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Scade il mandato di Zelens’kyj. Medvedev: «obiettivo legittimo», l’Ucraina è «un classico Stato fallito»

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Il mandato quinquennale di Volodymyr Zelens’kyj come presidente dell’Ucraina si è concluso lunedì 20 maggio. I suoi critici, specie russi, ora sollevano dubbi sulla sua legittimità come capo di Stato.

 

Il 31 marzo avrebbero dovuto svolgersi in Ucraina le elezioni presidenziali. Tuttavia, Zelens’kyj ha annunciato nel dicembre 2023 che non si sarebbero svolte elezioni presidenziali o parlamentari finché sarà in vigore la legge marziale.

 

La legge marziale è stata imposta dopo l’inizio del conflitto con la Russia nel febbraio 2022 e da allora è stata più volte prorogata dalla Verkhovna Rada, il Parlamento monocamerale ucraino.

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All’inizio dell’anno lo Zelens’kyj aveva ribadito che le elezioni sono «premature» a causa della guerra e della mobilitazione nazionale. Mercoledì scorso i legislatori hanno prolungato le misure di emergenza di altri tre mesi.

 

Non è tardata la reazione del capo del Consiglio di sicurezza russo, il sempre più fumantino, sempre meno diplomatico, sempre più apocalittico Dmitrij Medvedev.

 

Ieri l’ex presidente della Federazione Russa ha sostenuto che annullando le elezioni il leader ucraino ha «sputato» sulla costituzione nazionale, ha ignorato la Corte costituzionale e ha optato per «l’usurpazione del potere supremo».

 

Parlando all’agenzia di stampa TASS, Medvedev ha suggerito che lo Zelens’kyj teme di dover affrontare una competizione con l’ex capo militare ucraino, generale Valerij Zaluzhny e con l’ex presidente Pyotr Poroshenko, poiché avrebbero «troppe carte vincenti».

 

«Tutte queste manipolazioni con le leggi significano solo una cosa: la morte dello stato fallito dell’Ucraina, la sua trasformazione in un classico stato fallito, per usare il vocabolario americano», ha dichiarato il Medvedev all’agenzia russa.

 

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sostenuto gli sforzi di Zelens’kyj per rimanere al potere perché temevano «la vergognosa caduta del suo regime criminale», ha sottolineato l’alto funzionario del Cremlino.

 

«Ecco perché c’è un’alta probabilità che Zelenskyj avrebbe perso miseramente queste elezioni, e i cittadini del suo Paese inesistente avrebbero voluto un nuovo presidente nella speranza che avviasse i negoziati di pace con la Russia», ha tuonato sempre più incontenibile l’ex presidente russo.

 

Medvedev ha proseguito la tirata dicendo ai giornalisti che Zelens’kyj è «un parvenu politico» che ha vinto nel 2019 proprio perché ha condotto una campagna «sulla retorica della pace». Tuttavia, i sostenitori occidentali del regime di Kiev non potevano permettere la pace perché «guadagnano bene con i sanguinosi baccanali», ha sentenziato.

 

In quanto leader di un «regime politico ostile», lo Zelens’kyj sarebbe un obiettivo militare legittimo, ha continuato Medvedev nelle dichiarazioni alla TASS, spiegando come la questione della legittimità di Zelens’kyj come presidente non rivesta particolare importanza per Mosca.

 

«Per la Russia, la definitiva perdita di legittimità da parte dello pseudopresidente dell’ex Ucraina non cambierà nulla», ha dichiarato l’ex presidente russo, sottolineando che i leader dei Paesi che fanno la guerra sono «sempre considerati» un obiettivo militare legittimo.

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Medvedev è arrivato a definire Zelens’kyj come «criminale di guerra», che dovrebbe essere catturato e assicurato alla giustizia o «liquidato come terrorista» per i suoi crimini contro russi e ucraini, riporta il sito governativo russo RT, e non ha lesinato discorsi piuttosto minacciosi come quando ha parlato del destino del vertice ucraino che, secondo le parole di Medvedev può essere catturato e processato, oppure incontrare la stessa sorte del «maestro spirituale» Stepan Bandera, leader dei nazionalisti integralisti ucraini collaborazionisti hitleriani assassinato da agenti sovietici a Monaco nel 1959.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Medvedev aveva dichiarato il mese scorso che a complottare per l’eliminazione di Zelens’kyj sarebbero le stesse forze occidentali sue alleate.

 

Zelens’kyj è apparso sulla lista dei ricercati del Ministero degli Interni russo all’inizio di questo mese, anche se non sono stati rilasciati dati sui procedimenti penali contro di lui.

 

Ad ogni modo, il Medvedev, ha respinto l’idea che qualcosa di sostanziale cambierà in Ucraina dopo il 21 maggio. Gli ucraini «non vivevano comunque in uno Stato di diritto», ha detto, sostenendo che «la legge e la giustizia sono state dimenticate dieci anni fa», con il colpo di Stato di Maidan sostenuto dagli Stati Uniti a Kiev e l’inizio del conflitto nel Donbass.

 

Come riportato da Renovatio 21, usando la legge marziale per rimandare le elezioni, l’anno scorso Zelens’kyj era arrivato a far capire all’Europa che avrebbe tenuto le elezioni se gliele avessero pagate. Alcuni sostengono che la visita canterina del segretario di Stato Blinken a Kiev la scorsa settimana significhi il semaforo di verde di Washington all’assenza di consultazioni popolari: del resto, la democrazia si difende così, saltando le elezioni.

 

Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha recentemente affermato che «verrà presto il momento in cui molte persone, comprese quelle in Ucraina, metteranno in dubbio la legittimità» dello Zelens’kyj.

 

Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato venerdì, durante la sua visita di Stato in Cina, che la questione della legittimità di Zelens’kyj è qualcosa che «il sistema politico e giuridico dell’Ucraina» deve affrontare, «prima di tutto la Corte Costituzionale», osservando che la Costituzione di Kiev consente «diverse opzioni».

 

«Per noi questo è importante perché se si tratta di firmare qualsiasi documento, sicuramente dovremmo firmare documenti su una questione così importante con le autorità legittime», ha spiegato Putin, rivelando che il Cremlino aveva mantenuto contatti regolari con il presidente Zelenskyj prima dello scoppio delle ostilità.

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Jeffrey Sachs: USA «regime fantoccio» di Israele, Washington «governo del Mossad»

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L’economista di fama mondiale Jeffrey Sachs ha ribadito che il governo israeliano sta perpetrando un genocidio contro i palestinesi a Gaza, sottolineando che gli Stati Uniti, sotto la guida del presidente Donald Trump, rimangono complici di questo «crimine supremo» e di altre aggressioni nella regione, descrivendo il governo statunitense come una sorta di «regime fantoccio» al servizio di Israele.   Queste e altre riflessioni sono state espresse da Sachs, docente alla Columbia University e consigliere senior delle Nazioni Unite, durante un’intervista del 17 settembre con il giudice Andrew Napolitano.   La discussione ha toccato il «modus operandi» di Israele, caratterizzato dall’«assassinio» dei propri nemici, il recente rapporto ONU che conferma il genocidio in corso, l’ospitalità di Israele verso 250 legislatori americani per una conferenza interamente finanziata a Gerusalemme e i rischi per i funzionari statunitensi derivanti dalla violazione del diritto internazionale a causa della loro complicità nel genocidio.  

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Lo stesso giorno dell’assassinio di Charlie Kirk, il Ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha commentato il bombardamento del suo Paese contro funzionari di Hamas a Doha, in Qatar, un alleato chiave degli Stati Uniti che ospita la loro più grande base militare in Medio Oriente. «Il lungo braccio di Israele agirà contro i suoi nemici ovunque. Non c’è posto dove possano nascondersi», ha dichiarato Katz con veemenza.   Il raid, denominato «Operazione Vertice di Fuoco», ha segnato il primo attacco militare israeliano noto sul territorio del Qatar, prendendo di mira funzionari di Hamas impegnati in negoziati per una proposta di cessate il fuoco sostenuta dagli Stati Uniti per porre fine al conflitto a Gaza.   Data la stretta alleanza tra Qatar e Stati Uniti e la risposta moderata di Trump all’attacco, che ha causato sei morti, Jeffrey Sachs ha osservato che «ha inviato un messaggio al mondo arabo che gli Stati Uniti non lo avrebbero protetto dagli attacchi di Israele» e che «Israele opera nella regione con totale impunità».   «Ciò sta spingendo i Paesi arabi a una seria riflessione sul significato della politica estera statunitense in questo contesto», ha proseguito Sachs, riferendosi al vertice di emergenza arabo-islamico convocato in risposta all’attacco.

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«Israele è considerato per quello che è, uno Stato canaglia in piena espansione che opera al di fuori del diritto internazionale», ha aggiunto l’analista. «Ma gli Stati Uniti sono stati ritenuti da alcuni Paesi della regione almeno parzialmente responsabili del comportamento illegale di Israele, e questa convinzione sembra ora smentita».   Riferendosi al blocco del dipartimento di Stato statunitense alla delegazione palestinese dell’ONU per partecipare alle riunioni dell’Assemblea Generale a Nuova York, Sachs ha sostenuto che «il governo degli Stati Uniti si scredita profondamente» per aver violato il diritto internazionale sul «diritto delle delegazioni di accedere alle Nazioni Unite. Siamo l’istituzione ospitante e questa amministrazione sta solo eseguendo gli ordini di Israele».   «A questo punto, si tratta fondamentalmente di due nazioni (Israele e Stati Uniti) contro il mondo intero», ha dichiarato Sachs, evidenziando il loro isolamento. Il 19 settembre, l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato con 145 favorevoli e 5 contrari per consentire alla delegazione palestinese di partecipare virtualmente, dopo che gli Stati Uniti avevano negato i visti. Contro hanno votato Israele, Stati Uniti, Nauru, Palau e Paraguay.   «Non esiste una politica estera americana», ha replicato Sachs. «Esiste solo una politica estera israeliana attuata da una sorta di regime fantoccio negli Stati Uniti».   Ribadendo il concetto di «regime fantoccio», ha aggiunto: «Siamo tirati dalle fila del Mossad, del governo israeliano».   Napolitano ha citato un rapporto secondo cui agenti del Mossad sarebbero stati scoperti a installare dispositivi di ascolto nei veicoli dei servizi segreti statunitensi destinati al trasporto d’urgenza del presidente, senza che «nessuno sia stato arrestato» per questo crimine.   Con franchezza, Sachs ha risposto che gli Stati Uniti sono un «governo del Mossad. Perché mai dovrebbero essere arrestati?»   Sachs ha denunciato che la classe politica statunitense è «attivamente complice» del «crimine più grave e atroce del pianeta», il genocidio, citando la conferenza «50 Stati, un solo Israele» a Gerusalemme, che ha ospitato 250 legislatori americani, il più grande evento di questo tipo finanziato da lobbisti, dove persino Benjamin Netanyahu, incriminato per crimini di guerra dalla Corte penale internazionale, li ha ringraziati «per essere venuti qui a schierarsi con Israele».   «Abbiamo membri del Congresso che ascoltano questo criminale di guerra mentre decanta le virtù di Israele, proprio mentre Israele commette un genocidio accanto a dove siedono», ha lamentato Sachs. «Non è solo una vergogna, è una colpa diretta della classe politica americana per complicità nel genocidio».   La Convenzione sul genocidio del 1948 obbliga gli Stati membri a «prevenire e punire» i responsabili di genocidio, inclusi coloro che sono complici. Sachs ha sottolineato che «ogni Paese ha la responsabilità di fermare un genocidio, il crimine più grave del pianeta. E la classe politica statunitense non solo non lo ferma, ma ne è attivamente complice».   Sachs ha descritto un rapporto ONU che conferma il genocidio a Gaza come «straordinariamente profondo, penetrante e orribile», evidenziando «la fame, le uccisioni intenzionali, i bombardamenti» e le intenzioni genocide dichiarate dai leader israeliani.   Un altro rapporto ONU di agosto ha confermato una carestia di massa a Gaza. «Ci sono centinaia di migliaia di persone che muoiono di fame in questo momento», ha detto Sachs. «Se continua così, Israele non potrà mai superare questa situazione».   Sachs ha accusato leader israeliani come Isaac Herzog, Itamar Ben-Gvir, Bezalel Smotrich e Netanyahu di essere «assassini di massa» e «deliranti» nel credere che Israele possa resistere nonostante le sue azioni. Ha respinto l’idea che gli attacchi a Israele siano «antisemitismo», definendo tali accuse «deliranti».

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L’economista ha avvertito che anche funzionari statunitensi come Marco Rubio e Trump, complici sotto il diritto internazionale, saranno ritenuti responsabili. Ha inoltre indicato aziende come Microsoft, Google, Amazon, OpenAI, Dell e Palantir come complici per il loro supporto all’esercito israeliano.   Sachs ha lamentato che gli israeliani non considerano i palestinesi e altri arabi come «esseri umani», ma come strumenti per il progetto del «Grande Israele», che include il controllo della Palestina e parti di Libano e Siria. Ha descritto il comportamento di Israele come basato su «assassini», targeting negoziatori di Hamas, Hezbollah e Iran per bloccare la diplomazia.   Dal 7 ottobre 2023, Israele ha ucciso oltre 65.502 palestinesi a Gaza, tra cui circa 20.000 bambini, con 167.376 feriti e oltre 10.000 bambini amputati. Uno studio di The Lancet stima 327.510 morti totali, incluse cause indirette come fame e mancanza di cure mediche. Sachs ha sottolineato che i soldati israeliani prendono di mira civili disarmati, usando loro come «tiro al bersaglio».   «Quando i combattimenti cesseranno e la gente entrerà a Gaza, le scoperte saranno più orribili di quanto si possa immaginare», ha detto Sachs, avvertendo che una carestia di massa potrebbe segnare la fine della sopravvivenza di Israele come Stato.  

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Orban: i leader UE «vogliono andare in guerra» con la Russia

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Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha dichiarato giovedì che i leader dell’UE sembrano intenzionati a trascinare il blocco in un conflitto con la Russia.

 

In un post su X, il noto critico delle politiche occidentali verso l’Ucraina ha avvertito che «sono in discussione proposte apertamente favorevoli alla guerra», riferendosi ai colloqui tenuti durante un vertice informale dei leader dell’UE a Copenaghen questa settimana.

 

«Vogliono destinare i fondi dell’UE all’Ucraina. Cercano di accelerare l’adesione dell’Ucraina con vari espedienti legali. Vogliono finanziare la fornitura di armi. Tutte queste proposte dimostrano chiaramente che i burocrati di Bruxelles vogliono la guerra», ha scritto Orbán, promettendo che Budapest si opporrà a tali iniziative.

 

 

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L’incontro di Copenaghen è stato convocato in risposta a una serie di avvistamenti di droni non identificati in Europa. La premier danese Mette Frederiksen ha dichiarato che il suo governo non è in grado di identificare l’origine dei velivoli, ma ha sostenuto che «possiamo almeno concludere che c’è un solo Paese che rappresenta una minaccia per la sicurezza dell’Europa, ovvero la Russia».

 

I leader dell’UE hanno discusso l’idea di un «muro di droni», un sistema vagamente definito per contrastare le minacce aeree. Secondo i media, i colloqui hanno prodotto pochi progressi: Politico ha descritto la sessione come caduta in un «tipico stallo», mentre Bloomberg ha definito il muro di droni più un’«etichetta pubblicitaria» che un piano concreto.

 

Nel frattempo, Mosca ha accusato l’Ucraina e i suoi alleati europei di orchestrare provocazioni per inasprire le tensioni.

 

Come riportato da Renovatio 21, Servizio di Intelligence Estero russo (SVR) ha affermato questa settimana che la recente incursione di droni nello spazio aereo polacco – attribuita da Varsavia alla Russia – fosse in realtà un’operazione ucraina sotto falsa bandiera, prevedendo ulteriori incidenti simili in futuro.

 

La leadership dell’UE continua a spingere per un maggiore sostegno a Kiev e per una crescente militarizzazione degli Stati membri. In quest’ottica, Bruxelles ha cercato di limitare il potere di veto di nazioni dissenzienti come l’Ungheria sulle decisioni di politica estera e di sicurezza.

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Otto Paesi arabi accolgono con favore il piano di Trump per Gaza

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Il «Piano globale per porre fine al conflitto di Gaza» in 20 punti, reso pubblico dalla Casa Bianca il 29 settembre a seguito dell’incontro tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, è stato accolto positivamente dai ministri degli Esteri di Qatar, Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Indonesia, Turchia e Pakistan. Questi ultimi avevano partecipato a una riunione con Trump e il suo inviato speciale Steve Witkoff il 23 settembre, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, contribuendo significativamente alla stesura del piano, secondo quanto annunciato da Trump.   La dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri recita: «I ministri accolgono con favore l’annuncio del presidente Trump in merito alla sua proposta di porre fine alla guerra, ricostruire Gaza, impedire lo sfollamento del popolo palestinese e promuovere una pace globale, nonché il suo annuncio che non consentirà l’annessione della Cisgiordania». I ministri si sono detti pronti a «impegnarsi in modo positivo e costruttivo» con gli Stati Uniti e altre parti per finalizzare e attuare l’accordo, riaffermando il loro impegno a collaborare con gli Stati Uniti per porre fine al conflitto a Gaza.   L’obiettivo è un accordo che garantisca «la fornitura illimitata di aiuti umanitari sufficienti a Gaza, nessun sfollamento di palestinesi, il rilascio degli ostaggi, un meccanismo di sicurezza che garantisca la sicurezza di tutte le parti, il completo ritiro israeliano, la ricostruzione di Gaza e la creazione di un percorso per una pace giusta sulla base della soluzione dei due Stati, in base alla quale Gaza sarà pienamente integrata con la Cisgiordania in uno Stato palestinese, in conformità con il diritto internazionale, come chiave per il raggiungimento della stabilità e della sicurezza regionale».   Nell’annuncio odierno, Trump ha confermato l’approvazione di Netanyahu al piano, lodando i leader dei paesi coinvolti come «molto capaci e intelligenti» e indicando che il «Consiglio per la Pace», da lui presieduto, includerà questi leader. Il piano è ora nelle mani dei negoziatori di Hamas per ottenere il loro consenso.   Secondo l’emittente statunitense ABC News, un funzionario ha riferito che, subito dopo l’annuncio di Trump, il primo ministro del Qatar e il capo dell’Intelligence egiziana hanno incontrato i negoziatori di Hamas, presentando loro il piano per la prima volta. I negoziatori di Hamas avrebbero dichiarato di volerlo esaminare «in buona fede» e di essere pronti a fornire una risposta.   Nel suo discorso pomeridiano, Trump ha espresso fiducia nell’impegno di Qatar, Egitto e altri paesi per ottenere l’approvazione di Hamas.

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