Spirito
Mons. Viganò: il «peronismo luciferino» di Bergoglio, fulcro dell’attacco alla Chiesa di Cristo
Renovatio 21 pubblica questo testo scritto su X.com da monsignor Carlo Maria Viganò. Lo scritto mette come link un articolo del portale francese Risposte Catholique dal titolo «Il Papa e il cardinale Parolin inviano un rifiuto definitivo all’episcopato tedesco».
Una strategia a dir poco sconcertante nella sua palese dolosità.
Prima Bergoglio fomenta le istanze della Conferenza Episcopale tedesca su tematiche non oggetto di discussione perché già definite dal Magistero: divorzio, poligamia, sodomia, sacerdozio femminile, celibato.
Poi alimenta con il Sinodo sulla Sinodalità le spinte autonomiste delle chiese nazionali in materia dottrinale e morale. E quando il lento ingranaggio eversivo inizia a muoversi, il Gesuita Argentino fa inviare dal suo Segretario di Stato una lettera in cui ipocritamente ricorda che l’insegnamento cattolico su omosessualità e sacerdozio non è oggetto di discussione.
Salvo organizzare con i principali Dicasteri romani una serie di incontri dell’Episcopato tedesco in Vaticano volti a verificare cosa sia immutabile e cosa no di quell’insegnamento appena ribadito.
È il procédé tipico del peronismo luciferino: indurre i subalterni a compiere dei passi – apparentemente «spontanei» e “provenienti dalla base”, ma in realtà abilmente pianificati dall’alto – per introdurre deviazioni dottrinali, morali e liturgiche contrarie alla Fede cattolica.
Allo stesso tempo manda loro un segnale di «via libera», facendo capire che le loro richieste troveranno accoglienza.
In questo modo, quando i Vescovi ultraprogressisti chiedono 100, Bergoglio ha già deciso di fingersi mediatore e di concedere 50, ossia quel che voleva ottenere sin dal principio.
Bergoglio è il fulcro intorno a cui ruota l’intero attacco alla Chiesa di Cristo.
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Il Vaticano riforma il suo sistema giudiziario
Attraverso un nuovo motu proprio reso pubblico il 19 aprile 2024, il Sommo Pontefice ha modificato molte leggi che regolano l’ordinamento giudiziario della Santa Sede, armonizzandolo con il vicino ordinamento italiano. È questo un modo per trarre insegnamento da numerose questioni nate all’indomani del «processo del secolo», la cui onda d’urto continua a scuotere le mura del recinto leonino.
69 è il numero delle Lettere apostoliche in forma di motu proprio promulgate sotto l’attuale pontificato.
Questo atto giuridico è un motu proprio che, in sei articoli, modifica le norme giudiziarie dello Stato Pontificio. Il documento riguarda in parte l’attività dei magistrati ordinari fino ai 75 anni, e fino agli 80 anni per i giudici cardinali. Resta inoltre aperta la possibilità da parte del Sommo Pontefice di prolungare caso per caso il mandato dei magistrati, fissando modalità di remunerazione, di fine rapporto e di pensioni.
Altri provvedimenti hanno suscitato una reazione più forte da parte dei giuristi italiani, come quelli riguardanti la responsabilità civile dei magistrati o il potere conferito al Papa di intervenire nel corso di un processo nominando un vicepresidente o cessando dal servizio di un magistrato il quale, «per comprovata incapacità», non sarebbe più in grado di esercitare le sue funzioni.
D’ora in poi chi ritiene di aver subito un danno potrà avviare un procedimento giudiziario contro lo Stato della Città del Vaticano, che potrà a sua volta rivolgersi a un magistrato se sarà dimostrato che ha causato un danno.
Questo è un modo per allineare il sistema del microStato a quanto avviene in Italia, dove la responsabilità del magistrato è indiretta, per far sì che un cittadino non possa agire direttamente contro un giudice che gli ha fatto torto nel corso di un processo. Si tratta di una misura intesa a garantire la libertà, l’indipendenza e la tutela dei magistrati contro eventuali pressioni esterne.
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Per motivare questa evoluzione, Francesco evoca «gli anni di esperienza che hanno fatto sentire la necessità di una serie di cambiamenti». È difficile non vedere in ciò una scossa di terremoto provocata dal processo del secolo conclusosi provvisoriamente nel dicembre 2023. Provvisoriamente, perché, oltre alla Segreteria di Stato e all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), tutti gli altri attori, imputati e parti civili, hanno impugnato la decisione dei giudici.
Molti giuristi italiani sottolineano che l’attuale pontificato ha riscritto le regole quattro volte durante la fase istruttoria del recente grande processo, sia come modo per colmare un vuoto normativo per alcuni, sia come modo per il Romano Pontefice di mantenere il controllo sullo svolgimento del processo.
Inoltre, il Tribunale vaticano – che è stato teatro di diverse riforme negli ultimi anni – resta composto prevalentemente da avvocati e pubblici ministeri che hanno ricoperto o ricoprono incarichi in Italia e che, di conseguenza, non sempre hanno una perfetta conoscenza della normativa usi e consuetudini della Santa Sede, né del diritto della Chiesa.
In un contributo scritto dopo la sentenza, uno dei legali degli imputati nel processo del secolo, Cataldo Intrieri, ha denunciato le «contraddizioni» del sistema giudiziario vaticano e gli «esorbitanti poteri» concessi ai pubblici ministeri che, a suo dire, aveva portato ad una procedura giudiziaria «molto lontana dai criteri adottati in uno Stato di diritto».
È una critica che il nuovo motu proprio tenta forse di disarmare, anche se non è realistico pretendere dal papato – che resta nella sua essenza monarchico – una separazione assoluta dei poteri.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Immagine di Jorge Valenzuela A via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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