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Geopolitica

Voci in Israele denunciano che il piano dei «generali» è «un crimine di guerra»

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L’ex vicedirettore del Consiglio di sicurezza nazionale di Israele, Eran Etzion, è diventato l’ex funzionario israeliano di grado più alto ad accusare formalmente Israele di commettere un crimine di guerra di massa. Lo riporta EIRN.

 

Secondo un articolo del 22 ottobre sul Times of Israel, Etzion ha dichiarato che il gabinetto di sicurezza di Benjamin Netanyahu ha votato in segreto per attuare il famigerato «piano» del maggiore generale (in pensione) Giora Eiland e di altri circoli militari per sigillare la parte settentrionale di Gaza e uccidere o far morire di fame tutti i residenti che non l’hanno lasciata.

 

Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno negato che questo piano sia in fase di attuazione.

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«Questo piano è un crimine di guerra», ha scritto Etzion. «Se sei un soldato o un ufficiale… è tuo dovere rifiutarti di prendere parte a qualsiasi azione che costituisca un crimine di guerra. E se tu non presti servizio, è tuo dovere invitare coloro che lo fanno a rifiutarsi di prendere parte a un crimine di guerra».

 

L’editoriale principale del quotidiano israeliano Haaretz del 22 ottobre, poneva la domanda nel titolo: «Israele sta davvero attuando un piano di assedio e fame a Gaza?» I redattori hanno scritto che «i residenti di Jabalya, gli alti funzionari della difesa e la comunità internazionale sospettano tutti che Israele abbia effettivamente iniziato ad attuare il piano criminale di Eiland».

 

«Non ci sono dubbi, il piano di Eiland è un crimine di guerra ed è contrario alla decisione 2334 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che afferma che la terra non può essere presa con la forza, riferendosi ad atti di guerra» scrive il giornale. «Chiede a Israele di evacuare tutti i residenti della parte settentrionale di Gaza in zone umanitarie più a sud. Chiunque scelga comunque di rimanere sarebbe considerato un agente di Hamas e potrebbe essere ucciso (…) I residenti che scegliessero di rimanere sarebbero morti di fame.»

 

In Israele, dove i concetti di trasferimento della popolazione, negazione degli aiuti umanitari, espulsione, occupazione e uccisioni di massa sono stati normalizzati, ci sono molti sostenitori di questi crimini di guerra confezionati come un «piano».

 

Lo stesso giorno, l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati, ha lanciato un appello urgente, «il mondo deve fermare la pulizia etnica della Striscia di Gaza settentrionale», il suo secondo appello di questo mese.

 

«La portata dei crimini che Israele sta attualmente commettendo nella Striscia di Gaza settentrionale nella sua campagna per svuotarla di tutti i residenti rimasti è impossibile da descrivere, non solo perché centinaia di migliaia di persone soffrono la fame, le malattie senza accesso alle cure mediche e bombardamenti e spari incessanti sfidano la comprensione, ma perché Israele le ha tagliate fuori dal mondo», scrivono.

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Il loro appello si conclude dicendo che «da un anno, da quando è iniziata la guerra, la comunità internazionale ha mostrato la sua totale impotenza a fermare l’attacco indiscriminato ai civili nella Striscia di Gaza. Ora, quando è più chiaro che mai che Israele intende sfollare con la forza i residenti della Striscia di Gaza settentrionale commettendo alcuni dei crimini più gravi previsti dalle leggi di guerra, le nazioni del mondo devono agire».

 

«Senza un’azione immediata e decisa da parte della comunità internazionale, senza usare tutti gli strumenti disponibili, politici, legali, economici, le uccisioni di massa nella Striscia di Gaza settentrionale continueranno e la sofferenza dei suoi civili assediati crescerà. Tutti gli organismi e le istituzioni internazionali devono agire ora per costringere Israele a fermare la guerra e porre fine alla carneficina».

 

B’Tselem ha lanciato il suo primo appello per un’azione mondiale urgente il 14 ottobre congiuntamente ad altre tre organizzazioni non-profit israeliane, avvertendo che «ci sono segnali allarmanti che l’esercito israeliano sta iniziando a implementare silenziosamente il Piano dei generali, noto anche come Piano Eiland».

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Immagine di Israel Defense Forces via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0

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Geopolitica

Trump si chiede «che diavolo» ci facesse Zelens’kyj in Sudafrica

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha espresso sorpresa per la visita di Volodymyr Zelens’kyj in Sudafrica durante un incontro con il suo omologo sudafricano Cyril Ramaphosa alla Casa Bianca mercoledì.   Trump ha dichiarato di aver telefonato a Zelens’kyj durante la sua visita di aprile e di avergli chiesto «che diavolo» stesse facendo in Sudafrica. Ramaphosa ha spiegato che il Sudafrica aveva condiviso alcune «lezioni» sulla costruzione della pace con il leader ucraino. «Questo è ciò che ci ha insegnato Nelson Mandela: se volete raggiungere la pace nel Paese, fatelo incondizionatamente, sedetevi e parlate», ha detto il presidente sudafricano, sfruttando l’icona internnazionale dell’ex terrorista filosovietico assurto al ruolo di «santo» intoccabile del mondialismo.   La visita di Zelens’kyj a Pretoria ha scatenato ampie critiche da parte dei commentatori politici e degli attivisti sudafricani a causa del suo atteggiamento sprezzante nei confronti dell’iniziativa di pace del 2023 guidata da Ramaphosa.

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I due presidenti hanno anche discusso delle preoccupazioni degli Stati Uniti riguardo alle presunte violenze contro gli afrikaner bianchi e alle politiche di riforma agraria del governo sudafricano. Trump avrebbe chiesto chiarimenti sul genocidio della minoranza bianca, di fatto umiliando il vertice dello Stato sudafricano mostrandogli un video che raccoglieva prove del massacro in atto.   Nel video mostrato alla Casa Bianca erano visibili i comizi razzisti con incitamenti al genocidioKill the boer! Kill the farmer!»: un canto che la Corte Suprema sudafricana non ritiene essere incitamento all’odio) del leader del partito para-comunista EFF (scissosi dall’ANC di Mandela) Julius Malema, nonché le immagini strazianti della fila infinita di croci per i boeri ammazzati.     Curiosamente, sarebbe da ricordare che è proprio il Sudafrica che ha portato le carte all’Aia per dichiarare Israele perpetratore di genocidio.   Ramaphosa ha respinto le accuse, ribadendo i valori democratici del Sudafrica e respingendo l’idea che la terra venisse confiscata illegalmente. «No, no, no, no», ha risposto quando gli è stato chiesto della confisca delle terre. «Nessuno può prendere la terra», ha aggiunto.  
Come riportato da Renovatio 21, vari gruppi boeri da anni ritengono di essere oggetti di una vera persecuzione se non di una pulizia etnica, con abbondanza disperante episodi di crimine, torture e violenza efferata di ogni sorta.   Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il partito dell’ex presidente sudafricano Jacob Zuma MK ha presentato una denuncia per tradimento contro un gruppo della minoranza afrikaner.   L’amministrazione Trump aveva negli ultimi tempi  sospeso gli aiuti al Sudafrica. La scorsa settimana, dopo tanti annunci, gli USA hanno accolto un primo gruppo di rifugiati boeri. Sul «genocidio bianco» in atto non ha dubbi Elon Musk, che ha recentemente anche sostenuto che il suo servizio Internet satellitare Starlink non può funzionare in Sudafrica perché «non è nero».   La delegazione sudafricana era in visita per presentare un quadro rivisto per il commercio e gli investimenti, volto a rafforzare la cooperazione economica bilaterale. Parks Tau, Ministro del Commercio, dell’Industria e della Concorrenza del Sudafrica, ha confermato che la proposta è stata presentata durante i colloqui con il Rappresentante Commerciale degli Stati Uniti.

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Tau ha affermato che il commercio è al centro della nuova proposta. «Abbiamo anche discusso di dazi doganali e tariffe con la parte americana», ha osservato. Ha sottolineato che quasi il 77% delle merci statunitensi importate in Sudafrica entra in esenzione doganale, mentre una quota analoga delle esportazioni sudafricane, principalmente materie prime, beneficia anch’essa di esenzioni fiscali. Tau ha aggiunto che il Sudafrica ha evidenziato la crescente carenza di gas e ha manifestato interesse per l’importazione di gas naturale liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti, un’iniziativa accolta positivamente sia dall’ambasciatore statunitense che dai rappresentanti della Casa Bianca. “È uno dei settori su cui daremo seguito», ha affermato.   Mentre lasciava la Casa Bianca, il presidente Ramaphosa ha detto ai giornalisti che i colloqui erano andati «molto bene».   In questi anni, ad ogni modo, abbiamo assistito al collasso del Sudafrica da ogni punto vista, dai disordini civili con caos e razzie ai blackout – dove si innesta la storia oscura di un possibile tentato assassinio nei confronti del capo della società elettrica nazionale.

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Economia

Assistenzialismo geopolitico-militare: l’Ucraina vuole una percentuale fissa del PIL dell’UE

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L’Ucraina ha proposto che gli stati membri dell’UE destinino una quota fissa del loro PIL al finanziamento delle forze armate del paese. I leader dell’Unione hanno promesso di continuare a sostenere militarmente Kiev nonostante il cambio di politica del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che mira a mediare una tregua.

 

Secondo un post su Facebook pubblicato giovedì, il ministro delle Finanze Serhiy Marchenko ha illustrato al mondo la proposta di assistenzialismo geopolitico-militare durante la riunione dei ministri delle finanze del G7 tenutasi questa settimana in Canada.

 

«Quello che proponiamo è la partecipazione dei partner al finanziamento delle Forze armate ucraine, il che le integrerebbe di fatto nella struttura di difesa europea», ha scritto.

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Marchenko ha aggiunto che il costo «rappresenterebbe solo una piccola parte del PIL dell’UE» e potrebbe essere ripartito tra i paesi che desiderano aderire all’iniziativa. Kiev intende lanciare il nuovo programma nel 2026, con contributi conteggiati negli obiettivi di spesa per la difesa della NATO.

 

L’appello di Marchenko giunge in un momento in cui l’Ucraina è alle prese con la crescente pressione fiscale e con un’incerta prospettiva sugli aiuti esteri. Martedì, il parlamentare Yaroslav Zheleznyak ha dichiarato che il bilancio del Paese per il 2025 include un deficit di 400-500 miliardi di grivne (9,6-12 miliardi di dollari) per il finanziamento delle forze armate.

 

La collega deputata Nina Yuzhanina ha avvertito che il sostegno militare ha raggiunto un livello critico e ha chiesto tagli drastici al bilancio interno per ridistribuire le risorse.

 

Anche il crescente debito ucraino ha destato allarme. Il debito pubblico totale si avvicina ai 171 miliardi di dollari, con un debito prossimo al 100% del PIL. All’inizio di questo mese, Marchenko ha dichiarato che il Paese non sarà in grado di ripagare i creditori esteri per i prossimi 30 anni, ma intende continuare a indebitarsi.

 

 

Dall’escalation del conflitto con la Russia nel 2022, l’Ucraina ha ricevuto miliardi di dollari in aiuti militari, finanziari e umanitari e prestiti dagli Stati Uniti, dall’UE e da altri donatori. L’approccio di Bruxelles ha suscitato critiche da parte di alcuni Stati membri dell’UE, tra cui Ungheria e Slovacchia.

 

Gli Stati Uniti, il principale donatore dell’Ucraina, si sono mossi per recuperare gli aiuti finanziari all’Ucraina firmando un accordo sulle risorse naturali con Kiev. L’accordo, promosso da Trump, garantisce agli Stati Uniti un accesso preferenziale alle risorse minerarie ucraine senza fornire garanzie di sicurezza.

 

Trump, che ha ripetutamente chiesto una rapida risoluzione del conflitto, si è impegnato a mediare una tregua piuttosto che espandere il supporto militare. I legislatori ucraini hanno avvertito che il pacchetto di aiuti militari approvato dall’ex presidente Joe Biden si esaurirà entro l’estate e non sono attualmente in corso trattative per ulteriori forniture statunitensi.

 

La Russia ha sempre condannato le spedizioni di armi occidentali all’Ucraina, dichiarando che non faranno altro che prolungare il conflitto senza cambiarne l’esito e che rappresenteranno anche un ulteriore onere economico per i contribuenti comuni.

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Geopolitica

Israele spara contro la delegazioni di diplomatici stranieri

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Soldati israeliani hanno sparato nei pressi di un gruppo di diplomatici stranieri in visita al campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata, spingendo i rappresentanti di oltre 20 paesi e i giornalisti al seguito a cercare riparo, secondo i video ripresi dalla scena.   Il tour, organizzato dall’Autorità Nazionale Palestinese, coinvolgeva delegati provenienti da decine di paesi, tra cui Regno Unito, Canada, Francia, Italia, Spagna, Cina, Giappone, Messico, Egitto e altri. Non sono stati segnalati feriti, ma le riprese video hanno mostrato i diplomatici fuggire in preda al panico mentre si scatenavano gli spari intorno alle 14:00 ora locale.   Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno affermato che la delegazione aveva deviato dal percorso precedentemente approvato ed era entrata in un’area non autorizzata, da loro descritta come una «zona di combattimento attiva».  

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«Secondo una prima indagine, la delegazione ha deviato dal percorso approvato ed è entrata in un’area non autorizzata. I soldati dell’IDF che operavano nella zona hanno sparato colpi di avvertimento per allontanarli», ha dichiarato l’IDF, esprimendo rammarico per il «disagio causato».     Il ministero degli Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese ha descritto la sparatoria come una violazione del diritto internazionale, affermando che la delegazione era in missione ufficiale per valutare la situazione umanitaria nel contesto delle crescenti critiche internazionali alle operazioni militari israeliane a Gaza e in Cisgiordania.   I leader internazionali hanno prontamente condannato l’incidente. Francia e Italia con il ministro Antonio Tajani hanno convocato gli ambasciatori israeliani per chiedere spiegazioni. Il vice primo ministro irlandese ha definito l’evento «totalmente inaccettabile», mentre il Canada ha chiesto un’indagine approfondita. Anche l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Kaja Kallas, ha definito «inaccettabile» l’atto di sparare vicino ai diplomatici e ha chiesto che si assuma la responsabilità.   Della delegazione, in cui vi erano anche giornalisti, faceva parte il vice console italiano Alessandro Tutino, uscito illeso. Il diplomatico italiano ha parlato subito con il Tajani.  
  «Ho appena parlato con Alessandro Tutino il vice console d’Italia a Gerusalemme che sta bene e che era fra i diplomatici che sarebbero stati attaccati a colpi di arma da fuoco vicino al campo profughi di Jenin. Chiediamo al governo di Israele di chiarire immediatamente», ha dichiaro su X il ministro degli Esteri. Il vice console sarebbe rientrato a Gerusalemme.   Tajani ha quindi convocato l’ambasciatore israeliano a Roma: «ho appena dato disposizione al Segretario generale del Ministero degli Esteri di convocare l’Ambasciatore di Israele a Roma per avere chiarimenti ufficiali su quanto accaduto a Jenin» ha scritto sui social il Tajani.

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L’incidente, va notato, a poche dalla decisione UE di aprire una revisione dell’accordo di associazione con Israele.   Il ministero degli Esteri egiziano ha affermato che l’incidente «viola tutte le norme diplomatiche», mentre il ministero degli Esteri turco ha «fermamente condannato» gli spari di avvertimento contro i suoi diplomatici.   Il caso dovrebbe riportare alla memoria l’attacco che l’IDF ha portato contro i nostri soldati attivi in Libano con le forze di pace UNIFIL – con Netanyahu che arrivò a minacciare direttamente il corpo ONU di peacekeeping nel Libano meridionale, accusato di «fornire uno scudo umano ai terroristi di Hezbollah»  

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