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Politica

In Svizzera vince il partito anti-immigrati che vuole il ritorno alla neutralità

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L’Unione Democratica di Centro (UDC – conosciuta anche con l’acronimo tedesco SVP) è emersa come il principale vincitore delle elezioni generali svizzere di domenica, ottenendo il 28,6% dei voti. Il partito aveva condotto una campagna a favore della neutralità e contro l’immigrazione.

 

Il risultato rappresenta un aumento di tre punti percentuali rispetto al risultato dell’UDC nel 2019. Seguono i socialdemocratici con il 18%, mentre diversi altri partiti ricevono ciascuno meno del 15%. Il partito dei Verdi sembra essere stato il principale perdente con poco più del 9% – quasi quattro punti percentuali in meno rispetto alle elezioni precedenti.

 

L’UDC avrebbe così guadagnato nove seggi nei 200 membri del Consiglio nazionale, portando il numero dei suoi rappresentanti a 62. Negli ultimi vent’anni l’UDC è stata la forza politica più popolare in Svizzera, ma il risultato di domenica è tra i migliori mai registrati.

 

Il partito vuole limitare l’immigrazione per mantenere la popolazione del paese sotto la soglia dei 10 milioni, citando le infrastrutture sovraccariche e la mancanza di alloggi. L’UDC insiste inoltre affinché la Svizzera rimanga neutrale nonostante le recenti tensioni geopolitiche in Europa.

 

Nel contesto del conflitto in corso in Ucraina, alcuni politici e funzionari del Paese avevano chiesto un più stretto allineamento con la NATO e l’abbandono di una rigorosa neutralità.

 

Già in agosto, un documento politico pubblicato dall’esercito svizzero descriveva dettagliatamente i piani per intensificare il più possibile la cooperazione militare con la NATO. I leader militari svizzeri hanno sostenuto l’allineamento delle operazioni dell’esercito con la dottrina della NATO, nonché l’adesione al quadro di difesa della cooperazione strutturata permanente (PESCO) dell’UE e all’iniziativa europea Sky Shield.

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Queste misure si sono rese necessarie a causa del conflitto in Ucraina, si legge nel rapporto, il quale sostiene che «un’epoca di pace in Europa sta volgendo al termine».

 

La Svizzera ha mantenuto una politica di neutralità dal 1815 e non si è schierata in nessuna delle due Guerre Mondiali. Dall’inizio del conflitto in Ucraina, il Paese ha imposto sanzioni alla Russia, ispirandosi all’UE, e ha inviato aiuti economici a Kiev, ma ha rifiutato di fornire armi o di consentire ad altri paesi di inviare armi e munizioni svizzere all’Ucraina.

 

Alcuni membri del governo svizzero chiedono tuttavia un allentamento di questa politica estera di lunga data. L’UDC e il Partito socialdemocratico hanno criticato tali proposte.

 

Come riportato da Renovatio 21, novembre 2022 la Confederazione Elvetica aveva ripetuto che non intendeva fornire armi a Kiev per il conflitto con la Federazione Russa. Berna era intervenuta già nel maggio precedente per fermare la riesportazione in Ucraina di munizioni prodotte nella Confederazione.

 

Ad aprile 2023 il presidente svizzero Alain Berset in un incontro a Berlino ha rifiutato di cedere alla richiesta del cancelliere Scholz di riesportazione di armi svizzere in Ucraina.

 

A inizio conflitto gli affari tra Berna e Mosca sembrano tuttavia aumentati. Tuttavia, visto l’allineamento di Berna con l’Occidente, fa il ministero degli Esteri russo aveva fatto sapere di non considerare più la Svizzera come neutrale.

 

La Svizzera aveva inoltre rifiutato la rivendicazione di Zelens’kyj sui beni russi confiscati. Lo scorso dicembre, tuttavia, il ministero dell’Economia svizzero ha annunciato di aver congelato beni russi per un valore di 7,94 miliardi di dollari (7,5 miliardi di franchi svizzeri).

 

I dati elettorali sono significativi anche per le forze ecologiste, fenomeno che ha fatto parlare di fine dell’«onda verde». Il Partito dei Verdi subisce un notevole calo, ottenendo solo il 9,38% dei voti e perdendo cinque seggi nel Parlamento Nazionale. Il Partito liberale radicale (PLR) perde un seggio venendo così superato dal Centro (14,57%), che a sua volta ne guadagna uno. Nonostante una diminuzione di appena lo 0,56% nei voti, il Partito Verde Liberale (PVL) perde sei seggi.

 

Il Partito Socialista svizzero (PS) registra una lieve crescita: aumenta dell’1,12% nei voti, guadagnando così due seggi.

 

Tra i partiti minori rappresentati alle elezioni federali la Lega dei Ticinesi (un seggio) perde lo 0,22% scendendo al 0,53%, insieme al Partito Evangelico (due seggi) e al Partito del Lavoro. Dall’altra parte, l’Unione Democratica Federale (2 seggi) e il Mouvement Citoyens Genevois (due seggi) guadagnano voti e rappresentanza.

 

Nemmeno in questa tornata l’affluenza è arrivata al 50%, attestandosi al 46,6% degli aventi diritto di voti, con una crescita dell’1,5% rispetto al 2019. Secondo le prime osservazioni, i giovani, a differenza dei più anziani, avrebbero disertato anche questa volta il voto politico.

 

L’UDC ha registrato ottimi risultati anche nei cantoni italofoni, prendendosi nel Grigioni il secondo seggio al Consiglio Nazionale che nel voto del 2019 era finito al PS. Crescita rilevante anche in Ticino, dove l’UDC ha guadagnato voti ai danni del Centro.

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 Immagine di Hadi via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication

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Tentativo di colpo di Stato in Benin

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Un gruppo di militari del Benin, paese dell’Africa occidentale, ha proclamato la propria ascesa al potere attraverso la tv di stato SRTB. Tuttavia, diverse fonti hanno indicato che un assalto alla residenza presidenziale è fallito.   I soldati hanno sfruttato la rete televisiva per annunciare la sospensione delle istituzioni nazionali e della Costituzione beninese, ordinando la chiusura di tutte le frontiere aeree, terrestri e marittime. Hanno designato il tenente colonnello Pascal Tigri come presidente del Comitato Militare per la Rifondazione (CMR), «a partire da oggi». In seguito, il segnale del canale è stato tagliato.   Il ministro degli Esteri del Benin, Olushegun Adjadi Bakari, ha riferito all’agenzia Reuters che «un piccolo gruppo» di militari ha orchestrato un tentativo di golpe, ma le truppe leali al presidente Patrice Talon sono al lavoro per ristabilire la normalità. «C’è un tentativo in corso, ma la situazione è sotto controllo… La maggior parte dell’esercito rimane fedele e stiamo riprendendo il dominio della faccenda», ha precisato.   Il governo ha poco fa diffuso un video in lingua francese per spiegare l’accaduto. A parlare è Sig. Alassane Seidou, ministro dell’Interno e della Pubblica Sicurezza del Paese.  

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«Cari concittadini, Nelle prime ore del mattino di domenica 7 dicembre 2025, un piccolo gruppo di soldati ha scatenato un ammutinamento con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato e le sue istituzioni. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica».   «La loro risposta ha permesso loro di mantenere il controllo della situazione e di sventare la manovra. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica. Pertanto, il Governo invita la popolazione a continuare a svolgere le proprie attività come di consueto».   A Cotonou, la principale città del Benin, si sono sentiti spari sin dalle prime ore di domenica, sebbene le voci di un colpo di stato non siano ancora verificate, ha dichiarato Maxim Meletin, portavoce dell’ambasciata russa nel paese africano, all’agenzia African Initiative.   «Dalle 7 del mattino, abbiamo rilevato colpi d’arma da fuoco e detonazioni di granate nei dintorni della residenza presidenziale. Stando a indiscrezioni non confermate, militari beninesi si sono presentati alla tv nazionale per proclamare la destituzione del presidente», ha proseguito Meletin.   Una fonte vicina a Talon, interpellata da Jeune Afrique, ha raccontato che uomini in divisa hanno provato a irrompere nella residenza presidenziale intorno alle 6 del mattino ora locale, con il capo dello Stato ancora all’interno. L’incursione sarebbe stata sventata dalle guardie di sicurezza, e il presidente sarebbe illeso.   Tuttavia, questi dettagli non hanno ricevuto conferme indipendenti da canali ufficiali. Unità dell’esercito fedeli al regime in carica hanno risposto con una controffensiva. Si parla di elicotteri che pattugliano Cotonou, mentre varie zone del centro urbano risultano bloccate.   Talon è al timone del Benin dal 2016; il suo secondo e ultimo mandato scadrà nel 2026. La Carta Costituzionale ammette soltanto due quinquenni presidenziali, e le urne per il dopo-Talon sono in programma il 12 gennaio 2026.   Nell’agosto 2025, la maggioranza al governo ha sostenuto la corsa alla presidenza del ministro dell’Economia e delle Finanze, Romuald Wadagni.

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Studenti polacchi pestano i compagni di classe ucraini

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Alcuni studenti polacchi di un istituto tecnico di Słupsk, nel nord della Polonia, hanno aggredito e picchiato diversi compagni ucraini dopo che un docente li aveva apostrofati come «feccia», ha riferito martedì il portale Onet.

 

L’episodio si è verificato in una scuola professionale dove sono iscritti numerosi adolescenti ucraini in corsi di formazione. L’avvocato Dawid Dehnert, contattato dai familiari delle vittime, ha citato una registrazione in cui l’insegnante avrebbe definito gli ucraini «feccia» e li avrebbe minacciati di farli bocciare «perché vi farò vedere cosa significa essere polacchi».

 

I genitori dei ragazzi aggrediti hanno raccontato ai media che uno studente polacco era solito riprodurre in aula il rumore di bombe e razzi, rivolgendosi ai compagni ucraini con frasi come «è ora di nascondervi», senza che il docente intervenisse. «L’atteggiamento del professore ha non solo danneggiato gli studenti ucraini, ma ha anche incoraggiato e tollerato atteggiamenti xenofobi negli altri», ha commentato Dehnert.

 


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La situazione è precipitata al termine delle lezioni, quando i giovani ucraini sono stati assaliti fuori dall’edificio da coetanei polacchi più grandi. «Uno degli aggressori ha prima sputato in faccia a un ragazzo ucraino gridando “in testa, puttana ucraina” e poi lo ha colpito con pugni», ha riferito l’avvocato.

 

A seguito del pestaggio, un sedicenne ucraino ha riportato la frattura della clavicola e un altro una sospetta commozione cerebrale. Un video circolato sui social riprende parzialmente la rissa, mostrando tre studenti che infieriscono su uno di loro fino a scaraventarlo a terra.

 

L’aggressione si è interrotta solo quando una passante ha minacciato di chiamare la polizia. Una madre ha dichiarato a Onet di essersi recata immediatamente alla stazione più vicina per denunciare i fatti, ma di essere stata respinta perché «non c’era nessun agente disponibile» e di aver potuto formalizzare la querela solo il giorno successivo.

 

L’episodio si colloca in un contesto in cui la Polonia resta una delle principali mete UE per gli ucraini in fuga dal conflitto: secondo Statista, quasi un milione di cittadini ucraini risultano registrati nel Paese sotto regime di protezione temporanea.

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Netanyahu ha spinto Trump a chiedere la grazia

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Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha sollecitato il presidente statunitense Donald Trump a incrementare il proprio sostegno alla sua istanza di grazia presidenziale per un procedimento di corruzione protrattosi da oltre un decennio. Lo riporta Axios, attingendo a fonti informate.   La settimana scorsa, Netanyahu ha formalmente inoltrato al capo dello Stato israeliano Isaac Herzog la domanda di perdono per il caso in questione. Tale mossa è maturata dopo che Trump, storico alleato del premier, aveva esortato Herzog a novembre a concedergli un indulto integrale.   Nel corso di un colloquio telefonico lunedì, Netanyahu ha caldeggiato presso Trump un ulteriore appoggio alla sua petizione indirizzata al presidente israeliano, secondo quanto trapelato ad Axios. Trump si è professato ottimista sul successo dell’iniziativa, pur astenendosi da impegni per azioni supplementari, ha precisato l’agenzia giornalistica, citando funzionari americani e israeliani vicini alla conversazione.

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«Netanyahu desidererebbe un impegno più marcato da parte di Trump, ma il presidente ha già esaurito le proprie possibilità», ha confidato un esponente statunitense alla testata americana.   La missiva di Trump a Herzog del mese scorso ha rigettato le imputazioni a carico di Netanyahu come «un’azione giudiziaria politicizzata e immotivata», invocando un perdono totale. Gli oppositori hanno ammonito che tale intervento mina l’indipendenza del sistema giudiziario israeliano, convertendo le grazie in strumenti di lotta politica.   Netanyahu è il primo capo di governo in carica in Israele a subire un processo penale, accusato di frode, violazione di fiducia e ricezione di mazzette in tre distinti procedimenti, nei quali gli si contesta di aver contrattato benefici politici in cambio di doni sontuosi da parte di miliardari influenti. Formulati i capi d’imputazione nel 2019, si è proclamato innocente, qualificando l’inchiesta come un complotto orchestrato da stampa, forze dell’ordine e toghe per estrometterlo dalla guida del Paese. L’iter giudiziario, inaugurato nel 2020, è stato più volte procrastinato e si profila come un calvario pluriennale.   I detrattori sostengono che Netanyahu abbia strumentalizzato le crisi correnti in Israele per schermarsi dalle minacce penali e perpetuare il proprio dominio.   Nella sua supplica di clemenza, Netanyahu ha argomentato che l’indulto gli permetterebbe di concentrare «tutto il proprio tempo, le proprie competenze e la propria determinazione» nel condurre la nazione attraverso «tempi cruciali». L’entourage di Herzog ha precisato che il presidente vaglierà la domanda una volta acquisiti i pareri legali esaustivi.

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