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Geopolitica

Qassem Suleiman è morto, la guerra totale è vicina

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Hanno ucciso Qassem Suleimani. La guerra è spaventosamente più vicina.

 

L’ordine sarebbe venuto direttamente dal Presidente Trump.

 

Hanno ucciso Qassem Suleimani. L’ordine viene direttamente da Trump. La guerra è vicina.

Suleimani era dal 1998 a capo della Brigata Gerusalemme (in farsi, Niru-ye Qods, chiamate dalla stampa occidentale Quds Force), l’unità di diffusione estera delle Guardie Rivoluzionarie iraniane.

 

Era popolarissimo, e non solo in Iran, e non solo tra gli sciiti. Suleiman ha combattuto, e vinto, l’ISIS per davvero, nel pressoché totale silenzio della stampa occidentale.

 

«L’Iran non è una teocrazia, ma una dittatura militare» diceva l’agente CIA Robert Baer. Ne consegue volevano decapitare il Paese?

Robert Baer, l’ex agente CIA (in realtà, negli ordini religiosi come la CIA non esistono ex), l’ispiratore del film Syriana (che si apriva con una bomba piantata a Teheran, e si concludeva con un missile che uccideva uno sceicco illuminato ma divenuto nemico degli USA), ha sostenuto una tesi un po’ eretica: l’Iran non è una teocrazia, ma una dittatura militare – e di grande successo, visto che la definisce «nuova superpotenza regionale».

 

Non ci interessa dibattere questa tesi, ci interessa capire il pensiero che può aver avuto chi ha messo sotto al dito di Donald J. Trump il pulsante della morte: qualcuno che forse voleva sul serio decapitare la Repubblica Islamica.

 

Considerate la questione per intero: Trump è il terzo presidente a subire l’impeachment. Chi lo ha forsennatamente provocato è quello stesso partito, quello della Clinton, a cui una guerra con l’Iran andrebbe benissimo. Ricordate la signora Rodham Clinton cosa disse in campagna elettorale contro Trump? «Se io sarò presidente, attaccheremo l’Iran … Saremmo in grado di cancellarli totalmente»

«Se io sarò presidente, attaccheremo l’Iran … Saremmo in grado di cancellarli totalmente» Hillary Clinton

 

Come reagisce un presidente quando è sotto impeachment? Forse ricorderete quel film con Robert De Niro e Dustin Hoffman, Sesso&Potere, che raccontava, sotto mentite spoglie, come la guerra nei Balcani fosse un’arma di distrazione di massa per gli scandali sessuali del presidente Clinton (sì, lui, il marito di Hillary).

 

Ma ancora di più, nella mente di Trump, può aver agito l’immagine dell’ambasciata USA di Baghdad assediata. I giornali americani hanno scritto che il responsabile è l’Iran, al punto da puntualizzare sin dal titolo che cantavano il classico refrain della Repubblica Islamica, «morte all’America». Il Washington Post (house horgan neocon con i miliardi di Bezos-Amazon) a pubblicare perfino una lista dei 3 leader «miliziani  filo-iraniani della protesta».

 

Nella mente di Trump, può aver agito l’immagine dell’ambasciata USA di Baghdad assediata

La realtà è che l’ambasciata assediata non può riportare al caso di Teheran nel 1979 (diamo un altro riferimento cinematografico per orientare il lettore nella narrativa americana, che sempre passa per Hollywood: Argo, premio Oscar miglior film e migliore sceneggiatura 2013). L’ambasciata espugnata e il personale americano tenuto in ostaggio per 444 giorni, cioè 1 anno, 2 mesi, 2 settimane e 2 giorni.

 

Per tutti, il motivo per cui il Presidente Carter perse le elezioni successive contro Reagan. Per Steve Bannon, l’ex stratega elettorale di Trump, fu il momento in cui realizzò la debolezza dei Democratici e per esteso degli USA. Qualcuno di recente ha sostenuto che ci fu un accordo segreto tra Reagan e il nuovo potere iraniano per prolungare la crisi e quindi distruggere elettoralmente Carter; non sappiamo se sia vero tuttavia il risultato fu quello.

Trump può aver pure risposto all’ayatollah Khamenei e pure lanciato un messaggio a Kim Jong-Un

 

Ora, che oltre all’impeachment i Democratici ora possono tentare di scongiurare la rielezione di Trump (oggi pressoché certa) con questa nuova arma, cioè la palude della guerra, che stavolta non è contro il Vietnam o l’Iraq, è contro un Paese possente grande 6 volte la Francia, con 82 milioni di anime che magari potranno avere anche varie opinioni ma quando si palesa la guerra (con Saddam, una guerra sanguinaria durata un decennio) si ritrovano unite.

 

Trump può aver pure risposto all’ayatollah Khamenei, che aveva detto il presidente americano («quel tizio») «non può fare proprio un bel niente», e pure lanciato un messaggio a Kim Jong-Un, che ha appena ripreso a sparare i suoi razzetti, forse pure con ambizione «spaziale».

 

La ritorsione iraniana, prima che fisica, potrebbe essere cibernetica – e devastante

Tuttavia non ha considerato che la ritorsione iraniana, prima che fisica, potrebbe essere cibernetica – e devastante. Accadde così con Stuxnet, nome in codice per la NSA, Operazione «Olympic Games», il virus con cui gli israeloamericani infettarono le centrifughe nucleari a fine anni 2000. Potete vedere ricapitolata questa storia allucinante nel documentario premiato Zero Days, e tremare di fronte alla forza delle armi cibernetiche.

 

Nel caso Stuxnet, quando emerse con chiarezza cosa era successo, l’Iran (con probabilità: perché la ciberguerra non ha mai colpevoli certi, e questo è un problema politico militare ed umano immane) paralizzò il sistema informatico della Saudi ARAMCO, la compagnia petrolifera dei Saud che è oggi, grazie all’IPO in borsa due settimane fa, l’azienda più ricca del mondo. Un nuovo attacco cyber contro ARAMCO è stato lanciato anche pochi mesi fa.

 

I fattori sono tanti, ma il catalizzatore può essere la morte di un uomo solo. Déjà vu: Sarajevo 1914.

I fattori sono tanti, ma il catalizzatore può essere la morte di un uomo solo. Déjà vu.

 

La Prima guerra mondiale, ci dicono, scoppiò perché uno studente serbo sparò ad un arciduca nemmeno troppo importante, Francesco Ferdinando. L’arciduca era nato terzo in linea di successione al trono asburgico. Il serbo Gavrilo Princip, il suo assassino, non era uno Stato sovrano, ma, sulla carta, uno studentello ultranazionalista.

 

Qui invece è successo che hanno quasi decapitato uno Stato quasi-nucleare, una Repubblica Islamica che, come dice lo stesso Baer in una intervista, già 3 volte ha battuto Israele (e quindi, gli USA?).

 

I rischi sono anche per tutti noi: rischi anche fisici, considerando le molte basi USA in Italia

Ma non si tratta solo di geopolitica di alto pilotaggio. I rischi sono anche per tutti noi: rischi anche fisici. Consideriamo che avendo molte basi USA in Italia, e moltissimi soldati nelle nostre città, in caso di conflitto espone anche noi italiani a rischi che non vorremmo. Tanti generali americani li abbiamo anche qui noi (per esempio nella città dove vivo), alcuni negli anni di piombo furono perfino bersaglio non delle Brigate Gerusalemme, ma le nostrane Brigate Rosse: è il caso del generale Dozier, comandante delle forze NATO nell’Europa meridionale, rapito a Verona il 17 dicembre 1981.

 

E allora, cosa dobbiamo temere per nostra incolumità in caso di simmetrizzazione del conflitto? Un occhio per occhio, con un missile tirato contro un generale USA, metterebbe in pericolo di riflesso anche l’Italia e i suoi cittadini presso cui i colleghi americani di Suleiman vivono tranquilli? E lo stesso, possiamo dirlo della Germania, del Giappone, e di ogni altro Paese dove gli USA hanno personale militare di alto grado?

Un occhio per occhio, con un missile tirato contro un generale USA, metterebbe in pericolo di riflesso anche l’Italia e i suoi cittadini?

 

Sono domande che mi faccio perché temo molto che questa è la mossa che non doveva essere fatta, quella da cui non è più possibile tornare indietro.

 

Tra tre giorni i Cristiani festeggeranno il momento in cui tre Re persiani, i «Santi Magi d’Oriente», vennero ad Occidente ad adorare il Dio della Vita. Cosa dobbiamo pensare di un potere che invece un «Re» persiano lo disintegra con un missile occidentale?

Preghiamo per la pace, perché l’alternativa è la guerra termonucleare

 

La situazione è piuttosto grave, e di nostro possiamo solo chiedere a voi di pregare per la pace.

 

Perché l’alternativa è lo sterminio termonucleare.

 

 

Roberto Dal Bosco

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Geopolitica

Ancora botte dentro e fuori il Parlamento della Georgia. Ma la legge sugli «agenti stranieri» passa

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Mercoledì i deputati georgiani si sono scontrati in parlamento in vista della sessione plenaria in cui verrà deciso il destino di un controverso disegno di legge sugli «agenti stranieri» che ha scatenato violente proteste.

 

La legislazione, ufficialmente nota come disegno di legge «Sulla trasparenza dell’influenza straniera», è una nuova versione di un disegno di legge simile proposto lo scorso anno dal partito al potere K’art’uli Ots’neba, «Sogno Georgiano», che richiede alle organizzazioni e agli individui con più del 20% di finanziamenti esteri di registrarsi come «agenti stranieri» e rivelare i propri donatori.

 

Il disegno di legge è stato ripresentato in parlamento con piccole modifiche all’inizio del mese scorso, e da allora è stato approvato in due letture. L’opposizione considera la legislazione autoritaria e si oppone fermamente ad essa.

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Mercoledì un video pubblicato online dalla deputata dell’opposizione Salome Samadashvili mostrava diversi suoi colleghi che si afferravano e urlavano nella sala conferenze principale del parlamento. Non è chiaro cosa si sia detto esattamente durante l’alterco, ma si può sentire una voce che grida «istigatore!», secondo quanto riportato da RT.

 

La stessa Samadashvili non sembra aver preso parte all’alterco ma, secondo quanto riportato dai media, le è stato successivamente chiesto di lasciare la sessione plenaria.

 


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Si tratta del secondo incidente questa settimana in cui le discussioni parlamentari sulla nuova legislazione sono diventate violente. Lunedì la deputata dell’opposizione Khatia Dekanoidze ha colpito con una bottiglia d’acqua Guram Macharashvili, un deputato del partito al governo.

 

Due settimane prima, in un’altra sessione dedicata al disegno di legge era scoppiata una rissa dopo che il deputato dell’opposizione Aleko Elisashvili aveva dato un pugno in faccia a Mamuka Mdinaradze, un forte sostenitore della legislazione.

 

La proposta di legge ha scatenato proteste di massa anche fuori dal parlamento. I filmati girati negli ultimi giorni mostrano manifestanti dell’opposizione che si scontrano con agenti di polizia, che vengono visti usare spray al peperoncino, gas lacrimogeni e idranti per disperdere la folla.

 

Gli stati occidentali, inclusi Stati Uniti e Unione Europea, hanno criticato la proposta di legge, sostenendo che complicherebbe il lavoro di molte ONG straniere nel paese. Bruxelles ha persino avvertito la Georgia, alla quale è stato recentemente concesso lo status di candidata all’UE, che l’adozione della legislazione potrebbe mettere a repentaglio la candidatura del paese all’adesione.

 

Tuttavia, la scorsa settimana il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze ha insistito sul fatto che il disegno di legge è una «condizione necessaria per andare avanti» nel percorso verso l’adesione all’UE perché renderebbe la Georgia più trasparente.

 

Ieri  il Parlamento georgiano ha approvato la seconda lettura del disegno di legge. Il ministero della Sanità georgiano, in un bollettino citato dai media georgiani, ha detto che 11 persone, tra cui sei agenti di polizia, hanno ricevuto cure ospedaliere dopo gli scontri seguiti all’approvazione del disegno di legge.

 


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Il vice ministro dell’Interno Aleksandre Darakhvelidze, citato dai media georgiani, ha affermato che i manifestanti hanno tentato di entrare in parlamento utilizzando vari oggetti e hanno attaccato i poliziotti. Darakhvelidze ha detto che l’azione della polizia martedì ha provocato 63 arresti e il ferimento di sei agenti di polizia.

 

La Georgia ad inizio degli anni 2000 è stata teatro di una «rivoluzione colorata», la cosiddetta «rivoluzione delle rose», guidata da Mikheil Saakashvili, personaggio politico ora in carcere, dopo essere fuggito in Ucraina dove il presidente Poroshenko lo aveva fatto governatore dell‘oblast’ di Odessa.

 

Secondo quanto riportato, all’epoca l’Open Society Institute (OSI), finanziato da George Soros, sosteneva Mikheil Saakashvili e una rete di organizzazioni filo-democratiche. L’OSI ha inoltre pagato un certo numero di studenti attivisti affinché andassero in Serbia e imparassero dai serbi che avevano contribuito a rovesciare Slobodan Milosevic nel 2000.I promotori della democrazia occidentale hanno anche diffuso sondaggi di opinione pubblica e analizzato i dati elettorali in tutta la Georgia.

 

Una significativa fonte di finanziamento per la Rivoluzione delle Rose fu quindi la rete di fondazioni e ONG associate al finanziere miliardario ungherese-americano George Soros. La Fondazione per la Difesa delle Democrazie riporta il caso di un ex parlamentare georgiano che ha sostenuto che nei tre mesi precedenti la Rivoluzione delle Rose, «Soros ha speso 42 milioni di dollari per rovesciare Shevardnadze».

 

«Queste istituzioni sono state la culla della democratizzazione, in particolare la Fondazione Soros… tutte le ONG che gravitano attorno alla Fondazione Soros hanno innegabilmente portato avanti la rivoluzione. Tuttavia, non si può concludere la propria analisi solo con la rivoluzione e si vede chiaramente che, in seguito, la Fondazione Soros e le ONG sono state integrate al potere» ha dichiarato alla rivista dell’Istituto Francese per la Geopolitica Herodote l’ex ministro degli Esteri Salomé Zourabichvili, ora presidente della Georgia.

 

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Geopolitica

I palestinesi cacciano via l’ambasciatore tedesco

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L’ambasciatore tedesco presso l’Autorità Palestinese è stato braccato da una folla inferocita e costretto a fuggire durante una visita all’Università di Birzeit in Cisgiordania. Lo riporta RT.   I media riferiscono che gli studenti hanno preso di mira il diplomatico a causa del sostegno del suo paese a Israele nella guerra contro Hamas.   Un video dell’incidente pubblicato sui social media mostra l’ambasciatore Oliver Owcza che cammina velocemente verso il suo veicolo mentre i manifestanti lo seguono e lo disturbano martedì. Un’altra clip mostra una folla che circonda e prende a calci l’auto di Owcza, strappa uno specchietto laterale e lancia oggetti mentre si allontana.   Owcza faceva parte di un gruppo di inviati europei che sono stati «attaccati» mentre partecipavano a un incontro al Museo Nazionale Palestinese, situato nel campus dell’Università Birzeit a nord di Ramallah, secondo il Jerusalem Post. Diversi veicoli del corteo degli ambasciatori sono rimasti danneggiati, compreso almeno uno con il finestrino posteriore rotto.  

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Un diplomatico ha detto a Reuters che una folla è apparsa fuori dall’incontro, chiedendo che gli inviati se ne andassero, e che che i tentativi di parlare con i manifestanti non hanno avuto successo e che i visitatori sono dovuti fuggire. Nessuno è rimasto ferito o minacciato gravemente, ha aggiunto.   La Germania ha storicamente sostenuto Israele politicamente e militarmente. L’esercito israeliano acquista gran parte dei suoi armamenti da Berlino, scrive RT. Tuttavia, i leader tedeschi sono stati critici nei confronti delle politiche israeliane e hanno donato oltre 1 miliardo di euro (1,07 miliardi di dollari) in aiuti all’Autorità Palestinese, sostenendo i diritti dei palestinesi e hanno spinto per un accordo di pace a due Stati.   Amr Kayed, uno studente dell’Università di Birzeit, avrebbe affermato che i diplomatici dell’UE sono stati costretti ad andarsene perché «chiunque sia complice del genocidio e dell’offensiva su Gaza» non è il benvenuto a scuola.   L’ambasciatore Owcza ha minimizzato l’incidente, affermando in un post su X (ex Twitter) che Jla protesta pacifica e il dialogo hanno sempre il loro posto» e aggiungendo che «ci rammarichiamo che l’incontro di oggi dei capi missione dell’UE presso il Museo Nazionale di Birzeit sia stato indebitamente interrotto dai manifestanti. Ciononostante, rimaniamo impegnati a lavorare in modo costruttivo con i nostri partner palestinesi».   Come riportato da Renovatio 21, ad inizio mese il Nicaragua ha portato la Germania davanti alla Corte Internazionale per complicità nel genocidio di Gaza.   La complicità europea è stata sottolineata dall’eurodeputata irlandese Clare Daly che ha apostrofato la presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula Von der Leyen, come «frau genocidio».   La complicità europea è stata sottolineata dall’eurodeputata irlandese Clare Daly che ha apostrofato la presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula Von der Leyen, come «frau genocidio».

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Geopolitica

Dopo l’incidente d’auto, il ministro israeliano Ben Gvir si è già ripreso e minaccia di far cascare Netanyahu se non entra a Rafah

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Quattro giorni fa il veicolo del ministro della sicurezza nazionale di Israele, Itamar Ben Gvir, è stato coinvolto in un incidente stradale nella città di Ramla. Le prime immagini dell’accaduto sono circolate su Internet attraverso un video che segue. Secondo le informazioni disponibili, sembra che il leader del partito ultrasionista Otzma Yehudit sia stato trasportato in ospedale immediatamente dopo l’incidente.

 

Testimoni oculari hanno riferito che il ministro è passato con un semaforo rosso, mentre la polizia ha dichiarato che due veicoli sono coinvolti nella collisione e che tre persone, insieme a Ben Gvir, sono state portate in ospedale con ferite lievi. Le immagini dell’incidente mostrano il veicolo ufficiale del ministro ribaltato, mentre un’altra auto ha subito danni alla parte anteriore. Le autorità stanno lavorando per determinare la causa dell’incidente.

 

Il reporter del canale 12, Amit Segal, ha raccontato di un testimone che ha visto il veicolo di Ben Gvir passare con il semaforo rosso. Segal ha anche riportato che negli ultimi mesi il veicolo ufficiale del ministro ha commesso diverse violazioni del codice della strada.

 


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Come riportato da Renovatio 21, il sionismo oltranzista del Ben Gvir è di tale intensità da spingerlo addirittura ad attaccare Washington, dichiarando che Israele «non è un’altra stella sulla bandiera americana». Una frase che risulta inaudita per i rapporti tra lo Stato Ebraico e la superpotenza sua protettrice.

 

Le speculazioni su un possibile attentato si spengono presto davanti allo stuolo di precedenti che ha il caso. Lo scorso agosto, il Ben Gvir era stato coinvolto in un altro incidente dovuto alla violazione di un semaforo mentre si dirigeva verso un’intervista. I media israeliani hanno anche riferito che il ministro avrebbe dato istruzioni al suo autista per violare regolarmente le norme del traffico.

 

Secondo quanto riportato, tuttavia, la polizia israeliana non gli avrebbe fatto la multa.

 

Ad ogni modo, nonostante l’ulteriore terrificante incidente, il ministro, dopo due giorni di convalescenza all’ospedale Hadassah pare tornato in sé con grande velocità, con tweet molto eloquenti riguardo la tenuta del governo Netanyahu.

 

Per esempio, il nostro ripete, commentando con la parola «promemoria», un tweet dello scorso gennaio: «Accordo promiscuo = scioglimento del governo».

 

 

L’Itamar, dimesso, ha già chiesto ed ottenuto un incontro con il premier Netanyahu in cui ha preteso l’invasione di Rafah.

 

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«Ho terminato un incontro con il Primo Ministro su mia richiesta» dice il ministro Ben Gvirro nel video pubblicato su X. «Ho avvertito il Primo Ministro se Dio non voglia che Israele non entri a Rafah, se Dio non voglia che finiamo la guerra, se Dio non voglia che ci sarà un accordo promiscuo».

 

La richiesta, pura è semplice, è per la continuazione della guerra che altrove definiscono, con sempre maggiore frequenza, «genocidio».

 

«Il Primo Ministro ha ascoltato le parole, ha promesso che Israele entrerà a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbero stati accordi dissoluti» dichiara il ministro sionista, che sembra alludere ancora una volta la sua capacità di far cascare l’esecutivo retto dal Bibi. «Accolgo con favore queste cose. Penso che il Primo Ministro capisca molto bene cosa significherebbe se queste cose non si verificassero».

 

A marzo il Ben Gvir aveva sollecitato il ministro della Difesa Yoav Gallant a dichiarare guerra al Libano. «Gallant, l’esercito è sotto la tua responsabilità, cosa stai aspettando? Più di 100 razzi sono stati lanciati contro lo Stato di Israele e tu stai seduto in silenzio?» aveva detto in un video condiviso sul suo account sui social media. Ben-Gvir esortava ad attaccare il Libano, dicendo, come riporta il canale di Stato turco TRT: «cominciamo a rispondere, ad attaccare e a combattere ora».

 

Il ministro Itamar Ben Gvir appartiene al partito sionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») è associato al movimento erede del partito Kach, poi dissolto da leggi anti-terroriste varate dal governo Rabin nel 1994, fondato dal rabbino americano Mehir Kahane.

 

Kach è nella lista ufficiale delle organizzazioni terroristiche di USA, Canada e, fino al 2010, su quella del Consiglio dell’Unione Europea. Il Kahane fu assassinato in un vicolo di Nuova York nel 1990, tuttavia le sue idee permangono nel sionismo politico, in primis l’idea di per cui tutti gli arabi devono lasciare Eretz Israel, la Terra di Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.

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Il Ben Gvir da ministro l’anno scorso ha vietato le bandiere palestinesi, mentre quest’anno un altro membro del partito ha minimizzato riguardo gli sputi degli ebrei contro i pellegrini cristiani (un’«antica tradizione ebraica»), mentre sul territorio si moltiplicano gli attacchi e le profanazioni ai danni dei cristiani e dei loro luoghi in Terra Santa.

 

Come riportato da Renovatio 21, in un altro editoriale Haaretz scriveva che «il governo di Netanyahu è tutt’altro che conservatore. È un governo rivoluzionario, di destra, radicale, messianico che ha portato avanti un colpo di Stato e sogna di annettere i territori».

 

Il Ben Gvir era tra i relatori del grande convegno sulla colonizzazione ebraica di Gaza, celebrato con balli sfrenati su musica tunza-tunza.

 


Il messianismo sionista si basa sulla teoria apocalittica del Terzo Tempio, che ha diversi sostenitori anche nel protestantesimo americano.

 

Tali idee religiose sulla fine del mondo sono riaffiorate poche settimane fa quando un gruppo sionista ha domandato di portare sulla spianata delle Moschee – cioè il Monte del Tempio degli ebrei – una giovenca rossa, che, sacrificata come prescritto nei Libro dei numeri, darebbe ceneri con cui purificare i rabbini necessari ai riti per la venuta del messia degli ebrei, che per i cristiani, secondo varie vulgate, sarebbe esattamente l’anticristo.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche la settimana scorsa alcuni giovani ebrei sono stati arrestati mentre tentavano di trafugare sul Monte del tempio alcuni capretti da offrire in sacrificio, un atto che è sia una provocazione nei confronti dei palestinesi musulmani, sia un procedimento inserito all’interno di un sistema di riti apocalittici.

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