Nucleare
Pure le delegazioni della NATO si chiedono chi dirige il governo degli Stati Uniti
Dopo gli evidenti segni di demenza mostrati in diretta TV a più ripresa dal presidente USA, non sono solo gli americani – compresi un numero crescente di deputati e senatori – a chiedersi chi sia effettivamente a capo del governo degli Stati Uniti, data l’evidente condizione del presidente Joe Biden.
La testata economica statunitense Bloomberg ha riferito la settimana passata luglio che «le delegazioni provenienti da tutta Europa» alla riunione della NATO «stavano tranquillamente partecipando a incontri con consiglieri e altri con legami con Donald Trump mentre erano alle prese con la possibilità – alcuni dicono probabilità – che egli ritornasse a prendersi lo Studio Ovale».
«Molte nazioni della NATO e dell’Unione Europea hanno chiesto incontri con i funzionari che hanno prestato servizio sotto Trump» scrive il giornale neoeboraceno, che ha indicato come il premier magiaro Vittorio Orban ha fatto di meglio organizzando direttamente una visita con Trump nella magione floridiana di Mar-a-Lago.
Nella sua veste di presidente di turno del Consiglio UE per i prossimi sei mesi, Orban come noto ha fatto un tour – da lui stesso definita «missione di pace» Kiev, Mosca e Pechino nelle ultime settimane, per lavorare alla creazione delle condizioni per una soluzione negoziata alla guerra in Ucraina.
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La fiducia in Biden non è stata rafforzata dall’ammissione del 9 luglio da parte della portavoce della Casa Bianca, la haitiano americana lesbica Karine Jean-Pierre secondo cui «una squadra» deciderebbe se svegliare o meno il presidente Biden nell’ipotetica situazione di un’arma nucleare lanciata contro gli Stati Uniti.
Peter Doocy, corrispondente della Casa Bianca di Fox News già bersaglio degli insulti di Biden (il presidente lo aveva definito pubblicamente uno «stupido figlio di puttana»), ha chiesto alla Jean-Pierre se Biden «ha anche detto che è più sveglio prima delle 20:00. Quindi, diciamo che il Pentagono ad un certo punto rileva una bomba atomica in arrivo. Sono le 23:00 Chi chiami? La First Lady?»
Jean-Pierre ha spiegato che il presidente «ha una squadra che gli fa conoscere ogni notizia pertinente e importante per il popolo americano. Ha qualcuno… e questo è stato deciso ovviamente con il suo Consiglio di Sicurezza Nazionale su chi potrà comunicargli quella notizia».
Quando qualcuno ha detto che l’Occidente è un sonnambulo che si dirige verso il baratro termonucleare, non stava usando una metafora.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Nucleare
L’ex vertice dell’esercito ucraino vuole le armi nucleari
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Nucleare
Il think tank del CFR chiede che Giappone, Germania e Canada diventino potenze nucleari
Un articolo pubblicato il 19 novembre su Foreign Affairs – la rivista di punta del Council on Foreign Relations, il think tank dell’establishment dello Stato profondo USA– rappresenta una provocazione senza precedenti. Il titolo è inequivocabile: «Gli alleati dell’America dovrebbero passare al nucleare. Una proliferazione selettiva rafforzerà l’ordine globale, non lo distruggerà».
Gli autori, i professori di relazioni internazionali Moritz S. Graefrath e Mark Raymond dell’Università dell’Oklahoma, sostengono che gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare il dogma della non proliferazione e incoraggiare Canada, Germania e Giappone ad armarsi di ordigni atomici. Secondo loro, questo renderebbe il mondo «più stabile».
«Washington farebbe bene a riconsiderare la sua rigida opposizione alla proliferazione e a spingere un ristretto gruppo di alleati – Canada, Germania e Giappone – verso il nucleare», scrivono. Per gli USA significherebbe scaricare parte del peso della difesa regionale su questi partner e ridurre la loro dipendenza militare; per Berlino, Tokyo e Ottawa significherebbe ottenere la deterrenza definitiva contro Russia e Cina, oltre a proteggersi da un eventuale disimpegno americano dalle alleanze tradizionali.
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«Lungi dall’inaugurare un’era di instabilità globale, una proliferazione selettiva contribuirebbe a sostenere l’ordine post-1945», aggiungono, difendendo così il cosiddetto «ordine basato su regole» con cui l’asse anglo-americano cerca di tenere sotto controllo la maggioranza globale, nonostante il sistema finanziario transatlantico sia al collasso. In particolare, «una Giappone nucleare contribuirebbe enormemente al principale obiettivo statunitense in Asia orientale: contenere la Cina attraverso alleanze locali forti».
Gli autori sembrano ignorare deliberatamente la storia: uno dei motivi principali dietro i negoziati del Trattato di Non Proliferazione (TNP) negli anni Sessanta e il programma di condivisione nucleare NATO fu proprio impedire alla Germania di dotarsi di armi atomiche. Riarmare Berlino in chiave anti-russa con ordigni nucleari evoca sinistri precedenti storici.
Quanto al Giappone, la Costituzione pacifista imposta da MacArthur nel dopoguerra è stata concepita proprio per scongiurare il ritorno del militarismo nipponico – una carta che Washington e Londra stanno cercando di stracciare da anni, come dimostrano le recenti dichiarazioni del primo ministro Sanae Takaichi, pronta a riesaminare la dottrina dei «tre no» sulle armi nucleari (che ne vieta il possesso, la fabbricazione e l’introduzione su suolo nipponico) e a coinvolgere Tokyo in un eventuale conflitto su Taiwan.
Graefrath e Raymond omettono questi precedenti e presentano Germania e Giappone come «membri responsabili della comunità internazionale». In realtà, autorizzare la loro proliferazione nucleare in difesa di un ordine mondiale in disfacimento accelererebbe la corsa verso un conflitto atomico.
L’articolo porta inoltre i segni evidenti del tentativo britannico di «blindare» l’establishment globale contro un secondo mandato Trump: «una forza nucleare tedesca indipendente proteggerebbe Berlino dalla possibilità di un ritiro improvviso degli Stati Uniti dall’Europa». In altre parole: se Trump dovesse davvero ridurre l’impegno americano, meglio che Berlino abbia le sue bombe.
Il discorso non è nuovo neanche in Europa.
Come riportato da Renovatio 21, l’eurodeputata SPD Katarina Barley aveva ipotizzato mesi fa il riarmo atomico dell’Europa – e quindi per una Germania rimilitarizzata, un concetto che si dice fosse uno dei motivi della creazione della NATO («Tenere l’Europa dentro, i russi fuori, i tedeschi sotto») e un vero incubo per lo statista italiano Giulio Andreotti («la Germania mi piace così tanto che ne voglio due»).
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Come riportato da Renovatio 21, il neocancelliere Federico Merz ha promesso, appena eletto, di escludere le armi atomiche, ma non è facile credergli. Credere ad un cancelliere tedesco, in una Germania che ripudia le centrali atomiche ma invoca le bombe atomiche, potrebbe essere difficilissimo.
Bizzarramente, in un’intervista pubblicata a luglio per un giornale polacco il direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi ha dichiarato che Germania potrebbe sviluppare le proprie armi nucleari entro pochi mesi, se lo desiderasse, affermando che Berlino possiede già il materiale nucleare, il know-how e l’accesso alla tecnologia necessari.
Secondo Grossi, la Germania potrebbe costruire una bomba nucleare nel giro di «qualche mese», anche se il direttore generale dell’AIEA ha sottolineato che «si tratta di ipotesi puramente ipotetiche» e che i Paesi europei continuano a ribadire il loro impegno nei confronti del Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari (TNP).
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Nucleare
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