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Noi ci dissociamo dalle parole del ministro Di Maio. E dalla realtà italiana che lo ha messo lì

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Ci dissociamo dalle parole del ministro degli Esteri Luigi di Maio. Lo facciamo perché al momento è ancora permesso, ma non sappiamo se lo sarà ancora nel prossimo futuro.

 

L’intervento che il capo della Diplomazia italiana ha tenuto martedì 1 marzo sulla trasmissione TV DiMartedì ci è sembrato semplicemente incredibile.

 

Lo stesso conduttore ha rilevato l’incapacità del Di Maio, che sgancia giri di parole che superano quelli dei democristiani della Prima Repubblica, di rispondere ad una semplice domanda: «l’Italia rischia la guerra?»

 

Prendiamo atto che, in barba all’articolo 11 della nostra Costituzione, in barba ai valori pacifisti che credevamo animassero il suo partitino (se esiste ancora, se è mai esistito), egli non abbia risposto semplicemente: no.

 

 

Ci pare grottesca la personalizzazione del conflitto che pare intendere il ministro, che si concentra sulla demonizzazione del presidente della Federazione russa. Putin, Putin, Putin. Continua a ripetere quel nome, quasi desse conforto, perché significherebbe che la situazione non è complessa come appare, è solo colpa di una singola persona cattivissima. Al punto che ci si chiede se siamo davanti ad un’incarnazione ministeriale della profonda filosofia dell’«hastatoputin».

 

Sorvoliamo sulla rivendicazione tutta personale dei 110 milioni di euro che a firma del ministro (quello che aveva «abolito la povertà») finiranno a sostenere il governo ucraino – non vogliamo stare a pensare a quelle povere famiglie italiane che oggi, a causa della catastrofe COVID, non hanno più niente, anzi hanno meno di quello che il loro governo stanzia per gli sfollati ucraini: sono quelli che non possono più entrare in ufficio, mentre un cane potrebbe (riguardo al concetto degli animali superiori alle persone sgradite torneremo più sotto).

 

Ma concentriamoci sul «supporto militare»: non è questo già un atto di guerra? Non è così che potrebbe percepirlo la Russia?

 

Di Maio sostiene che Zelens’kyj ha avuto il 74% dei voti; dimentica però che l’intero assetto politico ucraino, evidentemente non molto stabile, è sortito da quello che in molti definiscono un golpe o una «rivoluzione colorata», un colpo di palazzo guidato da una piazza eterodiretta: Maidan, 2014.

 

Peraltro, riteniamo che tesi del genere non fossero del tutto estranee a elementi al suo partito, che ancora nel 2015 organizzava una «delegazione di pace M5S in Russia e Crimea». Proprio così.

Abbiamo un ministro grillino che si vanta in TV del fatto che «con le sanzioni stiamo facendo collassare l’economia russa». Cioè, mettere in difficoltà 144 milioni di persone – e di riflesso, decine di migliaia di aziende italiane. Cioè, mettere in difficoltà 144 milioni di persone – e di riflesso, decine di migliaia di aziende italiane.

 

Il comunicato, ancora presente su internet, è invecchiato un po’ male, con l’immagine di una bandiera russa che garrisce al fianco di quella del M5S.

 

«Il Movimento 5 Stelle si è sempre battuto in Parlamento contro le sanzioni imposte alla Russia dall’Unione Europea, misure alle quali ha dato il suo contributo anche il governo italiano e che ad oggi pesano fortemente sul nostro tessuto economico.
Noi consideriamo la Russia un partner commerciale, economico, culturale e storico imprescindibile per l’Europa e per l’Italia, nonché un interlocutore internazionale fondamentale per la risoluzione delle gravi crisi internazionali».

 

Nel documento si scrive delle sanzioni antirusse del dopo-Crimea di «una guerra commerciale per compiacere gli USA».

 

Ora invece abbiamo un ministro grillino che si vanta in TV del fatto che «con le sanzioni stiamo facendo collassare l’economia russa». Cioè, mettere in difficoltà 144 milioni di persone – e di riflesso, decine di migliaia di aziende italiane. «Dobbiamo continuare a colpire la sua economia con le sanzioni», dice il partenopeo ostentando granitica sicurezza nei progetti di «guerra ibrida» à la Biden, dove invece che un’operazione su obbiettivi militari si scatena un bel disastro geoeconomico che piega la popolazione civile e rovina di rimando economie collegate – ad esempio quella dell’Italia, che dal 2014 perde più di un miliardo di euro al mese per l’idiozia delle sanzioni imposte dalla russofobia neocon.

È grottesco che si svicoli alla domanda precisa del conduttore se vi sono missili che possono raggiungere l’Italia con una supercazzola a base di NATO

 

«Il rublo ha perso il 30%, la borsa di Mosca è chiusa da due giorni» esulta il ministro degli Esteri.

 

Il tutto per appagare l’odio per una singola persona, Vladimir Putin, «che vuole la guerra», e che viene definito «atroce». E che quindi va trattato con la forza: «noi non possiamo aspettarci che Putin verrà al tavolo trattandolo con gentilezza». Eccerto: serve la durezza di cui sappiamo capace il politico campano, quella che per forza spaventa Vladimir. La durezza delle sanzioni che, come qualcuno ha avuto il coraggio di rinfacciare a Biden, non sembra che abbiano funzionato molto: ma forse alla Farnesina la notizia non è arrivata.

 

È grottesco che si svicoli alla domanda precisa del conduttore se vi sono missili che possono raggiungere l’Italia con una supercazzola a base di NATO, la cui appartenenza capiamo essere, ora, un grande valore per questo peso massimodel Movimento 5 Stelle.

 

Apprendiamo da Giggino che in Ucraina «ci sono giovani che sognano di entrare nell’Unione Europa, c’è un popolo che sogna di entrare nella NATO». Il sogno giovanile di entrare nella NATO, ammettiamo, ci mancava.

 

Per raccontarcelo, parte anche la geremiade sul fatto che «non è ancora chiaro il livello di atrocità». Non bisogna credere, insomma, che i russi stiano attaccando solo obbiettivi militari, come sembra a tutti, nonostante la propaganda occidentale filoucraina.

Ci dissociamo da quanto dice il ministro. Ci vergogniamo anche, molto. E ci stropicciamo gli occhi di continuo

 

Il ministro parla di corridoi umanitari per «bambini, tanti malati oncologici, tante donne ferite» a cui l’Italia offrirà ospitalità e cure. Non sono compresi, nell’accorato discorso del ministro, i cittadini ucraini maschi dai 18 ai 60 anni, perché per legge non è ora possibile per loro lasciare il Paese: devono essere utilizzati come carne da cannone contro l’esercito russo, con buona pace dell’obiezione di coscienza, del pacifismo, della libertà, dei diritti dei rifugiati e bla bla bla. Qualcuno dovrebbe informare il ragazzo: una vedova ucraina che fugge con il figlio 18enne, dopo il confine rimarrà sola – magari con la nonna e un altro figlio piccolo a cui badare.

 

Quel bel 18enne mandato (con o senza «sogno della NATO») a sparare con un fucile che non ha avuto in mano si può ritrovare morto in pochi secondi – perché dall’altra parte ci sono militari professionisti. Tuttavia, la foto da mandare ai social potrebbe essere perfetta, pronta per essere data in pasto ai social, per ricattare moralmente l’Occidente a combattere la guerra al posto dell’Ucraina.

 

È lecito chiedersi se vi sia del malanimo per via di quel commento che il ministero degli Esteri russo aveva fatto sul Di Maio pochi giorni fa, dopo un Question Time di Di Maio in parlamento, a poche ore peraltro da un incontro a Mosca.

 

«La diplomazia è stata inventata solo per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione, e non per viaggi vuoti in giro per i Paesi ad assaggiare piatti esotici ai ricevimenti di gala» aveva detto il ministero di Lavrov. No, non ci sono precedenti ad uno sfottò come questo. Ma non dovrebbe far ridere: dovremmo piangere per come a quanto pare viene percepita la nostra diplomazia. Non è innaturale se uno se la prende.

 

In realtà, dei sentimenti feriti del ministro non ci importa nulla.

 

Quello che ci preme e dissociarci completamente da ciò che ha detto, che potrà rappresentare l’opinione della NATO, della UE, di George Soros, dei giornali di sistema e del governo Draghi con tutte le sue appendici partitiche, ma rappresenta in nessun modo il pensiero di una larga parte della popolazione italiana, che ha subito per un biennio le balle pandemiche e il calpestamento dei propri diritti e della propria vita, e che ora non è disposta a bersi la propaganda insulsa riguardo il conflitto in corso.

 

Una domanda tecnica, che rivolgiamo a tutti (al governo, ai partiti, agli elettori di Pomigliano d’Arco): com’è possibile che la Russia possa riavviare incontri diplomatici con questo?

In realtà vorremmo dissociarci non solo dalle parole di Di Maio, ma dalla realtà italiana che lo ha messo lì: come siamo finiti a questo punto?

 

Uno che, sghignazzando, dice in diretta sulla TV nazionale che «tra Putin e un animale c’è un abisso»?

 

Ci dissociamo da quanto dice il ministro. Ci vergogniamo anche, molto. E ci stropicciamo gli occhi di continuo.

 

Perché in realtà vorremmo dissociarci non solo dalle parole di Di Maio, ma dalla realtà italiana che lo ha messo lì: come siamo finiti a questo punto?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

Immagine screenshot da Youtube

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Trump dice che risolvere Gaza potrebbe non bastare per andare in paradiso

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha suggerito, con tono scherzoso, che probabilmente non finirà in paradiso, nonostante i suoi sforzi per negoziare la pace tra Israele e Hamas.

 

Domenica, durante un volo sull’Air Force One diretto in Israele, Peter Doocy di Fox News ha chiesto a Trump se la fine della guerra a Gaza potesse aiutarlo a «guadagnarsi il paradiso».

 

«Sto cercando di fare il bravo», ha risposto Trump con un sorriso. «Non credo che qualcosa mi porterà in paradiso. Non penso di essere destinato a quel posto. Forse sono già in paradiso ora, volando sull’Air Force One. Non so se ci arriverò, ma ho migliorato la vita di molte persone», ha aggiunto.

 

Trump ha poi elogiato le sue doti di negoziatore, sostenendo che il conflitto tra Israele e Hamas sarebbe stata «l’ottava guerra che ho risolto».

 

Lunedì, Hamas ha rilasciato i 20 ostaggi israeliani ancora in vita in cambio di circa 2.000 prigionieri palestinesi. L’esercito israeliano aveva precedentemente sospeso le operazioni offensive e si era ritirato da alcune aree della Striscia di Gaza.

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Nello stesso giorno, Trump e i leader di Egitto, Qatar e Turchia hanno firmato una dichiarazione a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai, approvando il cessate il fuoco e un percorso verso «accordi di pace globali e duraturi».

 

Il piano di pace in 20 punti di Trump prevede che Gaza diventi una «zona libera dal terrorismo e deradicalizzata». Sebbene Hamas abbia accettato lo scambio di prigionieri previsto dal piano, ha rifiutato di disarmarsi o cedere il controllo dell’enclave palestinese. Israele, da parte sua, non si è ancora impegnato per un ritiro completo dalla Striscia.

 

Trump, cresciuto nella fede presbiteriana, ha goduto di un forte sostegno tra i cristiani evangelici e dei cattolicidurante la sua carriera politica.

 

Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa Trump aveva affermato di voler «provare ad andare in paradiso, se possibile» mentre discuteva dei suoi sforzi per porre fine alla guerra in corso in Ucraina.

 

«Se riesco a salvare 7.000 persone a settimana dall’essere uccise, penso che sia questo il motivo per cui voglio provare ad andare in paradiso, se possibile», ha detto all trasmissione della TV via cavo americana Fox and Friends. «Sento dire che non sto andando bene, che sono davvero in fondo alla scala sociale. Ma se posso andare in paradiso, questo sarà uno dei motivi».

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

 

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Essere euroscettici oggi. Renovatio 21 intervista l’onorevole Antonio Maria Rinaldi

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Che fine ha fatto l’euroscetticismo? Renovatio 21 ha intervistato l’economista post-keynesiano Antonio Maria Rinaldi, già fondatore di Alternativa per l’Italia e oggi deputato della Lega a Roma, dopo l’esperienza dal 2019 al 2024 come europarlamentare a Bruxelles.   Partirei dalla sua esperienza al Parlamento europeo. Molti dei suoi interventi sono stati spesso di critica verso l’establishment europeista. Quanta libertà di movimento e di parola ha un parlamentare europeo e quanto incide, di fatto, un voto al parlamento europeo? Bisogna fare una distinzione. La prima distinzione è il movimento che ha un parlamentare europeo nell’ambito del proprio partito politico, ed è una cosa. Per quanto riguarda invece la sua funzione come parlamentare per poter modificare qualcosa nella struttura europea, è un’altra. Per la prima cosa, per quanto uno può essere indipendente, posso dire quello che mi riguarda.   Come ho detto più volte pubblicamente, io nella Lega ho avuto la massima e assoluta libertà. Non sono mai stato censurato, ma anzi sono sempre stato caldeggiato ad andare avanti e quindi non posso altro che ringraziare, perché a dire la verità, non avendo mai svolto nessuna funzione politica prima della mia elezione a parlamentare europeo, avevo paura che entrando sarei stato condizionato. Invece no. La mia esperienza mi dice anche che altri partiti nei confronti dei propri esponenti sono diversi, ossia che sono estremamente condizionati e devono seguire di più quelle che dice il partito, diciamo così. Io ho avuto la fortuna di non avere questo condizionamento.   Per quanto riguarda l’azione in generale di un parlamentare europeo nell’ambito delle proprie funzioni all’interno dell’emiciclo, a dire la verità sono pochissime. Anzi scarsissime. Viene quasi l’idea che il Parlamento europeo sia un’istituzione fatta apposta per far credere ai cittadini europei di contare qualche cosa, ma quando in effetti contano poco. Perché la sola parola Parlamento rimanda ai parlamenti nazionali. Non è assolutamente così. 

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La battaglia dell’euro appare un po’ sopita in questo momento, ma in futuro c’è qualche speranza che questa moneta unica possa cambiare rispetto all’assetto che ha in questo momento? Sarò lapidario. Non ho la palla di vetro, però una cosa la posso dire senza problemi: fintanto che l’euro creava problemi ai Paesi PIGS, Italia compresa, nessuno ha sentito l’esigenza di cambiare qualcosa. In questo momento in cui l’Italia fortunatamente è in una situazione di forza per una stabilità politica e ha dimostrato più di tutti di riuscire a rimettere in ordine i propri conti, ci troviamo in una situazione in cui i cosiddetti «padroni del vapore», Francia e Germania, si trovano invece per la prima volta in serissimi problemi.   Non credo di essere un falso profeta, ma cambieranno le regole per loro. Regole che loro stessi hanno dettato quando è stata scritta Maastricht. Se non lo faranno molto probabilmente tutta la costituzione europea avrà vita breve, perché non ci sono i presupposti per cui possa andare avanti.   Cosa accade con l’euro digitale? La questione è stata esaminata quando negli anni passati ho fatto parte della commissione ECON e chiaramente del dibattito. Posso dire una cosa: l’Europa ha un vizio in generale e cioè è regolamenta all’interno senza tener conto di quello che succede nel resto del mondo. O ci si mette d’accordo tutti, altrimenti non ha senso per quanto riguarda la valuta digitale se noi non cerchiamo di fare un qualche cosa di comune accordo con tutti gli altri attori mondiali. Rischiamo di fare un buco nell’acqua, anche perché la globalizzazione dei mercati, volente o nolente, fa sì che noi possiamo regolamentare quello che ci pare, ma poi chiaramente il mondo è fatto in maniera tale per il quale con la globalizzazione ci sfugge tutto subito.    I contratti farmaceutici Pfizer hanno mostrato un serio problema di trasparenza e lei in sede di Parlamento europeo ha vissuto la vicenda ed ha anche visionato parte di quella documentazione.  Stai parlando con colui il quale ha fatto, insieme ad altri colleghi, la famosa interrogazione alla commissione per conoscere i contenuti dei celeberrimi messaggini intercorsi fra la signora Ursula von der Leyen e l’amministratore delegato di Pfizer Albert Bourla. Ci hanno risposto in maniera estremamente evasiva, come era ovvio, però ho visto che ultimamente la procura belga si sta muovendo, quindi chissà.   Abbiamo fatto bene ad andare avanti, anche perché siamo convinti che contratti di quel genere non è che si possano decidere sul telefonino. Con il telefonino possiamo decidere dove andare a mangiare la pizza, ma non contratti di quel genere che hanno avuto un peso specifico importante, perché ce lo ricordiamo tutti quel periodo. Quantomeno avere un minimo di trasparenza e di protocollo. Evidentemente queste persone non hanno mai lavorato nell’economia reale, perché in genere si protocolla tutto con tanto di numero, sia in entrata che in uscita, con delle mail. Perché non lo hanno fatto anche loro, ma lo hanno fatto tramite messaggino di WhatsApp come fanno i liceali? Eh no, mi dispiace, così non si fa.   L’Europa post pandemica ha imposto delle politiche green che al momento sta ampiamente ritrattando. Vi è invece una corsa al riarmo. Dove sta puntando l’obiettivo dell’economia dell’Unione europea? L’economia green così come è stata concepita e realizzata – e non ho difficoltà a sostenerlo perché l’ho detto in aula diverse volte nel peggiore dei modi possibili – ha affidato solo all’elettrico la transizione, quando invece era possibile, col principio della neutralità, poter usufruire anche di altre tecnologie. C’è sempre un motivo e ricordiamo che la precedente legislatura, l’XI, quella dal 2019 al 2014, la signora Ursula von der Leyen si reggeva con una maggioranza dove naturalmente c’era il PPE, il partito popolare europeo, dove la faceva da padrone la compagine tedesca, e quel governo era supportato anche dai verdi e quindi doveva per forza riflettere certi dogmi per non modificare gli equilibri di casa anche in Europa.   Abbiamo visto le conseguenze. Oggi non ci sono più certe forze al governo della nuova coalizione e vedo che per la von der Leyen è cambiato il vento, perché osserviamo che le aziende tedesche stanno chiudendo, la Volkswagen sta chiudendo degli stabilimenti, come tantissime altre case automobilistiche che stanno riducendo drasticamente il proprio personale, e stanno rivedendo le cose. Vediamo cosa faranno. Vediamo se ammettono di aver fatto degli errori così macroscopici.   Di errori ne hanno fatti tanti e continuano, purtroppo, a farne ancora tanti.    Le posso fare una domanda personale?  Prego.   Lei ha un figlio con una disabilità e ho visto che non ne ha parlato in moltissime sue interviste. Immagino tutte le vostre difficoltà emotive, ma anche di carattere pratico. Ecco, la politica attiva come si pone in concreto dinnanzi a queste problematiche che molte famiglie devono affrontare? Io facevo parte a Bruxelles anche di un intergruppo sulla disabilità per ovvi motivi. Una volta feci un bell’intervento in aula, molto forte, in cui dissi: «In questo momento vi parlo come padre di un ragazzo disabile, perché l’Europa ha totalmente disatteso le aspettative e le giuste istanze di questo mondo. Adesso invece parlo da membro di questo parlamento e voi non ve ne state assolutamente all’interno occupando. Siete molto sensibili a tantissime cose, ma io credo» – e questa è la frase che ho detto forte – «che la civiltà di un popolo si misuri con l’attenzione che rivolge nei confronti delle persone disabili e qui purtroppo l’Europa non è civile». 

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Lei insegna all’università. C’è una vera libertà di insegnamento all’interno degli atenei italiani? No. L’università dovrebbe essere il tempio del confronto. Chiunque può esprimersi in maniera democratica e civile e non certo in maniera manesca, ma questo vedo che non avviene né in Italia, né nel resto del mondo. D’altronde noi abbiamo delle università in cui è stato negato di poter parlare a un papa. Adesso sto vedendo che si stanno chiudendo i portoni a professori di religione ebraica, il che mi sembra veramente vergognoso. Mi ritornano in mente le evocazioni di quello che è avvenuto prima della guerra. Si vede che la storia non ha insegnato assolutamente nulla.   Chiunque, ripeto chiunque, di qualsiasi colore politico, in maniera democratica e civile dovrebbe potersi esprimersi in qualsiasi università. È alla base del concetto stesso dell’università, altrimenti non è un’università.   Torneremo a un’Europa di Stati veramente sovrani? Qui c’è una specie di cortocircuito. Noi siamo chiamati i cosiddetti «sovranisti», perché ribadiamo che la sovranità appartiene esclusivamente al popolo. L’unione europea che combatte questi sovranismi di fatto è il primo sovranista, perché vuole evocare a sé questa sovranità per toglierla ai vari Paesi membri che l’hanno ottenuta con il suffragio universale sancito nelle costituzioni.   Cioè, tu mi vuoi togliere la sovranità per prendertela te, però tu da chi sei investito? Io, come paese, sono investito dal popolo, tu no! Solo da burocrati che non si sa chi è che ce li ha messi e a chi rispondono – magari qualche domanda ce la facciamo e qualche risposta la vediamo – e quindi si tratta di un trasferimento di sovranità da un soggetto che è titolato ad averla, che è lo Stato per mezzo del suffragio universale, a un’entità che esercita una sovranità senza averne titolo di validità. Questo è il vero problema.    Prof. Rinaldi, grazie. Grazie a lei.   Francesco Rondolini

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Politica

Zelens’kyj priva della cittadinanza i suoi oppositori

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha revocato la cittadinanza a diverse figure pubbliche di rilievo, tra cui il sindaco di Odessa Gennady Trukhanov, il celebre ballerino Sergei Polunin e l’ex parlamentare Oleg Tsarev, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa UNIAN. Tutti loro avevano in precedenza criticato le politiche di Kiev.

 

Martedì, lo Zelens’kyj ha annunciato su Telegram di aver firmato un decreto che priva «alcuni individui» della cittadinanza ucraina, accusandoli di possedere passaporti russi. Secondo i media, Trukhanov, Polunin e Tsarev erano inclusi nell’elenco.

 

Gennady Trukhanov, sindaco di Odessa, è noto per la sua opposizione alla rimozione dei monumenti considerati legati alla Russia. Ha sempre negato di possedere la cittadinanza russa e ha dichiarato di voler ricorrere in tribunale contro le notizie che riportano la revoca della sua cittadinanza.

 

Sergei Polunin, nato in Ucraina, è cittadino russo e serbo e ha trascorso l’adolescenza presso l’accademia del British Royal Ballet a Londra. Si è trasferito in Russia nei primi anni 2010, interrompendo in gran parte i legami con il suo Paese d’origine. Dopo la sua esibizione in Crimea nel 2018, è stato inserito nel controverso sito web Mirotvorets, che elenca persone considerate «nemiche» dell’Ucraina.

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Oleg Tsarev, deputato della Verkhovna Rada dal 2002 al 2014, ha sostenuto le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk dopo il colpo di Stato di Euromaidan del 2014, appoggiato dall’Occidente. Successivamente si è ritirato dalla politica e si è stabilito in Crimea. Nel 2023, è sopravvissuto a un tentativo di assassinio, che secondo la BBC sarebbe stato orchestrato dai Servizi di Sicurezza dell’Ucraina (SBU).

 

Zelens’kyj ha utilizzato le accuse di possesso di cittadinanza russa per colpire i critici di Kiev. Sebbene la legge ucraina non riconosca la doppia cittadinanza, non la vieta esplicitamente. È noto il caso dell’oligarca ebreo Igor Kolomojskij – l’uomo che ha lanciato Zelens’kyj nelle sue TV favorendone l’ascesa politica – che possedeva, oltre al passaporto ucraino, anche quello cipriota ed ovviamente israeliano. L’uomo, tuttavia, ora è oggetto di raid da parte della giustizia e dei servizi del suo ex protegé.

 

Diversi ex funzionari ucraini e rivali politici di Zelens’kyj sono stati presi di mira con questa strategia, tra cui Viktor Medvedchuk, ex leader del principale partito di opposizione del Paese, ora in esilio in Russia dopo essere stato liberato dalle prigioni ucraine.

 

Come riportato da Renovatio 21, a luglio, anche il metropolita Onofrio, il vescovo più anziano della Chiesa ortodossa ucraina (UOC), la confessione cristiana più diffusa nel Paese, è stato privato della cittadinanza ucraina, a seguito di accuse di possedere anche la cittadinanza russa.

 

La politica della revoca della cittadinanza ai sacerdoti della UOC, ritenuti non allineati dal regime di Kiev, era iniziata ancora tre anni fa.

 

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Immagine di Le Commissaire via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported 

 

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