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Politica

Jimmy Carter, ex presidente USA battista pro aborto e pro LGBT, muore centenario

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L’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter è morto all’età di 100 anni domenica 29 dicembre, nella sua casa di Plains, Georgia. Il 39° presidente statunitense ha occupato lo Studio Ovale per un singolo mandato dal 1977 al 1981.

 

Il Carter fu eletto presidente nel 1976 dopo un periodo di disillusione nei confronti del governo, seguito da un decennio scosso dal discutibile coinvolgimento della nazione nella guerra del Vietnam, dai disordini universitari e razziali, dalle crescenti preoccupazioni ambientali e dallo scandalo Watergate che portò alle dimissioni di Richard Nixon.

 

Democratico e governatore della Georgia dal 1971 al 1975, Carter era considerato un autentico outsider di Washington, un devoto cristiano battista e un coltivatore di arachidi che offriva un gradito sollievo a molti elettori stanchi del lato oscuro della politica e del massiccio sconvolgimento culturale degli anni Sessanta e Settanta.

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Carter vinse la presidenza sconfiggendo il repubblicano Gerald R. Ford, che aveva assunto la carica dopo la prematura dipartita di Nixon, dimessosi dopo un colpo di palazzo – il celeberrimo scandalo Watergate – dove le manovre dello Stato profondo contro il presidente stanno divenendo di anno in anno sempre più discusse apertamente da storici ed esperti.

 

Durante il mandato di Carter alla Casa Bianca, ha lavorato per la causa della pace globale, in particolare attraverso gli Accordi di Camp David del 1978 tra Egitto e Israele. Carter è stato anche un paladino dei diritti umani in tutto il mondo. È noto per aver scritto nel 2006 un libro fortemente critico delle politiche israeliane verso la popolazione palestinese, Peace, not Apartheid («Pace, non Apartheid»). Carter sembrava anche favorevole al dialogo con Hamas, nonostante gli USA la considerassero un’organizzazione terrorista.

 

Carter sostenne di essere personalmente contrario all’aborto e di essere un forte sostenitore dell’emendamento Hyde che proibiva al governo federale di finanziare gli aborti procurati, tuttavia affermò di accettare la sentenza Roe v. Wade e di non ritenere che la sentenza dovesse essere annullata. La sua organizzazione storica, il Carter Center, ha deplorato l’annullamento di Roe v. Wade, affermando che «mette a rischio la salute delle donne negando loro il diritto di prendere le proprie decisioni in materia di assistenza sanitaria».

 

Il Carterro era anche un convinto sostenitore del «matrimonio» omosessuale, dichiarando in modo blasfemo nel 2015 che pensava che «Gesù avrebbe approvato» la pratica. «Non vedo che il matrimonio gay danneggi qualcun altro», disse all’epoca all’HuffPost Live, ignorando i tassi astronomicamente più alti di HIV, cancro anale e altre malattie sessuali tra i maschi omosessuali, oltre al fatto che la Sacra Scrittura condanna chiaramente e fermamente l’omosessualità.

 

Nel corso della la sua vita fu anche oppositore della pena di morte.

 

Durante la sua amministrazione, l’economia statunitense entrò in un periodo di malessere, caratterizzato da un’inflazione galoppante e da tassi di interesse alle stelle, aggravati da una crisi energetica.

 

Durante gli ultimi 14 mesi della sua presidenza, Carter negoziò senza successo il ritorno dei membri dello staff dell’ambasciata statunitense a Teheran, tenuti in ostaggio dopo la presa dell’ambasciata da parte di fondamentalisti islamici che avevano scatenato una rivoluzione, rovesciando il governo dello Scià dell’Iran.

 

Il dramma di Teheran dominò i notiziari televisivi statunitensi e i titoli nazionali ogni giorno per l’ultimo anno di presidenza di Carter, contribuendo alla sua schiacciante sconfitta del 1980 contro il repubblicano Ronald Reagan. Gli ostaggi furono liberati dalla prigionia quando Reagan assunse la carica. Secondo alcuni, vi era un canale riservato tra la campagna Reagan e Khomeini, che stabilì il prolungamento della situazione degli ostaggi al fine di favorire il repubblicano nella corsa alla Casa Bianca: l’impotenza di Carter nel salvare i concittadini proiettava un’immagine debole del Paese che gli americani decisero di rigettare votando in massa per l’ex attore hollywoodiano di pellicole western.

 

James Earl Carter nacque il 1° ottobre 1924 e crebbe a Plains, in Georgia, dove la sua famiglia gestiva una piantagione di arachidi. Si laureò alla United States Naval Academy di Annapolis, nel Maryland, nel 1946 e prestò servizio come ufficiale della Marina fino al 1953, guadagnandosi l’American Campaign Medal, la World War II Victory Medal, la China Service Medal e la National Defense Service Medal.

 

Nel 2002 il Cartiero ricevette il premio Nobel per la pace.

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Poco dopo essersi laureato all’Accademia Navale, sposò Rosalynn e la coppia ebbe tre figli: John William (Jack), James Earl III (Chip), Donnel Jeffrey (Jeff), una figlia, Amy Lynn, e 22 tra nipoti e pronipoti. Negli ultimi decenni, Jimmy e Rosalynn erano ben noti per la loro difesa umanitaria e il coinvolgimento pratico con Habitat for Humanity. L’ex presidente era spesso raffigurato in tuta o con una cintura portautensili, martello o sega in mano.

 

La moglie Rosalynn è morta nel novembre 2023. I due avevano festeggiato il loro 77° anniversario di matrimonio a luglio. Negli ultimi anni il presidente Carter aveva ricevuto cure palliative a domicilio.

 

Avendo vissuto fino all’età di 100 anni, Carter ha il primato di essere stato il presidente degli Stati Uniti più longevo.

 

Resta di Carter una curiosa foto di inizio 2021, quando il Biden – anche lui già molto anziano, ma a differenza di Carter, in più che probabile istato di demenza senile – andò a trovarlo ad inizio mandato.

 


Carter e sua moglie, nella bizzarra foto, sembrano piccolissimi. La Casa Bianca non commentò la strana prospettiva offerta dalla fotografia diffusa.

 

I social e perfino la stampa mainstream, invece, impazziron, e si domandaron straniti cosa essa significasse.

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L’editore ritira il libro in cui si sostiene che Epstein abbia presentato Melania a Trump

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HarperCollins UK si è scusata con Melania Trump e ha ritirato un libro che affermava che Jeffrey Epstein, condannato per reati sessuali, l’avesse presentata al marito, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.   Mercoledì, la casa editrice ha dichiarato in una nota di aver «deciso di rimuovere diverse pagine» da una biografia non autorizzata del principe Andrea, scritta dallo storico Andrew Lowine. I passaggi in questione riportavano accuse non verificate secondo cui Epstein avrebbe favorito l’incontro tra la coppia presidenziale statunitense.   «Le copie del libro che includono tali riferimenti saranno rimosse definitivamente dalla distribuzione. HarperCollins UK si scusa con la First Lady», si legge nella dichiarazione. Melania Trump ha successivamente condiviso il messaggio sul suo account X.  

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La biografia, pubblicata a metà agosto, analizzava il rapporto tra il principe Andrea e Epstein, il finanziere americano morto in carcere nel 2019 in attesa di processo per accuse di traffico sessuale. NBC News aveva precedentemente riferito che il libro sosteneva che Epstein avesse «facilitato» l’incontro tra Melania e Donald Trump, in un articolo che descriveva in dettaglio i suoi tentativi di prendere le distanze dall’uomo d’affari caduto in disgrazia.   Un portavoce della first lady statunitense (FLOTUS) ha riferito ad Axios che il suo team legale è «attivamente impegnato a garantire immediate ritrattazioni e scuse da parte di coloro che diffondono falsità maligne e diffamatorie», sottolineando che nelle sue memorie Melania afferma di aver conosciuto Donald Trump nel 1998 a una festa a New York tramite un’altra conoscenza.   Durante la campagna presidenziale del 2024, Donald Trump aveva promesso di rendere pubblici i «file Epstein», che si presume dettagliassero i legami del finanziere con figure influenti. Tuttavia, dopo il suo insediamento, Trump ha definito l’esistenza di tali documenti una «bufala democratica», una svolta che, secondo i critici, servirebbe a distogliere l’attenzione dai suoi precedenti rapporti con Epstein.   Melania Trump ha già ottenuto una ritrattazione dal Daily Beast e da un podcast condotto dallo stratega democratico James Carville per affermazioni simili.   Come riportato da Renovatio 21, al contrario, per le sue affermazione sulla FLOTUS, suo marito ed Epstein Hunter Biden ha rifiutato di scusarsi. Melania Trump ha minacciato di fargli causa per un miliardo di dollari, ma il figlio già tossicodipendente di Biden ha risposto a maleparole.   Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Politica

Trump non vince il Nobel. Premiato pure lo scrittore nemico di Orban

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato escluso dalla lista dei candidati al Premio Nobel per la Pace 2025, assegnato venerdì alla politica dell’opposizione venezuelana Maria Corina Machado.

 

Trump ha più volte dichiarato di meritare il premio per aver, a suo dire, risolto numerosi conflitti internazionali da quando è entrato in carica a gennaio, incluso il più recente a Gaza.

 

Il direttore delle comunicazioni della Casa Bianca, Steven Cheung, ha commentato la notizia affermando che il comitato «ha dimostrato di anteporre la politica alla pace» e ha aggiunto che Trump «continuerà a stipulare accordi di pace, a porre fine alle guerre e a salvare vite umane».

 

Il Comitato norvegese per il Nobel ha lodato la Machado, nota critica del presidente venezuelano Nicolas Maduro, «per la sua instancabile difesa delle libertà democratiche in Venezuela e il suo impegno nel realizzare una transizione pacifica dalla dittatura alla democrazia». Maduro ha accusato Machado di aver convogliato fondi americani verso gruppi antigovernativi «fascisti», definendola una pedina per l’ingerenza di Washington negli affari venezuelani.

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La Machado ha mantenuto stretti legami con il governo statunitense per decenni. Nel 2005, fu ricevuta nello Studio Ovale dall’allora presidente George W. Bush.

 

Durante il primo mandato di Trump, gli Stati Uniti e diverse nazioni occidentali riconobbero il rappresentante dell’opposizione venezuelana Juan Guaidó come «presidente ad interim» del Paese, sebbene i tentativi di Guaidó di prendere il potere attraverso proteste e colpi di stato siano falliti.

 

Da quando è tornato al potere a gennaio, Trump ha intensificato la pressione su Caracas con sanzioni e operazioni militari, descritte dalla sua amministrazione come azioni antidroga.

 

Critici, tra cui il senatore repubblicano Rand Paul e Juan Gonzalez, ex diplomatico di alto livello nell’amministrazione di Joe Biden, sostengono che la Casa Bianca stia perseguendo una strategia di cambio di regime già sperimentata. Il Segretario di Stato di Trump, Marco Rubio, noto oppositore di Maduro, è considerato il principale promotore di questa linea.

 

All’inizio di questa settimana, il Comitato per il Nobel ha assegnato il Premio per la Letteratura allo scrittore ungherese Laszlo Krasznahorkai, critico del primo ministro ungherese Viktor Orban, uno dei più fedeli alleati di Trump in Europa.

 

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La Le Pen promette di bloccare qualsiasi nuovo governo francese

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La domina della destra francese Marine Le Pen ha promesso di bloccare qualsiasi nuova azione del governo, dopo che il presidente Emmanuel Macron ha annunciato la nomina di un nuovo primo ministro entro due giorni, in un contesto di crisi politica sempre più profonda.   Il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen è il partito più numeroso in parlamento. Mercoledì, la leader ha esortato Macron a sciogliere l’Assemblea Nazionale e indire nuove elezioni, oppure a dimettersi.   «Voto contro tutto… Questa farsa è durata abbastanza», ha dichiarato la tre volte candidata alla presidenza.   Il primo ministro Sébastien Lecornu si è dimesso lunedì dopo le critiche alle scelte del suo governo. Con il debito pubblico francese a livelli record e il dibattito in corso sul bilancio 2026, Macron gli ha chiesto di restare in carica come amministratore delegato fino a metà settimana.   Mercoledì sera, Macron ha annunciato che nominerà un nuovo primo ministro entro due giorni, una mossa volta a evitare lo scioglimento del Parlamento e a formare un governo di coalizione di compromesso in grado di approvare il bilancio.

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Sempre mercoledì i leader parlamentari hanno respinto la richiesta di impeachment di Macron, e Mathilde Panot del partito di sinistra La France Insoumise (LFI) ha accusato i deputati astensionisti del RN di aver bloccato la mozione.   Il RN ha ripetutamente definito le pressioni di sinistra per l’impeachment come una teatralità politica, mentre il presidente del partito Jordan Bardella ha sostenuto che l’unica «soluzione» è lo scioglimento dell’assemblea o le dimissioni di Macron.   La Francia è bloccata in una paralisi politica da quando la scommessa di Macron sulle elezioni anticipate dello scorso anno ha portato a un parlamento in stallo e a una maggiore rappresentanza dell’estrema destra. Il RN detiene ora quasi un quarto dei 577 seggi dell’Assemblea Nazionale.   Recenti sondaggi indicano il RN in testa con circa il 35% delle intenzioni di voto, davanti all’alleanza centrista di Macron.   Le Pen, candidata alla presidenza nel 2017 e nel 2022, ma sconfitta entrambe le volte da Macron, è stata interdetta dai pubblici uffici all’inizio di quest’anno dopo che un tribunale francese l’ha dichiarata colpevole di appropriazione indebita di fondi del Parlamento europeo, sentenza che sta impugnando.   Bardella è nel frattempo considerato da molti come un potenziale futuro candidato alla presidenza.

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