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Turchia, nazionalismo e islam: i due motori della persecuzione anti-cristiana. Lupi grigi nelle scuole

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il rapporto di Open Doors classifica il Paese fra i primi 50 al mondo in cui si registrano più casi di abusi, violenze, attacchi mirati e omicidi. La minoranza è la «più perseguitata» e nell’ultimo anno il fenomeno è aumentato. Nel mirino comunità protestanti e gruppi storici come caldei, armeni e assiri. I «Lupi Grigi» nelle scuole per veicolare programmi di chiara matrice neo-ottomana.

 

Oppressione islamica e nazionalismo a sfondo confessionale. Sono le due minacce che gravano sulla comunità cristiana in Turchia, una sparuta minoranza pari allo 0,3% del totale (poco meno di 260mila su oltre 84 milioni di abitanti) che è anche «la più perseguitata», in particolare nell’ultimo anno in cui gli attacchi sono aumentati. È quanto emerge dal rapporto World Watch List 2025 pubblicato da Open Doors, che riferisce di «pressioni» sociali e istituzionali e «restrizioni governative» a fronte di un crescente predominio della maggioranza musulmana.

 

Lo studio classifica Ankara fra le 50 nazioni al mondo (è al 45mo) in cui i cristiani sono soggetti al maggior numero di ostacoli nella pratica quotidiana del culto. E rivela anche un «preoccupante mix» di sfide culturali, giuridiche e sociali che finiscono per emarginare la popolazione cristiana, oltre a casi irrisolti di violenze che attendono giustizia invano.

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Comunità «vulnerabile»

In Turchia, o meglio Türkiye come viene oggi identificata in ottemperanza ai dettami del presidente Recep Tayyip Erdogan, i cristiani devono affrontare ogni giorno discriminazioni per la loro fede, sia nelle richieste di lavoro che nelle procedure legali o quando rientrano nel Paese.

 

Secondo Open Doors la situazione è particolarmente critica per i convertiti dall’islam che sono soggetti a minacce, arresti (anche arbitrari), detenzioni, perdita del lavoro, negazione del diritto di successione e persino l’espulsione dal nucleo familiare. E sotto l’attuale governo è in marcato aumento anche la violenza contro le donne, compresi gli omicidi.

 

Le Chiese lottano con ostacoli legali e burocratici volti a impedire la pratica della fede, mentre una politica improntata al nazionalismo considera sempre più «l’essere musulmano» elemento «necessario» per un cittadino turco «fedele» alla patria. Tutto questo finisce per esercitare una notevole pressione sociale sui cristiani, nonostante la presenza millenaria nel Paese.

 

La propaganda ufficiale, però, ha finito per raccontare la religione come una «influenza occidentale negativa», una posizione che viene in molti casi condivisa anche dai musulmani moderati e dai turchi laici «orgogliosi» della propria identità nazionale.

 

In una condizione ancor più critica versano quanti si convertono dall’islam, che diventano «vittime» di forti pressioni da parte delle famiglie di origine e dall’ambiente sociale in cui vivono, perché «cambino idea» tornando ad abbracciare l’islam. Certo, non vi è una esplicita punizione in base al reato di apostasia come avviene altrove e la pratica «non è illegale» ma, al tempo stesso, viene considerata «fonte di vergogna».

 

Non mancano minacce e pressioni anche verso i gruppi cristiani «storici», come la Chiesa armena, assira e caldea in particolare nella regione sud-orientale a maggioranza curda, dove si sono verificati alcuni episodi di cronaca – fra i quali l’omicidio di una coppia di anziani – tuttora irrisolti. A questo si aggiungono l’aumento di attacchi agli edifici ecclesiastici, due omicidi e il divieto di ingresso per alcuni membri della comunità protestante; e ancora migranti, rifugiati o richiedenti asilo provenienti da Iran, Afghanistan e Siria costretti a lasciare il Paese e oggetto di abusi e discriminazioni.

 

Attacchi mirati e impunità

Omicidi irrisolti, minacce di deportazioni, attacchi mirati: nelle scorse settimane sono emerse almeno tre diverse vicende che testimoniano il quadro di ostilità. La prima riguarda un pastore iraniano, fuggito dal proprio Paese e ora sotto la minaccia di deportazione dopo 10 anni di vita e ministero in Turchia. Mojtaba Ahmadi deve rispondere di accuse di immigrazione irregolare poco chiare, nonostante i suoi sforzi per ottenere lo status di rifugiato. Se tornasse in Iran, egli rischierebbe un’ulteriore incarcerazione, la tortura o addirittura l’esecuzione.

 

Secondo Joel Richardson, del Global Catalytic Ministries, Ankara presenta regolarmente false accuse per nascondere la persecuzione religiosa. Tra i casi di alto profilo vi sono quelli di Andrew Brunson e Jeremiah Mattix. «Stiamo assistendo a un fenomeno generalizzato, in cui la Turchia esercita pressioni, arresta o allontana ministeri e pastori» spiega Richardson, con false accuse di costituire una «minaccia» per la sicurezza nazionale. In questo modo non vi è la possibilità di «ritenere il governo responsabile della persecuzione religiosa» in una strategia più ampia che vuole «far rivivere la supremazia ottomana sul Medio oriente».

 

Dei giorni scorsi è la notizia dell’archiviazione – in tutta fretta – di un’inchiesta collegata al reclutamento di un esponente del movimento ultra-nazionalista turco da parte dell’intelligence, per uccidere membri della comunità protestante nella provincia di Malatya, nel Sud-Est. La vicenda è emersa quando il potenziale assassino ha cambiato idea denunciando: Tolgahan Aban, una figura della galassia dell’estrema destra, sarebbe stato contattato dai servizi per eliminare Vedat Serin, pastore e rappresentante di una associazione legata alle Chiese di Kurtuluş.

 

I fatti risalgono al settembre del 2022, ma sono emersi in un secondo momento, e tracciano un quadro in cui appare evidente il progetto di eliminare «missionari cristiani».

 

Infine, vi è il mistero irrisolto a cinque anni di distanza della scomparsa di una coppia di anziani cristiani – Shamouni, 65 anni, e Hormuz Diril, 71 anni – dal villaggio di Mir, provincia di Şırnak. Di loro si è persa traccia l’8 gennaio 2020: l’ultimo contatto risale al giorno precedente quando il figlio padre Ramzi Diril, sacerdote caldeo in Iraq, ha parlato con loro al telefono.

 

Alcune settimane più tardi, il 21 marzo, è riemerso nei pressi di un fiume il cadavere mutilato della donna, mentre del marito non si sono mai rivenute le tracce. Ancora oggi non si conoscono autori e movente di un omicidio efferato, con le autorità turche che – anche in questo caso – hanno archiviato con troppa fretta.

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Iper-nazionalismo

Le crescenti persecuzioni a livello confessionale in Turchia sono legate al rafforzamento dell’ideologia nazionalista promossa dal governo e dal presidente Erdogan, che si riflette anche nelle scuole del Paese. Prova ne è la firma di un protocollo ufficiale che permette a un gruppo dell’estrema destra di inviare propri rappresentanti negli istituti, per veicolare un programma di chiara matrice neo-ottomana che dovrebbe raggiungere milioni di studenti.

 

Un approfondimento in materia del Middle East Forum (MEF) mostra come, l’ultimo giorno del 2024, il ministero dell’Istruzione abbia firmato un protocollo con la Fondazione Ülkü Ocakları per l’Educazione e la cultura (Ülkü Ocakları Eğitim ve Kültür Vakfı). Una fazione che rappresenta l’ala giovanile del Partito del Partito del Movimento Nazionalista (MHP), fazione di estrema destra alleata del partito per la Giustizia e lo sviluppo (AKP) di Erdogan e braccio politico dei «Lupi grigi». Il gruppo, i cui membri aspirano a uno Stato pan-turco nei territori ex ottomani, è collegato a varie forme di criminalità organizzata, tra cui traffico di droga e omicidi ed è bandito in diversi Paesi europei.

 

Per attivisti e critici i programmi educativi, frequentati da oltre un milione di studenti, rischiano di diventare terreno fertile di coltura ideologica per Ülkü Ocakları – un gruppo guidato esclusivamente dalla propria agenda politica, radicata nella discriminazione e nell’emarginazione.

 

Il protocollo porta la firma del presidente Ahmet Yiğit Yıldırım e del capo della Direzione generale per l’apprendimento permanente del ministero dell’Istruzione Cengiz Mete. La fondazione del gruppo è autorizzata a organizzare corsi generali, professionali e tecnici nell’ambito dei programmi di istruzione pubblica e rivolti principalmente ai giovani adulti. Tuttavia, le lezioni finiranno per essere frequentate anche da minori, detenuti e stranieri.

 

Il gruppo non avendo una reale competenza nell’offerta di corsi tecnici e professionali spinge i critici a pensare che il solo scopo sia quello di garantire all’alleato di Erdogan l’accesso a un’ampia fascia di giovani generazioni da indottrinare in chiave «ultra-nazionalista». Uno schema che, oltretutto, viola sia la Costituzione sia la legge fondamentale sull’istruzione, che vieta la propaganda politica nelle istituzioni pubbliche e scolastiche, ma di questo né il presidente né l’alleato e leader MHP Devlet Bahçeli sembrano preoccuparsene.

 

Infine, il ramo giovanile di Ülkü Ocakları, braccio armato dell’MHP, è collegato a violenze, omicidi, traffico di droga e altre attività criminali. E pure l’agenzia di Intelligence turca, il MIT, lo ha utilizzato per reclutare uomini armati per operazioni clandestine sia in Turchia che all’estero.

 

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Immagine di Darwinek via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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La Turchia espelle i cristiani perché minacciano la sicurezza nazionale

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In Turchia i cristiani vengono espulsi dal Paese con l’accusa di rappresentare una «minaccia alla sicurezza nazionale». Lo riporta LifeSite.   Durante la conferenza sui diritti umani tenutasi a Varsavia il 13 ottobre, Lidia Rieder, esperta legale di Alliance Defending Freedom International, ha denunciato che i cristiani sono nel mirino del governo turco. «Classificare i pacifici residenti cristiani come “minacce alla sicurezza” è un evidente abuso del diritto e un attacco alla libertà religiosa», ha dichiarato le Rieder. «Quando i governi manipolano i sistemi amministrativi o di immigrazione per escludere le persone solo per la loro fede, ciò compromette lo stato di diritto e i principi di tolleranza e coesistenza pacifica che l’OSCE è stata creata per difendere».   La popolazione turca è composta per circa il 99% da musulmani, con meno dell’1% di cristiani. Sotto il governo autoritario di destra di Recep Erdogan, la Turchia riveste un ruolo geopolitico chiave grazie alla sua posizione strategica tra Europa e Medio Oriente. Sebbene membro della NATO, mantiene stretti legami con paesi musulmani come Qatar e Azerbaigian, che di recente, con il supporto di armi turche, hanno costretto oltre 100.000 cristiani a fuggire dal Nagorno-Karabakh verso l’Armenia.   Un comunicato di ADF ha riportato che dal 2020 «più di 200 lavoratori cristiani stranieri e le loro famiglie, circa 350 persone, sono stati espulsi dalla Turchia, molti dei quali residenti da decenni». Il ministero degli Interni ha assegnato a questi individui «codici di sicurezza» come N-82 e G-87, vietandone il rientro e classificandoli come minacce alla sicurezza nazionale.   Un rapporto del 2024 della Freedom of Belief Initiative ha confermato le conclusioni di ADF, indicando i cristiani come la minoranza religiosa più perseguitata in Turchia, con oltre 50 episodi di violenza contro di loro dal 2020.

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Interpellata da Fox News Digital, l’ambasciata turca a Washington ha rimandato a una dichiarazione del Centro per il Contrasto alla Disinformazione del Paese, che il 15 ottobre ha respinto le accuse di Rieder, definendole «infondate e parte di una campagna di disinformazione deliberata». «Il rispetto delle fedi e il pluralismo sono elementi essenziali dell’ordine democratico del nostro Paese», si legge. «La Turchia, come ogni Stato sovrano, può adottare decisioni amministrative sui cittadini stranieri per vari motivi, come violazioni dei visti, disturbi dell’ordine pubblico o mancanza di permessi legali».   Rieder ha citato il caso Wiest contro Turchia, che sarà esaminato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il caso riguarda Kenneth Wiest, un cristiano americano residente legalmente in Turchia per oltre trent’anni, a cui è stato negato il rientro nel 2019 senza prove di illeciti.   «I divieti di ingresso e le espulsioni sono sempre più usati per silenziare i lavoratori cristiani stranieri, mentre la formazione teologica rimane fortemente limitata», ha affermato ADF. «Ai seminari protestanti è negato lo status legale, l’educazione biblica è vietata, mentre i corsi di teologia islamica sono permessi sotto supervisione statale. Anche le proprietà ecclesiastiche subiscono restrizioni ingiuste, con comunità come quella protestante di Bursa costrette ad abbandonare luoghi di culto storici».   Come riportato da Renovatio 21, in questi anni la Turchia è stata teatro di attacchi contro chiese, come quello nel quartiere Sariyer di Costantinopoli, ascritto all’ISIS. Vi è inoltre il fenomeno di cristiani uccisi in storie su dispute su terreni. La persecuzione anticristiana è parimenti alimentata dall’islam e dal nazionalismo turco.   Bombe turche hanno distrutto una chiesa assira nel Nord-Est della Siria tre anni fa. Altri luoghi sacri cristiani, come Santa Sofia (convertita all’Islam alla presenza dell’Erdogano) e Chora (dove sono stati coperti affreschi e mosaici, e dove persino il museo diviene luogo di culto musulmano) a Costantinopoli e la cattedrale di Ani sono divenute moschee.   All’inizio di questa settimana, l’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre ha pubblicato il rapporto 2025 sulla persecuzione religiosa globale, evidenziando che 5,4 sugli 8 miliardi di persone del pianeta subiscono discriminazioni per le loro convinzioni religiose. Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha espresso preoccupazione martedì, affermando che «uomini e donne meritano ovunque libertà da ogni forma di coercizione in materia di fede».   Come riportato da Renovatio 21, il Parolin ha negato che in Nigeria vi sia in atto una persecuzione di cristiani: quello nigeriano «non è un conflitto religioso, è più un conflitto di tipo sociale, per esempio tra gli allevatori e gli agricoltori», ha dichiarato il segretario di Stato Vaticano, suscitando gli strali di monsignor Carlo Maria Viganò.    

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Immagine dalla chiesa di Santa Irene, Costantinopoli Immagine di Carole Raddato via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
       
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Ultras rumeni espongono lo striscione «Difendiamo i cristiani nigeriani» durante le qualificazioni ai Mondiali

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In un gesto significativo per attirare l’attenzione globale sulla persecuzione dei cristiani in Nigeria, i tifosi della nazionale di calcio rumena hanno esposto un grande striscione con la scritta «DIFENDETE I CRISTIANI NIGERIANI» durante una partita di qualificazione alla Coppa del Mondo a Bucarest.

 

Questa dimostrazione di solidarietà si inserisce nel contesto dei continui e brutali attacchi, spesso mortali, compiuti da gruppi terroristici islamici contro le comunità cristiane nel Paese africano.

 

 

La persecuzione anticristiana in Nigeria si è aggravata dopo il 1999, quando 12 stati del Nord hanno adottato la sharia. L’ascesa di Boko Haram nel 2009 ha segnato un’ulteriore escalation, con il gruppo noto per il rapimento di centinaia di studentesse nel 2014, di cui 87 risultano ancora disperse.

 

Recentemente, attacchi nel Paese hanno incluso rapimenti e omicidi di sacerdoti e seminaristi cattolici. A luglio, la diocesi di Auchi, nello Stato di Edo, ha riferito che uomini armati hanno attaccato il Seminario Minore dell’Immacolata Concezione, uccidendo una guardia e rapendo tre seminaristi.

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Come riportato da Renovatio 21, rapporto pubblicato quest’estate dalla Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha evidenziato numerosi attacchi sponsorizzati dallo Stato contro i cristiani in Nigeria.

 

La situazione è deteriorata al punto che il rapporto 2025 della Lista Rossa di Global Christian Relief (GCR) ha indicato la Nigeria come uno dei luoghi più pericolosi per i cristiani. Nella primavera del 2023, la Società Internazionale per le Libertà Civili e lo Stato di Diritto ha riferito che oltre 50.000 persone sono state uccise nel Paese per la loro fede cristiana dal 2009.

 

Nel suo rapporto del 2025, l’USCIRF ha esortato il governo statunitense a designare la Nigeria come «paese di particolare preoccupazione», esprimendo delusione per la lentezza, e a volte apparente riluttanza, del governo nigeriano nel rispondere a questa violenza, creando un clima di impunità per gli aggressori.

 

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Immagine di TUBS via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported; immagine modificata

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Spagna, l’islamo-sinistra non riesce a imprigionare un prete

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In Spagna, un processo senza precedenti mette in luce le crescenti tensioni tra le libertà della Chiesa e l’amministrazione catalana. Padre Custodio Ballester, un sacerdote cattolico di 61 anni di Barcellona, ​​che rischiava tre anni di carcere e otto anni di interdizione dall’insegnamento per dichiarazioni critiche nei confronti dell’Islam pronunciate nel 2016 e nel 2017, è stato appena assolto.   Non tutte le verità sono belle da dire: padre Ballester, sacerdote dell’arcidiocesi di Barcellona e attualmente coadiutore della parrocchia di San Sebastián de Badalona, ​​lo ha imparato a sue spese. Noto per il suo impegno nelle cause pro-life e per una visione piuttosto tradizionalista della Chiesa, il sacerdote è già stato oggetto di denunce per omelie anti-aborto, tutte respinte.   Fu una pubblicazione del dicembre 2016 ad accendere la miccia: un articolo intitolato «Il dialogo impossibile con l’Islam», pubblicato sulla rivista cattolica Germinans Germinabit. Questo testo rispondeva a una lettera pastorale dell’arcivescovo di Barcellona, ​​il cardinale Juan José Omella, intitolata «Il dialogo necessario con l’Islam», in cui l’autore invitava i cattolici a promuovere la comprensione reciproca di fronte all’aumento delle migrazioni: un’eco religiosa di papa Francesco.   Nel suo saggio, padre Ballester sostiene ad hominem che un vero dialogo interreligioso è impossibile con la dottrina islamica. Cita esempi storici e contemporanei di persecuzione contro i non musulmani in Paesi a maggioranza islamica come Pakistan, Nigeria e Siria.   «L’Islam non ammette il dialogo. O credi, o sei un infedele che deve essere soggiogato in un modo o nell’altro», ha scritto, riferendosi ai versetti del Corano che legittimano la violenza contro i non credenti. Ha chiesto al cardinale Omella: «di quale dialogo stiamo parlando quando ci sono Paesi in cui coloro che non professano l’Islam vengono assassinati?»   Nel 2017, padre Ballester ha ribadito i suoi commenti durante un’intervista online al programma La Ratonera . Accompagnato da Padre Jesús Calvo, un sacerdote ottantenne, il dibattito ha affrontato le minacce che il jihadismo rappresenta per l’Europa. Questi scambi, insieme all’articolo iniziale, sono stati inseriti nel fascicolo dai procuratori di Malaga, dove si trova la piattaforma che ospita il dibattito online.

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Nel marzo 2017 è stata presentata una denuncia dall’associazione di Barcellona Musulmani contro l’Islamofobia, legata ad ambienti di sinistra. Finanziata dal governo regionale catalano, l’organizzazione ha accusato Ballester di promuovere la discriminazione e l’incitamento all’odio contro l’Islam. La procura di Malaga, guidata da una donna che dirige anche un Osservatorio per l’Uguaglianza, ha chiesto una pena esemplare: tre anni di carcere e otto anni di interdizione dall’insegnamento.   Il processo, inizialmente previsto per settembre 2024, si è finalmente tenuto il 1° ottobre 2025 presso il Tribunale provinciale di Malaga, in udienza pubblica. Dopo circa due settimane, la sentenza è stata emessa: il Tribunale ha stabilito che non sussistevano gli elementi oggettivi del reato, «per quanto spregevole e perverso potesse essere il messaggio», hanno aggiunto i magistrati.   Padre Ballester denuncia un «clima di terrore» progettato per mettere a tacere i dissidenti. «Vogliono dare l’esempio affinché altri si autocensurino», ha confidato a El Debate. Aggiunge di essere fortunato nella sua sfortuna perché, in Pakistan, i suoi commenti potrebbero costargli la pena di morte. Parlando alla Catholic News Agency, ha chiarito: «le mie dichiarazioni non sono mai state discriminatorie o odiose e avevano lo scopo di allertare i fedeli sulle minacce al cristianesimo, senza prendere di mira singoli individui».   I media di destra denunciano la persecuzione ideologica, sottolineando le presunte simpatie dell’associazione querelante per gruppi come i talebani o il regime iraniano, e notano anche che le richieste dell’accusa contrastano con la clemenza nei confronti dei discorsi anticristiani: i giudici si sono recentemente rifiutati di incriminare un comico per commenti che chiedevano di lapidare i sacerdoti o di bombardare la Valle dei Caduti, definendoli «umoristici».   Personaggi come l’eurodeputato Juan Carlos Girauta del partito di destra nazionale Vox sostengono padre Ballester, sottolineando che il suo articolo riecheggia la conferenza di Benedetto XVI del 2006 a Ratisbona su fede e ragione. Una petizione online ha persino raccolto oltre 25.000 firme chiedendo l’archiviazione delle accuse, affermando: «è surreale: gli attacchi alle chiese restano impuniti, ma un sacerdote rischia il carcere per aver messo in guardia contro l’estremismo».   Mentre Vox ha reagito, la gerarchia cattolica spagnola rimane in silenzio. La Conferenza Episcopale Spagnola non ha rilasciato alcuna dichiarazione e l’arcidiocesi di Barcellona ha optato per un «silenzio discreto». A magra consolazione, il cardinale Omella, la cui lettera aveva spinto il sacerdote a rispondere nel 2016, lo avrebbe «rassicurato» in privato: «se finisci in prigione, verrò a trovarti…». Ma padre Ballester è stato infine assolto.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Immagine screenshot da YouTube
 
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