro forzato».

 

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Cina

Xi ricorda il 25° anniversario delle atrocità NATO in Serbia. Noi rammentiamo altri misteri della globalizzazione anni ’90

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Il presidente cinese Xi Jinping è arrivato martedì in Serbia per una visita di due giorni, in occasione del 25° anniversario del mortale attacco aereo americano contro l’ambasciata cinese a Belgrado.   L’attacco, avvenuto durante la guerra aerea della NATO del 1999 a sostegno dei separatisti di etnia albanese in Kosovo, uccise tre cittadini cinesi e ne ferì altri 20. Pechino non ha mai accettato del tutto le scuse di Washington secondo cui l’attacco era stato un errore causato da «vecchie mappe».   La Cina «non dovrebbe mai dimenticare» le bombe che hanno causato la morte di Shao Yunhuan, Xu Xinghu e Zhu Ying, ha scritto Xi in un articolo pubblicato martedì dal più antico quotidiano serbo, Politika.   «Il popolo cinese ha a cuore la pace, ma non permetteremo mai che una storia così tragica si ripeta», ha aggiunto il presidente.

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I caccia serbi MiG-29, acquistati dalla Russia diversi anni fa per sostituire le perdite inflitte dalla NATO, avrebbero dovuto fornire una guardia d’onore all’aereo di Xi mentre entrava nello spazio aereo serbo.   Dall’ultima visita di Xi nel 2016, Pechino è emersa come il più grande investitore straniero di Belgrado e il secondo partner commerciale dopo Bruxelles. La Cina ha anche sostenuto l’integrità territoriale della Serbia nei confronti del Kosovo, il cui governo provvisorio ha dichiarato l’indipendenza nel 2008 con il sostegno degli Stati Uniti e della NATO. L’UE ha recentemente indicato il riconoscimento del Kosovo come condizione per l’eventuale adesione della Serbia.   «Sosteniamo gli sforzi della Serbia per sostenere la sua sovranità e integrità territoriale e ci opponiamo a qualsiasi tentativo da parte di qualsiasi forza di interferire negli affari interni della Serbia», ha scritto Xi nel suo articolo per Politika.   Cina e Serbia «mantengono posizioni simili su molte importanti questioni internazionali e regionali», ha osservato lo Xi, aggiungendo che i due paesi dovrebbero cooperare per realizzare «un mondo multipolare equo e ordinato e una globalizzazione economica universalmente vantaggiosa e inclusiva».   Sia Pechino che Belgrado hanno rifiutato di unirsi agli Stati Uniti e ai loro alleati nell’imporre un embargo alla Russia sul conflitto in Ucraina, nonostante le ripetute richieste in tal senso da parte dell’Occidente. Lunedì, visitando la Francia, Xi ha detto al presidente Emmanuel Macron di respingere i tentativi occidentali di fare pressione sulla Cina sull’Ucraina e di «incitare una nuova guerra fredda».   Xi ha descritto la Serbia come «una terra di bellezza e leggende» e ha affermato che la sua amicizia con la Cina, «forgiata con il sangue dei nostri compatrioti», ispirerà le due nazioni «a marciare avanti a grandi passi».   Nei due giorni di visita la delegazione cinese, composta da circa 400 persone, firmerà con i padroni di casa serbi circa 30 accordi. Dopo Belgrado, Xi visiterà la vicina Ungheria, un altro importante partner commerciale cinese in Europa sebbene sia membro dell’UE.   Come riportato da Renovatio 21, la Serbia, memore dei bombardamenti del 1999, ha fatto capire che mai vorrà entrare nella NATO, che pure per coincidenza ha sede proprio a Bruxelles. Vucic ha dichiarato in questi mesi che il Kosovo starebbe operando per iniziare, ancora una volta, «una guerra NATO-Serbia».   La Repubblica Popolare Cinese, che un anno fa ha operato una grande e misteriosa consegna militare a Belgrado, ha detto di ritenere che ci sia la NATO dietro alle tensioni in Kosovo.   L’incidente diplomatico scaturito nel 1999 fu poi ricordato, appena dopo le elezioni USA 2020, in un controverso video pubblico cinese uscito subito dopo le elezioni americane 2020, un importante professore pechinese, Di Dongsheng, spiegava che Cina e USA fino a Trump avevano sempre goduto di solidi canali riservati che permettevano loro di risolvere qualsiasi problema con rapidità: l’esempio specifico che faceva era proprio quello del bombardamento dell’ambasciata di Belgrado.   «Aggiustavamo tutto in due mesi. Qual è la ragione? Dirò qualcosa di esplosivo: è perché abbiamo persone al vertice. Al vertice del nucleo delle cerchie più interiori del potere e dell’influenza in America, Noi abbiamo i nostri vecchi amici».   Nello stesso discorso, il professor  Di accennava sornione al fondo del figlio depravato di Biden, Hunternoto per i suoi numerosi affari con la Cina e con i suoi vertici. «Trump ha detto che il figlio di Biden ha una sorta di fondo globale. Lo avete sentito? Chi lo ha aiutato a mettere in piedi il fondo?»     Due anni fa divenne virale nell’internet cinese un video di una riunione del 1998 della Commissione Relazioni Estere del Senato USA dove il senatore del Delaware Joe Biden rivendica le sue proposte di bombardamento della Yugoslavia, dettagliando anche gli obbiettivi da colpire come ponti e depositi di carburante.   «Io ho proposto di bombardare Belgrado. Io ho proposto di mandarci i piloti americani a distruggere tutti i ponti sul fiume Drina», rivendica orgoglioso il Biden.     Il bombardamento dell’ambasciata yugoslava della Repubblica Popolare avvenne sotto l’amministrazione Clinton, quella che sfruttò il crollo dell’URSS per ridisegnare il mondo secondo lo schema mondialista delle élite anglosassoni, dall’Ucraina al Kosovo alla Cina indotta a divenire la «fabbrica del pianeta» con conseguente deindustrializzazione occidentale.   A quei tempi, oltre a trattare l’ingresso di Pechino nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) che avrebbe dato lo start definitivo alla cosiddetta globalizzazione, tra il Dragone e Washington era scoppiato uno specioso episodio di spionaggio di segreti nucleari captati dai cinesi, contro cui, apparentemente, gli uomini di Clinton fecero non molto.   Uno degli operativi politici legato alle questioni cinesi dell’epoca era Mark Middleton, poi ritenuto come uomo di collegamento tra Clinton e l’oscuro finanziere pedofilo Jeffrey Epstein. Negli anni ’90, Middleton ha servito da filo conduttore tra Clinton e l’Epstein, avendo organizzato almeno 7 delle 17 visite che Epstein fece alla Casa Bianca, e ha volato lui stesso più volte sul Lolita Express, secondo il Daily Mail.   Come riportato da Renovatio 21, Middleton fu trovato legato a Epstein trovato impiccato con un colpo di fucile al petto in un ranch in Arkansas nel 2022. Una delle plurime morti sospette attorno al caso Epstein che, più genericamente, viene ascritta al cosiddetto «Clinton Body Count», una lista di decessi che alcuni osservatori riconducono alla cerchia di Bill e Hillary.  

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Cina

Storie di utero in affitto in Cina

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

Questa storia nasce dall’intersezione tra la politica cinese del figlio unico, l’assenza volontaria di figli, la maternità surrogata e le norme tradizionali di pietà filiale.

 

Come riportato dal South China Morning News, un uomo di Yiyang, nella provincia di Hunan, nella Cina centrale, desiderava disperatamente un nipote. Ma sua figlia, 29 anni, ha rifiutato di avere figli o di sposarsi. Così, all’insaputa della moglie, ha organizzato tramite un’agenzia una studentessa universitaria come madre surrogata. Era impregnata del suo stesso sperma.

 

Sua moglie è tornato a casa un giorno nel 2022 e trovò una tata con un bambino. Lo sconosciuto disse alla moglie che la bambina apparteneva a lei e a suo marito. E infatti, poiché il marito aveva rubato la carta d’identità della moglie, lei e il marito erano stati registrati come genitori del bambino.

 

La moglie infuriata ha detto ai media: «Mio marito ha detto [a mia figlia]: “La tua scelta significa che non sarò mai nonno. Che senso ha crescerti? Non avere un bambino significa non essere filiale, secondo la cultura tradizionale cinese”». Ora minaccia di divorziare da lui.

 

Anche la figlia è sconvolta. Lei sostiene che suo padre è del tutto incapace di allevare un figlio da solo. Teme di essere legalmente obbligata ad allevare lei stessa il bambino se i suoi genitori procedessero con il divorzio.

 

L’orgoglioso padre è ignaro dell’opposizione della sua famiglia. Il suo commento è stato che, poiché la bambina era così carina e sana, la prossima volta avrebbe potuto chiedere all’agenzia di maternità surrogata un maschio.

 

Michael Cook

 

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