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Geopolitica

Trump commenta le dimissioni di Trudeau parlando dell’annessione del Canada

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Il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, ha proposto che il Canada diventi formalmente il 51° stato americano, dopo che il primo ministro canadese Giustino Trudeau si è dimesso dalla leadership del partito.

 

Il figlio del premier Pierre Trudeau si è dimesso lunedì citando «battaglie interne» nel Partito Liberale. Resterà primo ministro ad interim finché il partito non eleggerà un nuovo leader, dirigendosi verso nuove elezioni parlamentari previste prima della fine di ottobre.

 

«Molte persone in Canada ADORANO essere il 51° Stato», ha scritto Trump sulla sua piattaforma Truth Social lunedì pomeriggio. «Gli Stati Uniti non possono più soffrire gli enormi deficit commerciali e sussidi di cui il Canada ha bisogno per restare a galla. Justin Trudeau lo sapeva e si è dimesso».

 

Se il Canada si «fondesse» con gli USA, non ci sarebbero tariffe, i canadesi pagherebbero tasse più basse ed entrambi sarebbero «totalmente al sicuro» dalla «minaccia delle navi russe e cinesi che li circondano costantemente», ha aggiunto Trump. «Insieme, che grande nazione sarebbe!!!»

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Le dimissioni di Trudeau sembrano essere state guidate, almeno in parte, dalla minaccia di Trump di una tariffa del 25% sulle merci provenienti sia dal Canada che dal Messico. Il futuro presidente ha accusato entrambi i vicini di aver permesso a immigrati clandestini, «crimine e droga» di entrare negli Stati Uniti, accumulando al contempo ingiusti surplus commerciali con Washington abusando dei trattati di libero scambio. La minaccia tariffaria ha innescato le dimissioni della vice di Trudeau, Chrystia Freeland, aprendo una frattura tra i liberali.

 

Il leader canadese ha provato a discutere la questione direttamente con Trump, volando alla residenza del presidente eletto in Florida all’inizio di dicembre. Durante una cena a Mar-a-Lago, tuttavia, Trump ha scherzosamente chiamato Trudeau «governatore» e ha scherzato dicendo che il Canada dovrebbe diventare il 51° stato degli Stati Uniti.

 

Da allora Trump ha continuato a scherzare, ipotizzando che il Canada potrebbe addirittura essere diviso in due stati, uno conservatore e uno liberale. Come noto, il biondo del Queens anche parlato di acquisire la Groenlandia, l’isola artica al largo della costa nord-orientale del Canada che è un territorio autonomo della Danimarca.

 

Il Canada è stato formato dai restanti possedimenti britannici in Nord America dopo che le 13 colonie originali hanno ottenuto l’indipendenza nel XVIII secolo. Mentre gran parte dell’Ottawa ufficiale ha liquidato il discorso di unificazione di Trump, l’investitore e personaggio televisivo Kevin O’Leary ha affermato che circa metà del Paese lo avrebbe accettato.

 

Il post di Trump sul Canada è arrivato subito dopo che il Congresso degli Stati Uniti ha votato per certificare i risultati delle elezioni presidenziali del 2024, garantendo che presterà giuramento come 47° presidente tra due settimane.

 

Una inscalfibile leggenda metropolitana vuole che Justin sia figlio biologico non dell’ex premier Pierre Trudeau ma di Fidel Castro, ipotesi smentita dal governo Trudeau per fugare i dubbi messi in rete dai collage di foto comparative. Pierre Trudeau e la moglie, noti per certe libertà di coppia, ebbero vari incontri con Castro perché il Canada, a differenza degli USA, mantenne rapporti aperti con L’Avana.

 

Le dimissioni lasciano pensare ad un’ulteriore fuga di Trudeau, dopo quella, tra caterve di insulti e falsità, di quando i camionisti in protesta contro il pass vaccinale arrivarono nella capitale Ottawa, per poi essere definizi dallo stesso premier nazisti (lui, la cui vice membro WEF è discendente di un collaborazionista hitleriano ucraino; lui, che ha fatto applaudire in Parlamento un ex soldato ucraino filonazista che aveva combattuto nella Seconda Guerra mondiale), essere arrestati con una repressione che arrivò bloccare le raccolte fondi su internet, per poi passare al congelamento dei conti correnti di chi protestava – una grande prova della guerra finanziaria totale contro il popolo stesso: furono bloccati perfino i conti online in criptovalute.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Geopolitica

Riconsegna degli ostaggi, la folla israeliana fischia Netanyahu e inneggia a Trump

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Durante un raduno per il ritorno degli ostaggi israeliani a Tel Aviv, la folla ha interrotto l’inviato americano Steve Witkoff per fischiare il premier dello Stato Ebraico Beniamino Netanyahu e inneggiare al presidente statunitense Donald Trump.   Il pubblico più di una volta ha fermato tra urla e fischi lo Witkoff mentre cercava di dire che Netanyahu era stato con lui «nelle trincee». L’americano, con evidenza non abituato a trattare con le folle, ha chiesto che lo lasciassero parlare, ma i «boo» e i fischi soverchiavano quanto diceva, specie quando faceva il nome di Netanyahu.   Quando è stato nominato il presidente Trump la folla è esplosa con un canto roboante: «Thank You Trump».     Alle spalle dello Witkoff sono visibili la figlia di Trump Ivanka e il marito Jared Kushner.   Ivanka, per sposare l’ebreo Kushner, si è convertita al giudaismo. Il padre del Jared, Charles Kushner, immobiliarista del Nuova Jersey finito in galera per una sordida storia di ricatti infrafamigliari, figurava come uno dei primi sostenitori americani di Netanyahu, al punto che si diceva che Bibi dormisse nella cameretta del Jared quando si trovava a Nuova York.     Ora il Kushner senior è stato fatto ambasciatore a Parigi, dove ha già sollevato ulteriori controversie riguardo le sue posizioni sioniste. Jared aveva fatto pesanti commenti sul valore immobiliare di Gaza.   Come riportato da Renovatio 21, parenti e genitori degli ostaggi israeliani hanno in questi anni organizzato proteste massive in cui hanno accusato il governo dello Stato Giudaico di aver dimenticato i propri figli.  

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Geopolitica

Lukashenko: l’Ucraina potrebbe cessare di esistere

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Il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha avvertito che l’Ucraina rischia di scomparire come Stato se non si troverà una soluzione diplomatica al conflitto con la Russia e se le truppe russe continueranno la loro avanzata.

 

All’inizio di ottobre, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che le forze russe stanno progredendo su quasi tutto il fronte, liberando dall’inizio dell’anno circa 5.000 km² di territorio e assumendo il controllo di oltre 210 insediamenti precedentemente occupati dall’esercito ucraino.

 

In un’intervista di domenica con il giornalista russo Pavel Zarubin, Lukashenko ha sottolineato l’urgenza di avviare «immediatamente» negoziati seri per risolvere il conflitto. «La Russia sta avanzando sul fronte… e questo potrebbe portare alla dissoluzione dell’Ucraina come Stato», ha dichiarato.

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Lukashenko ha aggiunto che i «folli» vicini occidentali dell’Ucraina «si vedono già nell’Ucraina occidentale» e sono pronti a «strappare una parte del territorio ucraino», senza specificare quali Paesi.

 

Il leader bielorusso ha indicato il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj come il principale ostacolo alla pace, più degli Stati Uniti, della Russia o dei leader dell’Europa occidentale. «Il problema risiede soprattutto in Zelensky. Credo sia necessaria una forte pressione esterna» per costringerlo a impegnarsi nei negoziati, ha detto Lukashenko. «E sotto questa pressione, verranno prese le decisioni appropriate».

 

A fine settembre, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha dichiarato che i colloqui diretti tra Russia e Ucraina sono fermi a causa della riluttanza di Kiev a rispettare l’accordo sulla creazione di gruppi di lavoro per discutere aspetti specifici di una possibile soluzione. Nel 2025, le parti hanno tenuto tre round di negoziati a Istanbul, l’ultimo a luglio.

 

All’inizio di questa settimana, Putin ha evidenziato che Mosca e Washington condividono una visione comune sulla direzione da seguire per una soluzione pacifica del conflitto ucraino, ma ha sottolineato che rimangono ancora diverse «questioni complesse» da risolvere per raggiungere questo obiettivo.

 

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Immagine di Belta by via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

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Geopolitica

La Cina accoglie con favore la prima fase dell’accordo Israele-Hamas

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Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha dichiarato che «la Cina sostiene ogni iniziativa volta a ristabilire la pace e salvare vite umane». Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.   Le parole del ministro sono state pronunciate durante una conferenza stampa congiunta con il Consigliere Federale e ministro degli Esteri svizzero Ignazio Cassis a Bellinzona, Svizzera. Lo Wang ha definito il disastro umanitario a Gaza «una vergogna per il XXI secolo», sottolineando la necessità di «risvegliare la coscienza dell’umanità», avanzando tre proposte: primo, lavorare insieme per un cessate il fuoco autentico, globale e duraturo, per alleviare la crisi umanitaria e stabilizzare la regione; secondo, rispettare il consenso internazionale secondo cui «i palestinesi devono governare la Palestina», garantendo che ogni accordo sul futuro di Gaza rifletta la volontà del popolo palestinese; terzo, perseguire senza esitazioni la «soluzione dei due Stati».

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Nella sua conferenza stampa del 10 ottobre, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Guo Jiakun ha aggiunto che «la Cina spera in un cessate il fuoco completo e permanente a Gaza al più presto, per attenuare la crisi umanitaria e ridurre le tensioni regionali», ribadendo l’opposizione della Cina agli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati, definiti una violazione del diritto internazionale dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, invitando Israele a evitare azioni provocatorie in un momento di fragile cessate il fuoco.   Un editoriale del China Daily del 9 ottobre ha espresso un cauto ottimismo sul piano di pace mediato dal Presidente degli Stati Uniti, definendolo «un momento significativo nel conflitto di Gaza», ma sottolineando la necessità di valutarlo con «cauto ottimismo e uno sguardo critico». Pur rappresentando un possibile passo verso la fine del conflitto, il piano non risolve le cause profonde del conflitto israelo-palestinese. Per i palestinesi, il successo del piano si misurerà attraverso miglioramenti concreti nella loro vita quotidiana e il riconoscimento dei loro diritti.   L’editoriale ha evidenziato l’urgenza di «sforzi costanti per ricostruire Gaza e sostenere la sua popolazione», anziché offrire solo un sollievo temporaneo, e ha sottolineato che la pace richiede di affrontare le cause profonde, incluso il riconoscimento dello Stato palestinese.   Il China Daily ha concluso con una nota di prudente ottimismo, osservando che «è evidente che il piano di pace non funzionerà senza che gli Stati Uniti ne garantiscano il rispetto da parte di Israele», ricordando che Washington ha bloccato più volte, negli ultimi due anni, risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiedevano la cessazione delle ostilità, la riapertura dei corridoi umanitari e la ripresa dei negoziati. La riluttanza di Israele a ritirarsi da Gaza solleva dubbi sulla fattibilità della seconda fase del piano, anche in caso di completamento della prima.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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