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Guerra cibernetica

La NATO: un ciberattacco potrebbe far scattare l’Articolo 5

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Un attacco su larga scala contro un membro della NATO, sponsorizzato dallo Stato, potrebbe far scattare la clausola di difesa collettiva prevista dall’articolo 5 del blocco e provocare una risposta militare, ha detto sabato il presidente del comitato militare della NATO, l’ammiraglio Rob Bauer.

 

Il Bauer ha espresso le sue osservazioni allo Shangri-La Dialogue, una conferenza annuale sulla sicurezza organizzata dall’Istituto internazionale per gli studi strategici (IISS) a Singapore. Parlando delle minacce alla sicurezza informatica, l’ammiraglio ha riaffermato la disponibilità del blocco a rispondere militarmente, anche a un attacco virale.

 

«Nella NATO, abbiamo concordato tra tutti gli alleati che, in linea di principio, un attacco informatico può essere l’inizio di una procedura prevista dall’Articolo 5. Quindi non si tratta solo di un attacco fisico, ma anche di un attacco informatico che può costituire la base di un dibattito sull’articolo 5 e ovviamente dar luogo a procedure successive», ha affermato Bauer.

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Tuttavia, una risposta collettiva a un attacco informatico potrebbe essere soggetta a diverse incertezze, ha ammesso. A differenza del caso di un attacco «fisico», potrebbe essere difficile determinare chi c’era esattamente dietro o se era coinvolto un attore a livello statale.

 

«Devi attribuire l’attacco a qualcuno, voglio dire, se non sai chi ti ha attaccato è molto difficile dichiarare guerra a – a chi lo fai?»

 

Un potenziale attacco informatico, anche se dimostrato essere sponsorizzato dallo stato, dovrebbe essere sufficientemente dirompente da giustificare una risposta militare, ha suggerito Bauer.

 

«Bisogna considerare quanto sia dirompente per la società, perché questo è un attacco al nostro spazio informativo, per così dire. Se ciò significa che i servizi critici essenziali per le nostre società sono messi in pericolo in modo tale che le società non sono più in grado di funzionare, allora ci si avvicina al punto in cui si agirà in un modo che è vicino ad agire su un attacco fisico» ha spiegato l’uomo NATO.

 

Come riportato da Renovatio 21, di recente la Russia ha lamentato di essere circondata da laboratori di guerra cibernetica occidentali.

 

Il blocco dei Paesi dell’Alleanza Atlantica avverte da tempo che un «grave attacco informatico» da parte di «attori malintenzionati» potrebbe portare all’attivazione dell’articolo 5. Le condizioni esatte per attivare la clausola di difesa collettiva attraverso un attacco digitale, tuttavia, rimangono vaghe e non sono mai state chiarite in dettaglio.

 

La clausola di difesa collettiva è stata invocata dal blocco solo una volta, all’indomani degli attacchi dell’11 settembre agli Stati Uniti.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Corea del Sud è entrata con il Giappone nel ramo di difesa cibernetica della NATO, scatenando le ire della Repubblica Popolare Cinese.

 

A marzo la Nuova Zelanda ha accusato Pechino di aver hackerato il suo Parlamento. Sei mesi fa era stata a sua volta colpita la Industrial and Commercial Bank of China (ICBC), la più grande banca del mondo, che si mormora abbia pure pagato un riscatto dopo essere arrivata a fare operazioni finanziarie in USA via chiavetta USB.

 

Un massiccio attacco cibernetico cinese avrebbe colpito la base americana di Guam, nel Pacifico, l’anno passato.

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Lo scorso dicembre hacker legati ad Israele hanno rivendicato un attacco contro il sistema informatico dei benzinai in Iran.

 

Come riportato da Renovatio 21, ad agosto 2023 hacker nordcoreani del gruppo Kimsuky hanno tentato di attaccare una società sudcoreana che fornisce servizi di simulazione al computer per esercitazioni congiunte Corea del Sud-USA e hanno tentato di effettuare un attacco informatico contro infrastrutture militari

 

Il Gruppo Kimsuky avrebbe attaccato il diffuso sistema di posta elettronica Gmail durante l’estate 2022, rubando dati della posta tramite estensioni del browser, ha dichiarato la società di cibersicurezza Volexity.

 

Due mesi fa gli USA hanno vietato l’antivirus Kaspersky, prodotto russo più usato nel mondo per difendere PC. Poche settimane prima Microsoft aveva accusato un gruppo di hacker legati a Mosca di aver attaccato il sistema di posta elettronica aziendale del colosso di Bill Gates.

 

A febbraio un potente ciberattacco aveva paralizzato l’intero sistema delle farmacie americane. Poco prima un attacco informatico aveva colpito la più grande società di mutui non bancari negli USA. Un episodio particolare si è avuto sei mesi fa quando un gruppo di sedicenti hacker gay «furry» (cioè appartenenti ad una sottocultura che si traveste da pupazzi pelosi giganti») ha colpito i sistemi informatici di un laboratorio nucleare americano.

 

Un documento governativo britannico ha avvertito che il Regno Unito rischia una «catastrofe informatica» in «qualsiasi momento».

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Guerra cibernetica

Internet down in tutto il mondo a causa del crash del sistema di Cloudfare

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Martedì, piattaforme di rilievo come X e ChatGPT hanno subito un’interruzione temporanea a causa di un guasto al servizio del fornitore di infrastrutture internet Cloudflare. Anche downdetector.com, tool diffuso per monitorare i disservizi online, è stato colpito dal malfunzionamento.   Poco prima di mezzogiorno UTC, l’azienda ha comunicato sulla sua pagina di stato di aver rilevato un «degrado interno del servizio» e di essere al lavoro per chiarirne le cause.   «L’interruzione di Cloudflare ha avuto ripercussioni sui servizi in tutto il mondo. Durante questo periodo, Downdetector ha ricevuto oltre 2,1 milioni di segnalazioni su tutti i servizi interessati», ha scritto il sito web di monitoraggio Downdetector su X.   I server di Cloudflare operano come «reverse proxy», deviando il flusso di traffico web attraverso la propria infrastruttura per schermare i clienti da rischi cibernetici. Tutelano quasi un quinto di tutti i siti globali.

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I principali portali che ne fanno uso hanno registrato disagi sporadici.   Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, un guasto esteso a Amazon Web Services (AWS) aveva provocato blackout diffusi sui servizi digitali. Un singolo intoppo può ripercuotersi su milioni di fruitori.   Il co-fondatore ed ex CEO di Binance, Changpeng «CZ» Zhao, ha commentato su X l’interruzione di Cloudflare: «la blockchain ha continuato a funzionare».   Non è ancora chiaro cosa possa essere successo. Alcuni ipotizzano che potrebbe essere stato un attacco alla schermatura offerta da Cloudfare di modo da fare disaccoppiare un particolare sito o sistema dal servizio, così da poter attaccare quest’ultimo, ma si tratta, come sempre nell’ambito cibernetico, di pure speculazioni.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Guerra cibernetica

Orban: gli ucraini sono dietro il furto dei dati personali dei cittadini dell’UE

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Dietro il furto e la fuga di dati personali di 200.000 ungheresi ci sono individui ucraini e un partito di opposizione ungherese, ha dichiarato il premier magiaro Vittorio Orban, definendo la situazione un «grave rischio per la sicurezza nazionale» che richiede un’immediata indagine statale.

 

Le accuse, formulate in una dichiarazione video di lunedì, seguono le notizie diffuse dai media ungheresi secondo cui un database con i nomi, gli indirizzi e i recapiti degli utenti che avevano scaricato l’app di organizzazione Vilag del partito Tisza è stato brevemente pubblicato online alla fine della scorsa settimana.

 

Il partito pro-UE e il suo leader Peter Magyar rappresentano la principale opposizione al governo Orban, che accusa l’UE di interferire nella politica interna del Paese.

 

«Un grave scandalo ha scosso la vita pubblica ungherese. I dati personali di 200.000 nostri connazionali sono stati pubblicati online senza il loro consenso», ha dichiarato Orban. «In base alle informazioni attuali, questi dati sono stati raccolti dal partito Tisza».

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Il primo ministro di Budapesto ha affermato che un’analisi del database ha dimostrato che «anche individui ucraini erano coinvolti nella gestione dei dati» e ha ordinato ai funzionari della sicurezza nazionale di condurre l’indagine.

 

Sia il partito Tisza che il suo leader hanno negato qualsiasi coinvolgimento ucraino nello sviluppo dell’app. Magyar ha affermato domenica – senza fornire prove – che l’app del partito era stata presa di mira da «hacker internazionali… che sono ovviamente supportati dai servizi segreti russi».

 

Tuttavia, un articolo del quotidiano ungherese Magyar Nemzet ha ipotizzato che i dati trapelati provenissero dalla piattaforma Vilag, osservando che le prime voci corrispondevano ad account di sviluppatori e tester, alcuni con identificativi dello stato ucraino.

 

Orban, un critico convinto del sostegno militare occidentale all’Ucraina, ha ripetutamente affermato che l’UE e Kiev stanno cospirando per influenzare la politica ungherese e portare al potere il partito Tisza, sostenuto da Bruxelles, nelle elezioni del 2026.

 

Affermazioni simili sono state riprese all’inizio di quest’anno dal Servizio di Intelligence estero russo (SVR), secondo cui la Commissione Europea stava «studiando scenari di cambio di regime» in Ungheria.

 

Bruxelles intende portare Magyar al potere nelle elezioni parlamentari del 2026, «se non prima», ha affermato l’SVR, aggiungendo che Bruxelles starebbe impiegando significative «risorse amministrative, mediatiche e di lobbying», mentre i servizi segreti ucraini farebbero il «lavoro sporco».

 

Come riportato da Renovatio 21, il ministro magiaro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.

 

A inizio ottobre Orban ha ribadio apertis verbis che i leader dell’UE sembrano intenzionati a trascinare il blocco in un conflitto con la Russia.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso Orban ha avviato una petizione contro il cosiddetto «piano di guerra» dell’UE, avvertendo che il sostegno continuo all’Ucraina sta spingendo il blocco verso un confronto diretto con la Russia.

 

Il primo ministro ad agosto aveva accusato il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj di aver minacciato gli ungheresi aggiungendo che l’Ucraina non può entrare nell’Unione Europea con la forza attraverso estorsioni, attentati e intimidazioni. In estate gli attacchi ucraini all’oleodotto Druzhba («Amicizia») di questo mese hanno ripetutamente interrotto i flussi verso Ungheria e Slovacchia, suscitando rabbia in entrambi i Paesi dell’UE.

 

Durante un’intervista a Tucker Carlson nell’agosto 2023, il premier ungherese Vittorio Orban aveva dichiarato significativamente che Ungheria e Serbia erano pronte ad entrare in guerra contro chiunque facesse saltare il loro gasdotto.

Come riportato da Renovatio 21, nelle scorse settimane è stata data alle fiamme nella zona di confine una chiesa cattolica ungherese, sui cui muri è stato scritto in ucraino «coltello agli ungheresi».

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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni

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Accordo segreto di Israele con Google e Amazon

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Un’inchiesta condotta in collaborazione da vari media, tra cui il Guardian, rivela che Israele ha obbligato i colossi tech statunitensi Google e Amazon a infrangere i propri vincoli contrattuali previsti dall’accordo cloud del 2021 con lo Stato Ebraico.   I patti dello Stato Giudaico con le due piattaforme USA sono finiti sotto la lente in seguito alle accuse – mosse anche dall’ONU – di genocidio per la reazione militare all’assalto di Hamas del 7 ottobre 2023, costato oltre 1.200 vite.   L’intesa, denominata Progetto Nimbus e del valore di 1,2 miliardi di dollari, impedirebbe alle aziende di negare al governo israeliano l’accesso ai servizi cloud, anche in caso di violazione dei loro termini d’uso, stando ai documenti pubblicati dal Guardian con +972 Magazine.

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Il contratto includerebbe inoltre un «meccanismo di allerta» che impone alle società di informare segretamente lo Stato degli ebrei ogni qualvolta uno Stato o un tribunale estero richieda i dati israeliani memorizzati in cloud.   Tale sistema prevede che l’azienda USA corrisponda a Israele una cifra – tra 1.000 e 9.999 shekel – pari al prefisso telefonico internazionale del Paese richiedente per ogni trasferimento di dati.   In pratica, questo escamotage permette alle tech di rivelare informazioni su richieste terze, normalmente secretate.   Google e Amazon rischierebbero pesanti penali se sospendessero i servizi a Israele. Lo Stato ebraico può «avvalersi di qualsiasi funzionalità» purché non infranga la legge israeliana, il copyright o implichi rivendita della tecnologia, secondo il testo trapelato.   La clausola mirerebbe a scongiurare che i giganti USA siano costretti a troncare i rapporti con Israele per pressioni di dipendenti, azionisti o attivisti.   Google ha dovuto affrontare crescenti critiche per il suo ruolo nel conflitto. A febbraio, ha rimosso dalle sue linee guida sull’Intelligenza Artificiale l’impegno a non sviluppare strumenti per armi o sorveglianza.   Negli ultimi anni i lavoratori Google hanno manifestato con crescente frequenza contro i legami aziendali con Tel Aviv, sullo sfondo del conflitto a Gaza. Ad aprile 2024 l’azienda ha licenziato circa 30 di essi, rei di aver ostacolato l’attività lavorativa.   Come riportato da Renovatio 21, a luglio 2025 il cofondatore di Google Sergey Brin ha bollato l’ONU come «apertamente antisemita» dopo un report che accusava le tech, inclusa Alphabet, di aver lucrato sulla guerra a Gaza.

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Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi anni è emerso che centinaia di ex agenti dell’Intelligence militare israeliana hanno acquisito posizioni di influenza in diverse grandi società tecnologiche, tra cui Google, Facebook, Microsoft e Amazon.   Si tratterebbe di ex agenti della famigerata Unità 8200, l’ufficio dell’Intelligence militare dello Stato ebraico dedicata alla guerra cibernetica. L’Unità 8200 è nota per «la sorveglianza della popolazione palestinese, accumulando kompromat su individui a scopo di ricatto ed estorsione» scrive MintPressNews. «Spiando i ricchi e famosi del mondo, l’Unità 8200 ha fatto notizia lo scorso anno, dopo lo scoppio dello scandalo Pegasus», cioè l’emersione dell’esistenza di uno spyware potentissimo in grado di penetrare qualsiasi telefono, una vera arma cibernetica che la società israeliana vendo per il mondo.   «Gli ex ufficiali dell’Unità 8200 hanno progettato e implementato un software che ha spiato decine di migliaia di politici e probabilmente ha contribuito all’uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi» scrive il sito americano.  

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