Alimentazione
La Corea mette al bando la carne di cane

Il Parlamento della Corea del Sud ha votato martedì scorso per vietare la vendita e il consumo di carne di cane, che un tempo era una pratica diffusa nel paese dell’Asia orientale.
Il presidente Yoon Suk Yeol e la first lady Kim Keon Hee, che possiede sei cani e otto gatti, sono stati sostenitori espliciti del divieto sin da quando è stato proposto per la prima volta a settembre. Nella votazione di martedì, 208 deputati su 300 hanno votato a favore, mentre due si sono astenuti.
La messa al bando degli alimentari a base canina arriva nonostante le veementi proteste degli allevatori delle scorse settimane.
La legge vieta l’allevamento, la macellazione e la vendita di carne di cane per il consumo umano a partire dal 2027. Le sanzioni per i trasgressori includono multe fino a 30 milioni di won (circa 20 mila euro) o fino a tre anni di prigione.
Non è prevista alcuna penalità per il consumo: immaginiamo quindi che se uno si mangia un cane lì sul posto, senza macellarlo, non incorre né in multe né in arresto e carcere (una scena simile è visibile su un antico documentario sui riti di possessione in africa del regista francese Jean Rouche, Les maitres fous, dove un uomo africano posseduto divorava un cagnolino dinanzi la cinepresa: per questo il film è stato a lungo bandito)
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Secondo la Reuters, i coreani consumavano carne di cane per far fronte all’umidità estiva, ma si sono allontanati sempre più dalla tradizione poiché gli animali sono diventati animali domestici e non cibo.
Un sondaggio condotto dal think tank Animal Welfare Awareness, Research and Education con sede a Seul ha mostrato che il 94% degli intervistati non ha mangiato cane nell’ultimo anno e il 93% ha affermato che non intende farlo in futuro.
Allevatori e venditori dell’Associazione coreana dei cani commestibili hanno affermato che il divieto interesserà 3.000 ristoranti e circa 3.500 fattorie che allevano circa 1,5 milioni di cani per la consumazione alimentare. I dati di aprile 2022 del ministero dell’Agricoltura indicano questi numeri in 1.600 ristoranti, 1.100 fattorie e 570.000 cani.
Come riportato da Renovatio 21, durante una protesta a dicembre, gli allevatori di cani hanno minacciato di liberare due milioni di cani se il governo avesse proceduto con il divieto. Ju Yeong-bong, capo dell’Associazione coreana degli allevatori di carne di cane, sosteneva all’epoca che si trattava di «un violento atto di barbarie privare le persone del loro diritto a mangiare».
Il governo ha cercato di dissipare le preoccupazioni degli allevatori di cani offrendo un periodo di grazia e un risarcimento in modo che potessero cambiare carriera. Gli attivisti per i diritti degli animali si sono opposti, sostenendo che gli allevatori chiederebbero somme «irrealisticamente elevate».
Nel frattempo, gli allevatori hanno affermato che sia loro che i loro principali clienti hanno più di 60 anni e sono troppo vecchi per cambiare strada o avviare una nuova attività.
Il bando entrerà in vigore nel 2027: immaginiamo quindi che per gli appassionati di piatti a base carne di fido si preparano tre anni di bagordi inediti, con ripetute gozzoviglie cinofaghe e cinici trimalcioneschi party d’addio alla cucina del miglior amico dell’uomo.
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Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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Alimentazione
Carestia dichiarata a Gaza da un gruppo per la sicurezza alimentare legato alle Nazioni Unite

Famine declared by IPC in #Gaza Governorate is a direct result of actions by #Israel‘s Government that has unlawfully restricted entry & distribution of humanitarian aid.
It is a war crime to use starvation as a method of warfare, and the resulting deaths may also amount to a… pic.twitter.com/knqnRpe2yH — UN Human Rights (@UNHumanRights) August 22, 2025
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