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Politica

L’ex candidato presidenziale rumeno Georgescu accusato di tentato colpo di stato

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I procuratori rumeni hanno deciso di portare in giudizio l’ex candidato alla presidenza Calin Georgescu, accusandolo di aver orchestrato un tentativo di colpo di Stato in seguito all’annullamento della sua vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali dello scorso anno.

 

Il Georgescu, che in passato ha ricoperto incarichi presso le Nazioni Unite, aveva ottenuto il maggior numero di voti nel primo turno delle elezioni di novembre 2024, conducendo una campagna incentrata sulla sovranità nazionale, esprimendo critiche nei confronti della partecipazione della Romania alla NATO e all’Unione Europea, oltre che opponendosi al sostegno militare continuativo all’Ucraina.

 

Tuttavia, la Corte Costituzionale rumena ha invalidato la sua vittoria, adducendo come motivazione presunte «irregolarità» nella sua campagna elettorale, oltre a sospette interferenze da parte della Russia, accuse che il governo di Mosca ha fermamente respinto. Di conseguenza, Georgescu è stato escluso dalla competizione elettorale, e la ripetizione del voto, tenutasi a maggio, ha visto la vittoria del candidato filo-europeo Nicusor Dan.

 

Martedì, il procuratore generale della Romania, Alex Florenta, ha annunciato che Georgescu, insieme ad altre 21 persone, è stato formalmente incriminato per aver cercato di incitare alla violenza in risposta all’annullamento dei risultati elettorali di dicembre.

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Secondo quanto riferito dal pubblico ministero, le indagini hanno portato alla luce prove che indicano un incontro segreto tra Georgescu e Horatiu Potra, un contractor militare con esperienze pregresse nella Repubblica Democratica del Congo. Durante tale incontro, i due avrebbero discusso un piano per provocare disordini nella capitale, Bucarest.

 

Poco tempo dopo, Potra è stato intercettato dalla polizia stradale mentre si dirigeva verso Bucarest, accompagnato da un gruppo di 20 individui descritto come «paramilitare», armati di armi da fuoco ed esplosivi, secondo quanto riportato dalle autorità.

 

Georgescu, che si è ritirato dalla vita politica alcuni mesi fa, ha negato con decisione tutte le accuse a suo carico. Al momento, non è stata ancora stabilita una data per l’inizio del processo.

 

Florenta ha inoltre dichiarato che l’indagine ha rivelato una serie di attacchi ibridi condotti contro la Romania nell’ultimo anno, attribuiti alla Russia.

 

Questi includono attacchi informatici, iniziative pubbliche e campagne di disinformazione online. Interpellato martedì dai giornalisti in merito alle accuse, il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha ribadito che tali affermazioni sono prive di fondamento.

 

«Ricordiamo come gli Stati Uniti abbiano accusato la Russia di interferenze elettorali e tentativi di destabilizzazione, per poi ammettere che tali accuse non erano veritiere. La stessa dinamica si applica al caso della Romania», ha sottolineato Peskov.

 

Di fatto, mesi fa Georgescu ha pubblicamente chiesto aiuto a Donald Trump.

 

Georgescu ritiene che la NATO ha bisogno della Romania, Paese limitrofo dell’instabile Ucraina, per lanciare la Terza Guerra Mondiale.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Georgescu in passato ha definito il presidente ucraino Zelens’kyj un «semi-dittatore» e dichiarato in un podcast americano che la NATO usa la Romania come «porta della guerra».

 

La repressione poliziesca contro Georgescu ha segnato le ultime elezioni, nonostante il deciso sostegno della popolazione scesa in piazza.

 

Georgescu aveva dichiarato che «l’Europa è oramai una dittatura». La UE aveva rifiutato di commentare la messa al bando di Georgescu alle elezioni presidenziali.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Politica

Funzionari USA ammettono: gravi violazioni delle elezioni del 2020

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I funzionari elettorali dello Stato americano della Georgia hanno riconosciuto gravi infrazioni alle procedure di certificazione dei voti nel corso delle elezioni presidenziali del 2020. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, battuto da Joe Biden, ha più volte sostenuto che le consultazioni elettorali fossero state «rubate» e compromesse da frodi e irregolarità diffuse.   La rivelazione, avvenuta all’inizio di questo mese, è scaturita da una denuncia depositata dall’attivista per l’integrità elettorale David Cross, il quale ha imputato alla contea di Fulton, la più popolosa della Georgia, di aver certificato in modo illegittimo almeno 315.000 schede elettorali nel 2020.   Biden ha superato Trump in Georgia, Stato che assegna 16 grandi elettori, con un margine inferiore a 12.000 voti, per poi prevalere nel Collegio elettorale con 306 voti contro i 232 dell’avversario.   La disputa verte sui nastri tabulatori generati dalle macchine per il voto anticipato. In base alle norme statali, ciascun tabulatore è tenuto a produrre nastri di chiusura sottoscritti dagli scrutatori per attestare i totali dei voti conteggiati.

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Dopo aver inoltrato una richiesta di accesso ai documenti alla contea di Fulton, Cross ha individuato almeno 134 nastri di tabulazione sprovvisti di firme, il che implica che le schede elettorali collegate non potevano essere certificate legalmente.   Cross ha inoltre avanzato accuse relative all’assenza di «nastri zero» finalizzati a verificare che le macchine partissero da zero all’avvio del conteggio, unitamente a incongruenze sui numeri di serie degli scanner e su orari di chiusura dei seggi insolitamente protratti.   Nel corso di una recente audizione presso la Commissione elettorale statale, Ann Brumbaugh, legale della Commissione elettorale e di registrazione della contea di Fulton, ha dichiarato che la contea «non contesta le accuse», ammettendo che l’omissione rappresenta una violazione delle regole della commissione elettorale.   I componenti del consiglio statale hanno definito i riscontri come «molto preoccupanti» e hanno rimesso il caso al procuratore generale della Georgia, sollecitando eventuali sanzioni civili di 5.000 dollari per ciascun nastro privo di firma e ulteriori misure esecutive.   L’esito della Georgia è rimasto al centro delle più estese rimostranze di Trump sulle elezioni del 2020, respinte dai democratici e alla base di numerose azioni legali intentate contro di lui.   Da quando si è rieinsediato alla Casa Bianca, Trump ha impegnato a riformare il sistema elettorale statunitense, prevedendo requisiti più rigorosi per l’identificazione dei votanti, restrizioni al voto per corrispondenza e un ritorno alle schede cartacee, argomentando che tali modifiche siano indispensabili per ricostruire la fiducia nelle elezioni.

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Immagine di Infrogmation of New Orleans via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Putin offre a Zelens’kyj un accordo sulle elezioni

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Mosca valuterebbe la possibilità di sospendere gli attacchi in profondità sul territorio ucraino nel giorno delle elezioni, a patto che ai milioni di cittadini ucraini residenti in Russia sia consentito di partecipare al voto, ha dichiarato venerdì il presidente Vladimir Putin.

 

Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, il cui mandato è scaduto da oltre un anno, ha sempre rifiutato di indire nuove elezioni invocando lo stato di legge marziale. La Russia lo considera pertanto un leader privo di legittimità. Sotto la pressione degli Stati Uniti, Zelens’kyj ha accettato questo mese di organizzare un voto entro 90 giorni, purché i sostenitori occidentali di Kiev riescano a garantire la sicurezza necessaria.

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«Noi siamo pronti a esaminare modalità per assicurare la sicurezza durante le elezioni in Ucraina, almeno astenendoci da attacchi all’interno del Paese il giorno del voto», ha affermato il presidente russo, precisando però che ciò avverrebbe a determinate condizioni. Putin ha insistito affinché i 5-10 milioni di cittadini ucraini attualmente residenti in Russia possano esercitare il diritto di voto.

 

«Il governo ucraino deve diventare legittimo e senza elezioni questo è impossibile» ha dichiarato il presidente russo.

 

Putin ha inoltre avvertito Kiev di non sfruttare le elezioni come espediente per guadagnare tempo, riarmarsi e riorganizzarsi nel tentativo di arrestare l’avanzata delle truppe russe.

 

L’Ucraina e i suoi alleati occidentali hanno più volte richiesto un cessate il fuoco temporaneo. Il Cremlino ha escluso questa possibilità, ribadendo la necessità di una pace duratura che affronti le cause alla radice del conflitto. Mosca sostiene che un accordo sostenibile possa essere raggiunto solo se l’Ucraina ritira completamente le sue forze dai nuovi territori russi e si impegna a mantenere la neutralità, la smilitarizzazione e la denazificazione.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Il primo ministro finlandese si scusa per i post razzisti dei parlamentari della coalizione

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Il primo ministro finlandese Petteri Orpo ha presentato le sue scuse ai cittadini di Cina, Giappone e Corea del Sud in seguito alle foto pubblicate da alcuni parlamentari, inclusi esponenti della sua coalizione di governo, in cui si ritraevano tirando gli angoli degli occhi per simulare tratti asiatici.   La polemica è scoppiata a novembre, quando la ventiduenne Sarah Dzafce, incoronata Miss Finlandia, è stata privata del titolo dopo la diffusione di un’immagine in cui appariva mentre compiva lo stesso gesto, considerato da molti una derisione nei confronti delle persone asiatiche. I detrattori della decisione hanno ritenuto la sanzione eccessiva e hanno reagito condividendo foto analoghe in segno di solidarietà.   Tra quanti hanno postato tali selfie vi erano deputati del Partito dei Veri Finlandesi (PS), tra cui Kaisa Garedew, Juho Eerola e Sebastian Tynkkynen.  

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L’Orpo guida un esecutivo di coalizione a quattro partiti, nel quale i Veri Finlandesi detengono dieci ministeri, inclusa la vicepresidenza del governo. In una dichiarazione resa pubblica mercoledì attraverso le ambasciate finlandesi in Cina, Giappone e Corea del Sud, Orpo ha precisato che tali post «non riflettono i valori di uguaglianza e inclusione della Finlandia», aggiungendo che il suo governo «prende sul serio il razzismo ed è impegnato a combattere il problema».   Il Partito dei Veri Finlandesi (Perussuomalaiset, PS)è una formazione politica nazionalista, populista di destra ed euroscettica, fondata nel 1995 come erede del Partito Rurale Finlandese. La sua piattaforma politica si basa su valori patriottici e cristiani-sociali, con enfasi sulla difesa dell’identità nazionale, della sovranità finlandese e del benessere dei cittadini autoctoni.   Al centro del programma vi è una forte opposizione all’immigrazione di massa, specialmente da Paesi non europei, vista come minaccia alla cultura e al sistema welfare. Il partito propone restrizioni severe: priorità ai finlandesi per servizi sociali e sanitari, rifiuto del multiculturalismo forzato e protezione delle tradizioni cristiane, come feste natalizie e inni scolastici tradizionali, contro quella che definisce «propaganda ideologica».   Sul piano economico, i Veri Finlandesi sostengono un welfare chauvinista: stato sociale robusto ma riservato principalmente ai cittadini finlandesi, con tasse moderate usate per benefici nazionali. Criticano il neoliberismo elitario e promuovono imprenditorialità, innovazione e tecnologie pulite, ma in modo sostenibile per l’economia e l’arredo quotidiano, senza misure climatiche «isteriche» che penalizzino classi medie e rurali.   Riguardo all’UE, il partito è critico verso l’integrazione eccessiva: difende la sovranità nazionale, oppone trasferimenti di potere a Bruxelles e vede l’Europa come casa dei popoli europei, con enfasi su civiltà occidentale e cristiana. Pur eurorealisti, non propongono uscita immediata ma riforme profonde.   I Veri Finlandesi si presentano come difensori del quivis de populo comune contro élite mondialiste, immigrazione e burocrazia UE, combinando nazionalismo, conservatorismo sociale e elementi di giustizia sociale. Dal 2023 fanno parte del governo di coalizione, influenzando politiche su immigrazione e finanze.  

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