Salute
Scimmie immortali o quasi: scienziati rovesciano l’invecchiamento con super-cellule staminali

Un gruppo di ricercatori dell’Accademia cinese delle scienze ha compiuto una svolta senza precedenti nel campo della biologia dell’invecchiamento, riuscendo a invertire alcuni dei principali segni dell’età in primati anziani.
Lo studio, pubblicato lo scorso mese sulla rivista Cell, apre scenari fino a poco tempo fa ritenuti fantascientifici: è possibile riportare un organismo anziano a uno stato biologicamente più giovane, almeno nei macachi.
Alla base della ricerca ci sono le cellule progenitrici mesenchimali (MPC), cellule staminali presenti nel midollo osseo e nei tessuti connettivi, con la capacità di rigenerare ossa, cartilagini, muscoli e grasso, oltre a secernere fattori riparativi. Tuttavia, con l’avanzare dell’età, anche queste cellule invecchiano e vanno incontro alla senescenza: smettono di dividersi e iniziano a produrre molecole tossiche e infiammatorie, contribuendo al degrado generale dell’organismo.
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Per contrastare questo processo, gli scienziati si sono concentrati su una proteina chiamata FoxO3, nota per essere un regolatore genetico della longevità. In organismi giovani, FoxO3 attiva la riparazione del DNA, le difese contro lo stress ossidativo e altri meccanismi protettivi. Ma con l’età, la sua attività diminuisce, rendendo le cellule più vulnerabili ai danni.
Gli scienziati cinesi hanno quindi modificato geneticamente le cellule MPC affinché FoxO3 restasse costantemente attivo nel nucleo, dando così vita a cellule resistenti alla senescenza (SRC), potenziate anche nei geni legati alla funzione mitocondriale e alla risposta allo stress.
Queste cellule sono state trapiantate in macachi anziani — l’equivalente di un essere umano di circa 60 o 70 anni. I risultati sono stati sorprendenti. Le scimmie hanno mostrato un rallentamento, e in alcuni casi una vera e propria inversione, del declino osseo. Dove normalmente si osserva una perdita di densità simile all’osteoporosi umana, gli animali trattati hanno mantenuto o addirittura migliorato la robustezza dello scheletro.
Anche a livello cognitivo, i miglioramenti sono stati notevoli: i test di memoria e apprendimento hanno evidenziato un netto vantaggio nei soggetti trattati, capaci di riconoscere oggetti e orientarsi nei labirinti con maggiore efficienza rispetto ai coetanei non trattati.
Gli esami del sangue hanno rilevato una forte riduzione dei marcatori infiammatori, un fenomeno significativo se si considera che l’infiammazione cronica (o inflammaging) è uno dei principali motori delle malattie legate all’età. Scansioni e biopsie, infine, hanno rivelato un generale ringiovanimento di numerosi organi, tra cui il cervello e gli apparati riproduttivi.
Secondo i ricercatori, questo effetto sistemico sarebbe mediato dagli esosomi, minuscole vescicole rilasciate dalle SRC che trasportano segnali molecolari capaci di stimolare la rigenerazione anche nelle cellule vicine. Come ha spiegato Si Wang, uno degli scienziati a capo del progetto, «vediamo prove evidenti di ringiovanimento».
Il valore della scoperta risiede anche nel modello animale scelto. Finora, molte delle terapie anti-invecchiamento testate, come la rapamicina o i mimetici del digiuno, avevano dato risultati convincenti solo nei roditori. I macachi, però, hanno una fisiologia molto più simile a quella umana e una vita più lunga, rendendo i risultati di questo studio particolarmente promettenti.
Secondo i ricercatori, l’invecchiamento non sarebbe solo una lenta usura, ma anche un processo in parte programmabile, quindi potenzialmente reversibile. Le MPC rappresentano in questo scenario l’hardware, mentre FoxO3 è il software aggiornato che le mantiene giovani.
Restano ancora molte incognite. Le cellule resistenti alla senescenza potrebbero comportarsi in modo imprevedibile nell’organismo umano. È ancora ignoto se i benefici osservati siano duraturi nel tempo, e non è chiaro se la produzione su larga scala di queste cellule sia possibile senza rischi di rigetto immunitario.
Inoltre, si aprono interrogativi etici tipici della questione transumanista: come verranno testate queste terapie sull’uomo? Chi potrà accedervi? Quali saranno le implicazioni sociali?
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Un gerontologo indipendente ha commentato così la ricerca: «È una pietra miliare, ma non dobbiamo saltare subito ai titoli sull’immortalità. Il dato veramente rivoluzionario è che l’invecchiamento sistemico nei primati può essere modulato. E questo, di per sé, è un fatto straordinario».
Per ora, i macachi continuano a essere monitorati, i loro organismi raccontano con silenziosa eloquenza gli effetti del trattamento. Se in futuro approcci simili si rivelassero sicuri anche per l’uomo, la medicina potrebbe compiere un cambio di paradigma: non più curare le malattie una per una, ma agire alla radice comune dell’invecchiamento.
Una possibilità che, fino a ieri, sembrava solo un’ipotesi da narrativa sci-fi. Ma che oggi, per la prima volta, inizia a prendere la forma della realtà.
Le conseguenze sociali, e spirituali, di una tale evenienza non sono ancora state ponderate, se non, appunto in romanzi di fantascienza più o meno distopica.
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Immagine di Daisuke tashiro via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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Bizzarria
Ecco l’iPhone con cover in pelle umana

È stata progettata una nuova custodia del telefono che imita la pelle umana, in pieno stile dirigenziale di fantozziana memoria.
La «Skincase» è in realtà destinata ad aiutarti. L’idea è che vedere la pelle finta appassisca di passare troppo tempo all’aperto ti ricorderà di proteggerti dalle dannose radiazioni ultraviolette del Sole.
«I nostri telefoni sono oggetti che non ci aspettiamo di cambiare e di reagire in modo umano», ha dichiarato Marc Teyssier, che ha progettato il dispositivo in collaborazione con la British Skin Foundation e la società di telecomunicazioni O2.
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«Creando una reazione tangibile e viscerale all’esposizione ai raggi UV», ha aggiunto Teyssier, «la Skincase non solo aumenta la consapevolezza della sicurezza del Sole, ma evidenzia come la protezione del Sole sia una priorità innegabile».
Non è la prima volta che il designer progetta qualcosa di simile. Nel 2019, il Teyssier aveva creato una custodia per telefono stile Davide Cronenberg con pieghe squamose di pelle che rispondeva ai gesti delle mani, tra cui essere pizzicata e solleticata.
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Si tratta un raro esempio, per quanto stravagante, di mettere a frutto le nostre dipendenze croniche da smartphone.
Tuttavia, la questione della protezione solare negli ultimi anni è stata oggetto di controversie.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2019 l Journal of American Medical Association ha pubblicato i risultati di uno studio randomizzato, condotto dai ricercatori della FDA per determinare se le sostanze chimiche presenti in quattro creme solari disponibili in commercio vengono assorbite attraverso la pelle nel flusso sanguigno: i prodotti chimici per la protezione solare sono stati rilevati in concentrazioni che hanno superato la soglia FDA oltre la quale i produttori sono tenuti ad effettuare ulteriori test tossicologici.
È emerso quindi che creme solari e centinaia di farmaci da banco attualmente in vendita negli Stati Uniti non sono stati ancora determinati per essere sicuri ed efficaci
«Le persone che usano i filtri solari credono molto ragionevolmente di essere state testate e sono sicure ed efficaci. Non abbiamo davvero prova di ciò» aveva affermato al New York Times Kanade Shinkai, dermatologo dell’Università della California, San Francisco, e autore di un editoriale che accompagna lo studio JAMA.
Le Hawaii e Key West, in Florida, hanno vietato gli ingredienti per la protezione solare, incluso l’ossibenzone, che gli studi hanno suggerito che potrebbero danneggiare le barriere coralline. Gli studi sugli animali hanno sollevato la possibilità che alcuni filtri UV, incluso l’ossibenzone, possano interrompere il sistema endocrino, il che può influenzare negativamente la riproduzione, lo sviluppo e l’immunità. Nel 2008, un sondaggio ha rilevato l’ossibenzone nel 97% dei campioni di urina; uno studio svizzero del 2010 su madri che allattano ha riferito che l’85% aveva filtri UV nel latte materno.
Come spesso accade, la medicina non sa esattamente quello che sta facendo, ma lo vende comunque al mercato.
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Immagine screenshot da YouTube
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I malori della 39ª settimana

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