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Politica

Le reazioni isteriche alla verità su Ventotene continuano

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Un piccolo scandalo è scoppiato intorno a Romani Prodi a tema Manifesto di Ventotene. A latere della presentazione di un libro scritto con Massimo Giannini (il direttore de La Stampa, il giornale dove certi articoli sugli ucronazisti sparivano carsicamente) Prodi si è fermato qualche secondo con dei giornalisti.

 

Alla domanda dell’inviata della trasmissione TV di Nicola Porro Quarta Repubblica Lavinia Orefici, che chiedeva all’ex premier e presidente della Commissione UE di commentare le parole del Manifesto di Ventotene sull’abolizione della proprietà privata, Prodi sembra perdere l’aplomb, schernisce l’intervistatrice, e – dice l’interessata – le afferra i capelli.

 

«Il presidente Prodi oltre a rispondere alla mia domanda con tono aggressivo ed intimidatorio, ha preso una ciocca dei miei capelli e l’ha tirata. Ho sentito la sua mano fra i miei capelli, per me è stato scioccante. Lavoro per Mediaset da dieci anni, inviata all’estero su vari fronti e non ho mai vissuto una situazione del genere. Mi sono sentita offesa come giornalista e come donna» ha commentato la Orefici.

 

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La stampa filogovernativa si sta sgolando per la scena offerta dal padre (o sarebbe meglio dire «patriarca», scherza qualcuno) dell’Ulivo, ipotizzando cosa sarebbe accaduto se le parti fossero state invertite, e un politico di destra avesse sfiorato una giornalista di sinistra.

 

Prodi non risulta ad ora che si sia scusato, e difende dicendo di averle messo «una mano sulla spalla» – un contatto comunque non consensuale che in vari frangenti (pensiamo agli uffici) oggi può, immaginiamo, essere visto come grave e passibile di conseguenze.

 

 

Ciò che dice Prodi, dopo aver perso la calma, è già stato ripetuto dalla sinistra isterica incapace di rispondere all’evidenza: cioè che il Manifesto di Ventotene contiene un programma dittatoriale, dove le élite rivoluzionarie non badano alle masse e al «metodo democratico» per giungere al potere e istituire l’Europa super-Stato.

 

Delle origini storiche e umane del Manifesto, con tutte le sue radici e ramificazioni tra il «laicismo» (cioè, la massoneria?) e certe influenze ebraiche Renovatio 21 ha scritto negli scorsi giorni.

 

Ci si chiede come sia stato possibile, ad ogni modo, che la sinistra, sepolto il PCI (che voleva rovesciare lo Stato e istituire la dittatura del proletariato, peraltro, non quella delle élite) e introdotto il dogma democratico (PDS, DS, PD: la parola «democrazia» c’è sempre) elevasse Ventotene a testo sacro, indiscutibile e non criticabile, pena la jihad democratica contro gli infedeli blasfemi.

 

Alla domanda risponde un denso articolo su La Verità di oggi. Secondo quanto riportato, la santificazione di Ventotene ha origini recenti, ed aveva già inquietato tanti intellettuali e politici lontani dalla destra meloniana. È il caso di Giuliano Amato ed Ernesto Galli della Loggia, che scrissero nel libro del 2014 Europa Perduta? (pubblicato dall’editore «prodiano» Il Mulino) un capitolo dal titolo «Un manifesto inattuale».

 

«È abbastanza sorprendente che schiere di esponenti politici, presidenti del Consiglio, vertici della Banca d’Italia e giornalisti di grido ostentino una devozione encomiastico-celebrativa di maniera verso i propositi giabobini di Spinelli, Rossi e Colorni, elevati a Magna Charta del federalismo continentale. Non c’era proprio un testo più confacente – ci si può chiedere – qualcosa di più presentabile?» accusano l’ex premier detto «Dottor Sottile» e l’editorialista del Corriere compagno di Lucetta Scaraffia.

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Il giornale milanese nota che sì, qualcosa di meglio – decisamente più sobrio, istituzionale, condivisibile al punto da essere già stato condiviso dalle Nazioni del continente – c’era: i Trattati di Roma, cioè lo stesso fondamento della Comunità Economica Europea firmati nel 1957 dagli Stati fondatori, lanciati all’epoca dal ministro degli Esteri, il liberale Gaetano Martino (1900-1967). Il quale ha la sventura di essere padre di un ministro berlusconiano, il politologo (sempre liberale) Antonio Martino (1942-2022), ministro Esteri e Difesa nel Berlusconi I, II e III (nonché grande fautore del sonno polifasico alla romana, la cosiddetta «pennichella»).

 

Ciò, si suppone, può aver inficiato per la gauche italica la possibilità di fare degli stessi Trattati un testo fondativo irrinunziabile. Martino senior nel discorso per la firma dei Trattati parlò di «un’Europa patria spirituale», una prospettiva lontana anni miglia dalle invettive «sovietiche», antidemocratiche e, ovviamente, anticlericali di Ventotene.

 

Ecco quindi che appare all’orizzonte Altiero Spinelli, sopravvissuto al confino e anche al fascismo, che ancora in qualche foto barbuta recente lo si può vedere in tutta la sua simiglianza con Enrico Beruschi, pur senza la tenera simpatia del comico lombardo.

 

«L’operazione Spinelli (…) fu decisa a tavolino nei primi anni Duemila da un’Europa boccheggiante, che aveva affidato la comunicazione istituzionale a una piccola élite progressista specializzata in campagna di fuffa a uso e consumo mediatico» racconta La Verità. «Al Parlamento europeo di Bruxelles, dove si stavano costruendo i nuovi locali che avrebbero dovuto ospitare i deputati dei nuovi dieci Paesi dell’allargamento a Est della UE, si cercavano i nomi da dare ai nuovi building e si decisa di dare a quello più importante il nome di “Batiment Spinelli”. Scoppiò una polemica sul perché l’immobile principale non fosse dedicato a Martino anziché a lui ma si decise di accontentare la pattuglia socialista, proiettando d’emblée Spinelli nel parterre dei “padri fondatori” dell’Europa».

 

Una manovra, se è vera questa ricostruzione, lontana dai contenuti del Manifesto ventoteniano, che – forse giustamente – nessuno ha mai letto, nemmeno coloro che oggi lo propugnano o dicono di farlo. Renovatio 21 nota che gli anni della supposta «operazione Spinelli» a Bruxelles coincidono con quelli in cui Romano Prodi, quello che oggi si arrabbia parlando del Manifesto, era volato a presiedere la Commissione Europea (1999-2004).

 

La Verità riporta anche altre reazioni passate da parte di commentatori non ascrivibili all’area sovranista. «La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria» scrive il Manifesto: «c’è molto Lenin in questo verdetto» ha scritto nel 2022 l’esperto di Geopolitica del gruppo GEDI Lucio Caracciolo nel libro La pace è finita. Così ricomincia la storia d’Europa (Feltrinelli).

 

«Leggetelo questo benedetto manifesto di cui tutti parlano» ha detto il politologo, ritenuto di sinistra, Luca Ricolfi. «Perché se non lo leggete non potete rendervi conto di quale spaventosa distopia antidemocratica avessero in mente i suoi autori. I quali avevano in mente un edificio grandioso, un unico super-Stato europeo, propedeutico a un futuro Stato unico mondiale. Ma pensavano di imporlo dall’alto, con una crisi rivoluzionarie e socialista, attraverso “la dittatura del partito rivoluzionario”, senza libere elezioni, contro le timidezze dei democratici, accusati tra le altre cose – di non ammettere un sufficiente ricorso alla violenza».

 

Apprendiamo che esiste un libro intitolato Contro Ventotene (2017), scritto dal costituzionalista Alessandro Somma, già collaboratore della pubblicazione filosofico-goscista Micromega e di altre pubblicazioni GEDI. «Tra i miti nei quali è impossibile non imbattersi occupandosi di Europa, quelli costruiti sul manifesto di Ventontene occupano un posto di tutto rispetto» scrive lo studioso, parlando di una «venerazione» che «definisce l’appartenenza alla schiera eterogenea ma pur sempre riconoscibile dei “buoni europeisti”».

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Secondo il Somma, scrive La Verità, lo Spinelli ha promosso l’unione della tecnocrazia europea e centri di potere economico, à la World Economic Forum di Davos, verrebbe da dire: un punto sul quale aveva insistito la compianta antropologa Ida Magli nel suo j’accuse La dittatura europea (2010), ricordando il rapporto stretto dello Spinelli (che nel Manifesto, oltre a distruggere la proprietà privata, parlava di redistribuzione delle ricchezze e delle industri dei grandi capitalisti) e Gianni Agnelli.

 

Va ricordata, sempre in tema di eurotecnocrazia, l’appartenenza dello Spinelli al club Bilderberg.

 

Si registrano anche gli sbuffi del sindaco filosofo gnostico Massimo Cacciari, che tra il programma della Gruber e dichiarazioni alla testata Affari italiani ha ricordato che «Spinelli è stato deputato indipendente nelle liste del PCI ed è stato isolatissimo nella sinistra italiana. Questi della sinistra di oggi che protestano contro la Meloni andassero a fare un corso accelerato di storia politica e culturale, perché sono di una ignoranza impressionante».

 

Non siamo sicuri, tuttavia, che si tratti sempre di ignoranza. Gratta il piddino e trovi il comunista, verrebbe da dire: in tanti, specie tra la generazione boomer, sognano ancora la rivoluzione sovietica in casa – specie se cresciuti con stipendio e benessere garantito.

Sono gli stessi che, pur di veder realizzare il loro infantile ideale ottocentesco, sono disposti a favorire con ogni mezzo l’avvento della tecnocrazia in Europa. E lo abbiamo esattamente visto con il COVID – e a breve, con la piattaforma di controllo totale chiamata «Euro digitale», prossimamente nei vostri telefonini, cioè nelle vostre vite.

 

La maschera giacobina – ancora tenuta in piedi in tutta la sua violenza: lo abbiamo visto alle Olimpiadi parigine – dietro cela una prospettiva molto più oscura, quella del controllo totale, perfino a livello subcellulare. Cioè, la trasformazione definitiva dell’umanità in una società di schiavi.

 

Gratta Ventotene, e dietro trovi il biototalitarismo che abbiamo subìto e che, ricordiamo, non abbiamo ancora sconfitto…

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Immagine del Batiment Altiero Spinelli di Parolo Margari via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

Politica

Il Cile vira a destra: eletto il cattolico Kast

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In un’elezione in cui i temi decisivi riecheggiavano le crescenti preoccupazioni nelle Americhe e in Europa, un conservatore che ha promesso di reprimere l’immigrazione illegale e la criminalità ha sconfitto il suo avversario comunista nelle elezioni presidenziali di domenica in Cile. Il risultato conferma un’importante corrente politica che ora vede molti paesi latinoamericani abbracciare la politica di destra.   Con il 98% dei voti scrutinati, il 57enne José Antonio Kast ha battuto Jeannette Jara, membro del Partito Comunista, con un margine del 58% contro il 42%. Kast, fervente cattolico e padre di nove figli, sostituirà il presidente in carica di sinistra Gabriel Boric. Per Kast si è trattato della terza candidatura presidenziale. A sottolineare la portata della sua vittoria, Kast ha conquistato tutte le regioni del Cile, comprese le storiche roccaforti della sinistra.   «Il Cile sarà di nuovo libero dalla criminalità, libero dall’angoscia, libero dalla paura», ha dichiarato Kast in un discorso di vittoria presso la sede della sua campagna elettorale nella capitale Santiago, «il Cile ha bisogno di ordine». Kast ha assicurato ai sostenitori che avrebbe represso i criminali e «li avrebbe rinchiusi». I sostenitori hanno esposto striscioni con slogan come «Addio illegali» e «Il tempo di giocare è finito».  

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La criminalità ha avuto un peso notevole nella competizione , con il 63% dei cileni che l’ha dichiarata la loro principale preoccupazione. Questa percentuale è circa il doppio della media globale. L’immigrazione illegale (40%) è la seconda preoccupazione principale. Le due preoccupazioni vanno di pari passo, poiché l’aumento del 50% degli omicidi dal 2018 al 2024 è in gran parte opera di bande criminali internazionali. Il Cile ha più di 300.000 immigrati clandestini, molti dei quali venezuelani.   Al comizio per la vittoria di Kast, i sostenitori indossavano cappelli rossi con la scritta «Make Chile Great Again» (Rendiamo il Cile di nuovo grande) e hanno confermato che la criminalità ha contribuito a trasformare il Paese in un Paese di destra. «Sono cresciuto in un Cile pacifico, dove potevi uscire per strada, non avevi preoccupazioni, uscivi e non avevi mai problemi o paure», ha detto all’agenzia Reuters Ignacio Segovia, studente di ingegneria di 23 anni. «Ora non puoi più uscire pacificamente».   Kast entrerà in carica a marzo. In vista della data dell’insediamento, ha ripetutamente avvertito gli immigrati clandestini di quanti giorni dovranno autoespellersi prima che la sua amministrazione li espellesse. L’autoespulsione, ha affermato Kast, darà loro l’opportunità di portare con sé i propri beni, evitando la detenzione. «Se non ve ne andate volontariamente, vi arresteremo, vi tratteneremo, vi espelleremo e ve ne andrete con quello che avete addosso», ha detto Kast.   Ancora prima della vittoria il Kast aveva già avuto un effetto sorprendente, con un afflusso di immigrati clandestini in Perù , tanto che il presidente peruviano José Jeri ha dichiarato lo stato di emergenza a fine novembre. Nel frattempo, le autorità lungo il confine con il Cile affermano che gli ingressi illegali sono crollati.   Scrivendo su X , il presidente argentino Javier Milei si è detto entusiasta della «schiacciante vittoria» di Kast, che ha descritto come un amico, aggiungendo:   «Un altro passo per la nostra regione in difesa della vita, della libertà e della proprietà privata. Sono certo che lavoreremo insieme affinché l’America abbracci le idee di libertà e possiamo liberarci dal giogo oppressivo del socialismo del XXI secolo…!!!»   Milei ha anche pubblicato una mappa che mostra l’elevato numero di governi di destra in Sud America, affermando: «La sinistra arretra, la libertà avanza». Il Cile si unisce ad Argentina, Paraguay, Perù, Bolivia ed Ecuador come paesi con governi di destra o di centro-destra. Il risultato boliviano di quest’anno ha posto fine a quasi 20 anni di governo parasocialista.  

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Kast ha subito abusi fisici in passato da parte di esponenti della sinistra per le sue posizioni sull’aborto e sul matrimonio. Nel 2018, quando era deputato, è stato aggredito da una folla violenta mentre cercava di entrare in un auditorium come relatore ospite presso l’Università Arturo Prat nella città cilena di Iquique.   Il neoeletto presidente è stato il più noto oppositore politico della legalizzazione dell’aborto e della ridefinizione del matrimonio in Cile.   Kast è stato il primo presidente dei Parlamentari, un gruppo di circa 700 legislatori federali provenienti da nazioni dell’America Latina che difendono i valori tradizionali, lo stato di diritto e il principio di sussidiarietà.   Durante la sua campagna, Kast si è concentrato sull’esplosione della criminalità e dell’immigrazione illegale nel Paese, principalmente dal Venezuela. Le questioni di sicurezza e migrazione sono state probabilmente i principali fattori che hanno spinto il Paese ad orientarsi verso il Partito Repubblicano conservatore di Kast. Il Venezuela è stato scosso da un’ondata senza precedenti di criminalità organizzata da parte di bande straniere. Ciò è stato reso evidente dal tasso di omicidi più che raddoppiato dal 2015.   Ha condotto una campagna per la costruzione di muri di confine sicuri, l’espulsione di tutti gli immigrati clandestini e l’impiego dell’esercito nelle aree ad alta criminalità. Ha anche annunciato ingenti tagli alla spesa pubblica e deregolamentazioni.   Dopo la vittoria, molti dei suoi sostenitori hanno invaso le strade, sventolando bandiere cilene e alcuni indossando cappelli con la scritta «Rendiamo il Cile di nuovo grande».  

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Eventuali tentativi di Kast di criminalizzare l’aborto e di ripristinare lo status legale del matrimonio tra un uomo e una donna potrebbero incontrare notevoli resistenze, poiché il Congresso cileno resta diviso tra partiti di destra e di sinistra.   Lo schieramento del Partido Repubblicano (PLR) guidato dal Kast due anni fa avevavinto ampiamente le elezioni indettin Cile per la scelta di 50 membri del Consiglio Costituzionale, un organo creato per la creazione di una nuova Costituzione per il Paese Sudamericano. La proposta di nuova Costituzione (che includeva gender, aborto, ambientalismo climatico) era stata respinta dagli elettori in un referendum nel settembre 2022, quando un clamoroso 62% dei votanti si era espresso per il rechazo, ossia per il rifiuto della nuova bozza della Carta Costituzionale del Paese.   Kast, 57 anni, guida il Partito Repubblicano dal 2019, è stato spesso attaccato perché il padre, immigrato bavarese, aveva servito nella Wehrmacht durante la Seconda Guerra Mondiale. Uno dei nove fratelli di Kast avrebbe poi servito come economista nell’ambito delle riforme dei «Chicago Boys» durante gli anni di Pinochet, di cui fu ministro del lavoro e presidente della Banca Centrale del Cile.   Studente alla Pontificia Università Cattolica del Cile, fece parte del Movimiento Gremialista, un movimento corporativista sudamericano che professa un’ideologia sociopolitica ed economica ispirata alla Dottrina Sociale della Chiesa cattolica, secondo cui ordini sociali dovrebbero costituire un livello intermedio tra l’individuo e lo Stato.   Nella sua carriera politica, decollata nei primi anni Duemila, Kast si è mosso con estrema decisione sul tema dell’aborto e del matrimonio omosessuale, impegnandosi molto a contrastare la pillola del giorno dopo, chiamata «contraccezione d’emergenza» dalla neolingua orwelliana del politicamente corretto, ma che in realtà è aborto puro e semplice. Le posizioni di Kast gli fecero guadagnare il supporto del vescovo di San Bernardo Juan Ignacio González Errázuriz, membro della prelatura dell’Opus Dei.   La piattaforma di Kast si sintetizzava in «meno tasse, meno governo, per la vita» oltre che nell’opposizione all’immigrazione illegale, arrivando a proporre lo scavo di un fossato al confine con la Bolivia, paragonando l’idea a quella del muro tra USA e Messico lanciata da Trump.   Kast ha affermato in passato di «difendere l’eredità europea e l’unità nazionale del Cile contro l’adesione della sinistra ai gruppi indigeni e al multiculturalismo» e si è speso a favore dell’ex presidente brasiliano Jair Messias Bolsonaro. È inoltre contrario all’isteria sul Cambiamento Climatico.   Nove figli dalla stessa moglie (la prima e ultima), Kast è riconosciuto per essere un cattolico praticante, membro del movimento Schoenstatt, un movimento mariano cattolico fondato in Germania nel 1914 da padre Joseph Kentenich, che vide nel movimento un mezzo di rinnovamento spirituale per la Chiesa cattolica. I membri di Schoenstatt cercano di collegare la fede con la vita quotidiana, soprattutto attraverso un profondo amore per Maria, la Madre di Dio, che li aiuta, li educa e li guida a diventare migliori seguaci di Cristo.   Durante gli anni ’30, con l’ascesa di Adolf Hitler, padre Kentenich e altri schoenstattiani, come padre Franz Reinisch, criticò il nazismo, e di conseguenza il Movimento di Schoenstatt fu registrato come una minaccia al regime nazista. Nel 1941, padre Kentenich fu arrestato e inviato al campo di concentramento di Dachau. Vi rimarrà fino al 1945 quando il campo di concentramento sarà liberato.    

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Politica

Esponente del partito AfD insiste sul fatto che la Germania dovrebbe uscire dalla NATO

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Jörg Urban, presidente dell’AfD della Sassonia e capogruppo del partito nel parlamento della Sassonia, ha sollevato dettagliatamente la possibilità che la Germania lasci la NATO, in un discorso del 12 dicembre.

 

In risposta alle dichiarazioni bellicose del Segretario Generale della NATO Mark Rutte, Urban ha scritto sul suo canale Telegram: «L’obiettivo dichiarato dell’adesione della Germania alla NATO è proteggere il nostro Paese. Ma in realtà, sta diventando sempre più un rischio per la sicurezza dell’Europa».

 

Se posture come quella Rutte continueranno a dettare il passo ai governi europei, è solo questione di tempo prima che venga richiesta una «difesa avanzata» contro la Russia.

 

Il leader del partito della Sassonia chiede quindi una Germania neutrale e libera da alleanze, seguendo l’esempio delle vicine Austria e Svizzera.

 

Come riportato da Renovatio 21, i delegati AfD l’anno passato respinsero a larga maggioranza una mozione che condannava Putin.

 

AfD chiede inoltre l’uscita della Germania dall’UE.

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L’Ucraina vuole che l’Occidente paghi le elezioni

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Kiev è disposta a indire elezioni, ma soltanto a patto che vengano soddisfatte diverse condizioni, tra cui il finanziamento occidentale del processo elettorale, ha dichiarato Mikhail Podoliak, consigliere di alto livello del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.   Il mandato presidenziale di Zelens’kyj è scaduto a maggio 2024, ma egli ha sempre rifiutato di convocare le urne, appellandosi alla legge marziale in vigore. All’inizio della settimana, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che Kiev non dovrebbe più utilizzare il conflitto in corso come pretesto per rinviare il voto.   Mosca ha ripetutamente sostenuto che Zelens’kyj ha «perso la sua legittimità», rendendo così giuridicamente discutibile qualsiasi accordo di pace firmato con lui.   Lo Zelens’kyj ha dichiarato di non voler «aggrapparsi al potere» e, in settimana, si è detto pronto a indire elezioni, purché Stati Uniti e Paesi europei forniscano «garanzie di sicurezza» durante lo svolgimento delle votazioni.   Podoliak ha precisato la posizione venerdì su X, spiegando che Zelensky ha invitato il parlamento a predisporre emendamenti alla Costituzione e alle leggi elettorali. Il consigliere ha tuttavia elencato tre condizioni indispensabili perché il voto possa avere luogo.  

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«Nessun missile o drone deve sorvolare il Paese durante le votazioni. L’unica strada realistica è un cessate il fuoco», ha scritto Podoliak, aggiungendo che i militari al fronte e gli abitanti delle zone di prima linea devono poter «votare ed essere candidati». Ha poi sottolineato che «milioni di sfollati» rendono l’operazione «complessa e costosa».   «Questo onere non può gravare solo sull’Ucraina», ha proseguito il collaboratore dello Zelens’kyj, precisando che Kiev sarebbe «pronta» a procedere solo con finanziamenti esterni e il rispetto delle altre due condizioni.   Non si tratta della prima volta che l’Ucraina chiede danari occidentali pure per il voto.   Come riportato da Renovatio 21, due anni fa, tra i tanti rinvii citanti la legge marziale, Kiev aveva annunciato che le elezioni le avrebbe tenute qualora le avesse pagate l’Europa.  

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