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Geopolitica

L’UE sospende gli aiuti alla Palestina. Poi fa marcia indietro

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L’UE ha sospeso tutti gli aiuti e l’assistenza allo sviluppo alla Palestina in seguito all’attacco di Hamas contro Israele. Secondo il commissario europeo per il vicinato e l’allargamento Oliver Varhelyi, anche ulteriori proposte di bilancio relative agli aiuti sono state rinviate «fino a nuovo avviso».

 

Bruxelles rivedrà la sua intera politica di aiuto e sviluppo nei confronti della Palestina, ha detto il funzionario, sostenendo che «la portata del terrore e della brutalità contro Israele e il suo popolo» è stato un «punto di svolta» per l’UE.

 

«Non può essere business as usual», ha detto Varhelyi in una serie di post su Twitter. «Abbiamo bisogno di azione e ne abbiamo bisogno adesso».

 

Secondo Varhelyi, l’UE è stata «il più grande donatore» dei palestinesi e la decisione di lunedì influenzerà gli aiuti allo sviluppo per un valore di 691 milioni di euro. «Tutti i pagamenti sono immediatamente sospesi. Tutti i progetti [sono stati] messi sotto revisione», ha affermato, aggiungendo che «le basi per la pace, la tolleranza e la coesistenza devono ora essere affrontate».

 

Il commissario ha inoltre affermato che «l’incitamento all’odio, alla violenza e l’esaltazione del terrore hanno avvelenato le menti di così tante persone». Secondo il Financial Times, l’UE ha stanziato un totale di 1,18 miliardi di euro a sostegno sia della Cisgiordania che di Gaza tra il 2021 e il 2024.

 

La Commissione Europea ha negato che parte dei suoi finanziamenti siano andati a Hamas, che essa definisce un gruppo terroristico. «L’UE non finanzia Hamas o le sue attività terroristiche direttamente o indirettamente», ha affermato l’euroblocco dopo l’attacco di sabato, aggiungendo di aver mantenuto una «politica di non contatto» con l’organizzazione dal 2007.

 

La decisione di Bruxelles arriva il giorno dopo che Berlino aveva annunciato che avrebbe sospeso anche gli aiuti ai palestinesi e avrebbe rivisto i programmi di assistenza e sviluppo. Il ministro tedesco dello Sviluppo, Svenja Schulze, ha definito l’attacco di Hamas un «terribile punto di svolta», affermando che Berlino «esaminerà il nostro intero impegno nei confronti dei territori palestinesi».

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La decisione è stata criticata dal deputato tedesco Gregor Gysi, un membro di spicco del partito della sinistra, che ha insistito sul fatto che non tutti i palestinesi dovrebbero essere ritenuti responsabili delle azioni di Hamas. «Le organizzazioni palestinesi possono e devono essere sostenute, ma Hamas no», ha detto a Der Spiegel.

 

Poche ore dopo l’annuncio di Oliver Varhelyi, il capo della politica estera dell’UE, Josep Borrell, ha rilasciato una dichiarazione che lo contraddice apertamente affermando che Bruxelles non sospenderà i pagamenti degli aiuti alla Palestina, poiché ciò avrebbe «danneggiato gli interessi dell’UE nella regione», punito il popolo palestinese e «solo incoraggiato ulteriormente i terroristi».

 

«La revisione dell’assistenza dell’UE alla Palestina annunciata dalla Commissione europea non sospenderà i pagamenti dovuti», ha affermato Borrell in una nota.

 

Il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn sarebbe stato il primo alto funzionario europeo a contestare la proclamazione di Varhelyi, affermando che la decisione spetta ai 27 Stati membri e che i ministri degli Esteri avrebbero discusso la questione martedì.

 

Il ministro degli Esteri spagnolo Jose Manuel Albares ha chiamato Varhelyi e gli ha espresso «il suo disaccordo con la decisione, di cui i ministri degli Esteri non erano a conoscenza», ha riferito l’emittente ABC, citando funzionari governativi anonimi.

 

Anche il Ministero degli Esteri irlandese ha messo direttamente in dubbio il fondamento giuridico della decisione unilaterale di Varhelyi.

 

Anche Janez Lenarcic, il Commissario UE per gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi, ha contraddetto il suo collega ungherese, affermando che, mentre condanna «con la massima fermezza» Hamas, gli aiuti dell’UE «continueranno finché necessario».

 

Quindi, in un ulteriore comunicato stampa che «chiarisce» le osservazioni di Varhelyi, la Commissione Europea ha affermato che sta «avviando una revisione urgente dell’assistenza dell’UE alla Palestina», ma non sospenderà alcun pagamento perché «non erano previsti pagamenti».

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«L’obiettivo di questa revisione è garantire che nessun finanziamento dell’UE consenta indirettamente a un’organizzazione terroristica di effettuare attacchi contro Israele. La Commissione valuterà anche se, alla luce delle mutate circostanze sul campo, i suoi programmi di sostegno alla popolazione palestinese e all’Autorità Palestinese debbano essere adeguati», aggiunge la dichiarazione.

 

Il Commissario Borrell in seguito ha dichiarato che Israele ha il diritto all’autodifesa, ma alcune delle decisioni prese dal suo governo sono contrarie al diritto internazionale umanitario.

 

«Israele ha il diritto di difendersi, ma ciò deve essere fatto in conformità con il diritto umanitario internazionale. E alcune decisioni sono contrarie al diritto internazionale», ha detto Borrell in Oman, dove ha partecipato alla riunione congiunta dei ministri degli Esteri dell’UE e del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Sia l’UE che il GCC hanno condannato gli attacchi terroristici di Hamas, ha osservato Borrell, ma hanno condannato anche qualsiasi attacco contro i civili, hanno chiesto il rilascio immediato di tutti gli ostaggi e hanno chiesto a Israele di rispettare il diritto internazionale e di non bloccare la consegna di cibo, acqua o elettricità alla popolazione civile di Gaza.

 

I due blocchi hanno anche chiesto a Israele di aprire «corridoi umanitari» da Gaza all’Egitto, in modo che i civili possano lasciare il territorio prima degli attacchi aerei di rappresaglia israeliani.

 

Le osservazioni di Borrell sembrano essere un riferimento alla dichiarazione del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant di lunedì che ordinava un «assedio completo» di Gaza. «Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, tutto è chiuso», ha detto Gallant ai media israeliani.

 

«Stiamo combattendo gli animali umani e agiamo di conseguenza». Diversi media hanno anche citato Gallant che martedì ha affermato di aver «tolto tutte le restrizioni» sulle regole d’ingaggio israeliane contro Gaza.

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Immagine di European Parliament via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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La Colombia accusa gli Stati Uniti di aver iniziato una «guerra»

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Il presidente colombiano Gustavo Petro ha accusato gli Stati Uniti di cercare di provocare una guerra nei Caraibi usando come pretesto una campagna antidroga, sottolineando che cittadini colombiani sono stati uccisi nei recenti attacchi al largo delle coste del Venezuela.   In un post sui social media di mercoledì, Petro ha sostenuto che la campagna non ha come obiettivo il narcotraffico, ma piuttosto il controllo delle risorse della regione. La Casa Bianca ha definito l’accusa «infondata», secondo Reuters.   Gli Stati Uniti hanno effettuato attacchi aerei contro presunte imbarcazioni coinvolte nel traffico di droga vicino al Venezuela, descrivendoli come un tentativo di contrastare il traffico di stupefacenti nei Caraibi. Washington accusa da tempo il presidente venezuelano Nicolas Maduro di legami con i cartelli della droga. Maduro ha smentito le accuse, sostenendo che gli attacchi siano parte di un piano per destituirlo.   Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno distrutto almeno quattro imbarcazioni che, a loro dire, trasportavano stupefacenti al largo delle coste del Venezuela, causando la morte di oltre 20 persone. Come riportato da Renovatio 21, Trump ha definito gli attacchi alle barche della droga come un «atto di gentilezza».

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«Le prove dimostrano che l’ultima imbarcazione bombardata era colombiana, con cittadini colombiani a bordo», ha scritto Petro.   Il presidente colombiano ha ribadito che la campagna statunitense non riguarda la lotta alla droga, ma il controllo delle risorse naturali. «Non c’è una guerra contro il contrabbando; c’è una guerra per il petrolio», ha dichiarato, definendo gli attacchi «un’aggressione contro tutta l’America Latina e i Caraibi».   Per anni, la Colombia è stata considerata il principale alleato di Washington in Sud America. Attraverso il Plan Colombia, un’iniziativa di aiuti multimiliardaria avviata dagli Stati Uniti nel 2000, i governi colombiani successivi hanno concesso alle forze armate statunitensi l’accesso alle basi locali e hanno appoggiato gli sforzi guidati dagli Stati Uniti per isolare il Venezuela. Questa politica è cambiata con l’elezione di Petro nel 2022, che ha lavorato per ristabilire le relazioni diplomatiche con Caracas e ha promosso una politica estera più indipendente e una maggiore cooperazione regionale.   Come riportato da Renovatio 21, la scorsa estate il Petro aveva dichiarato che la Colombia deve interrompere i legami con la NATO perché i leader del blocco atlantico sostengono il genocidio dei palestinesi. Bogotà la settimana scorsa ha espulso tutti i diplomatici israeliani, dopo aver rotto i rapporti con lo Stato Ebraico un anno fa e chiesto alla Corte Penale Internazionale di emettere un mandato di arresto per Netanyahu.

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Geopolitica

Svelato il profilo dell’accordo tra Israele e Hamas

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Il piano di cessate il fuoco per Gaza proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump prevede il ritiro delle forze israeliane da vaste aree dell’enclave palestinese e la liberazione degli ostaggi rimanenti da parte di Hamas entro pochi giorni. Lo riportano varie testate giornalistiche internazionali.

 

Una fonte egiziana coinvolta nei negoziati ha dichiarato a Sky News Arabia che i mediatori hanno raggiunto un accordo per un «cessate il fuoco completo» e un «ritiro graduale dell’esercito israeliano dal 70% di Gaza».

 

Nel frattempo, la testata israeliana Ynet ha riportato che le forze israeliane dovrebbero ritirarsi entro 24 ore lungo una linea prestabilita, lasciando a Israele il controllo di circa il 53% dell’enclave. Questo includerebbe il ritiro delle IDF da Gaza City e da diverse altre aree centrali, secondo l’articolo.

 

L’agenzia Reuters scrive che Hamas rilascerebbe tutti gli ostaggi vivi entro 72 ore dall’approvazione del governo israeliano. In cambio, Israele libererebbe 250 palestinesi condannati all’ergastolo e 1.700 abitanti di Gaza detenuti dal 2023, incluse tutte le donne e i minori. Hamas detiene ancora circa 48 ostaggi, di cui Israele ritiene che circa 20 siano ancora in vita.

 

Dopo aver annunciato un progresso significativo nei negoziati, Trump ha dichiarato a Fox News che gli ostaggi saranno probabilmente rilasciati lunedì, promettendo che Gaza «sarà ricostruita».

 

«Gaza… diventerà un posto molto più sicuro… altri Paesi della zona aiuteranno la ricostruzione perché hanno enormi quantità di ricchezza e vogliono che ciò accada», ha affermato Trump, senza specificare quali nazioni siano coinvolte.

 

Nonostante l’apparente passo avanti, rimangono diverse questioni irrisolte, come la governance di Gaza nel dopoguerra e il destino di Hamas, che Israele ha giurato di eliminare completamente. Il piano di pace originale di Trump prevedeva un ruolo amministrativo limitato per l’Autorità Nazionale Palestinese, che governa parti della Cisgiordania, ma solo dopo significative riforme.

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Immagine di Jaber Jehad Badwan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Il Cremlino: i colloqui Russia-USA sull’Ucraina sono in «seria pausa». Nessun incontro Trump-Putin in agenda

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Il dialogo tra Russia e Stati Uniti per risolvere il conflitto in Ucraina si trova in una «seria pausa», ha dichiarato ai giornalisti il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov.   Le sue parole seguono l’affermazione del viceministro degli Esteri Sergey Rjabkov, secondo cui lo slancio generato dal vertice in Alaska tra i presidenti Vladimir Putin e Donald Trump si è esaurito.   Giovedì Peskov ha ribadito la posizione di Rjabkov, sottolineando l’assenza di progressi verso una soluzione pacifica del conflitto con Kiev.   Le delegazioni russa e ucraina si sono incontrate più volte all’inizio dell’anno. Nell’ultimo incontro a Istanbul a luglio, le parti hanno deciso di creare tre gruppi di lavoro per sviluppare un piano di risoluzione che affronti questioni politiche, militari e umanitarie.

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Tuttavia, Peskov ha dichiarato che «non si sta muovendo nulla», suggerendo che Kiev non sia propensa a perseguire un processo di pace, aggrappandosi a false speranze di poter ribaltare la situazione sul campo di battaglia, una convinzione che ha definito irrealistica.   Peskov ha osservato che la posizione di Kiev è sostenuta dai suoi alleati europei. In precedenza, aveva notato che l’Occidente continua a spingere l’Ucraina a rifiutare il dialogo, alimentando una «isteria militarista» che ostacola gli sforzi di pace.   Rjabkov ha affermato all’inizio della settimana che i «sostenitori di una “guerra all’ultimo ucraino”, soprattutto tra gli europei», sono responsabili dell’esaurimento del «potente impulso» per trovare una soluzione al conflitto, generato durante il vertice di Anchorage ad agosto.   Poco dopo l’incontro tra Trump e Putin, diversi leader dell’UE hanno visitato Washington insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, cercando di persuadere il presidente americano ad allinearsi alla posizione europea sul conflitto.   Mosca ha ribadito la sua disponibilità a un accordo di pace, sottolineando però che qualsiasi intesa dovrà rispettare gli interessi di sicurezza nazionale della Russia e le attuali realtà territoriali sul campo.   Attualmente non è previsto un ulteriore incontro tra Putin e Trump, ha dichiarato ai giornalisti Peskov.   I due leader si sono incontrati l’ultima volta a metà agosto in Alaska, dove le discussioni si sono concentrate sugli sforzi di Washington per mediare la fine del conflitto in Ucraina. Tuttavia, Peskov ha sottolineato che un nuovo vertice «semplicemente non è all’ordine del giorno in questo momento».   Il portavoce del Cremlino ha affermato che il processo diplomatico è in stallo, accusando Kiev di aver abbandonato gli sforzi di pace per perseguire obiettivi militari.

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«Credono che qualcosa potrebbe cambiare in prima linea e che la situazione potrebbe volgere a loro favore», ha dichiarato Peskov, citato dai media russi. «Ma la realtà indica il contrario».   Il blocco diplomatico segue un cambiamento nella retorica di Trump, che il mese scorso ha dichiarato che, con sufficienti finanziamenti europei, l’Ucraina potrebbe riconquistare tutti i territori rivendicati, una posizione che Mosca ha definito irrealistica.   Zelens’kyj ha rinnovato le richieste per i missili Tomahawk a lungo raggio di fabbricazione statunitense. Putin ha avvertito che la consegna di armi con capacità nucleare rappresenterebbe una «grave escalation».

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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