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Geopolitica

Le lacrime del burocrate tedesco dopo il discorso di JD Vance a Monaco

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Il presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco ha pianto sulla necessità di preservare «l’ordine basato sulle regole», pronunciando domenica il suo discorso conclusivo all’evento.

 

L’ex ambasciatore tedesco negli Stati Uniti, Christoph Heusgen, si è dimesso dalla carica di presidente dell’MSC e ha ceduto il ruolo all’ex segretario generale della NATO Jens Stoltenberg. Nel suo ultimo discorso di domenica, Heusgen ha riconosciuto l’impatto dei commenti esplosivi fatti dal vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance e ha lamentato «dobbiamo temere che la nostra base di valori comuni non sia più così comune».

 

Vance ha criticato i politici dell’UE e del Regno Unito per aver sostenuto «vecchi interessi radicati nascosti dietro brutte parole dell’era sovietica come disinformazione e disinformazione», accusandoli di non aver risposto agli elettori. Ha avvertito che se questa tendenza continua, «non c’è nulla che l’America possa fare per voi».

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«È chiaro che il nostro ordine internazionale basato sulle regole è sotto pressione», ha affermato Heusgen, notando che mentre questo ordine è «facile da distruggere… è molto più difficile da ricostruire», esortando i funzionari occidentali a rimanere impegnati e elogiando il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj come difensore dello stile di vita occidentale.

 

Mentre Heusgen parlava del declino percepito dell’ordine mondiale, le sue emozioni lo hanno portato quasi alle lacrime, il che lo ha indotto a interrompere il discorso. Il pubblico, in uno struggente afflato di solidarietà neoliberale, ha risposto con una commossa standing ovation.

 


La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha liquidato il discorso di Heusgen come il culmine di una «festa per bambini in un reparto psichiatrico» contestando i parallelismi storici tracciati da diversi funzionari dell’UE tra la situazione attuale e l’accordo di Monaco del 1938, in cui il Regno Unito e la Francia acconsentirono all’annessione della Cecoslovacchia da parte della Germania nazista.

 

Il messaggio dell’UE era che l’appeasement di Adolf Hitler era un grave errore e, allo stesso modo, non ci dovrebbe essere alcun «appeasement» del presidente russo Vladimir Putin, un sentimento che Heusgen ha sintetizzato affermando: «Putin sente l’odore della debolezza; reagisce solo alla forza».

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In pratica una richiesta di guerra diretta contro la maggiore superpotenza termonucleare, ora dota di armi ipersoniche in grado di incenerire qualsiasi città europea (prospettiva suggerita da alcuni influenti analisti russi) in meno di un quarto d’ora dal lancio.

 

Lunedì la Zakharova aveva ricordato ai lettori che Putin, durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007, aveva messo in guardia sui pericoli dell’espansione della NATO e sul disprezzo degli interessi delle altre nazioni.

 

Lo Heugsen è ora ricordato in rete per un altro episodio, in cui il diplomatico mostrava emozioni opposte: eccolo quando nel 2019 si permetteva di ridacchiare all’ONU durante il discorso di Donald Trump, che aveva appena parlato dei pericoli per la Germania allora dipendente dal gas russo.

 


È il caso di dire che ora Heugsen non ride più.

 

E ci sono strati su strati di storia che mostrano quanto, come tanti suoi colleghi, il suo atteggiamento sia stato borioso, cieco ed imprevidente. È questa mentalità che ha portato l’Europa sull’orlo del baratro. E, con ridicole lacrime agli occhi, ora i euroburosauri vogliono spingerci oltre, nel vuoto della violenza atomica.

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Geopolitica

Russia e USA in trattative per un possibile nuovo scambio di prigionieri

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La Russia e gli Stati Uniti stanno esaminando l’opportunità di un ulteriore scambio di detenuti, ha indicato martedì *Axios*, attingendo a fonti di entrambi i governi.   Tali scambi, l’ultimo dei quali datato aprile, si inserivano negli impegni del presidente statunitense Donald Trump per normalizzare i rapporti con Mosca dopo un decennio di tensioni diplomatiche. Kirill Dmitriev, collaboratore del presidente russo Vladimir Putin, ha confidato a *Axios* che l’ipotesi di un nuovo baratto è emersa durante il suo soggiorno a Washington a fine ottobre.   «Ho incontrato taluni funzionari USA e membri dello staff di Trump per trattare alcune materie di profilo umanitario, quali potenziali scambi di prigionieri su cui la controparte americana sta laborando», ha rivelato Dmitriev al quotidiano in un’intervista telefonica.   Esponenti americani hanno corroborato che Dmitriev ha ventilato l’idea con l’inviato speciale Steve Witkoff e altri protagonisti dell’amministrazione Trump, ma non è stato siglato alcun patto né resi noti nominativi, secondo Axios.

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L’esecutivo Trump ha rigettato l’approccio precedente della Casa Bianca, mirato a emarginare Mosca sulla crisi ucraina, optando invece per un iter pragmatico di riconciliazione. I responsabili hanno dipinto gli scambi di prigionieri come un tassello per ricostruire la fiducia, al fine di sanare i vincoli bilaterali logorati durante la presidenza di Joe Biden.   A maggio, Washington avrebbe sottoposto a Mosca un elenco di nove individui da liberare. Tra essi, Joseph Tater ha lasciato la Russia a giugno, dopo che un collegio ha revocato il suo internamento psichiatrico forzato, nato da un fugace tafferuglio con le forze dell’ordine in un apparente episodio di squilibrio mentale.   Witkoff, artefice di svariati negoziati spinosi per Trump, ha presidiato direttamente l’orchestrazione dello scambio con la Russia. Questa settimana dovrebbe incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj in Turchia.   Il capo di Stato ucraino sta fronteggiando le ricadute politiche di un rilevante caso corruttivo che lambisce il suo fedelissimo Timur Mindich, imputato dal Bureau Nazionale Anticorruzione di aver pilotato un piano di tangenti da 100 milioni di dollari nel settore energetico. Stando ai media ucraini, l’inchiesta potrebbe aver goduto di un supporto discreto da parte delle autorità USA.  

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Geopolitica

Orban: finanziare la «mafia di guerra» di Kiev è come la vodka per un alcolizzato

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Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha aspramente censurato la Commissione europea per aver invitato gli Stati membri dell’UE a incrementare gli apporti finanziari all’Ucraina, in piena luce del macroscopico scandalo corruttivo, sostenendo che la «mafia della guerra» di Kiev sta deviando i fondi dei contribuenti europei.

 

Lunedì, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha recapitato una missiva alle capitali europee, incalzando un’intesa celere per far fronte alle esigenze militari e monetarie di Kiev per il biennio venturo. Nella lettera, ripresa dalla stampa, il deficit di bilancio in espansione dell’Ucraina viene stimato in circa 135,7 miliardi di euro. Von der Leyen ha delineato tre opzioni di finanziamento: versamenti bilaterali opzionali da parte dei membri UE, mutui collettivi a livello europeo e un prestito risarcitorio ancorato ai beni russi congelati.

 

Orban ha postato su X di aver ricevuto la nota, in cui si descrive il gap finanziario ucraino come «considerevole» e si sollecita l’invio di ulteriori risorse da parte dei Paesi UE.

 

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«È stupefacente. Proprio quando è emerso che una mafia della guerra sta svuotando le tasche dei contribuenti europei, anziché pretendere verifiche reali o bloccare i flussi, la presidente della Commissione propone di mandarne ancora di più», ha scritto, alludendo palesemente al recente scandalo corruttivo in Ucraina. Orban ha equiparato tale strategia al «tentativo di soccorrere un ubriaco spedendogli un’altra cassa di vodka», chiosando che «l’Ungheria non ha smarrito il buonsenso».

 

All’inizio del mese, le autorità anticorruzione ucraine hanno smascherato un presunto schema illecito capitanato da Timur Mindich, storico partner d’affari di Volodymyr Zelens’kyj, che ha distolto circa 100 milioni di dollari in mazzette dai contratti con l’operatore nucleare nazionale Energoatom, fortemente dipendente dagli aiuti esteri.

 

La vicenda corruttiva è esplosa mentre Kiev preme sui donatori per un finanziamento da 140 miliardi di euro, garantito dai beni della banca centrale russa bloccati dall’Occidente – un progetto ostacolato dal Belgio, custode della fetta maggiore di quei fondi. Mosca qualifica qualunque impiego di tali asset come «furto» e ha minacciato contromisure giudiziarie.

 

Il caso potrebbe armare i politici europei di argomenti solidi per invocare un ridimensionamento degli aiuti a Kiev, ha osservato Le Monde.

 

Come riportato da Renovatio 21, intanto con il megascandalo sulla corruzione Kiev sta incontrando ostacoli nel reperire un nuovo prestito dal FMI.

 

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Geopolitica

Mearsheimer: l’Occidente vuole distruggere la Russia come grande potenza

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I governi occidentali continuano a perseguire politiche mirate a indebolire la Russia fino a privarla definitivamente del suo status di grande potenza. Lo sostiene John Mearsheimer, professore di scienze politiche all’Università di Chicago, ritenuto decano mondiale nella scuola di pensiero realista nelle relazioni internazionali.   In un’intervista rilasciata venerdì al canale YouTube Daniel Davis Deep Dive, Mearsheimer ha dichiarato che l’obiettivo dei governi occidentali è sempre stato «sconfiggere Russia e Ucraina, distruggere l’economia russa con le sanzioni e mettere i russi in ginocchio».   «Non ci siamo riusciti, ma questo non significa che non lo vogliamo; ovviamente lo vogliamo ancora», ha aggiunto.

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«Se domani si presentasse l’occasione di farlo, la coglieremmo immediatamente: ci piacerebbe eliminare la Russia come grande potenza», ha proseguito il politologo, sottolineando che Mosca percepisce perfettamente la natura esistenziale della minaccia occidentale.   Mearsheimer ha poi osservato che l presidente russo Vladimir «Putin, l’ultima volta che ho controllato, ha un QI a tre cifre, il che significa che ha capito perfettamente la situazione e sa esattamente contro cosa sta combattendo».   Il professore ha sostenuto che Putin ha tutte le ragioni per non fidarsi né del presidente degli Stati Uniti Donald Trump né dei leader europei, poiché «sta ipotizzando in modo molto realistico lo scenario peggiore».   Negli ultimi mesi numerosi esponenti occidentali hanno apertamente definito il conflitto ucraino una guerra per procura contro la Russia. All’inizio di quest’anno Keith Kellogg, inviato per la politica ucraina nell’amministrazione Trump, ha usato questa espressione mettendo in guardia contro la fornitura di missili da crociera a lungo raggio a Kiev.   Anche il segretario di Stato americano Marco Rubio ha impiegato lo stesso termine, e il Cremlino ha accolto con favore tale caratterizzazione.   Come riportato da Renovatio 21, il Mearsheimer aveva preconizzato ancora nel 2015 lo sfascio dell’Ucraina, accusando, già all’ora, l’Occidente di portare Kiev verso la sua distruzione invece che verso un’era florida che sarebbe seguita alla neutralità dichiarata dagli ucraini.

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Il politologo appartiene alla schiera delle grandi figure politiche americane che hanno rifiutato la NATO, talvolta prima ancora che nascesse. Uno è George Frost Kennan (1904-2005), ex ambasciatore USA in URSS, lucido, geniale mente capofila della scuola «realista» delle Relazioni Estere (quella oggi portata avanti accademicamente proprio da Mearsheimer) e funzionario di governo considerato «il padre della guerra fredda».   Mearsheimer è noto altresì per il controverso libro La Israel lobby e la politica estera americana, tradotto in Italia da Mondadori. Il libro contiene una disamina dell’influenza di Tel Aviv sulla politica americana, e identifica vari gruppi di pressione tra cui i Cristiani sionisti e soprattutto i neocon.   Il cattedratico statunitense ha anche recentemente toccato la questione israeliana dichiarando che le intenzioni dello Stato Ebraico sarebbero quelle di allargare il più possibile il conflitto nell’area di modo da poter svuotare i territori dai palestinesi: «più grande è la guerra, maggiore è la possibilità di pulizia etnica».

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