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Geopolitica

Washington venderà a Taipei armi per 1,8 miliardi di dollari

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.

 

 

La decisione degli Stati Uniti accolta con favore dai taiwanesi e criticata con forza da Pechino, che annuncia una risposta «legittima e necessaria». Prima della nuova vendita, Taipei ha ricevuto dall’amministrazione Trump armamenti del valore di 653 milioni di dollari. La mossa di Washington rischia di far salire la già alta tensione lungo lo Stretto di Taiwan.

Il Dipartimento di Stato USA ha dato il via libera a una nuova vendita di armi a Taiwan del valore di 1,8 miliardi di dollari

Il Dipartimento di Stato USA ha dato ieri il via libera a una nuova vendita di armi a Taiwan del valore di 1,8 miliardi di dollari. Il Pentagono ha specificato che il pacchetto comprende diversi sistemi d’arma, inclusi missili cruise, sensori, pezzi d’artiglieria e lanciamissili mobili.

 

Secondo la DSCA, l’agenzia Usa che sovrintende alla vendita di armamenti all’estero, le nuove armi serviranno a Taiwan per mantenere una credibile capacità difensiva.

 

Tra il 2010 e il 2019 gli Stati Uniti hanno venduto armi a Taipei per un ammontare di 3,6 miliardi di dollari: durante la presidenza Trump l’importo è di 653 milioni

In base ai calcoli del Sipri, tra il 2010 e il 2019 gli Stati Uniti hanno venduto armi a Taipei per un ammontare di 3,6 miliardi di dollari: durante la presidenza Trump l’importo è di 653 milioni.

 

Il governo taiwanese ha accolto con favore la decisione degli Usa, in linea con il Taiwan Relations Act, che impegna Washington a sostenere le capacità difensive dell’isola.

 

Pechino è  di parere opposto. Oggi, durante una conferenza stampa, un portavoce del ministero cinese degli Esteri ha affermato che la vendita è un’interferenza negli affari interni della Cina, e che il suo governo adotterà una «risposta legittima e necessaria in base a come si svilupperà la situazione».

La Cina ha detto che adotterà una «risposta legittima e necessaria in base a come si svilupperà la situazione»

 

Pechino considera Taiwan una provincia ribelle, e non ha mai escluso di riconquistarla con l’uso della forza. L’isola è di fatto indipendente dalla Cina dal 1949; all’epoca i nazionalisti di Chiang Kai-shek vi hanno trovato rifugio dopo aver perso la guerra civile sul continente contro i comunisti, facendola diventare l’erede della Repubblica di Cina fondata nel 1912.

 

Negli ultimi mesi è cresciuta la pressione della leadership cinese nei confronti di Tsai Ing-wen, presidente di Taiwan, accusata di portare avanti un’agenda indipendentista.

Dallo scorso 16 settembre, aerei militari cinesi hanno violato la zona d’identificazione aerea di Taipei per 21 volte

 

Dallo scorso 16 settembre, aerei militari cinesi hanno violato la zona d’identificazione aerea di Taipei per 21 volte; tali incursioni si aggiungono a quelle compiute dalle forze navali dell’Esercito Popolare di Liberazione.

 

Secondo un report pubblicato il 18 ottobre dal South China Morning Post, la Cina sta rafforzando inoltre le sue basi missilistiche lungo le coste del Fujian e dello Zhejiang, in preparazione per una possibile invasione di Taiwan.

 

Secondo un report pubblicato il 18 ottobre dal South China Morning Post, la Cina sta rafforzando inoltre le sue basi missilistiche lungo le coste d in preparazione per una possibile invasione di Taiwan

 

 

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Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

 

 

 

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Geopolitica

Ex consigliere capo britannico: l’Ucraina è uno «Stato mafioso corrotto»

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L’ex consigliere capo di Downing Street Dominic Cummings afferma che l’Ucraina è uno «Stato mafioso corrotto» e che l’Occidente «non avrebbe mai dovuto entrare in tutta questa stupida situazione».

 

Cummings, stratega politico conservatore di lungo corso, ha fatto questi commenti mentre svelava i piani per un nuovo «Partito Start-Up» che mira a sostituire i conservatori.

 

Il Cummings è noto per essere il principale architetto della Brexit. Il suo ruolo centrale nella campagna Vote Leave che ha portato il Regno Unito fuori dalla UE è stato rappresentato anche nel film Brexit: The Uncivil War (2019), dove è interpretato dall’attore inglese Benedict Cumberbatch. È stato uno dei consiglieri chiavi del premier Boris Johnson fino alle sue dimissioni nel novembre 2020.

 

L’ex consigliere del Johnson si è chiesto perché il governo fosse così pedissequamente impegnato a sostenere l’Ucraina. «Questo non è un replay del 1940 con lo squallido Zelens’kyj nei panni dello sfavorito churchilliano», ha affermato.

 

«Tutto questo Stato mafioso corrotto ucraino ci ha praticamente truffati tutti e di conseguenza verremo tutti fregati. Stiamo venendo fregati adesso, vero?» ha dichiarato, per poi arrivare ad offendere volgarmente il Paese europeo orientale parlando di «corrupt shithole that doesn’t matter at all», ossia un «posto di m***a che non conta per niente».

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Secondo l’ex consigliere del primo ministro, le sanzioni occidentali sono state «più un disastro» per l’UE che per la Russia, facendo aumentare il costo della vita e avvicinando Mosca e Pechino. Tutto ciò che l’Occidente è riuscito a fare è stato entrare in una guerra di logoramento con la Russia, «che abbiamo spinto ad allearsi con la più grande potenza manifatturiera del mondo».

 

Tra il regime delle sanzioni e il tentativo degli Stati Uniti di impossessarsi dei beni russi congelati, l’Occidente sta incoraggiando l’emergere di sistemi finanziari globali alternativi, ha spiegato.

 

Cummings ha quindi affrontato la questione secondo cui il presidente russo Vladimir Putin aveva bisogno di «imparare una lezione» sull’invasione dei vicini.

 

«La lezione che abbiamo insegnato a Putin è che siamo un gruppo di fottuti burloni», ha detto. «Voglio dire, Putin lo sapeva già prima della guerra. Ma questo ha sottolineato e fatto capire al mondo intero che razza di pagliacci siamo… Questo non insegna a Putin alcuna lezione, solo che siamo degli idioti».

 

Il Cummings ha criticato Johnson – con il quale non parla più – per aver utilizzato il conflitto ucraino per «mettere in atto le sue fantasie churchilliane», così come il Parlamento, che «ha ingoiato tutte le sue stronzate sull’Ucraina e in realtà ha preso sul serio».

 

Come riportato da Renovatio 21, molteplici testimonianze uscite in questi anni indicano che il Johnson è stata la figura chiave che ha convinto Kiev a respingere un accordo di pace con la Russia nell’aprile 2022.

 

Putin aveva mostrato l’accordo di pace firmato e poi mollato dall’Ucraina dopo la visita dell’inglese durante un meeting con politici africani a San Pietroburgo lo scorso anno. Il presidente russo ha raccontato anche che la colonna di carri armati lunga decine di chilometri che stazionava fuori da Kiev nel marzo 2022 fu ritirata su richiesta di Kiev per andare al tavolo della pace.

 

Il biondo ex premier britannico ha negato il suo ruolo nel far naufragare i colloqui, definendo il resoconto «totale assurdità e propaganda russa». Tuttavia, ha confermato di aver detto a Zelens’kyj che il Regno Unito lo avrebbe sostenuto «al mille per cento» e che qualsiasi accordo con Mosca sarebbe negativo.

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Geopolitica

L’Egitto avverte Israele che l’invasione di Rafah potrebbe porre fine al trattato del 1979. Il Cairo vuole partecipare al processo per «genocidio» della CIG

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Nel contesto dell’azione militare israeliano in corso a Rafah, un alto funzionario egiziano ha espresso preoccupazione, avvertendo Israele, gli Stati Uniti e i governi europei del potenziale rischio posto al trattato di pace di lunga data tra Egitto e Israele, firmato tra Anwar Sadat e Menachem Begin a Washington con il presidente Carter nel marzo 1979, diventando il primo paese arabo a riconoscere Israele.   Parlando in forma anonima all’Associated Press, il funzionario ha sottolineato che Il Cairo vede l’attuale situazione come una minaccia alla stabilità regionale e all’accordo di pace fondamentale.   L’emittente di Tel Aviv i24 News aggiunge che l’Egitto «aveva precedentemente messo in guardia contro qualsiasi incursione israeliana a Rafah o lo sfollamento dei suoi residenti, poiché tali azioni potrebbero mettere a repentaglio il trattato di pace decennale tra Egitto e Israele. Per mitigare il rischio di una crisi di rifugiati, l’Egitto ha rafforzato le sue misure di sicurezza al confine, schierando carri armati e rafforzando il muro di confine con Gaza. L’obiettivo è prevenire un significativo afflusso di rifugiati nella penisola del Sinai nel contesto del crescente conflitto tra Israele e Hamas».   Nello stesso giorno della minaccia apparsa sui media di ritiro dal trattato, il ministero degli Affari Esteri egiziano ha dichiarato il 12 maggio che il Cairo intendeva unirsi al caso davanti alla Corte Internazionale di Giustizia a causa della crescente aggressione di Israele contro i civili palestinesi.   «La dichiarazione… arriva alla luce del peggioramento della gravità e della portata degli attacchi israeliani contro i civili palestinesi nella Striscia di Gaza, e della continua perpetrazione di pratiche sistematiche contro il popolo palestinese, compreso il targeting diretto dei civili e la distruzione delle infrastrutture nella Striscia, e spingendo i palestinesi a fuggire», ha affermato il ministero degli Esteri egiziano in una nota.   L’Egitto si unirà alla Turchia e alla Colombia nel richiedere formalmente di unirsi alla causa contro Israele.

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Questo mese, la Turchia ha affermato che cercherà di unirsi al caso, dopo che la Colombia ha chiesto alla Corte internazionale di giustizia il mese scorso di consentirle di aderire per garantire «la sicurezza e, in effetti, l’esistenza stessa del popolo palestinese».   L’Egitto ha affermato che chiederà a Israele «di rispettare i suoi obblighi come potenza occupante e di attuare le misure provvisorie emesse dalla CIG, che richiedono di garantire l’accesso agli aiuti umanitari e di soccorso in modo da soddisfare i bisogni dei palestinesi nella Striscia di Gaza».   Alon Liel, ex direttore del ministero degli Affari Esteri israeliano, ha detto ad Al Jazeera che la mossa dell’Egitto è stata un «incredibile colpo diplomatico per Israele. L’Egitto è la pietra angolare della nostra posizione in Medio Oriente».   I collegamenti che Israele ha oggi nel Medio Oriente e nel Nord Africa, compresi la Giordania, gli Emirati Arabi Uniti e il Marocco, sono tutti «il risultato di ciò che l’Egitto fece 40 anni fa», ha affermato, riferendosi al trattato di pace del 1979 tra i due Paesi.   «Il fatto che l’Egitto si unisca al Sudafrica ora all’Aja è un vero colpo diplomatico. Israele dovrebbe prendere la cosa molto sul serio. Israele deve… ascoltare il mondo, non solo l’opinione pubblica israeliana che chiede vendetta. Dobbiamo guardare in generale ad un quadro più ampio, alla sicurezza a lungo termine di Israele, non solo alle prossime settimane a Gaza».   Come riportato da Renovatio 21, Alessandria d’Egitto è stata teatro di un oscuro omicidio di un cittadino israeliano negli scorsi giorni. Sull’uomo era piovute accuse di essere membro del Mossad. La sigla islamista che ha rivendicato l’assassinio non pare nota.

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Geopolitica

Macron «spera» di non dover andare in guerra contro la Russia. Qualcuno lo fermi

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Sono arrivate nuove, incredibili dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron.

 

In un video pubblicato da lui stesso sabato su Twitter, il Macron ha detto che mentre Parigi cerca di evitare un coinvolgimento diretto nel conflitto ucraino, potrebbe essere necessario un intervento per dissuadere la Russia dall’avanzare troppo.

 

L’Unione Europea «perderebbe ogni credibilità e sicurezza» se la Russia dovesse prevalere, ha detto Macron nella clip postata su X, rispondendo alla domanda se la Francia «entrerà in guerra».

 

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«Il nostro futuro e la nostra sicurezza sono in gioco in Ucraina», ha affermato l’uomo dell’Eliseo, sottolineando che oltre a fornire più attrezzature militari a Kiev, le nazioni dell’UE devono essere «pronte ad agire» se «i russi si spingono troppo oltre».

 

«Quindi no, spero con tutte le mie forze che non dovremo andare in guerra», ha detto, insistendo sul fatto che la Francia è una «potenza di pace». Tuttavia, Parigi deve continuare ad armarsi per «proteggere la pace», ha continuato Macron, sottolineando che l’intervento deve rimanere un’opzione se gli interessi del Paese sono minacciati.

 

«Dobbiamo essere dissuasivi e credibili nei confronti dei nostri avversari, a volte dicendo loro: “Se andate troppo oltre e se minacciate i nostri interessi, la mia stessa sicurezza, allora non escludo di intervenire”», ha detto.

 

«Si tratta solo di dire: se andate troppo lontani e minacciate gli interessi della Francia e la sicurezza dell’Europa, allora non escludiamo nulla» scrive sul messaggio. Quali siano gli interessi della Francia in gioco non è noto, a meno che non si tratti dell’Africa coloniale francese, oramai passata in larga parte sotto la diretta influenza di Mosca – a causa anche dell’antipatia ingeneratasi contro Parigi e le sue missioni militari, accusate di addestrare e manovrare i terroristi islamici che sostenevano di voler combattere.

 

I commenti di Macron hanno fatto eco alle sue precedenti dichiarazioni su un potenziale dispiegamento di truppe in Ucraina. A febbraio, il presidente francese ha rifiutato di escludere la prospettiva dell’intervento della NATO sul terreno, sostenendo che la credibilità dell’UE «sarebbe ridotta a zero» se l’Ucraina venisse sconfitta.

 

Pochi mesi dopo ha esortato i Paesi UE ad aumentare le spese militari e la produzione di armi per ridurre la dipendenza da Washington.

 

In un’intervista all’Economist all’inizio di questo mese, il presidente francese ha raddoppiato il suo impegno, definendo il Cremlino la principale minaccia alla sicurezza dell’UE e affermando che mantenere la possibilità di schierare truppe in Ucraina è necessario come «campanello d’allarme», mentre difendeva il suo approccio come «ambiguità strategica».

 

Mosca ha criticato il «discorso pericoloso» di Macron, con il ministro degli Esteri russo Sergio Lavrov che sostiene che il presidente francese potrebbe usare la russofobia e tattiche allarmanti per soddisfare la sua ambizione di guidare l’Unione Europea.

 

Come riportato da Renovatio 21, le minacce francesi hanno invece trovato terreno fertile in Finlandia, Paese appena divenuto membro della NATO.

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Il presidente francese si è spinto fino al punto di immaginare un ritorno della Crimea all’Ucraina. Putin ha sostenuto che truppe di Stati NATO già stanno operando sul fronte ucraino, e che l’Occidente sta flirtando con la guerra nucleare e la distruzione della civiltà.

 

Gli stessi francesi, secondo un sondaggio, sono contrari all’idea di soldati schierati su territorio ucraino proposta da Macron, il quale, bizzarramente, ha poi chiesto un cessate il fuoco per le Olimpiadi di Parigi della prossima estate.

 

C’è da augurarsi, che qualcuno capisca che è il caso di fermare l’escalation di Macron, sempre più folle ed oscura. Nelle scorse settimane, quando il francese dichiarò che con un’Ucraina sconfitta i missili russi avrebbero minacciato Parigi, intervenne il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto, dicendo di comprendere «la finalità e l’utilità di queste dichiarazioni, che oggettivamente innalzano la tensione».

 

Bisognerebbe che altri comincino a far sentire la voce della pace davanti alla spirale di devastazione con cui sembra flirtare il Macron.

 

Macron, in politica interna, ha incredibilmente accelerato riguardo a temi etici con manovre anticristiane ed antiumane come il rilancio dell’eutanasia e la costituzionalizzazione dell’aborto. Tutto questo avviene mentre fioccano, anche dall’altra parte dell’oceano, speciose voci sulla sua vita privata.

 

Renovatio 21 ha ipotizzato spiegazioni del comportamento del presidente d’Oltralpe su di un piano metafisico, preternaturale.

 

Per cui ci chiediamo: sia il caso di considerare, davvero, un esorcismo? Si dice che Pio XII ne avesse celebrato uno, a distanza, su Adolfo Hitler. Il demone di una guerra mondiale che distruggerebbe ancora una volta l’Europa, magari lasciando non solo rovine fumanti, ma anche radioattive, è ancora qui…

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