Geopolitica
Pakistan, Imran Khan cancella voto di sfiducia e fa sciogliere il parlamento: «complotto USA»
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Colpo di mano del premier che ha aperto una crisi costituzionale a Islamabad accusando gli Stati Uniti di tramare per la sua uscita di scena. In parlamento non avrebbe avuto i numeri. Atteso verdetto della Corte suprema sulla legittimità dei provvedimenti.
Il Pakistan è alle prese con una grave crisi istituzionale dopo che domenica 3 aprile il vice-presidente del parlamento Qasim Suri, un fedelissimo del premier Imran Khan, ha fatto cancellare dall’ordine del giorno la mozione di sfiducia presentata contro il governo del Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI), che – dopo il ritiro di alcuni deputati – non ha più la maggioranza dei voti nell’assemblea.
La clamorosa mossa è stata motivata con l’articolo 5 della costituzione che impone l’obbligo di lealtà allo Stato, sostenendo la tesi – ripetuta in questi giorni da Imran Khan – che dietro alle defezioni parlamentari della sua coalizione vi sarebbe un complotto internazionale guidato dagli Stati Uniti.
La tesi – ripetuta in questi giorni da Imran Khan – che dietro alle defezioni parlamentari della sua coalizione vi sarebbe un complotto internazionale guidato dagli Stati Uniti
Una tesi – respinta da Washington – che si intreccerebbe alla sua recente visita a Mosca nel mezzo dell’invasione Ucraina e ai legami economici sempre più stretti tra Islamabad e Pechino.
Ottenuta la cancellazione del voto di sfiducia Imran Khan ha anche incassato dal presidente Arif Alvi, un altro esponente del suo partito, lo scioglimento del parlamento con la conseguente indizione di elezioni entro 90 giorni, in anticipo di un anno rispetto alla fine della legislatura prevista per il 2023.
Contro questi colpi di mano si sono sollevate però le opposizioni che si sono rivolte alla Corte suprema, contestando l’illegittimità della cancellazione del voto di sfiducia. Una pronuncia sulla vicenda è attesa in giornata, mentre nel Paese sale la tensione.
Il quotidiano Dawn in un editoriale parla espressamente di «democrazia sovvertita» dall’ex campione di cricket che non rispetta le regole del gioco.
Il governo di Imran Khan era già da tempo in difficoltà per la grave situazione economica del Paese, in ginocchio per l’aumento dell’inflazione che ha portato alle stelle i prezzi dei beni essenziali.
E dietro alle defezioni nel Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI) vi sarebbe la sfiducia dell’esercito, attore da sempre fondamentale negli equilibri interni del Paese.
Sabato 2 aprile – il giorno prima dell’atteso voto di sfiducia, proprio mentre Khan dalle tv chiamava i suoi seguaci a difenderlo in piazza – il capo di Stato maggiore, generale Qamar Javed Bajwa, ribadendo la «neutralità» delle forze armate rispetto allo scontro politico, ha eloquentemente condannato l’invasione russa dell’Ucraina («deve fermarsi immediatamente») e ricordato le «storiche ed eccellenti relazioni strategiche con gli Stati Uniti», in aperto contrasto con le parole di Imran Khan.
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Geopolitica
Orban: l’UE annega nella corruzione
L’UE continua a rivendicare la sua «superiorità morale» nonostante sia «annegata» nella corruzione, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orban, accusando Bruxelles e Kiev di proteggersi a vicenda dagli scandali di corruzione.
Venerdì Orban ha attaccato duramente la leadership dell’UE in un’intervista a Kossuth Radio, evocando l’ultimo scandalo di corruzione che ha colpito l’Unione all’inizio di questa settimana. La Procura europea (EPPO) ha formalmente accusato tre sospettati di alto profilo, tra cui l’ex responsabile della politica estera dell’Unione e vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini, di frode, corruzione, conflitto di interessi e violazione del segreto professionale.
Il primo ministro ungherese ha tracciato parallelismi tra la vicenda e la serie di scandali di corruzione che hanno colpito l’Ucraina, tra cui il sistema di tangenti da 100 milioni di dollari legato alla cerchia ristretta di Volodymyr Zelens’kjy. Nonostante lo scandalo, Bruxelles ha cercato di ottenere 135 miliardi di euro per sostenere Kiev nel corso del prossimo anno.
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L’UE non è riuscita a fornire una risposta adeguata allo scandalo di corruzione in Ucraina, ha affermato Orban, accusando la leadership dell’Unione di voler coprire Kiev. «L’UE sta annegando nella corruzione. I commissari sono accusati di gravi reati, la Commissione e il Parlamento sono travolti dallo scandalo, eppure Bruxelles continua a rivendicare la superiorità morale. La corruzione in Ucraina dovrebbe essere denunciata dall’UE, ma ancora una volta è la solita vecchia storia: Bruxelles e Kiev si proteggono a vicenda invece di affrontare la verità», ha scritto Orban su X, condividendo un estratto dell’intervista.
Le sue osservazioni seguono le dichiarazioni rilasciate all’inizio di questa settimana dal ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che ha accusato l’UE di essere riluttante a denunciare la corruzione ucraina «perché anche Bruxelles è costellata da una rete di corruzione simile».
«Nessuno ha chiesto conto agli ucraini delle centinaia di miliardi di euro di aiuti dell’UE dopo che è stato rivelato che in Ucraina si stava verificando corruzione ai massimi livelli statali», ha detto lo Szijjarto ai giornalisti, aggiungendo che il denaro dei contribuenti europei finisce in ultima analisi nelle «mani di una mafia di guerra».
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Immagine di European People’s Party via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Geopolitica
Per gli USA ora la normalizzazione delle relazioni con la Russia è un «interesse fondamentale»
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Geopolitica
Israele potrebbe iniziare a deportare gli ucraini
Decine di migliaia di rifugiati ucraini in Israele rischiano la deportazione entro la fine del prossimo mese, a causa del protrarsi del ritardo governativo nel rinnovare il loro status legale. Lo riporta il quotidiano dello Stato Giudaico Haaretz.
La tutela collettiva offerta a circa 25.000 ucraini in seguito all’aggravarsi del conflitto in Ucraina nel 2022 necessita di un’estensione annuale, ma gli attuali permessi di soggiorno scadono a dicembre.
Tuttavia, Israele non si è dimostrato particolarmente ospitale verso molti di questi migranti, in particolare quelli non eleggibili alla «Legge del Ritorno», una legge fondamentale dello Stato di Israele implementata dal 1950che garantisce a ogni ebreo del mondo il diritto di immigrare in Israele e ottenere la cittadinanza, basandosi sul legame storico e religioso del popolo ebraico con la Terra Promessa. Secondo i resoconti dei media locali, gli ucraini non ebrei ottengono spesso solo una protezione provvisoria, devono fare i conti con norme d’ingresso stringenti e sono esclusi dalla residenza permanente o dagli aiuti sociali, finendo intrappolati in un limbo legale ed economico.
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In carenza di un ministro dell’Interno ad interim, la competenza su tale dossier è passata al premier Benjamino Netanyahu, ma una pronuncia non è ancora arrivata, ha precisato Haaretz.
L’Autorità israeliana per la Popolazione e l’Immigrazione ha indicato che la pratica è in esame e che una determinazione verrà comunicata a giorni, ha aggiunto il giornale.
Anche nell’Unione Europea, l’assistenza ai profughi ucraini è messa alla prova, con vari esecutivi che stanno tagliando i piani di supporto per via di vincoli di bilancio. Dati Eurostat mostrano un recente incremento degli arrivi di maschi ucraini in età da leva nell’UE, in scia alla scelta del presidente Volodymyr Zelens’kyj di allentare i divieti di espatrio per la fascia 18-22 anni. Tale emigrazione continua di uomini abili al reclutamento sta acutizzando le già critiche carenze di forza lavoro in Ucraina.
Germania e Polonia, i due Stati membri che accolgono il maggior numero di ucraini, hanno di recente varato restrizioni sui sussidi, malgrado un calo del consenso popolare.
Il presidente polacco Karol Nawrocki ha annunciato il mese scorso che non rinnoverà gli aiuti sociali per i rifugiati ucraini oltre il 2026. A quanto pare, l’opinione pubblica polacca sui profughi ucraini si è inasprita dal 2022, per via di frizioni sociali e del diffondersi dell’idea che rappresentino un peso o una minaccia criminale.
Quest’anno, i giovani ucraini hanno provocato quasi 1.000 interventi delle forze dell’ordine per scontri, intossicazione alcolica e possesso di armi non letali in un parco del centro di Varsavia, ha rivelato all’inizio della settimana Gazeta Wyborcza.
Una sorta di cecità selettiva, o di compiacenza, di Tel Aviv nei confronti del neonazismo ucraino pare emergere anche da dichiarazioni dell’ambasciatore dello Stato Ebraico a Kiev, che ha detto di non essere d’accordo con il fatto che Kiev onori autori dell’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale come eroi nazionali, tuttavia rassicurando sul fatto che tale disputa non dovrebbe rappresentare una minaccia per il sostegno israeliano al governo ucraino.
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Secondo un articolo del Washington Post, circa la metà dei 300.000 ebrei ucraini sarebbero fuggiti dal Paese dall’inizio del conflitto con la Russia.
Come riportato da Renovatio 21, le pressioni dell’amministrazione Biden su Tel Aviv per la fornitura di armi a Kiev risale ad inizio conflitto.
Tre anni fa l’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev aveva messo in guardia Israele dal fornire armi all’Ucraina in risposta alle affermazioni secondo cui l’Iran sta vendendo missili balistici e droni da combattimento alla Russia.
Israele a inizio 2022 aveva rifiutato la vendita di armi cibernetiche all’Ucraina o a Stati, come l’Estonia, che potrebbero poi rivenderle al regime Zelens’kyj.
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Immagine di Spokesperson unit of the President of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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