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Economia

Tokyo: prezzi delle case alle stelle, superata la «bolla» del 1990

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.

 

 

Nella capitale giapponese le quotazioni dei nuovi appartamenti hanno raggiunto la quota record di 62,6 milioni di yen (quasi 500mila euro). A trainare il mercato è la domanda di unità abitative di lusso. Ma l’altra faccia della medaglia sono lo spopolamento delle campagne e le crescenti disuguaglianze.

 

 

 

Mai così alti dai tempi della bolla che sconvolse l’economia giapponese nei primi anni ’90. Secondo una ricerca pubblicata dal Real Estate Economic Institute, nel 2021 il prezzo dei nuovi appartamenti condominiali nell’area della capitale ha raggiunto la cifra record di 62,6 milioni di yen (quasi 500mila euro), sorpassando così il massimo di 61,2 milioni precedentemente stabilito nel 1990.

 

Con circa 37 milioni di persone, l’area metropolitana di Tokyo (che oltre alla capitale comprende anche le prefetture circostanti di Kanagawa, Chiba e Saitama) è la più popolata al mondo.

 

Il nuovo record si inserisce in una tendenza decennale. A partire dal 2012 i prezzi dei nuovi appartamenti hanno ripreso a crescere dopo circa due decenni di sostanziale stallo e il dato del 2021 segna un aumento del 2,9% rispetto al 2020, con un vistoso +7,5% per quanto riguarda la sola prefettura di Tokyo.

 

A spingere questa tendenza ci sono almeno tre fattori, il primo dei quali è sicuramente la politica economica varata circa un decennio fa dal governo di Shinzo Abe che tenendo bassi i tassi d’interesse ha sostenuto la domanda nel mercato immobiliare.

 

A partire dal 2012 i prezzi dei nuovi appartamenti hanno ripreso a crescere dopo circa due decenni di sostanziale stallo

Un secondo elemento poi è quello della pandemia: con il passaggio al lavoro da casa, molti cittadini giapponesi hanno toccato con mano la necessità di avere spazi domestici più ampi per coniugare la propria vita privata con quella lavorativa.

 

A questi due fattori va poi aggiunta la relativa scarsità di terreni edificabili e di manodopera, che secondo alcuni analisti influiscono sul mercato immobiliare di Tokyo.

 

L’aumento dei prezzi degli appartamenti nei nuovi condomini si riflette poi anche sul mercato di quelli già esistenti. Nel 2021 sono stati rivenduti 39.812 appartamenti nell’area di Tokyo, un numero record. Il loro prezzo però si sta avvicinando sempre di più a quello delle unità appena costruite: l’anno scorso il prezzo dell’appartamento medio di seconda mano nell’area della capitale era di 41,66 milioni di yen (oltre 320mila euro), che corrisponde a un aumento dell’11,6% secondo l’agenzia di consulenza immobiliare Tokyo Kantei.

 

Questi dati mostrano però due crescenti squilibri nel Paese.

 

Con il passaggio al lavoro da casa, molti cittadini giapponesi hanno toccato con mano la necessità di avere spazi domestici più ampi per coniugare la propria vita privata con quella lavorativa

Il primo è quello territoriale: sebbene a Tokyo il valore dei terreni residenziali sia in aumento, i dati raccolti dal governo mostrano che 38 delle 47 prefetture in cui è diviso il Paese hanno registrato una riduzione dei prezzi. Al di fuori delle tre maggiori aree metropolitane giapponesi, questa riduzione si è assestata al -0,7%.

 

Il secondo squilibrio invece è di tipo sociale.

 

A spingere in alto i prezzi è soprattutto la domanda di unità abitative di lusso collocate nelle zone centrali di Tokyo, come Chiyoda e Minato.

 

Secondo il Real Estate Economic Institute, i nuovi appartamenti il cui costo superava i 100 milioni di yen (778mila euro) hanno rappresentato l’8,6% di tutti quelli venduti nel 2021: è la percentuale più alta mai rilevata.

 

Il governo è ben conscio di quali possano essere le ripercussioni di questa dinamica, ma il settore immobiliare ha una influenza politica consistente

Questo si combina anche con un sistema di sgravi fiscali che consente di detrarre dalle tasse una quota del mutuo. Sebbene fosse stato pensato alcuni decenni fa per sostenere le famiglie giapponesi nell’acquisto di una casa, oggi questo meccanismo costituisce anche un sostegno finanziario per gli investimenti immobiliari del ceto medio-alto mentre una parte delle famiglie a basso reddito non possono accedere agli stessi benefici.

 

Il governo è ben conscio di quali possano essere le ripercussioni di questa dinamica, ma il settore immobiliare ha una influenza politica consistente.

 

Tuttavia, il problema dello spopolamento delle campagne, le crescenti disuguaglianze e la bassa natalità sono tutte questioni che rimangono indissolubilmente legate anche a come il governo deciderà di gestire il proprio mercato immobiliare.

 

 

 

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Renovatio 21 ripubblica questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Cina

La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale

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Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.

 

Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.

 

Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.

 

«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».

 

Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Economia

Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros

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Netflix avrebbe raggiunto un accordo per acquisire Warner Bros., inclusi i suoi studi cinematografici e televisivi, HBO e HBO Max, attraverso una transazione mista in contanti e azioni che valuta Warner Bros. Discovery a un valore aziendale di 82,7 miliardi di dollari (valore azionario di 72 miliardi di dollari), pari a 27,75 dollari per azione.   L’intesa dovrebbe essere finalizzata nel terzo trimestre del 2026, dopo lo scorporo programmato da parte di WBD della sua divisione Global Networks in una società quotata autonoma («Discovery Global»). Questa operazione giunge a pochi mesi dalla proposta avanzata da Paramount-Skydance per rilevare WBD.   L’accordo tra Netflix e WBD fonderà la piattaforma di streaming con un catalogo secolare e con franchise iconici come i supereroi della DC Comics, Harry Potter, Game of Thrones, I Soprano e The Big Bang Theory.

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In una nota ufficiale, Netflix ha dichiarato che l’operazione espanderà la sua library di contenuti, potenzierà le capacità produttive e favorirà una crescita sostenibile nel lungo periodo: «fornendo agli utenti una gamma più vasta di serie e film di alto livello, Netflix si attende di conquistare e trattenere un maggior numero di abbonati, incrementare l’engagement e generare entrate e profitti operativi aggiuntivi. L’azienda prevede inoltre di conseguire risparmi sui costi per almeno 2-3 miliardi di dollari annui entro il terzo anno e che la fusione avrà un effetto positivo sull’utile per azione GAAP già a partire dal secondo anno».   Secondo i termini dell’accordo, ogni azione WBD sarà convertita in 23,25 dollari in contanti più 4,50 dollari in azioni Netflix. I board di entrambe le società hanno approvato l’operazione all’unanimità.   La chiusura è attesa tra 12 e 18 mesi, subordinata all’esame regolatorio e all’ok degli azionisti di WBD. All’inizio dell’anno, Netflix ha superato le controfferte, tra cui quelle di Paramount-Skydance e Comcast.   Bloomberg ha rilevato che Hollywood non accoglie con entusiasmo questo nuovo connubio tra Netflix e WBD.   Warner Bros. Discovery ha avviato negoziati esclusivi per cedere i suoi studi cinematografici e televisivi insieme a HBO Max a Netflix, stando a fonti interne alla major – un’indicazione che il colosso dello streaming ha avuto la meglio su Paramount-Skydance e Comcast. Un’intesa del genere ridisegnerebbe il settore dell’intrattenimento e rappresenterebbe un turning point strategico per Netflix, già leader per capitalizzazione a Hollywood. Paramount ha bollato il processo di cessione come «contaminato», mentre l’attrice Jane Fonda, due volte premio Oscar, ha descritto il suo potenziale effetto sull’industria con un aggettivo più severo: «catastrofico».

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Nata come servizio di noleggio DVD via posta, Netflix ha prima annientato la catena Blockbuster e ora sta replicando il colpo con Hollywood, snobbando in larga misura le uscite cinematografiche in sala. L’accordo catapulterebbe Netflix al rango di superpotenza negli studi hollywoodiani. Tuttavia, il tutto resta appeso all’approvazione dei regolatori, con il repubblicano californiano Darrell Issa che ha già espresso opposizione a qualsivoglia acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix.   L’industria cinematografica è minacciata dall’avvento dell’IA, che potrebbe presto consentire a chiunque di produrre contenuti di livello cinematografico in un click, disintegrando un’intera filiera di lavoratori che vanno dagli attori ai cineoperatori, agli addetti al casting, agli elettricisti, registi, etc.   Si spiega così la corsa di Netflix verso le IP, cioè le proprietà intellettuali: avere un personaggio conosciuto e diffuso come, ad esempio Harry Potter, anche nell’era del cinema generato dall’AI potrebbe avere un valore strategico ed economico.

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Immagine di Fourbyfourblazer via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
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Economia

L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo

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Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.

 

A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.

 

Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.

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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.

 

Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.

 

Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.

 

Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».

 

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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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