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«Una banda di drogati e neonazisti»

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Parlando di una banda di drogati e di neonazisti al potere a Kiev, il presidente Putin ha suscitato grande scandalo. La stampa atlantista lo presenta come un malato di mente. Ma i fatti sono innegabili: il potere in Ucraina è in mano a una banda di drogati che si è appropriata delle entrate del gas; è stata votata una legge razziale; sono stati eretti monumenti al collaboratore nazista Stepan Bandera. E due battaglioni nazisti fanno già parte dell’esercito regolare.

 

 

Oggi è impossibile decifrare la strategia militare della Russia perché non abbiamo un resoconto esatto delle operazioni sul campo.

 

Solo gli stati-maggiori russo e della NATO sono in grado di farlo. Quanto viene diffuso è, nel caso dei giornali occidentali e del governo ucraino, evidentemente falso; nel caso delle forze armate di Russia, Donetsk e Lugansk inverificabile.

 

Sicuramente per ora gli scontri si limitano al territorio ucraino, ma il conflitto riguarda Russia e Stati Uniti, soltanto accidentalmente l’Ucraina.

 

Ci aspettiamo che nei prossimi giorni la Russia alzi il tono e allarghi il conflitto a un secondo teatro operativo.

 

In attesa degli eventi spiego a cosa si riferiva il presidente Putin definendo le autorità ucraine «una banda di drogati e neonazisti», affermazione estremamente scioccante ma molto fondata.

 

Può darsi che il presidente Putin attribuisca troppa importanza a questi fatti, o forse noi Occidentali li minimizziamo.

 

 

«Una banda di drogati»

Il governo di Viktor Yanukovich (2010-2014) cercava di barcamenare l’Ucraina tra il vicino russo e l’amico statunitense. Ma siccome «Chi non è con noi è contro di noi», come disse il presidente Bush figlio, gli Occidentali lo consideravano filo-russo.

 

Yanukovich fu rovesciato dagli Stati Uniti con la «Rivoluzione della dignità» su piazza Maidan, diretta dal segretario di Stato per l’Eurasia, la straussiana Victoria Nuland.

 

Il regime transitorio cadde in mano a rivoltosi di professione. Scoperta la portata della corruzione della cricca di Yanukovich, gli straussiani decisero che avrebbero potuto mettere le mani su una montagna di denaro ancor più grande.

 

Il 3 aprile 2014 uno degli ex consiglieri del segretario di Stato USA John Kerry, il truffatore David Archer, e il suo compagno di sballo Hunter, figlio dell’allora vicepresidente Joe Biden, incontrarono in Italia, all’Ambrosetti Club sul lago di Como, il miliardario Stephen Schwartzman, direttore del fondo d’investimento Blackstone (da non confondersi con Blackrock).

 

David Archer fu inserito nel consiglio di amministrazione di Burisma Holdings, una delle principali società gasiere ucraine, il cui proprietario era sotto procedura giudiziaria dell’FBI e dell’MI5. Gli agenti statunitensi e britannici erano convinti che il proprietario di Burisma, nonché ministro delle risorse naturali del regime Yanukovich, l’oligarca Mykola Zlochevsky, avesse illegalmente concesso licenze a società gasiere e petrolifere di sua proprietà.

 

Come uomo di paglia di Burisma, Archer fu pagato 83.333 dollari al mese. Sul sito della compagnia venne messa una foto che lo ritraeva alla Casa Bianca in compagnia del vicepresidente Joe Biden.

 

Il vicepresidente Joe Biden e i consiglieri Jake Sullivan e Antony Blinken andarono a Kiev per promettere al nuovo regime l’aiuto degli Stati Uniti e organizzare elezioni credibili. Ma le oblast’ [regioni] di Donetsk e Lugansk non riconobbero il governo provvisorio, di cui facevano parte cinque ministri nazisti, e proclamarono l’indipendenza.

 

L’indomani, il 12 maggio 2014, il figlio del vicepresidente Biden, il drogato Hunter, entrò a sua volta nel consiglio di amministrazione di Burisma Holding. In seguito un terzo personaggio, Cristopher Heinz, cognato del segretario di Stato John Kerry, si aggiunse a David Archer e Hunter Biden.

 

Nel secondo semestre 2014, su istruzioni di David Archer e Hunter Biden, Burisma versò sottobanco 7 milioni di dollari al procuratore generale del nuovo regime di Petro Poroshenko per redigere falsi documenti e chiudere le azioni giudiziarie contro Burisma e il suo proprietario, l’oligarca Zlochevsky.

 

In un’intercettazione telefonica Poroshenko conferma al vicepresidente Biden che la faccenda è «sistemata». Gli Stati Uniti poterono così riciclare l’ex ministro del «filorusso» Yanukovitch. Il procuratore generale, diventato troppo esoso, fu allontanato con un voto del parlamento, istigato da Stati Uniti, Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale; lo scopo era salvare l’oligarca, nonché ex-primo ministro, Yulia Timoshenko, ma spendendo meno denaro.

 

Questi fatti, diffusamente riportati dalla stampa ucraina, non sono che la punta dell’iceberg: per esempio, secondo il Wall Street Journal il segretario per l’Energia degli Stati Uniti, Rick Perry, avrebbe fatto pressione sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky per cacciare gli amministratori della società gasiera pubblica Naftogaz e sostituirli con altri, fra i quali lo straussiano Amos Hochstein.

 

A luglio 2019 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump chiese all’omologo ucraino Volodymyr Zelensky d’indagare su queste vicende di corruzione, senza escludere quella che riguardava il segretario statunitense per l’Energia Perry. Zelensky rifiuta. Trump si fa sempre più insistente, ma un funzionario dell’intelligence USA rivela il contenuto della conversazione e accusa il presidente Trump di strumentalizzare l’Ucraina per nuocere al proprio avversario, il candidato democratico Joe Biden. Ne seguirà una procedura di destituzione del presidente Trump, l’Ucrainagate.

 

Il meno che si possa dire è che ci sono stati tantissimi episodi di corruzione; che sono stati perpetrati a beneficio di personalità ucraine e statunitensi; che sono sparite decine di miliardi di dollari sottratti agli ucraini, il cui livello di vita è crollato.

 

Il tutto è avvenuto con la compiacenza di uomini di paglia, privi di ogni competenza sul gas, che condividono la frequentazione delle serate a base di droga di Hunter Biden. A tutto questo si riferiva, con ragione, il presidente Putin.

 

Sul versante europeo tutti hanno constatato che in un anno il prezzo al consumo del gas è decuplicato. Certamente la domanda supera l’offerta, ma questo non basta a spiegare l’esplosione dei prezzi.

 

In realtà, oggi i contratti di gas a lungo termine sono stipulati in base a prezzi di poco superiori a quelli passati, mentre i prezzi dei contratti a breve termine si sono impennati. La differenza si spiega con la speculazione.

 

E proprio Blackstone, nonché gli amici del presidente Biden sono stati i primi a speculare: evidentemente si aspettavano una crisi in uno dei Paesi produttori.

 

Si spiega così perché la stampa atlantista minimizzi l’affare Hunter Biden, in cui il padre, l’attuale presidente degli Stati Uniti, è coinvolto fino al collo. Alla fin fine l’operazione militare in corso in Ucraina provoca un ulteriore rialzo dei prezzi del gas, sempre a vantaggio degli amici del presidente USA e a danno degli europei.

 

Bisogna mettere in relazione questi fatti con quanto ho scritto nel precedente articolo di questa serie. Jake Sullivan, Antony Blinken e Victoria Nuland, i manovratori di questi intrallazzi, sono Straussiani. E, come scriveva nel 1992 il primo di loro, Paul Wolfowitz, «il principale rivale degli Stati Uniti è l’Unione Europea, cui bisogna impedire a ogni costo lo sviluppo».

 

Tutto sommato questi fatti sono affari interni ucraini e dell’Europa occidentale. Non giustificano un intervento esterno.

 

 

«Una banda di neonazisti»

Il presidente Putin ha parlato anche di una «banda di neonazisti». In questo caso non un piccolo gruppo di poche decine di persone, ma di migliaia: tra 10 e 20 mila.

 

Per capire a cosa alludeva Putin bisogna ricordarsi che alla fine della seconda guerra mondiale Stati Uniti e URSS fecero prigionieri numerosi dignitari nazisti. Entrambi i Paesi cercarono di ricavarne informazioni. I sovietici li rispedirono a casa dopo otto mesi, gli statunitensi invece ne trattennero alcuni e li riciclarono.

 

È noto che, per esempio, lo scienziato nazista che inventò le V2, Werner von Braun, diventò direttore della NASA (Operazione Paperclip). Come è altrettanto noto che il consigliere speciale del cancelliere Adolf Hitler per il Nuovo Ordine in Europa, Walter Hallstein, fu il primo presidente dell’Unione Europea.

 

E ancora, che l’alpinista Heinrich Harrer provvide su incarico della CIA all’educazione del Dalai Lama. Meno noto è invece che la CIA riciclò un po’ ovunque nel mondo anche molti SS e poliziotti della Gestapo. Per esempio, mise l’ex Gestapo Klaus Barbie a capo dei servizi della Bolivia, dove riuscì ad assassinare Che Guevara, e collocò l’SS Alois Brunner in Siria, all’epoca Paese alleato di Washington.

 

Per tutta la guerra fredda la CIA utilizzò nazisti. Il presidente Jimmy Carter incaricò l’ammiraglio Stansfield Turner di rimettere ordine nell’Agenzia, di limitare il ruolo di questi agenti e di farla finita con le dittature. La maggior parte dei nazisti furono allontanati, ma quelli che potevano essere operativi nel Patto di Varsavia continuarono a essere usati. Così il presidente Ronald Reagan esaltò le «nazioni prigioniere» dell’Europa dell’Est, creando una sequela di associazioni finalizzate alla destabilizzazione degli Stati del Patto di Varsavia, nonché dell’URSS.

 

È quindi affatto logico che nel 2007 la CIA abbia organizzato a Ternopol (Ucraina) un congresso di neonazisti europei e di jihadisti mediorientali anti-russi. Avrebbero dovuto presiederlo il nazista ucraino Dmitro Yarosh e l’emiro ceceno Doku Umarov.

 

Quest’ultimo, ricercato dall’Interpol, non poté essere fisicamente presente e mandò un messaggio video di sostegno. In seguito i neonazisti e gli jihadisti combatterono insieme per imporre l’Emirato islamico di Ichkeria, in sostituzione della Repubblica di Cecenia.

 

Nel 2013, in Polonia, la NATO addestrò al combattimento urbano uomini di Dmitro Yarosh, poi usati nell’operazione in Ucraina di cambiamento di regime, condotta da Victoria Nuland: la «Rivoluzione della dignità», o «EuroMaidan». La maggior parte dei giornalisti sul posto notò l’inquietante presenza dei neonazisti, ma le personalità occidentali che parteciparono alla «rivoluzione», come Bernard-Henri Lévy, chiusero gli occhi.

 

Nei mesi che seguirono, la presenza di cinque ministri nazisti nel governo di transizione provocò i referendum per l’indipendenza nelle oblast’ di Donetsk e Lugansk.

 

Il presidente Petro Porochenko, consigliato dagli amici di Hunter Biden, organizzò i neonazisti in unità militari, che schierò alla frontiera con le nuove Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk.

 

I gruppi neonazisti erano finanziati dal padrino della mafia locale, Ihor Kolomoisky, cui il fatto di essere presidente della Comunità ebraica dell’Ucraina non impedì di selezionarne alcuni come sicari al proprio servizio. Tuttavia, quando, grazie al denaro e alle minacce, Kolomoisky tentò di assumere il controllo delle organizzazioni ebraiche europee, fu espulso.

 

Per rovesciare il presidente Poroshenko, Kolomoisky costruì di sana pianta un nuovo uomo politico, producendo una serie televisiva (Servitore del popolo), il cui protagonista era un certo Volodymyr Zelensky. Quest’ultimo, una volta eletto presidente, accettò tutti i consigli degli Straussiani, tornati nel frattempo alla Casa Bianca.

 

Il neo-presidente eresse monumenti a Stepan Bandera, capo dei collaboratori nazisti durante la seconda guerra mondiale, appoggiandone l’ideologia: la popolazione ucraina ha due origini, scandinava e proto-germanica da un lato, slava dall’altro. Solo chi appartiene alla prima è ucraino, gli altri sono russi, cioè subumani. Promulgò poi una «Legge sui popoli autoctoni» che priva gli ucraini di origine slava del godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Una legge che non è ancora stata applicata.

 

Per sette anni i gruppi neonazisti hanno massacrato a caso gli abitanti del Donbass. Francia e Germania, garanti degli accordi di Minsk, non hanno fatto nulla. Anche le Nazioni Unite hanno chiuso gli occhi. Per sette anni questi gruppi si sono allargati, passando da alcune centinaia a migliaia di soldati.

 

Su richiesta di Victoria Nuland, il presidente Zelensky ha nominato Dmitro Yarosh consigliere speciale del capo delle forze armate.

 

Quest’ultimo, evidentemente imbarazzato, si è rifiutato di commentare la strana coppia che forma con Yarosh, limitandosi ad alludere a problemi di «sicurezza nazionale». Yarosh ha riorganizzato i neonazisti in due battaglioni e in gruppi urbani. Durante il week-end della Conferenza di Monaco sulla Sicurezza ha lanciato un vasto attacco alle oblast’ separatisti, provocando la risposta russa.

 

Il 3 marzo il Battaglione nazista Aidar è stato vinto dall’esercito russo. Il presidente Zelensky ha nominato governatore di Odessa il loro capo, con l’incarico d’impedire all’esercito russo di collegare Crimea e Transnistria.

 

Sono fatti indiscutibili. Si può giudicare la risposta russa sproporzionata e inappropriata, ma non ingiustificata.

 

Bisogna altresì tener presente che la Seconda Guerra Mondiale è stata vissuta in modo diverso in Occidente e in Oriente.

 

In Europa occidentale il nazismo fu una dittatura che perseguitò le minoranze, zigani ed ebrei, imprigionate e uccise a milioni nei campi di concentramento.

 

In Europa orientale il progetto era diverso: liberare uno spazio vitale sterminando tutta la popolazione slava. Non occorrevano i campi di concentramento, bisognava uccidere tutti. Le devastazioni non sono comparabili. La Russia ha contato da sola 27 milioni di morti.

 

La Russia moderna si è costruita sul ricordo della Grande Guerra Patriottica contro il nazismo. Per i russi è inaccettabile portare croci uncinate e votare una legge razziale. Bisogna agire prima che venga applicata.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

Immagine di MK via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

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Geopolitica

Senatore americano: «il Sudafrica è nostro nemico»

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Il senatore repubblicano John Kennedy ha definito il Sudafrica un nemico degli Stati Uniti, mentre i legislatori spingono sempre più affinché Pretoria venga esclusa dall’African Growth and Opportunity Act (AGOA), l’iniziativa commerciale di punta di Washington.

 

L’ambasciatore Jamieson Greer, rappresentante commerciale degli Stati Uniti, è stato interrogato dal senatore repubblicano John Kennedy durante un’audizione della sottocommissione per gli stanziamenti del Senato in merito all’inclusione del Sudafrica nella potenziale estensione dell’AGOA.

 

Kennedy ha chiesto a Greer: «Cosa intendi fare riguardo al Sudafrica come parte dell’AGOA, dato che il Sudafrica non è amico dell’America?»

 

Greer ha risposto: «Esatto. Abbiamo avuto alcune conversazioni con i sudafricani in materia di commercio, e ci sono molte questioni di politica estera che non affronto con il Sudafrica. Ma quando si tratta di commercio, hanno molte barriere… Abbiamo chiarito ai sudafricani che se vogliono avere una situazione tariffaria migliore con noi devono occuparsi di queste barriere tariffarie e non tariffarie Sono una vera economia, una grande economia, giusto. Hanno una base industriale, una base agricola; dovrebbero acquistare prodotti dagli Stati Uniti», ha detto Greer.

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Kennedy ha poi fatto presente a Greer che, se l’AGOA venisse prorogata di un anno, senza riformarla, il Sudafrica ne trarrebbe beneficio. Greer ha ammesso, ma ha sottolineato che il Sudafrica è già stato colpito da una tariffa reciproca del 30%, «molto più alta rispetto al resto del continente». Ha tuttavia osservato che il Sudafrica rappresenta un caso unico.

 

Kennedy ha continuato: «Non pensi che dovremmo separare il Sudafrica e l’AGOA? Greer concordò, dicendo che sarebbe stato felice di prendere in considerazione quella proposta. Il Congresso è venuto da me e mi ha detto che vogliamo l’AGOA. E se dobbiamo cedere, dobbiamo trovare un modo per migliorarlo. Se pensate che dovremmo riservare al Sudafrica un trattamento diverso, sono aperto, perché penso che rappresentino un problema unico».

 

«Beh, rappresentano un problema unico per l’America. Voglio dire, sono i nostri nemici in questo momento. Sono amici di tutti i nostri nemici. E sono stati molto critici nei confronti degli Stati Uniti» ha dichiarato Kennedy.

 

Greer concorda: «È proprio così. Ed è per questo che vengono trattati in modo molto diverso. La maggior parte del continente africano, l’Africa subsahariana, ne ha solo il 10%, mentre il Sudafrica ne ha il 30%».

 

All’inizio di quest’anno, gli Stati Uniti hanno imposto una tariffa del 30%sulle importazioni dal Sudafrica, dopo che i funzionari statunitensi non hanno risposto a diverse proposte commerciali presentate da Pretoria.

 

A luglio, l’IOL ha riferito che il Presidente Cyril Ramaphosa aveva preso atto della corrispondenza del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump sull’imposizione unilaterale di una tariffa commerciale del 30% contro il Sudafrica. Ramaphosa ha anche osservato che il Sudafrica è uno dei numerosi Paesi che hanno ricevuto comunicazioni simili che annunciavano tariffe all’epoca.

 

«Questa tariffa del 30% si basa su una particolare interpretazione della bilancia commerciale tra Sudafrica e Stati Uniti. Questa interpretazione controversa rientra tra le questioni all’esame dei team negoziali di Sudafrica e Stati Uniti», ha affermato il portavoce di Ramaphosa, Vincent Magwenya.

 

Di conseguenza, il Sudafrica sostiene che la tariffa reciproca del 30% non rappresenta accuratamente i dati commerciali disponibili. Nella nostra interpretazione dei dati commerciali disponibili, la tariffa media sulle merci importate in entrata in Sudafrica è del 7,6%.

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«È importante sottolineare che il 56% delle merci entra in Sudafrica con una tariffa della nazione più favorita dello 0%, mentre il 77% delle merci statunitensi entra nel mercato sudafricano con un dazio dello 0%», ha affermato. Tuttavia, la presidenza a Pretoria ha chiarito che il Sudafrica continua a impegnarsi per coltivare relazioni commerciali più strette con gli Stati Uniti.

 

Come riportato da Renovatio 21, la scorsa settimana Trump ha dichiarato che il Sudafrica è indegno di essere parte membro di «qualsiasi cosa» e non otterrà un invito al summit del G20 del prossimo anno in Florida, in quanto ritenuto «non degno» di figurare come membro «in alcun contesto».

 

Come riportato da Renovatio 21, l’imbarazzante incontro nello studio ovale tra Trump e il presidente sudafricano Ramaphosa, dove il primo mostrò al secondo le immagini del massacro dei bianchi nel Paese, avvenne pochi giorni dopo che Trump aveva pubblicamente accolto decine di rifugiati afrikaner.

 

A inizio mese l’amministrazione Trump ha dichiarato che le ammissioni di rifugiati per l’anno fiscale 2026 saranno limitate a sole 7.500 unità, il numero più basso di sempre, con priorità per i sudafricani bianchi in fuga dalle persecuzioni.

 

L’Ordine Esecutivo è stato emesso dopo che l’amministrazione Trump ha duramente criticato il governo sudafricano per le nuove misure di riforma agraria che consentono l’appropriazione di terreni privati senza indennizzo. L’amministrazione Trump ha affermato che le misure sarebbero state utilizzate per colpire i proprietari terrieri bianchi, come misure simili erano state adottate in altri paesi africani, in particolare lo Zimbabwe.

 

I primi sudafricani bianchi ammessi negli Stati Uniti con questa nuova designazione, 59 in totale, sono sbarcati negli Stati Uniti a maggio.

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La scena di scontro nello Studio Ovale ha ricordato ad alcuni osservatori quella del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj all’inizio di quest’anno, quando quest’ultimo fu cacciato dalla Casa Bianca. Lo Studio Ovale sta divenendo de facto un luogo della verità detta fuori dai denti, dove le maschere diplomatiche cadono, e i leader internazionali possono venire castigati per la loro inadeguatezza o i loro crimini veri e propri.

 

Come riportato da Renovatio 21, vari gruppi boeri da anni ritengono di essere oggetti di una vera persecuzione se non di una pulizia etnica, con abbondanza disperante episodi di crimine, torture e violenza efferata di ogni sorta. I boeri hanno cercato, e trovato, anche l’aiuto della Russia di Vladimiro Putin.

 

Come riportato da Renovatio 21, Ernst Roets, responsabile politico del Solidarity («Movimento di Solidarietà»), un network di organizzazioni comunitarie sudafricane che conta più di 500.000 membri, ha dichiarato che, nonostante le indicibili violenze e torture subite dalle comunità bianche in Sud Africa, nel prossimo futuro «l’Europa sarà peggio».

 

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Immagine di Treasurer Ron Henson via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Geopolitica

Putin sostiene Maduro nella situazione di stallo con gli Stati Uniti

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Il presidente russo Vladimir Putin ha rinnovato il suo pieno appoggio al presidente venezuelano Nicolás Maduro, nonostante l’intensificazione della presenza militare statunitense nei Caraibi.   I due leader hanno evidenziato l’eccezionale solidità dei rapporti tra Mosca e Caracas nel corso di una telefonata avvenuta giovedì. Secondo quanto riferito dal Cremlino, Putin «ha espresso solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il proprio sostegno alla ferma determinazione del governo guidato da Maduro nel difendere la sovranità nazionale e gli interessi del Paese dalle ingerenze esterne».   I presidenti hanno confermato l’impegno a dare piena attuazione al trattato di partenariato strategico firmato lo scorso maggio.   Dal canto suo, il governo venezuelano ha fatto sapere che Putin e Maduro hanno sottolineato «la natura strategica, solida e in costante crescita delle relazioni bilaterali» e che il leader russo ha manifestato il proprio sostegno agli sforzi di Maduro volti a «rafforzare la pace, la stabilità politica e lo sviluppo economico».

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La telefonata è arrivata pochi giorni dopo il sequestro, da parte degli Stati Uniti, di una petroliera salpata da un porto venezuelano all’inizio del mese. La procuratrice generale statunitense Pam Bondi ha dichiarato che la nave era già stata sanzionata in passato per aver presumibilmente trasportato petrolio iraniano.   Caracas ha definito l’operazione «un atto di pirateria» e ha accusato Washington di voler «saccheggiare» le risorse naturali venezuelane.   Da settembre gli Stati Uniti hanno dispiegato una flotta navale nei Caraibi e hanno fermato oltre venti imbarcazioni sospettate di traffico di droga in acque internazionali. Secondo quanto riportato da Reuters, l’amministrazione americana si starebbe preparando a intercettare ulteriori navi che trasportano greggio venezuelano nell’ambito della campagna di massima pressione contro Maduro, accusato dal presidente Donald Trump di collusione con i cartelli della droga.   Maduro ha respinto categoricamente ogni legame del suo governo con il narcotraffico, ha promesso di difendere il Paese da una eventuale invasione e ha bollato le azioni di Washington come «colonialiste», avvertendo che potrebbero scatenare «una guerra folle» nella regione.   Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa si era parlato di una telefonata segreta tra Trump e Maduro.   Gli Stati Uniti hanno offerto una taglia di 50 milioni di dollari per informazioni che conducano all’arresto o alla condanna di Maduro, ritenuto dagli americani a capo di una ghenga narcoterrorista.   Diverse notizie della scorsa settimana indicano che Washington stia pianificando operazioni in Venezuela e abbia identificato potenziali bersagli legati al presunto narcotraffico. Gli USA avrebbero schierato nella zona circa 16.000 soldati e otto navi da guerra della Marina.

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Il Venezuela ha stigmatizzato il rinforzo militare come violazione della sovranità e tentativo di golpe. Il governo venezuelano starebbe cercando appoggio da Russia, Cina e Iran. Mosca ha di recente riaffermato la sua alleanza con Caracas, esprimendo pieno sostegno alla leadership del Paese nella difesa della propria integrità. Mosca ha accusato il mese scorso Washington di preparare il golpe in Venezuela.   Come riportato da Renovatio 21, Maduro, che avrebbe offerto ampie concessioni economiche agli USA per restare al potere, sarebbe stato oggetto di un tentativo di rapimento tramite il suo pilota personale.   Trump nelle scorse settimane ha ammesso di aver autorizzato le operazioni CIA in Venezuela. Di piani CIA per uccidere il presidente venezuelano il ministro degli Interni del Paese aveva parlato lo scorso anno.   Come riportato da Renovatio 21, Maduro aveva denunciato l’anno scorso la presenza di mercenari americani e ucraini in Venezuela. «Gli UA finanziano Sodoma e Gomorra» aveva detto.    

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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L’Ungheria dice che il capo della NATO «pugnala alle spalle» e «alimenta la guerra»

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Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha accusato il segretario generale della NATO Mark Rutte di «alimentare le tensioni belliche» con dichiarazioni «irresponsabili», sostenendo che la Russia potrebbe prepararsi ad attaccare l’Alleanza entro pochi anni.

 

Giovedì Rutte aveva dichiarato che «siamo il prossimo obiettivo della Russia» e aveva invitato i membri della NATO ad accelerare l’incremento della spesa per la difesa, aggiungendo che Mosca «potrebbe essere pronta a impiegare la forza militare contro la NATO entro cinque anni».

 

In un post pubblicato venerdì su Facebook, lo Szijjarto ha definito le parole di Rutte «assurdità», affermando che «chiunque nutrisse ancora dubbi sul fatto che a Bruxelles abbiano completamente perso il senno, dopo queste dichiarazioni ne sarà definitivamente convinto».

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Lo Szijjarto ha interpretato i commenti come un chiaro segnale che «tutti a Bruxelles si sono schierati contro gli sforzi di pace del presidente degli Stati Uniti Donald Trump» e che il segretario generale della NATO abbia «di fatto pugnalato alle spalle i negoziati di pace».

 

«Noi ungheresi, in quanto membri della NATO, rigettiamo le affermazioni del Segretario Generale! La sicurezza dei Paesi europei non dipende dall’Ucraina, ma dalla NATO stessa… Dichiarazioni provocatorie di questo tipo sono irresponsabili e pericolose! Chiediamo a Mark Rutte di cessare immediatamente di alimentare le tensioni legate alla guerra!!!»

 

L’Ungheria ha più volte assunto posizioni divergenti rispetto alla maggioranza dei partner UE e NATO sul conflitto ucraino, sostenendo che ulteriori forniture di armi a Kiev non farebbero che prolungare le ostilità. Budapest ha sempre invocato l’avvio di negoziati diretti tra Russia e Ucraina, ha criticato le sanzioni occidentali contro Mosca considerandole dannose per l’economia europea e si è opposta ai piani dell’UE di utilizzare gli asset russi congelati per finanziare l’Ucraina, definendoli illegittimi.

 

 

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Immagine di NATO North Atlantic Threaty via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

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