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Geopolitica

Kosovo, gli USA armano i separatisti albanesi. Belgrado: «delusi, ma non sorpresi»

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Belgrado ha reso nota la sua contrarietà alla decisione di Washington di vendere missili anticarro alla provincia separatista del Kosovo e intende in risposta rafforzare l’esercito, ha dichiarato venerdì il ministro della difesa serbo Milos Vucevic.

 

Giovedì, durante il loro incontro, l’ambasciatore americano a Belgrado, Christopher Hill, ha informato il presidente serbo, Aleksandar Vucic, della potenziale vendita. Il Dipartimento di Stato ha dato il via libera all’accordo, che coinvolge 246 armi per un valore stimato di 75 milioni di dollari.

 

«Gli Stati Uniti sono un alleato di lunga data di Pristina, quindi non siamo sorpresi da questa mossa, ma siamo ovviamente delusi e abbiamo espresso apertamente il nostro disappunto», ha detto Vucevic al quotidiano serbo Kurir.

 

Anche se la Serbia non può cambiare la politica americana, risponderà rafforzando le sue capacità militari, ha aggiunto.

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La NATO ha bombardato la Serbia per 78 giorni nel 1999 per conto dei separatisti di etnia albanese in Kosovo. La provincia fu poi posta sotto un governo provvisorio delle Nazioni Unite mentre la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza garantiva la sovranità serba.

 

Gli albanesi hanno dichiarato l’indipendenza nel 2008 con il sostegno degli Stati Uniti, ma la Serbia non ha mai riconosciuto la mossa, nonostante le continue pressioni da parte dell’Occidente, anche recenti: è stato riportato che l’anno passato il cancelliere tedesco Scholz ha detto al presidente serbo Vucic che Belgrado non sarebbe entrata nella UE fino a che non avrebbe riconosciuto l’indipendenza del nuovo Stato albanese.

 

Nell’approvare la vendita dei Javelins, il Dipartimento di Stato ha descritto il Kosovo come «una forza importante per la stabilità politica ed economica in Europa».

 

Dopo l’incontro con lo Hill, il presidente Vucic si è detto «profondamente deluso» dalla mossa degli Stati Uniti, aggiungendo che «ha confermato il nostro impegno nel preservare la pace e la stabilità nella regione e nel rafforzare l’amicizia e la cooperazione tra Serbia e Stati Uniti».

 

Vucic ha in precedenza insistito sul fatto che la Serbia non avrebbe permesso «un altro pogrom» in Kosovo – riferendosi alle rivolte anti-serbe del 2004 che le forze di pace della NATO hanno tollerato per quasi una settimana – e si è ripetutamente lamentato del fatto che l’Occidente chiuda un occhio sulle mosse repressive di Pristina contro il i restanti serbi di etnia nella provincia separatista.

 

L’accordo sui missili necessita ancora dell’approvazione del Congresso americano. La deputata Claudia Tenney, la repubblicana di New York che presiede il Congressional Serbian Caucus, ha già condannato l’iniziativa come «fuorviante e pericolosa» e ha detto che si sarebbe opposta.

 

L’FGM-148 Javelin è un missile anticarro portatile con guida a infrarossi, armato con una testata altamente esplosiva. Gli Stati Uniti li hanno forniti in grandi quantità all’Ucraina dal 2019 e, secondo quanto riferito, scarseggiavano a metà del 2022. I Javelin prodotti congiuntamente da Lockheed Martin e Raytheon Technologies, quest’ultima impiegava l’attuale segretario alla Difesa americano Lloyd Austin nel suo consiglio di amministrazione.

 

Esemplari di questa arma sarebbero stati fotografati in uso ad operatori dei cartelli narcos messicani dediti alla tratta, oltre che della droga, degli immigrati. Secondo taluni armi destinate all’Ucraina sarebbero apparse anche negli arsenali di Hamas.

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Come riportato da Renovatio 21, le tensioni avevano portato Belgrado a muovere le truppe verso il confine.L’anno scorso in alcuni scontri la polizia kosovara aveva sparato sulla protesta serba. In un momento di tensione i poliziotti di etnia albanese avevano strappato bandiere, mostrato le armi e occupato una diga. Negli scontri tra polizia, manifestanti serbi e truppe NATO fa furono feriti, tra gli altri, alcuni militari italiani, suscitando una reazione rabbiosa da parte del premier Meloni, che potrebbe aver fatto capire da che parte sta quando ha fatto un misterioso viaggio estivo dal premier albanese Edi Rama, uomo di Soros il cui fratello fu accusato di aver interrotto una partita di calcio della nazionale a Belgrado con un drone recante una bandiera della «grande Albania», dove il territorio serbo del Kosovo risulta parte dello Stato di Tirana.

 

Come riportato da Renovatio 21, lo scorso autunno il presidente serbo Vucic ha dichiarato che e forze di pace NATO hanno dato al Kosovo «carta bianca» per uccidere i serbi. In precedenza aveva accusato il Kosovo albanese di voler «iniziare una guerra NATO-Serbia».

 

La Repubblica Popolare Cinese, che un anno fa ha operato una grande e misteriosa consegna militare a Belgrado, ha detto di ritenere che ci sia la NATO dietro alle tensioni in Kosovo.

 

Una nuova guerra nei Balcani mirerebbe a riportare sui binari il progetto mondialista espletatosi con la presidenza Clinton e continuato con Bush e Obama.

 

Il Kosovo è essenzialmente una creazione dei Clinton, che si appoggiavano al cosiddetto «Ulivo mondiale»: Blair a Londra e l’ex comunista Massimo D’Alema a Roma, che fornì aiuto politico, materiale, militare dal nostro Paese. Lo «Stato» kosovaro fu creato grazie a massicci bombardamenti NATO della Serbia voluti dall’amministrazione americana a fine anni Novanta, in primis il senatore Joe Biden, che, amico personale di Tito, rivendica addirittura di aver indicato ai militari le zone da colpire.

 

Secondo il New York Times il Kosovo è percentualmente il più grande fornitore di foreign fighter ISIS in rapporto alla popolazione.

 

L’ex presidente kosovaro Hashim Thaci, pupillo del segretario di Stato clintoniano Madeleine Albright a lungo al vertice del Paese, è stato accusato di crimini tra cui il traffico di organi.

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Orban: l’UE annega nella corruzione

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L’UE continua a rivendicare la sua «superiorità morale» nonostante sia «annegata» nella corruzione, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orban, accusando Bruxelles e Kiev di proteggersi a vicenda dagli scandali di corruzione.   Venerdì Orban ha attaccato duramente la leadership dell’UE in un’intervista a Kossuth Radio, evocando l’ultimo scandalo di corruzione che ha colpito l’Unione all’inizio di questa settimana. La Procura europea (EPPO) ha formalmente accusato tre sospettati di alto profilo, tra cui l’ex responsabile della politica estera dell’Unione e vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini, di frode, corruzione, conflitto di interessi e violazione del segreto professionale.   Il primo ministro ungherese ha tracciato parallelismi tra la vicenda e la serie di scandali di corruzione che hanno colpito l’Ucraina, tra cui il sistema di tangenti da 100 milioni di dollari legato alla cerchia ristretta di Volodymyr Zelens’kjy. Nonostante lo scandalo, Bruxelles ha cercato di ottenere 135 miliardi di euro per sostenere Kiev nel corso del prossimo anno.

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L’UE non è riuscita a fornire una risposta adeguata allo scandalo di corruzione in Ucraina, ha affermato Orban, accusando la leadership dell’Unione di voler coprire Kiev. «L’UE sta annegando nella corruzione. I commissari sono accusati di gravi reati, la Commissione e il Parlamento sono travolti dallo scandalo, eppure Bruxelles continua a rivendicare la superiorità morale. La corruzione in Ucraina dovrebbe essere denunciata dall’UE, ma ancora una volta è la solita vecchia storia: Bruxelles e Kiev si proteggono a vicenda invece di affrontare la verità», ha scritto Orban su X, condividendo un estratto dell’intervista.   Le sue osservazioni seguono le dichiarazioni rilasciate all’inizio di questa settimana dal ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che ha accusato l’UE di essere riluttante a denunciare la corruzione ucraina «perché anche Bruxelles è costellata da una rete di corruzione simile».   «Nessuno ha chiesto conto agli ucraini delle centinaia di miliardi di euro di aiuti dell’UE dopo che è stato rivelato che in Ucraina si stava verificando corruzione ai massimi livelli statali», ha detto lo Szijjarto ai giornalisti, aggiungendo che il denaro dei contribuenti europei finisce in ultima analisi nelle «mani di una mafia di guerra».  

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Per gli USA ora la normalizzazione delle relazioni con la Russia è un «interesse fondamentale»

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Gli Stati Uniti hanno indicato il rilancio dei rapporti normali con la Russia e l’interruzione rapida della guerra in Ucraina come priorità assolute nella loro nuova Strategia per la sicurezza nazionale, diffusa venerdì dalla Casa Bianca, ponendoli tra gli obiettivi cardine per gli interessi americani.

 

Il documento di 33 pagine delinea la prospettiva di politica estera delineata dal presidente Donald Trump, affermando che «è un interesse essenziale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina», al fine di «stabilizzare le economie europee, scongiurare un’escalation o un allargamento imprevisto del conflitto e ricostruire la stabilità strategica con la Russia».

 

Si evidenzia come il conflitto ucraino abbia «profondamente indebolito le relazioni europee con la Russia», minando l’equilibrio regionale.

 

Il testo rimprovera i dirigenti europei per le «aspettative irrealistiche» sull’evoluzione della guerra, precisando che «la maggioranza degli europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle politiche adottate».

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Washington, prosegue il rapporto, è disposta a un «impegno diplomatico sostanziale» per «supportare l’Europa nel correggere la sua rotta attuale», reinstaurare l’equilibrio e «ridurre il pericolo di scontri tra la Russia e gli Stati europei».

 

A differenza della strategia del primo mandato di Trump, che accentuava la rivalità con Russia e Cina, la versione attuale sposta l’asse sull’emisfero occidentale e sulla tutela del suolo patrio, dei confini e delle priorità regionali. Esorta a riallocare le risorse dai fronti remoti verso minacce più immediate e invita la NATO e i Paesi europei a farsi carico in prima persona della propria sicurezza.

 

Il documento invoca inoltre l’arresto dell’espansione della NATO, una pretesa a lungo avanzata da Mosca, che la indica come una delle ragioni principali del conflitto ucraino, interpretato come una guerra per interposta persona orchestrata dall’Occidente.

 

In sintesi, la strategia segna un passaggio dall’interventismo universale a un approccio estero più pragmatico e contrattuale, sostenendo che gli Stati Uniti debbano intervenire oltre i propri confini solo quando gli interessi nazionali sono direttamente coinvolti.

 

Si tratta del primo di una sequenza di rilevanti atti su difesa e politica estera che l’amministrazione Trump si accinge a emanare, tra cui una Strategia di Difesa Nazionale rivista, la Revisione della Difesa Missilistica e la Revisione della Postura Nucleare, tutti attesi in linea con l’impostazione del documento.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Geopolitica

Israele potrebbe iniziare a deportare gli ucraini

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Decine di migliaia di rifugiati ucraini in Israele rischiano la deportazione entro la fine del prossimo mese, a causa del protrarsi del ritardo governativo nel rinnovare il loro status legale. Lo riporta il quotidiano dello Stato Giudaico Haaretz.   La tutela collettiva offerta a circa 25.000 ucraini in seguito all’aggravarsi del conflitto in Ucraina nel 2022 necessita di un’estensione annuale, ma gli attuali permessi di soggiorno scadono a dicembre.   Tuttavia, Israele non si è dimostrato particolarmente ospitale verso molti di questi migranti, in particolare quelli non eleggibili alla «Legge del Ritorno», una legge fondamentale dello Stato di Israele implementata dal 1950che garantisce a ogni ebreo del mondo il diritto di immigrare in Israele e ottenere la cittadinanza, basandosi sul legame storico e religioso del popolo ebraico con la Terra Promessa. Secondo i resoconti dei media locali, gli ucraini non ebrei ottengono spesso solo una protezione provvisoria, devono fare i conti con norme d’ingresso stringenti e sono esclusi dalla residenza permanente o dagli aiuti sociali, finendo intrappolati in un limbo legale ed economico.

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In carenza di un ministro dell’Interno ad interim, la competenza su tale dossier è passata al premier Benjamino Netanyahu, ma una pronuncia non è ancora arrivata, ha precisato Haaretz.   L’Autorità israeliana per la Popolazione e l’Immigrazione ha indicato che la pratica è in esame e che una determinazione verrà comunicata a giorni, ha aggiunto il giornale.   Anche nell’Unione Europea, l’assistenza ai profughi ucraini è messa alla prova, con vari esecutivi che stanno tagliando i piani di supporto per via di vincoli di bilancio. Dati Eurostat mostrano un recente incremento degli arrivi di maschi ucraini in età da leva nell’UE, in scia alla scelta del presidente Volodymyr Zelens’kyj di allentare i divieti di espatrio per la fascia 18-22 anni. Tale emigrazione continua di uomini abili al reclutamento sta acutizzando le già critiche carenze di forza lavoro in Ucraina.   Germania e Polonia, i due Stati membri che accolgono il maggior numero di ucraini, hanno di recente varato restrizioni sui sussidi, malgrado un calo del consenso popolare.   Il presidente polacco Karol Nawrocki ha annunciato il mese scorso che non rinnoverà gli aiuti sociali per i rifugiati ucraini oltre il 2026. A quanto pare, l’opinione pubblica polacca sui profughi ucraini si è inasprita dal 2022, per via di frizioni sociali e del diffondersi dell’idea che rappresentino un peso o una minaccia criminale.   Quest’anno, i giovani ucraini hanno provocato quasi 1.000 interventi delle forze dell’ordine per scontri, intossicazione alcolica e possesso di armi non letali in un parco del centro di Varsavia, ha rivelato all’inizio della settimana Gazeta Wyborcza.   Una sorta di cecità selettiva, o di compiacenza, di Tel Aviv nei confronti del neonazismo ucraino pare emergere anche da dichiarazioni dell’ambasciatore dello Stato Ebraico a Kiev, che ha detto di non essere d’accordo con il fatto che Kiev onori autori dell’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale come eroi nazionali, tuttavia rassicurando sul fatto che tale disputa non dovrebbe rappresentare una minaccia per il sostegno israeliano al governo ucraino.

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Secondo un articolo del Washington Post, circa la metà dei 300.000 ebrei ucraini sarebbero fuggiti dal Paese dall’inizio del conflitto con la Russia.   Come riportato da Renovatio 21le pressioni dell’amministrazione Biden su Tel Aviv per la fornitura di armi a Kiev risale ad inizio conflitto.   Tre anni fa l’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev aveva messo in guardia Israele dal fornire armi all’Ucraina in risposta alle affermazioni secondo cui l’Iran sta vendendo missili balistici e droni da combattimento alla Russia.   Israele a inizio 2022 aveva rifiutato la vendita di armi cibernetiche all’Ucraina o a Stati, come l’Estonia, che potrebbero poi rivenderle al regime Zelens’kyj.  

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Immagine di Spokesperson unit of the President of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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