Big Pharma
India, farmacia del mondo che punta all’autosufficienza

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Oltre 60 bambini in Gambia sono morti a causa di sciroppi tossici prodotti nell’Haryana, ma un terzo dei medicinali commerciati in tutto il mondo provengono dal subcontinente indiano. Lo sviluppo del settore farmaceutico è stato possibile grazie alla «ingegneria inversa» e ai brevetti di procedimento. Gli indiani vogliono slegarsi dalla Cina anche per la produzione dei principi attivi.
Il governo indiano ha ordinato un’indagine dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha collegato la responsabilità della morte di 66 bambini in Gambia a quattro sciroppi per la tosse prodotti (solo per l’esportazione) da Maiden Pharmaceuticals, che ha sede nello Stato settentrionale dell’Haryana.
In base a una dichiarazione di Delhi, l’autorità nazionale di regolamentazione dei farmaci ha cominciato le indagini dopo essere stata contattata dall’OMSil 29 settembre, ma un primo allarme era stato lanciato dalle autorità gambiane a luglio, quando troppi bambini erano stati ricoverati per gravi problemi ai reni.
Secondo il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, gli sciroppi avrebbero causato lesioni renali per i livelli «inaccettabili» di tossine nei farmaci.
In realtà negli ultimi sette anni almeno sei farmaci prodotti dalla Maiden Pharmaceuticals non rispettavano gli standard di sicurezza ed efficacia necessari alla commercializzazione. Di questi, quattro sono stati trovati non idonei nell’ultimo anno.
L’India produce un terzo dei medicinali consumati in tutto il mondo ed è sede di alcune delle ditte farmaceutiche in più rapida crescita. Per capire come si è arrivati a questo punto bisogna tornare indietro agli anni ‘70, quando il governo ha introdotto il Patents Act, una normativa che riconosce i brevetti di procedimento, ma non quelli di prodotto.
Ciò significa che le aziende farmaceutiche indiane possono produrre farmaci equivalenti senza essere costrette a pagare royalty ai detentori del brevetto originale. In pochi anni il settore è esploso: se nel 1970 c’erano 2.200 industrie farmaceutiche, nel 1995 erano diventate 24mila. Per soddisfare la domanda di esperti del settore sono persino aumentati i corsi di farmaceutica nelle università indiane.
Nel 2021 il mercato farmaceutico indiano, che oggi vale 42 miliardi dollari, ha registrato una crescita del 17,7%: secondo le previsioni potrebbe raggiungere il valore di 65 miliardi di dollari entro il 2024 e addirittura triplicare fino a 120-130 miliardi entro il 2030.
Dagli anni ‘90 l’export ha avuto un ruolo centrale: oggi l’India sopperisce alla metà della domanda globale di vaccini, al 40% della richiesta di farmaci generici negli Usa e al 25% di quella britannica. Significa che una pillola su tre ingerita negli Stati Uniti e una su quattro nel Regno Unito sono prodotte in India.
La capacità di sviluppare farmaci generici a un prezzo ridotto è dovuta all’altissima disponibilità di manodopera qualificata. Grazie alla «ingegneria inversa» l’India è stata in grado di riprodurre medicinali per l’AIDS (Zidovudine) o il cancro (Imatinib) pochi anni dopo il loro lancio negli Stati Uniti e di ridurre i prezzi di alcuni farmaci fino al 99%, rendendoli disponibili anche per i Paesi a basso reddito, in particolare quelli africani. L’80% degli antiretrovirali per combattere l’HIV in tutto il mondo sono prodotti da ditte indiane.
L’India è anche uno dei principali esportatori di vaccini, come la pandemia da COVID-19 ha messo in evidenza: secondo i dati governativi l’India ha fornito oltre 201 milioni di dosi a circa 100 Paesi fino a maggio. Si stima che al 65% dei bambini di tutto il mondo sia stato somministrato almeno un vaccino prodotto dal noto Serum Institute of India (SII), che da aprile a ottobre dell’anno scorso aveva sospeso l’esportazione di vaccini AstraZeneca per soddisfare la domanda interna: solo lo 0,5% della popolazione indiana era vaccinata quando la seconda ondata ha travolto il Paese.
Secondo altri punti di vista la vera farmacia del mondo sarebbe la Cina, perché è da questa che l’India importa il 68% (o secondo altre stime l’85%) dei principi attivi che rendono i farmaci efficaci.
Qualcosa però ha cominciato a cambiare: grazie a uno schema governativo varato nel 2020 (all’apice delle tensioni al confine con la Cina), da marzo di quest’anno l’India ha cominciato a produrre a livello interno 32 principi attivi in 35 stabilimenti sparsi in tutto il Paese.
L’obiettivo di breve periodo è di ridurre la dipendenza dalla Cina del 35% entro la fine del decennio, ma Delhi ha stanziato due miliardi di incentivi per incoraggiare la produzione – da parte di aziende nazionali e straniere – di almeno 53 principi attivi che oggi vengono importati da Pechino.
L’obiettivo di lungo termine è quindi la quasi totale autosufficienza di produzione.
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Immagine di Amit Gupta via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)
Big Pharma
Il giudice fallimentare degli Stati Uniti interrompe 40.000 cause contro Johnson & Johnson per il talco e il cancro

Un giudice fallimentare federale ha fermato circa 40 mila cause legali secondo cui il talco per bambini di Johnson & Johnson (J&J) e altri prodotti a base di talco hanno causato il cancro. Lo riporta CNBC.
La decisione fa parte del secondo tentativo di J&J di risolvere migliaia di casi di talco in procedure fallimentari.
J&J nel 2021 ha scorporato la sua controllata, LTL Management, per sostenere le sue passività relative al talco e presentare istanza di protezione dal fallimento secondo il Chapter 11, la principale norma fallimentare del Codice degli Stati Uniti che consente alle imprese che lo utilizzano una ristrutturazione a seguito della dichiarazione di fallimento.
Il giudice Michael Kaplan durante un’udienza presso il tribunale fallimentare degli Stati Uniti a Trenton, nel New Jersey, ha sospeso temporaneamente le cause che dureranno fino a metà giugno.
La J&J non dovrà essere processata per altre rivendicazioni di talco durante la pausa, ma è comunque possibile intentare nuove azioni legali contro la società.
La pausa darà a J&J il tempo di raggiungere un accordo definitivo con i querelanti nei casi di talco. La società ha recentemente proposto un accordo da 8,9 miliardi di dollari per reclami attuali e futuri relativi al talco e ha affermato che prevede di portare tale piano in tribunale fallimentare a metà maggio.
Come riportato da Renovatio 21, Johnson & Johnson era ricorsa alla procedura fallimentare nel tentativo di evitare la responsabilità nelle cause per il talco già due anni fa.
Tre anni fa J&J era stata condannata da una corte d’appello del Missouri a pagare oltre 2 miliardi di dollari alle donne che hanno accusato dei loro tumori ovarici i prodotti di talco dell’azienda, compresa la sua iconica polvere per bambini. Il giudice aveva affermato che la compagnia sapeva che c’era amianto nel suo talco per bambini, riportava il New York Times.
Il colosso Big Pharma non è nuovo a grandi controversie – tuttavia gli Stati si sono fidati comunque dell’azienda sottoponendo al suo vaccino a vettore virale COVID milioni di cittadini.
Big Pharma
Lo spot del vaccino mRNA lo avete visto?

Moderna, la prima azienda con Pfizer a realizzare sieri genici sperimentali anti-COVID, ha pubblicato un video pubblicitario che promuove i vaccini mRNA.
I sieri a mRNA messaggero sono, del resto, il suo core business, iscritto persino nel nome: come sottolinea il filmato celebrativo, Moderna sta per «Mode RNA».
Si tratta del lancio di una campagna mondiale volta a far conoscere al pubblico le potenzialità dei sieri genici. La creatività della campagna è basata sul concetto di un nastro rosso che rappresenta l’mRNA sintetico che consegna messaggi alle cellule del corpo per combattere le malattie.
Nella réclame, la ditta di sieri genici afferma che la tecnologia mRNA ha cambiato il modo in cui viene condotta la ricerca clinica sulle malattie e la velocità con cui i trattamenti vengono testati e immessi sul mercato.
«Un filamento di mRNA potrebbe cambiare la vita in meglio, ovunque. E la società che ci sta portando lì? Moderna. Questo cambia tutto», si sente dire nella pubblicità.
«Vogliamo che tutti capiscano che crediamo che la tecnologia mRNA curerà una serie di altre malattie e impedirà ad altri virus di infettare il corpo», ha dichiarato Kate Cronin, Chief Brand Officer di Moderna al sito Medical Media Marketing. «Vogliamo condividere con tutti l’energia e l’entusiasmo per il futuro di Moderna ed è quello che stiamo cercando di fare con questa campagna».
«L’obiettivo principale è che vogliamo che le persone capiscano cosa intendiamo quando diciamo “Questo cambia tutto”. Non è solo uno slogan, è qualcosa in cui crediamo davvero. Crediamo che la nostra piattaforma tecnologica mRNA cambierà tutto quando arriva all’assistenza sanitaria», ha continuato la Cronin.
Lo spot, della durata di 1 minuto e 25 secondi, si chiama «Welcome to the mRNAge», ossia «Benvenuti nell’era mRNA».
Pensiamo sia il caso che gli diate un’occhiata.
Notate come nel video non siano risparmiati bambini, e di tutte le razze, donne incinte, figure che non sappiamo se definire androgine o con un’altra parola.
Automobili, laboratori, treni, periferie africane, intere città. Il mondo interno e tutto il suo contenuto sono colpiti dal filamento rosso di mRNA. È un’immagine, ammettiamo, molto rivelatrice.
Come riportato da Renovatio 21, il CEO di Moderna, Stephane Bancel, ha avuto un’audizione movimentata con il Comitato del Senato USA sugli aumenti dei prezzi del vaccino COVID- 19, dove il senatore Rand Paul gli ha fatto domande precise sulla miocardite.
«I dati che ho mostrato… in realtà, che ho visto, mi dispiace, dal CDC, in realtà hanno dimostrato che c’è meno miocardite per le persone che ricevono il vaccino rispetto a chi riceve l’infezione da COVID» risponde Bancel ad una domanda del Senatore Paul.
«Questo non è vero», aveva ribattuto Paul. «Ho parlato con il suo presidente proprio la scorsa settimana e ha prontamente riconosciuto, in privato, che sì, c’è un aumento del rischio di miocardite. Il fatto che non si possa dirlo in pubblico è abbastanza inquietante».
Nella feroce audizione condotta da Paul sembra non esserci traccia di una notizia che ad alcuni può sembrare al limite del grottesco: ha annunciato la prima fase della sperimentazione umana per un vaccino mRNA per il trattamento di coloro che hanno sofferto di attacchi di cuore.
Moderna a fine estate ha fatto causa a Pfizer per violazione di brevetto. La società era già in una lotta con il governo USA per il brevetto del vaccino mRNA. Parallelamente, esisterebbe un contratto stipulato dall’ente per le malattie infettive NIAID (quello diretto sino a poco fa da Anthony Fauci) che avrebbe obbligato il Pentagono ad acquistare 500 mila dosi del vaccino, per un totale di 9 miliardi di dollari.
Due mesi fa è emerso che l’azienda, che come noto prima del COVID mai aveva venduto un prodotto, sta costruendo la prima fabbrica di mRNA al mondo a Melbourne, in Australia.
Come raccontato da Renovatio 21, il Bancel ha una storia speciale, con una gargantuesca coincidenza cosmica nel suo percorso professionale. Prima di Moderna, Stéphane Bancel fu CEO della società francese BioMérieux, posseduta da Alain Merieux, considerato amico personale di Xi Jinping, che visitò il laboratorio BSLM4 di BioMerieux a Lione nel 2014. Secondo quanto appreso, i cinesi avrebbero contattato i francesi per la costruzione del laboratorio di Wuhan, il primo BSL4 del Paese, nel 2004: si, stiamo parlando proprio di lui, il biolaboratorio del pipistrello cinese.
Il finanziere francese Patrick Degorce, fondatore di hedge fund e mentore dell’attuale primo ministro britannico Rishi Sunak, fu nel 2011 uno dei primi investitori in quella piccola azienda farmaceutica chiamata Moderna (cioè «Mode» «RNA»), che all’epoca aveva circa dieci dipendenti e un modo di operare molto discreto.
La carriera del Bancel è quindi segnata dal coronavirus: prima nella società che aiuterà i cinesi a costruire il laboratorio di Wuhano, poi nel Massachusetts a inizio anni ’10 nella società che per il virus di Wuhano, in teoria, dovrebbe aver trovato il vaccino. I risultati di questa prestigiosa carriera sono quanto mai proficui. Secondo la rivista Forbes, disponendo dell’8% delle azioni di Moderna (che, ripetiamo, prima del COVID non aveva mai portato sul mercato un prodotto), Bancel è ora tecnicamente un billionaire, un miliardario. Secondo Business Insider, il fortunato francese ha dichiarato che darà via la maggior parte della sua fortuna, stimata in 4,1 miliardi di dollari.
Come riportato da Renovatio 21, Moderna e Merck sarebbero vicine alla fase 3 per un vaccino per il cancro alla pelle. Un anno fa è stato invece detto che la società aveva iniziato la sperimentazione umana per un vaccino mRNA per l’AIDS. Due mesi fa è stato annunciato lo sviluppo di un vaccino combinato mRNA COVID-Omicron e influenza; il Bancel ha dichiarato ai media che il vaccino mRNA COVID di fatto diventerà come un’antinfluenzale, con alcuni gruppi di individui vulnerabili che dovranno farlo ciclicamente.
Al World Economic Forum di Davos l’anno passato il Bancel lamentò che «nessuno più vuole» i vaccini, per cui era pronto a gettare «30 milioni di dosi nella spazzatura».
Immagine screenshot da YouTube
Big Pharma
Farmaceutiche della morte: il CEO di Pfizer e 200 altri dirigenti Big Pharma firmano la lettera pro pillola abortiva

Più di 200 dirigenti farmaceutici, tra cui il CEO di Pfizer Albert Bourla, hanno firmato una lettera aperta in cui condannano la sentenza di un giudice federale americano contro l’approvazione da parte dell’ente regolatore farmaceutico Food & Drug Administration (FDA) del farmaco abortivo mifepristone, più conosciuto con il nome di RU486.
Il 7 aprile, il giudice Matthew Kacsmaryk aveva emesso un ordine di sospensione dell’approvazione da parte della FDA del farmaco abortivo, ritenendo che l’agenzia non avesse indagato adeguatamente sui suoi effetti a lungo termine. Lo stesso giorno, il giudice Thomas Rice aveva stabilito che la pillola feticida dovrebbe rimanere sul mercato in 15 stati più il Distretto di Columbia.
L’amministrazione Biden ha impugnato la sentenza e mercoledì sera un collegio di tre giudici della Corte d’appello del quinto circuito ha parzialmente bloccato la decisione di Kacsmaryk, stabilendo che il mifepristone dovrebbe rimanere disponibile ma mantenendo sospesa l’approvazione dell’amministrazione alla sua erogazione per posta. Venerdì, l’amministrazione ha chiesto alla Corte Suprema degli Stati Uniti di intervenire.
La lettera aperta dei massimi dirigenti Big Pharma sottolinea che il giudice Kacsmaryk non ha «alcuna formazione scientifica» e afferma che il mifepristone «è stato dimostrato da decenni di dati di essere più sicuro del Tylenol, di quasi tutti gli antibiotici e dell’insulina» e lamenta che la sentenza «ha stabilito un precedente per aver diminuito l’autorità della FDA sulle approvazioni dei farmaci e, così facendo, crea incertezza per l’intera industria biofarmaceutica».
I firmatari includono Albert Bourla, CEO di Pfizer, che è responsabile di uno dei controversi vaccini COVID-19 a RNA messaggero e che si è rifiutato di testimoniare a riguardo dinanzi al Parlamento Europeo. Altri a firmarlo includono funzionari di Merck, Genentech e Biogen.
In particolare, i capi degli sviluppatori di vaccini COVID Moderna e Johnson & Johnson non hanno firmato la lettera e non hanno risposto alle richieste di commento della CNBC.
Come scrive Lifesitenews, nonostante l’adozione da parte di Big Pharma e della FDA del mifepristone , le prove dimostrano che le pillole abortive comportano rischi specifici per le madri che le assumono – oltre, ovviamente, ad essere letali per i loro bambini non nati. Cioè è particolarmente vero quando gli standard per assumerle continuano ad essere allentati.
Uno studio del novembre 2021 condotto dagli studiosi del Charlotte Lozier Institute è apparso sulla rivista peer-reviewed Health Services Research and Managerial Epidemiology, analizzando dati pubblici Medicaid di oltre 400.000 aborti da 17 Stati che finanziano gli aborti elettivi attraverso i loro programmi, scrive che il tasso di visite al pronto soccorso legate alla pillola abortiva è aumentato di oltre il 500% dal 2002 al 2015. Anche il tasso di visite al pronto soccorso per aborti chirurgici è aumentato durante lo stesso periodo di tempo, ma con un margine molto inferiore.
Dopo la sentenza della Corte Suprema Dobbs che ha di fatto negato che l’aborto sia un diritto federale, molta della battaglia dei pro-feticidio si è spostata sull’aborto farmacologico, che promette di far da sé a casa senza passare per strutture sanitarie. Alcuni giornali americani – gli stessi che hanno negato l’efficacia di idrossiclorochina e ivermectina e imposto i vaccini mRNA, in sprezzo al diritto di curarsi da sé – sono arrivati addirittura a promuovere pillole abortive fai-da-te.
L’aborto domestico-biochimico aveva avuto una grande spinta in pandemia, con le pillole della morte ottenibili per via postale in Gran Bretagna: una gran idea che la sanità di Sua Maestà ha deciso di estendere anche nel periodo post pandemico.
In Italia l’era dell’aborto chimico fai-da-te fu annunciata, sempre in pandemia, dal ministro della Salute Roberto Speranza, che cambiò la direttiva per rendere il suo uso possibile anche senza ricovero.
La verità sulla pillola abortiva l’ha detta ad una convention dei conservatori americani il mese scorso l’attivista Abby Johnson, un tempo manager di una clinica per aborti, ora convertitasi alla difesa della vita umana. Le donne che prendono la pillola dell’aborto «stanno mettendo questi bambini nel water, bambini completamente formati – 12, 14, 16 settimane di gravidanza – forse hanno un’emorragia nel loro bagno, incapaci di raggiungere una struttura di pronto soccorso, guardano nella toilette e vedono il bambino loro completamente formato che galleggia lì nella water» ha dichiarato la Johnson.
Questa è la cruda realtà dell’aborto domestico reso da ciò che il premio Nobel Jerome Lejeune definiva «il pesticida umano». Un farmaco che, ricorda il caso delle email trapelate recentemente dalla sanità britannica, può avere conseguenze mortali: si può chiedere, al di là delle statistiche e degli episodi che potete vedere negli articoli linkati, nel caso dell’attivista abortista argentina 23enne morta pochi giorni dopo aver assunto il farmaco per uccidere il figlio concepito nel suo grembo – certo, magari, anche qui, non c’è nessuna correlazione.
In realtà, alla storia della Johnson manche una parte. Quel «bambino pienamente formato», una volta scaricato tirando l’acqua, finisce nelle fogne. E qui, oltre agli escrementi di altri esseri umani e ad ogni altra sozzura, troverà delle creature ben felici di incontrarlo – per divorarlo. Topi, rane, pesci… festeggiano la RU486, che tanta carne umana tenere e prelibata fa giungere loro senza che facciano alcuno sforzo, nella plastica immagine della catena alimentare ribaltata: le bestie mangiano gli esseri umani.
Un po’ come succede con gli orsi in Trentino, solo moltiplicato per migliaia di volte, nella tenebra della casa e delle sue tubature, della fogna, della vita innocente massacrata, vilipesa e divorata.
Sì, è il mondo alla rovescia. È il mondo dove i dottori che salvano i bambini dall’aborto chimico – perché alcune donne si pentono, ed entro un certo lasso di ore è possibile invertire il processo figlicida – vengono radiati dall’ordine dei medici.
È un mondo dove la vita viene abbattuta, per far trionfare la morte e la sua cultura. È il mondo della Necrocultura: combatterlo è la missione che ogni uomo dovrebbe avere nel XXI secolo.
Roberto Dal Bosco
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