Geopolitica
La disperazione dell’esercito ucraino: se ne accorge pure il Washington Post
Il Washington Post è stato negli anni l’organo dei neocon e dei falchi che premono per le guerre degli USA. Dovrebbe stupire, quindi, che la testata pubblichi un articolo in cui parla delle condizioni disperate dell’esercito ucraino.
Un comandante di battaglione ucraino si è messo in gioco, rendendo pubblico, tramite il giornale di Jeff Bezos, il triste stato delle cose militari del suo Paese in guerra.
Un comandante di battaglione della 46ª brigata d’assalto aereo dell’Ucraina, un tenente colonnello, «ha acconsentito a farsi fotografare e ha detto che capiva che avrebbe potuto affrontare un contraccolpo personale per aver dato una valutazione franca».
«Kupol», questo il nome del colonnello, ha detto di essere l’unico professionista militare del battaglione. Il WaPo lo cita mentre tira le somme del dramma:
«Ottengo 100 nuovi soldati. Non mi danno il tempo di prepararli. Dicono: “Portali in battaglia”. Lasciano cadere tutto e scappano. Questo è tutto».
La formazione dei nuovi soldati è del tutto inadeguata, quindi «i nostri istruttori devono essere mandati laggiù in trincea. Perché hanno fallito nel loro compito».
Inoltre, confessa amaramente il colonnello Kupol, Kiev deve essere meno coinvolta nelle pubbliche relazioni e più coinvolta nella formazione sistematica: «è come se tutto ciò che facciamo fosse rilasciare interviste e dire alla gente che abbiamo già vinto, solo un po’ più in là, due settimane, e vinceremo».
Meno identificabile è un’altra fonte dell’articolo del WaPo, un «alto funzionario del governo ucraino», che ha riferito: «Non abbiamo le persone o le armi».
Una controffensiva quindi non sarebbe possibile: «se hai più risorse, attacchi più attivamente. Se hai meno risorse, difendi di più. Difenderemo. Ecco perché se me lo chiedi personalmente, non credo in una grande nostra controffensiva. Mi piacerebbe crederci, ma guardo le risorse e chiedo: “Con cosa?”».
L’anonimo alto funzionario governativo ha continuato definendo «simbolico» il numero di carri armati promessi a Kiev dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.
L’articolo del Washington Post utilizza la cifra di circa 120.000 vittime ucraine, fornita da una stima del governo tedesco, per descrivere il drastico cambiamento «nel profilo dell’esercito, sostituendo le truppe ucraine più esperte, con l’arrivo di reclute inesperte», un cambiamento che ha gravemente «degradato» la capacità militare dell’Ucraina nell’ultimo anno.
Come riportato da Renovatio 21, tre mesi fa, prima delle rivelazione di Seymour Hersh sulla responsabilità dell’amministrazione Biden, il Washington Post ammise che il Nord Stream non era stato distrutto dalla Russia.
Due mesi fa la testata pubblicò un sorprendente editoriale in cui l’ex segretario di Stato americano Condoleezza Rice e l’ex segretario alla Difesa Robert Gates ammettevano che l’Ucraina stava perdendo e che per questo va assegnata a Kiev una fornitura eterna di armi e supporto.
«La capacità militare e l’economia dell’Ucraina ora dipendono quasi interamente dalle linee di salvataggio provenienti dall’Occidente, in primo luogo dagli Stati Uniti. In assenza di un’altra importante svolta e successo ucraino contro le forze russe, le pressioni occidentali sull’Ucraina per negoziare un cessate il fuoco aumenteranno con il passare dei mesi di stallo militare» scriveva il duo, quasi con disdegno rispetto alla prospettiva di colloqui di pace.
A Kiev e a Washington sembrano non avere nessuna pietà dei poveri ragazzi ucraini mandati nel tritacarne del fronte. I vertici americani e ucraini non hanno pietà per la vita umana, né rispetto per la dignità umana di intere generazioni.
L’importante, per loro, è tenere accesa la fornace della guerra. Mentre chi guarda le immagini dei cimiteri ucraini, qualsiasi sia il suo orientamento geopolitico, non può che piangere.
Immagine screenshot da Telegram
Geopolitica
L’UNICEF denuncia come Israele ignora il cessate il fuoco ONU e continua il massacro di Gaza
In una conferenza stampa tenuta il 26 marzo a Rafah James Elders, portavoce del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), ha fornito un rapporto completo sulla devastazione a cui sta assistendo ora, dopo un’assenza di tre mesi. Lo riporta EIRN.
Elders ha riferito che i combattimenti notturni tra lunedì sera, 25 marzo e martedì 26 marzo avevano prodotto «un numero a due cifre di bambini uccisi», avvenuti «solo poche ore dopo l’approvazione della risoluzione» del Consiglio di Sicurezza.
Il funzionario UNICEF ha dichiarato che a Rafag ora si «discute infinitamente di un’operazione militare su larga scala». Questa è «una città di bambini. Ci sono 600.000 ragazze e ragazzi», ha detto, ma è «irriconoscibile a causa della congestione, delle tende agli angoli delle strade e dei terreni sabbiosi. La gente dorme per strada, negli edifici pubblici, in ogni altro spazio vuoto disponibile»
«A Rafah c’è circa un bagno ogni 850 persone. Per quanto riguarda le docce, il numero è quattro volte superiore: una doccia ogni 3.600 persone. Questo è un disprezzo infernale per i bisogni umani fondamentali e la dignità».
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«Un’offensiva militare a Rafah?» si è chiesto l’Elders. «Offensiva è la parola giusta. Rafah, sede di alcuni degli ultimi ospedali, rifugi, mercati e sistemi idrici rimasti a Gaza».
Il portavoce UNICEF ha anche visitato Khan Younis, a nord di Rafah, che secondo lui era irriconoscibile. «Esiste a malapena più. Nei miei 20 anni con le Nazioni Unite, non ho mai visto una tale devastazione. Solo caos e rovina, con macerie e detriti sparsi in ogni direzione. Annientamento totale».
L’ospedale Nasser, «un luogo così critico per i bambini feriti dalla guerra», non è più operativo. Infatti, solo un terzo degli ospedali di Gaza sono «parzialmente funzionanti». Cinque ospedali sono sotto assedio da parte delle forze israeliane.
Visitando la città di Jabalia, nel nord di Gaza, Elders ha riferito che tra l’1 e il 22 marzo, a un quarto delle 40 missioni di aiuto umanitario nel Nord di Gaza è stato negato l’ingresso nella Striscia. Ha assistito a centinaia di camion delle Nazioni Unite e di ONG internazionali, che trasportavano aiuti umanitari salvavita, rimasti indietro sul lato israeliano del confine, in attesa di entrare a Gaza.
Se il vecchio valico di Erez, a 10 minuti di distanza, fosse aperto, «potremmo risolvere questa crisi umanitaria nel nord nel giro di pochi giorni», ha detto Elders. Il portavoce dell’UNICEF ha concluso: «la privazione, la disperazione forzata, significa che la disperazione pervade la popolazione. E i nervi delle persone sono scossi da attacchi incessanti».
«L’indicibile viene regolarmente detto a Gaza. Dalle adolescenti che sperano di essere uccise; sentirsi dire che un bambino è l’ultimo sopravvissuto dell’intera famiglia. Tale orrore non è più unico qui (…) In tutto questo, tanti palestinesi coraggiosi, generosi e instancabili continuano a sostenersi a vicenda, e le agenzie sorelle delle Nazioni Unite e l’UNICEF continuano a farlo».
«Come abbiamo sentito ieri: il cessate il fuoco deve essere sostanziale, non simbolico. Gli ostaggi devono tornare a casa. Alla gente di Gaza deve essere permesso di vivere» ha dichiarato il funzionario onusiano.
«Nei tre mesi tra le mie visite, ogni numero orribile è aumentato drammaticamente. Gaza ha infranto i record dell’umanità nei suoi capitoli più oscuri. L’umanità deve ora scrivere urgentemente un capitolo diverso».
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Immagine di RafahKid Kid via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic; immagine tagliata
Geopolitica
Putin: non ci sono «nazioni ostili» per la Russia, solo «élite ostili»
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Geopolitica
Il presidente serbo lancia l’allarme: minacce dirette alla Serbia e ai serbi bosniaci
La Serbia sta attraversando giorni estremamente difficili, ha dichiarato il presidente Aleksandar Vucic, aggiungendo che sono in gioco gli interessi nazionali del Paese. Lo riporta RT.
La Nazione balcanica si è costantemente opposta ai tentativi della sua provincia separatista del Kosovo di aderire agli organismi internazionali, ma la regione ha recentemente fatto progressi in questo senso.
Mercoledì il leader serbo ha pubblicato un messaggio criptico su Instagram, avvertendo che «si prospettano giorni difficili per la Serbia» e che «in questo momento non è facile dire che tipo di notizie abbiamo ricevuto nelle ultime 48 ore».
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Gli sviluppi «minacciano direttamente gli interessi nazionali vitali sia della Serbia che della [Republika] Srpska», ha osservato Vucic, senza fornire ulteriori dettagli, dicendo solo che presenterà ai suoi concittadini le sfide future nei prossimi giorni.
La Republika Srpska è una regione parzialmente autonoma dominata dai serbi all’interno della Bosnia ed Erzegovina.
«Sarà dura… Combatteremo, la Serbia vincerà», ha aggiunto Vucic.
Anche se non è chiaro a cosa si riferisse Vucic, è pronto a incontrare mercoledì alti diplomatici di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Italia, secondo il sito web Pink.rs. Si prevede che l’ordine del giorno dell’incontro verterà sulla richiesta del Kosovo di aderire al Consiglio d’Europa, organismo internazionale di vigilanza sui diritti umani.
Secondo Pink, Vucic «non perderà l’occasione di ripetere (…) che si è trattato di una mossa perfida che ha anche un peso simbolico poiché è stata compiuta proprio il giorno che è stato scritto a lettere nere nella memoria collettiva dei serbi».
Il giornale si riferiva al 25° anniversario dell’inizio della campagna di bombardamenti della NATO contro l’ex Jugoslavia per quello che il blocco ha definito «uso sproporzionato della forza» contro un’insurrezione di etnia albanese in Kosovo.
Verrà discussa anche la decisione della commissione permanente dell’Assemblea parlamentare della NATO di elevare la regione separatista del Kosovo allo status di membro associato. La decisione finale sulla questione è attesa per la fine di maggio.
Nel frattempo Radio Sarajevo ha fatto intendere che il presidente serbo avrebbe reagito alla decisione dell’alto rappresentante della Bosnia ed Erzegovina Christian Schmidt di modificare la legge elettorale del paese. L’Ufficio dell’Alto Rappresentante è un’organizzazione internazionale che sovrintende all’accordo di Dayton del 1995, che ha posto fine a una sanguinosa guerra nella Nazione balcanica.
Schmidt ha dichiarato martedì che utilizzerà la sua autorità per introdurre riforme del voto digitale come parte di un progetto pilota nel paese.
La mossa è stata accolta con il rifiuto del presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, che ha detto che Schmidt non ha nulla a che fare con il processo elettorale, aggiungendo che «appartiene alle persone che vivono in Bosnia ed Erzegovina».
In una intervista all’agenzia russa TASS dello scorso mese il Vucic aveva dichiarato che la comunità internazionale non è più interessata a porre fine ai conflitti e vede invece la pace come un ideale «indesiderato».
Come riportato da Renovatio 21, settimane fa il presidente serbo aveva rincarato la dose accusando l’Occidente di perseguire una politica di «militarizzazione totale» per sconfiggere la Russia, che mette la regione e il mondo sull’orlo del disastro e sull’orlo della Terza Guerra Mondiale.
«Quello che sta succedendo adesso è una follia», aveva detto ai media regionali. «Tutti pensavano che Putin sarebbe stato sconfitto facilmente. Ora vedono che non è così».
Sei mesi fa il presidente serbo aveva detto che le forze di pace NATO hanno dato agli albanesi del Kosovo «carta bianca» per uccidere i serbi. «Il Kosovo vuole iniziare una guerra NATO-Serbia» aveva detto un anno fa il Vucic.
Come riportato da Renovatio 21, l’Italia pare essere già schierata nel teatro balcanico: il premier Giorgia Meloni aveva prima alzato la voce quando truppe italiane del contingente KFOR erano state ferite in un moto dei serbi kosovari, poi l’estate scorsa ha compiuto un bizzarro, enigmatico viaggio privato dal premier albanese Edi Rama, risaputo uomo proveniente dalle file dello speculatore internazionale Giorgio Soros.
In una intervista di mesi fa con Tucker Carlson il presidente ungherese Viktor Orban aveva rivelato che con il presidente serbo Vucic sarebbe d’accordo nel considerare un attacco al gasdotto South Stream, che porta il gas dalla Russia in Ungheria e Serbia, come un atto di guerra, al quale, dice, «reagiremo».
Tre mesi fa si era assistito ad un probabile tentativo di «maidanizzazione», a Belgrado a seguito delle elezioni. Alti funzionari serbi avevano descritto le proteste come un tentativo di «rivoluzione colorata» e hanno affermato di essere stati avvertiti dalla Russia: il presidente serbo Vucic aveva affermato che la protesta è stata sponsorizzata dalle potenze occidentali che volevano rimuoverlo dall’incarico per i suoi cordiali rapporti con la Russia e per il rifiuto di abbandonare le rivendicazioni della Serbia sul Kosovo, citando i rapporti dei servizi segreti stranieri.
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Immagine di European Union via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine tagliata
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